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Autore: monipotty    17/01/2012    3 recensioni
"Era ormai mezzogiorno e mezza quando alzò gli occhi sull’orologio digitale appeso alla parete del reparto analisi. Si passò una mano sugli occhi castani, strofinandoli un po’: era tutta la mattina che lavorava su alcuni composti che la polizia le aveva fatto recapitare all’ospedale San Bartolomeo, si era letteralmente cavata li occhi su quegli esserini minuscoli che ci muovevano dentro e sulla materia, piccoli profughi di diverso genere e provenienti da diversi posti, ma aveva ottenuto ottimi risultati. Una delle poche cose, se non l’unica, che le riuscivano bene."
ATTENZIONE: Spoiler 2x03, The Reichenbach Falls
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Molly Hooper
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Anything for you

Era ormai mezzogiorno e mezza quando alzò gli occhi sull’orologio digitale appeso alla parete del reparto analisi. Si passò una mano sugli occhi castani, strofinandoli un po’: era tutta la mattina che lavorava su alcuni composti che la polizia le aveva fatto recapitare all’ospedale San Bartolomeo, si era letteralmente cavata li occhi su quegli esserini minuscoli che ci muovevano dentro e sulla materia, piccoli profughi di diverso genere e provenienti da diversi posti, ma aveva ottenuto ottimi risultati. Una delle poche cose, se non l’unica, che le riuscivano bene.

Si alzò dallo sgabello e ripose fiale e specchietti al loro posto, dopo averli accuratamente lavati e disinfettati, spense il microscopio e tutte le apparecchiature con cui aveva lavorato, prese il rapporto scritto dei risultati delle sue analisi e li infilò in una cartella, poi si guardò intorno: il deserto era pieno di vita se paragonato al suo luogo di lavoro. E, allargando gli orizzonti, alla sua intera esistenza.

Passava talmente tanto tempo con molecole, batteri e cadaveri distesi sul tavolino dell’obitorio, che spesso, per non dire sempre, si trovava a pensare che se fosse stata una di loro tre non sarebbe cambiato molto nel mondo; anzi: molecole, batteri e cadaveri a qualcosa potevano servire nel mondo scientifico.

Molly Hooper: trentenne timida e riservata, assolutamente incapace di avviare una conversazione con una qualsiasi persona, che fosse uomo, donna o bambino, con una vita sentimentale vuota ma una cotta pazzesca per Sherlock Holmes, l’uomo più irraggiungibile del pianeta, il più lontano dalla sua portata, sebbene spesso e volentieri si trovasse a lavorare con lui gomito a gomito ma a cui al massimo riportava i risultati di qualche analisi svolta su suo ordine.

O meglio, su sua richiesta. Perché lui non le dava mai ordini: poteva sembrare autoritario, severo, pieno di sé, approfittatore, a volte menefreghista e molto, molto insensibile, perché in realtà lui era tutto questo, ma sapeva perfettamente che in fondo era gentile, riusciva a leggerglielo negli occhi chiarissimi e ombrosi. E lei cedeva sempre quando lui chiedeva la sua professionalità, e lo faceva con piacere perché avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui e perché il solo sentire che lui aveva bisogno di lei la rendeva la donna più felice della terra.

Quelli erano i momenti in cui si sentiva davvero viva: per quei pochi minuti, in quei giorni in cui Sherlock Holmes entrava nel laboratorio e la chiamava perché aveva bisogno di alcune analisi, la sua vita acquistava un significato, un fine, aveva un senso. Aiutare Sherlock, fare qualcosa per lui la faceva sentire importante: tutti sapevano quanto fosse un tipo solitario e con cui difficilmente si poteva avere un rapporto di reciproco rispetto. Da quando era arrivato il suo nuovo coinquilino, il dottor John Watson, la prospettiva da cui Molly aveva sempre guardato il consulente investigativo era mutata: se voleva e se trovava la persona giusta, Sherlock Holmes sapeva intessere un rapporto personale più stretto. Lei non si era mai illusa che tra loro potesse succedere qualcosa di simile, ma se cercava le sue doti lavorative significava che in qualche modo rispettava le sue capacità e competenze, almeno in quell’ambito.

