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Autore: Mellis_    15/01/2012    3 recensioni
Ancora una volta aveva paura, probabilmente aveva paura di amare, soprattutto ora che sapeva di doversi svegliare con la consapevolezza di dare il 'buongiorno' al buio più totale.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il ragazzo senza occhi.

 Era lì che si toccava la fronte mentre lo specchio appeso alla parete rifletteva la sua immagine spenta. Lui riusciva a vedere nel buio, era capace di percepire ogni singola particella dispersa nell'aria senza usare gli occhi.
In verità non li usava mai, aveva smesso dopo quel fatidico incidente sulla tangenziale che portava a Huston; erano anni ormai che aveva imparato a convivere con il nero, erano anni che la gente del quartiere lo chiamava 'il ragazzo senza occhi'; ma lui gli occhi li aveva, ed era quella cosa che lo spaventava di più.
Possedeva qualcosa di inutilizzabile, era come avere un naso e non poter respirare.
Sentiva ciò che gli accadeva intorno, lo immaginava, costruiva la sua pellicola cinematografica con il pensiero.
Aveva diciassette anni. Dopo quel venticinque Aprile del 2003, dopo che quel bastardo iniziò a correre pur vedendolo disteso lì sanguinante, dopo che quella tangenziale venne maledetta ogni giorno da lui e dai suoi familiari, non riuscì più a mettere piede fuori casa senza che la paura lo travolgesse da capo a piedi. Eppure lui ci provava. Ogni giorno finiva per agganciare quella maniglia arrugginita con la mano tremolante, faceva per girarla quando gli tornavano in mente quelle urla, quelle sirene e quell'asfalto ricoperto di rosso.
                                                                                                                                                                                 ***
Era lì che si toccava la fronte, ancora una volta. Era lì di fronte allo specchio che si sforzava ad immaginare il proprio volto. Aveva sempre desiderato avere gli occhi verdi, come Elizabeth Rossetti, la ragazza Italo-Americana che aveva conosciuto un anno prima dell'incidente; passava tantissimo tempo insieme a lei, ma non era mai riuscito a dichiararle ciò che provava veramente. Ancora una volta aveva paura, probabilmente aveva paura di amare, soprattutto ora che sapeva di doversi svegliare con la consapevolezza di dare il 'buongiorno' al buio più totale.
Era cieco; e questo lo sapeva mezzo mondo.
Uno spiffero di vento spruzzò dalla finestra mentre il sole faceva fatica ad uscire.
«Ciao Archie»  entrò nella stanza con il solito sorriso stampato in faccia e un pizzico di profumo che la rendeva semplice, ma perfetta.
«Ciao Elizabeth – aveva riconosciuto la sua voce, nonostante non la vedesse da mesi interi – accomodati sul letto»
Si sedette sulle morbide coperte in lana poggiando il cappellino bianco sulle sue gambe, e schiarendosi la voce iniziò a parlare. Archie non 'vide' nulla di buono in quella tosse, sapeva riconoscere i guai quando arrivavano, e di certo quello non era da sottovalutare.
«Dovrei parlarti di una cosa»
«Non mi piace la tua voce, ma vai avanti»
Iniziò a battere continuamente il piede e sperava con tutto sé stesso che non fosse nulla di grave, ma ormai era abituato alle brutte notizie.
«Mia madre ha chiesto il trasferimento – c'era un sottile velo di collera in quelle parole, come se tutta la sua vita fosse incentrata in Archie e nella loro amicizia, infondo era così – ha trovato un lavoro migliore di quello che ha adesso. Pare che sia a seicento chilometri da qui»
Archie prese a pugni la scrivania con violenza, batteva il suo bastone sulle mattonelle di marmo mentre Elizabeth gli urlava di smetterla.
«Avrei dovuto saperlo – si prese la testa tra le mani – avrei dovuto saperlo che sarebbe successo prima o poi. Cazzo quanto sono stupido»
Gli occhi gli si inumidirono, il battito cardiaco iniziò ad accelerare mentre il suo respiro si faceva sempre più debole.
«Porca puttana Archie, lo sai che non devi agitarti! Hai dimenticato cosa ti dissero i medici? Lo hai dimenticato?»
«No Beth, non potrei dimenticarlo, non ci riuscirei, e non ci riusciresti nemmeno tu. Ma tanto che cazzo ne sai, che cazzo ne sai tu di come si vive al buio senza sapere di che colore sono le pareti della tua stanza. Non sai un emerito cazzo, tu!»
Elizabeth si zittì di colpo. Il suo amico aveva ragione, nessuno meglio di lui sapeva che vita fosse quella, nessuno meglio di lui sapeva che colore avesse il buio. Un bambino con gli occhi chiusi ti avrebbe risposto nero, ma Archie? Lui lo aveva visto davvero. Lui ci aveva parlato col buio, lui ci conviveva da un anno col buio, lui ormai era sposato col buio.
«Mi dispiace, scusami»
«Sono io che devo scusarmi Beth. Mi sono comportato da scemo, ma ora ho una domanda per te. Cosa faresti se il ragazzo per cui daresti la vita ti dicesse che deve trasferirsi?»
Elizabeth aveva capito. Dopo tanti anni aveva capito.
Gli si avvicinò senza far rumore, gli fece sentire il suo respiro sulla pelle per qualche istante. Lo guardò bene, voleva avere un ricordo meraviglioso di lui, di quel ragazzo cieco che vedeva il mondo come nessun altro.
Posò le sue labbra delicate su quelle di Archie, gli accarezzava i capelli nero corvino mentre lui era immobile sulla sua sedia a rotelle. Qualcosa in quella stanza aveva assunto un profumo diverso, qualcosa era cambiato. Due bocche che si incastravano perfettamente l'una con l'altra, due lingue che danzavano a suon di tamburi mentre la luce fioca del giorno si sforzava di illuminare i visi dei due ragazzi. Era un'armonia inconfondibile, una canzone scritta unicamente per loro.
Ora Archie sapeva amare. Ora Archie non aveva più paura. Ora Archie aveva imparato a vedere a colori.
 
   
 
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