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Autore: MightyZuzAnna    15/01/2012    1 recensioni
Una figura misteriosa correva nel cuore della notte lungo le antiche mura della città rincorsa da un paio di guardie. La figura era avvolta in un lungo mantello nero, il cappuccio gli copriva gran parte del volto. Lo sconosciuto si fermò davanti al muro, si girò e si vide circondato da altre guardie, gli puntarono una forte luce ed egli abituato al buio della notte, si coprì per metà il volto col braccio, qualcosa da sotto l’arto e il cappuccio sbrilluccicò. Involontariamente scostò un po’ il tessuto rivelando in parte una maschera nera e bianca a forma di farfalla. Le decorazioni nere e argentee brillavano come piccoli diamanti. Lo sconosciuto ghignò nonostante non avesse vie di fuga, eppure la notte del 14 luglio 1766, la figura conosciuta come il ladro più ricercato del secolo detto anche ‘Butterfly’ scomparve lasciando al suo posto, come ricordo della sua esistenza, la maschera a farfalla. A più di tre secoli di distanza, la leggenda del ladro ‘Butterfly’ ritornò più viva che mai.
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap.1 “Il ritorno di Butterfly”

 
 
 
Il silenzio regnava sovrano alle 6:59 del mattino in una tranquilla casa di periferia. Un secondo e scattarono le sette, in lontananza si iniziò ad udire un fischio, che poco a poco diveniva sempre più forte finché “BOOOOOOOOOOOOOOOOOOM!!!!” il suono di una bomba esplosa si diffuse per tutta la casa facendo svegliare di soprassalto quasi tutti gli abitanti. La proprietaria di quell’arma di distruzione di massa, che in realtà era una sveglia, si limitò ad azzittire l’oggetto buttandolo a terra e fracassandolo.
«SOOOOOORA!!!» un tornado biondo irruppe nella stanza urlando come un’ossessa.
Si affacciarono sulla porta altre tre persone: due maschi e una ragazza.
«Che diavolo era?» sbraitò la ragazza cercando di non inciampare nel disordine della stanza.
Qualcosa da sotto una montagna di coperte si mosse e un mugugno indistinto ne uscì.
«Che diavolo era, Sora?» ripeté la bionda, poi vide la sveglia distrutta e iniziò di nuovo ad urlare. «SORA!! IO TI AMMAZZO!!!»
Uno dei ragazzi fece per sturarsi l’orecchio sinistro.
«Umh, la solita storia, io scendo a fare colazione». Sbadigliò sonoramente e iniziò a scendere lentamente le scale, seguito dagli altri tre.
Il primo a scendere si chiamava Felix, era moro, i capelli erano disordinati, aveva due piercing all’orecchio sinistro e il classico orecchino al lobo, due occhi di un intenso azzurro. Il secondo era un biondino di nome Mike, occhi azzurri, ventiseienne e impegnato con Emy. La terza a scendere era Emy, era mora, i capelli le arrivavano circa a metà schiena, occhi castani, ventiseienne anche lei e impegnata con Mike. Il tornado biondo dai corti capelli che scese infuriato dopo svariati minuti era Kristen, sorella minore di Mike di quattro anni, anche lei aveva occhi azzurri. Invece la proprietaria dell’arma di distruzione dell’udito era Sora, gli occhi erano grigi, i capelli rosso scuro, lunghi fino poco sotto il seno, anche lei aveva dei piercing: tre all’orecchio sinistro e due a quello destro.
Fecero tutti colazione tra i continui e soliti battibecchi tra Felix, Sora e Kristen.
«Accidenti, noi dobbiamo andare a lavoro! Voi sbrigatevi o farete tardi a scuola!» fece Emy, salendo di corsa le scale per andare a vestirsi, poi scese altrettanto velocemente, incespicando con i tacchi a spillo e correndo fuori. Le restanti persone, cioè Felix, Sora e Kristen, si guardarono in faccia, poi la biondina si alzò, prese una valigetta e uscì sul viale per darlo alla coinquilina che se l’era dimenticata. Sora finito il suo toast con nutella andò in camera per vestirsi, seguita a ruota dagli altri.
Alle otto meno un quarto erano pronti tutti, Mike era uscito qualche minuto prima, prendendo le cose che la sua ragazza aveva dimenticato. Sora indossava un maglioncino di lana bianco a collo alto, dei jeans scuri strappati in alcuni punti e ai piedi delle converse basse beige. Scese le scale velocemente, portandosi appeso ad una spalla lo zainetto nero. Nell’unica tasca presente mise il portafogli, aspettò seduta alla sedia della cucina il coinquilino. Felix scese lentamente, con la sua solita pigrizia, indossava una felpa nera con cappuccio e tasca, sotto dei pantaloni verde scuro larghi con varie tasche sulle gambe, ai piedi degli anfibi neri.
«Apprezzo il fatto che tu abbia voluto sbrigarti ma...il tuo zaino?» chiese divertita la ragazza.
Felix sbuffò, girò i tacchi e salì le scale per recuperare lo zaino perduto. Kristen era ancora in pigiama e vagava per la casa alla ricerca di qualcosa.
«Che stai cercando Ten?» chiese Sora, usando il soprannome che aveva affibbiato alla bionda.
«Una cosa importantissima! Mi serve per l’uni! Non la trovo, oddio, sono spacciata, non la trovo, non la trovo!» disse la ragazza iniziando a disperarsi, si mise le mani tra i capelli.
«Emh, si ma cosa hai perso?»
Il moro scese dalle scale, l’afferrò per il braccio e iniziò a trascinarla fuori, con le chiavi della sua macchina nell’altra mano. Salirono e andando oltre al limite di velocità, raggiunsero la loro scuola. Scesero dall’auto e si separarono senza neanche scambiarsi uno sguardo andando ognuno verso i propri amici.
Sora si avvicinò ad un gruppo di ragazze, sventolò la mano in segno di saluto, il sorriso sulle labbra. Ma le sue amiche quando la videro arrivare se ne andarono unendosi ad un altro gruppetto. La rossa le guardò andare via stralunata per poi proseguire fino a raggiungere una panchina, si sedette ed estrasse un libro completamente blu. Iniziò a sfogliarlo finché il punto in cui c’era il segnalibro non interrompeva il frenetico movimento delle pagine. Velocemente si immerse in quelle miriadi di parole che rappresentavano le passioni, i segreti, i misteri, le bugie, i dubbi, i pensieri, i sentimenti che i personaggi dicevano e tenevano gelosamente come tesori, nascondendoli nei meandri più profondi della mente e del cuore. Fu risvegliata da quel momento dal suono della campanella che annunciava l’inizio della settimana scolastica.