Il pensiero le risollevò un po’ il morale. Si tolse il camice bianco e lo appese all’appendiabiti, indossò la giacchetta, prese la borsa e uscì dal laboratorio spegnendo le luci dietro di sé. Poi prese il cellulare: aveva ricevuto un messaggio dall’uomo che stava per incontrare, conosciuto al pub la sera prima e con il quale aveva un appuntamento a pranzo. Sospirò: avrebbe preferito le attenzioni di qualcun altro, ma era inutile continuare a illudersi.

“Molly!” una voce ben conosciuta la chiamò e solo in quel momento si accorse che nel corridoio bianco stavano camminando verso di lei Sherlock e John. Il suo cuore prese a battere all’impazzata.

“Ciao. Stavo giusto uscendo…” li salutò riponendo il cellulare in tasca. Con sua massima sorpresa, il braccio di Sherlock si alzò e la prese, trascinandola di nuovo nel laboratorio.

“Non direi proprio.” Commentò lui e lei lo fissò interrogativa.

“Ho un appuntamento a pranzo.” Spiegò senza opporre troppa resistenza, ma l’uomo non sembrò curarsene e infatti…

“Cancellalo, hai pranzo con me.” Molly si bloccò di scatto

“Cosa?” Aveva sentito bene? A pranzo con lui? Impossibile, non con lui, almeno.

“Devi aiutarmi.” Spiegò Sherlock e un raggio di sole filtrò tra le dense nubi grigie e nere dell’animo di Molly: la giornata iniziava a prendere una piega migliore. “Uno dei tuoi vecchi fidanzati, lo stiamo cercando. Ha fatto il birbante.” John Watson lo guardò.

“Moriarty?” chiese.

“Certo che è Moriarty!” ribatté il compare come se fosse la cosa più ovvia.

“Jim non era il mio ragazzo.” Puntualizzò Molly, correggendo il tiro: non le piaceva l’idea di chiamare James Moriarty “ex” dopo quanto aveva fatto a Sherlock e John. “Siamo usciti insieme tre volte. L’ho lasciato.”

“Poi ha rubato i Gioielli della Corona, ha fatto irruzione della Banca d’Inghilterra e ha organizzato un’evasione.” Continuò Sherlock imperterrito. “Per l’amor di legge e dell’ordine, ti consiglio di evitare tutti i futuri tentativi di avere una relazione sentimentale, Molly.” Pungente e sensibile come sempre, pensò la donna oscurandosi, ma li seguì nel laboratorio e iniziò ad aiutarli nelle loro analisi.

Mentre Sherlock stava al microscopio, John e Molly facevano i soliti test di routine su quelle che sembravano schegge di legno con una strana patina sopra. Mentre misurava l’alcalinità del composto, osservava l’investigatore di sottecchi: non sembrava molto allegro, quanto piuttosto teso; lo aveva anche visto lanciare un paio di occhiate al collega e amico John in alcune occasioni, come se controllasse che stesse bene, cosa che, in qualche modo, le aveva fatto un certo effetto fastidioso: gelosia? Quando lo sentì mormorare “IOU”, scosse il capo per scacciare quei pensieri: erano solo amici.

“Cosa significa IOU?” gli chiese quindi. L’uomo la guardò interrogativo. “Lo borbottavi mentre lavoravi.” Lui distolse lo sguardo rispondendo che non era nulla, solo una nota mentale, e in una frazione di secondo le sue iridi chiare si spostarono su John. Molly se ne accorse: le ricordava qualcuno, suo padre. Quando gli espresse il suo pensiero, come al solito Sherlock le chiuse il discorso.

“Molly, per favore, non sentirti in dovere di fare conversazione, non è proprio il tuo forte.” Lei se ne infischiò e continuò a parlare.

“Quando stava morendo era sempre allegro, adorabile, tranne quando pensava che nessuno potesse vederlo.” Un’immagine di suo padre seduto sul letto in una stanza vuota intento a guardare mestamente fuori dalla finestra si fece spazio tra i suoi ricordi. “Lo vidi una volta, era triste.” Si accorse solo in quel momento che Sherlock la stava guardando: ma c’era qualcosa di strano in quegli occhi rivolti verso di lei, come se qualcosa si fosse smosso in lui a quelle semplici parole. Provò a parlare ma lei lo interruppe. “Tu sei triste, quando credi che lui non ti veda.” Accennò al dottor Watson, alle prese con alcuni documenti poco distante ma concentrato. Anche lo sguardo dell’investigatore si posò sull’amico. Molly lo capiva: lei faceva lo stesso, aveva preso in tutto e per tutto dal padre quell’atteggiamento, sebbene i momenti in cui era in compagnia si potessero contare sulle dita di una sola mano tutti i giorni. La maggior parte del tempo stava da sola, ma lavorare la aiutava a non pensare; ecco perché si buttava famelica sulle sue analisi. Sherlock non lo avrebbe mai ammesso, né a se stesso e men che meno davanti a lei o ad altri, eccezion fatta forse di John, ma non stava bene e voleva nascondere le sue preoccupazioni e i suoi pensieri agli altri per evitare di buttarli addosso a loro e sembrare un debole. “Non dire che stai bene, perché so cosa significa adombrarsi quando si pensa di non essere visti.” Sherlock alzò un sopracciglio.

“Tu puoi vedermi.” Ribatté. Lei sbuffò.

“Io non conto nulla.” Disse abbassando lo sguardo. Seguì una breve pausa: le parole uscivano dalle sue labbra come le acque di un fiume che, sbarrato da una diga, era riuscito a sfondare l’ostacolo e riversarsi verso il basso. Con molta fatica, timidezza e delicatezza lei stava aprendo il suo cuore, senza alcun fine personale, solo quello di far stare meglio la persona che amava. Sospirò. “Quello che sto cercando di dirti” balbettò. “è che se ci fosse qualcosa che posso fare, di qualsiasi cosa tu abbia bisogno, ogni cosa… io ci sono.” Arrossì. “Cioè, n-nel senso che se avessi bisogno di qualcosa, va bene.” Non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi: era troppo imbarazzata, era andata oltre il limite che si era imposta per non rischiare di rovinare quella sottospecie di rapporto che si era creato tra loro. La paura di quello che sarebbe potuto accadere si fece sentire. E Sherlock continuava a guardarla, un’espressione stupita e interrogativa allo stesso tempo.

“Ma…” disse senza distogliere lo sguardo. “… di cosa potrei avere bisogno da te?” Quel po’ di autostima che Molly aveva a fatica costruito venne abbattuto da quelle poche parole. Era vero: di cosa poteva avere bisogno il grande Sherlock Holmes che già non aveva? Cosa poteva dargli lei che potesse essergli lontanamente utile?

“Nulla.” Rispose, più a se stessa che all’uomo. “Non lo so.” Gli lanciò una rapida occhiata. “In realtà, ora, potresti dire grazie…” Se possibile, Sherlock era ancora più confuso: parole buttate al vento, si arrese Molly. Ulteriore dimostrazione del fatto che se lei non fosse esistita, il mondo sarebbe stato precisamente lo stesso di quello in cui viveva. “Vado a prendere un po’ di patatine.” Cambiò discorso in fretta lei allontanandosi dal banco di lavoro. “Vuoi qualcosa? Ok, so che non vuoi nulla.” Sherlock si agitò sullo sgabello e seguì i suoi spostamenti con la testa, gli occhi che sembravano voler dire qualcosa ma erano indecifrabili.

“Beh, in realtà, forse io…” disse ma non finì la frase: Molly abbozzò un sorriso mesto nella sua direzione e mentre si dirigeva verso la porta mormorò: “So che non vuoi.” Uscì dal laboratorio e, chiudendosi la porta alle spalle, si incamminò verso la hall dell’ospedale.

Un enorme macigno pesava sul suo animo: si maledì per aver tirato fuori la storia di suo padre, se non lo avesse fatto probabilmente sarebbe andata come tutte le altre volte e lei sarebbe stata solo felice di rendersi utile, felice del fatto che Sherlock si era rivolto direttamente a lei per avere aiuto. Una volta nella hall deserta, si sedette su una delle sedie della sala d’aspetto, i gomiti sulle ginocchia e la testa tra le mani.

Poi pianse.

                                                  ***

Quando si ritrovò a fine giornata, alle 7 di sera, Molly si guardò intorno: sola, come sempre. E aveva smesso di lavorare. Iniziando a pensare. I ricordi di qualche ora prima affiorarono: Dopo aver pianto tutte le sue lacrime sulla poltroncina della hall, si era diretta alle macchinette delle vivande e con la sua chiave aveva preso un pacco di patatine, poi si era rifugiata in bagno per rinfrescarsi e cancellare i segni del pianto: sapeva che qualunque cosa avesse fatto Sherlock si sarebbe comunque accorto di quello che era successo, ma in quel momento non gliene fregava niente. Poi fece ritorno al laboratorio: al suo ingresso, sia John che Sherlock l’avevano guardata.