Le prime cinque ore sembravano non finire mai e Sora da dietro le file, all’ultimo banco, leggeva tranquillamente il libro, fingendo di leggere il libro di testo, qualche volta alternava la lettura con la scrittura e scriveva il suo parere e le sue riflessioni su ciò che leggeva; i professori non la beccavano pensando che stesse seguendo diligentemente la lezione. L’ora di pranzo giunse finalmente facendo sospirare di sollievo quasi tutti, se non tutti, gli studenti. Sora andò alla mensa già per metà affollata, si mise in fila, prese un vassoio e passò a rassegna tutti i cibi disponibili, una deliziosa smorfia andò a dipingersi sul viso e con lo stomaco chiuso prese solamente un trancio di pizza e una bottiglietta d’acqua naturale. Arrivò davanti alla signora addetta al pagamento, era piuttosto brutta con i chili di trucco che si era messa e i capelli rossi tinti. Prese il portafoglio e da esso una carta: una carta per gli studenti, con quella il prezzo veniva dimezzato. La donna le lanciava strani sguardi mentre passava la carta, gliela restituì insieme ad uno sguardo tra il curioso e il disgusto. La ragazza riprese il vassoio dando un’occhiata alla sala mensa, scorse alcuni tavoli liberi e senza volerlo il suo sguardo andò a posarsi sulla fila di studenti, scorse le sue amiche che quando si accorsero, poco dopo, della direzione del suo sguardo finsero di concentrarsi sulla scelta del cibo. Poco più indietro scorse Felix che la guardava con uno strano sguardo che non riuscì ad identificare. Si diresse ad un tavolino a due posti, vicino alla finestra. Appoggiò il vassoio e buttò malamente lo zaino a terra. Iniziò a mangiucchiare piano il trancio osservando gli studenti che iniziavano e finivano di mangiare. Le arrivò un messaggio, prese il cellulare abbandonando il trancio nel piattino, lesse il mittente: Vodafone. Sbuffò contrariata, solo loro la disturbavano nei momenti meno adatti. Senza accorgersi il coinquilino moro le si sedette davanti, iniziando a mangiare la pasta al sugo che aveva preso. La rossiccia lo guardò perplessa ed egli dovette accorgersene perché rispose semplicemente: «Non mi andava di pranzare con gli altri»
Ella ancora un po’ dubbiosa annuì.  «Senti, mi dici perché tutti mi guardano male? O m’ignorano?»
Il ragazzo la guardò come per dirle ‘mi stai chiedendo una cosa che non mi interessa e che non mi interesserà mai’. Sora allora rinunciò a chiederglielo, anche se in certi versi confidava in lui visto che nessuno le parlava per uno strano motivo. Finito di mangiare, posò il vassoio e si diresse a passo di marcia verso l’uscita, fece scattare il pesante portone che risuonò per l’intera stanza e se ne andò, seguita dagli sguardi di tutti gli studenti, dirigendosi verso l’entrata principale, si sedette su una panchina all’aperto e iniziò a leggere.
Anche le tre ore a seguire passarono lentamente, molto di più senza un libro da leggere. Il professore di biologia aveva mostrato un filmato per tutte e due le sue ore, poi alla terza ora la professoressa di chimica aveva indotto una specie di gara su chi fosse riuscito a fare meglio un composto.
Trascinando i piedi Sora si diresse alla loro macchina, vide uscire le sue amiche e presa da un improvviso impulso si avvicinò. Le ragazze distolsero lo sguardo e cercarono di evitarla, ma la rossa si piazzò davanti a loro.
«Cosa vuoi? Non ti perdoniamo! Sei stata una stronza!» disse l’amica riccioluta, mettendosi di fronte ad un’altra ragazza bassina dai capelli corti, scuri. Sora la guardò stranita.
«Oh, non fare la finta tonta! Sappiamo benissimo cosa hai fatto! E come ti ho già detto, non ti perdoniamo!» disse e la superarono.
La rossa le guardò passarle accanto, lanciò uno sguardo tra l’incredulo e l’addolorato alla terza ragazza, la sua migliore amica, Sarah, che distolse immediatamente lo sguardo. Sora andò alla macchina, si appoggiò allo sportello e attese che arrivasse Felix. Si perse nei pensieri, rimuginando su quello che aveva fatto. Un vento gelido soffiò, scostandole delicatamente le ciocche dal volto, rabbrividì e si strinse di più a sé, imprecò mentalmente contro il coinquilino moro che non le aveva dato il tempo di prendere una giacca. Dopo pochi minuti le si avvicinò il moro, aprì la macchina e salì al posto del guidatore abbandonando, così come la ragazza, lo zaino sui sedili posteriori. Velocemente tornarono a casa, fecero cadere entrambi gli zaini all’ingresso e si diressero in stanze diverse.
Felix prese da mangiare in frigo e si buttò a peso morto sul divano accendendo la televisione. Sora salì lentamente le scale e si buttò sul materasso della propria camera da letto, mugugnò qualcosa con la faccia premuta sul cuscino, si mise a pancia in su e osservò il soffitto bianco. Quella camera andava ridipinta e sapeva già chi avrebbe potuto aiutarla. Prese il cellulare dalla tasca e lo abbandonò sul comodino. Stette per un po’ seduta a gambe incrociate sul letto, a fissare il vuoto, indecisa su cosa fare, poi un’idea e scattò, rischiando di cadere, verso la scrivania, aprì un cassetto e iniziò a frugare, lo richiuse e controllò nel seguente trovando l’oggetto: un quaderno. Prese una penna dalla scrivania e sedendosi sul letto iniziò a scrivere. La penna scorreva veloce, la testa piena d’idee che si susseguivano velocemente fino a creare confusione, ma sulla carta non c’era confusione, le parole erano messe in ordine e con un senso. Guardò l’orologio e si ricordò dei compiti, abbandonò il quaderno sul letto e scese per recuperare lo zaino. Una volta preso, buttò un’occhiata al salotto notando che il moro era ancora sul divano a godersi un film horror, sbuffò e salì di corsa le scale, questa volta per un valido motivo. Prese i libri e buttò sul pavimento lo zaino vuoto, facendogli tenere compagnia ai pantaloni e magliette che stavano sulla moquet. Iniziò di malavoglia a fare i compiti. Finì di farli quando Emy e Mike rientrarono dal lavoro. Scese e li salutò con un cenno della mano, andò in cucina e ci frugò, prese uno scatolone della pizza e lo aprì sotto gli occhi luccicanti e stanchi dei due adulti.
«Stasera gli avanzi di pizza!» urlò verso il ragazzo stravaccato sul divano.
Si sedette al tavolo circolare, afferrò un trancio e iniziò a mangiare.
 
Tre di notte, una figura avvolta da un mantello nero correva sul tetto di un’enorme villa, si fermò sul cornicione, si voltò verso i suoi inseguitori, quattro uomini in divisa gli puntavano delle torce. Con una mano tirò un po’ il cappuccio, fino a coprire gli occhi, un sorriso si dipinse sul volto coperto da una maschera nera e bianca a forma di farfalla, salì il cornicione e salutando le guardie con un gesto delle dita, saltò nel vuoto. Le guardie si affacciarono sbalordite, per poi allontanarsi dal cornicione guardando a occhi sgranati il gigantesco pallone su cui stava tranquillamente in equilibrio il ladro. Egli sorrise e strinse nella mano sinistra il prezioso gioiello rubato per poi scomparire nell’oscurità del cielo. Poco dopo iniziò a piovere.

 
 
 
 
 
 
 
L'angolo della Sadica:
Allour! Questa è la mia prima fic in questa sezione, e diciamo che è tutto un esperimento, il carattere, la grandezza del testo, ‘ste cose qua.
Spero che questa storia possa piacere.
Spero che non abbia sbagliato il rating, né la grammatica, né l'ortografia. Anche perché sono molto incline a cambiare quasi tutto all'ultimo secondo, infatti è la cosa che ho fatto anche in questo caso
Quindi, ribadisco, spero che questa storia piaccia, che in tanti commentino (facendo ciò, anche se è una critica negativa io l'accetterò per aiutarmi a migliorare ma se secondo me quella cosa va bene, ciuffoli vostri! U.U) e che in molti la leggano, anche se non commentano.
Bacioni! Alla prossima!! ^__^
  
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