“Oh, bene! Ci andava un break, Molly!” esclamò John con un sorriso. Lei ricambiò e gli diede il pacco di patatine: sapeva che lui la stava guardando, anzi no, osservando e sicuramente aveva notato gli occhi ancora un po’ rossi, il colletto umido, la sparizione di quel po’ di trucco che si era messa per andare a pranzo e qualche goccia d’acqua sul pacchetto di patatine. Ma non disse nulla in proposito e lei lo ringraziò mentalmente.

Un’oretta dopo, finite tutte le analisi che dovevano fare, se n’erano andati e lei si era ritrovata di nuovo sola. Prese il telefono e mandò un messaggio di scuse all’uomo con cui aveva appuntamento per pranzo, dicendogli che si era dovuta fermare per una questione urgente. Non sapeva come l’avrebbe presa, ma aveva la certezza che se avesse potuto nascere qualcosa tra loro due, Sherlock Holmes lo aveva impedito. Anzi no: era la sua cotta per lui, che le faceva fare qualsiasi cosa le chiedesse che lo aveva impedito. In fondo, allora, non aveva tenuto più di tanto all’appuntamento, pensò, ma la cosa a cui più teneva, giustamente, era Sherlock.

Scosse la testa, scacciando quei pensieri: ormai se n’era andato e chissà quando lo avrebbe rivisto. Riprese il rapporto che aveva scritto la mattina per completarlo con i risultati delle ultime analisi, si risedette al tavolo da lavoro e ricominciò a fare il suo dovere, quello che più le veniva meglio, senza alzare gli occhi finché non ebbe finito. Soffiò sorpresa  quando scoprì che aveva lavorato per tre ore e mezza senza aver guardato l’orologio neanche una volta.

“Beh, almeno ho finito.” Borbottò rimettendo il rapporto nella cartella e infilandosela in borsa. Uno strano scricchiolio attirò la sua attenzione. Allarmata guardò davanti a sé ma non vide nulla. “Chi c’è?” domandò ma non ebbe risposta e si calmò: lavorare tutto il giorno senza grandi pasti e pause le faceva male, si trovò a pensare. Come sempre, spense tutti i macchinari, appese il camice all’appendiabiti, prese la borsa e si avvicinò all’uscita, spegnendo dietro di sé le luci. Aveva appena messo una mano sulla maniglia quando una voce profonda uscì dal’oscurità.

“Ti sbagli, sai?” Molly trasalì e guardò nel punto da cui proveniva la voce. Il cuore che le martellava in petto sprofondò quando riconobbe il profilo dell’uomo che stava nascosto nell’ombra, il colletto alzato come sempre, il naso dritto, le labbra sottili e gli occhi chiari incorniciati dai riccioli neri. Le iridi saettarono verso di lei.

“Sherl…!” esclamò sorpresa ma lui non le permise di finire.

“Tu conti.” Disse lui uscendo dall’ombra lentamente. Quelle due parole fermarono i battiti della donna: che cosa...? “Sei sempre contata e io ho sempre avuto fiducia in te.” Non era possibile… Sherlock Holmes si stava davvero aprendo a lei? Ma soprattutto le stava davvero dicendo quello che lei aveva sentito o era la sua immaginazione che le giocava brutti scherzi? Chiuse gli occhi e quando li riaprì l’investigatore si era fatto più vicino. Lo guardò negli occhi, ancora sorpresa e in attesa. “Ma avevi ragione: non sto bene.”

“Dimmi che cos’hai.” Disse lei di getto: quello era tutto ciò che voleva, farlo aprire, farsi dire cosa non quadrava, i suoi problemi, le sue preoccupazioni, le sue angosce. Sherlock non abbassava lo sguardo e lei lo sostenne con forza.

“Molly…” la sua voce, in compenso, si era affievolita. “Penso che presto morirò.”

Il mondo si fermò, così come il cuore martellante della  donna: morire? Sherlock Holmes non poteva morire, non doveva morire… come faceva a dire una cosa tanto sciocca, tanto esagerata, tanto… perché proprio quello? Lo guardò confusa e spaventata, ma non chiese spiegazioni: se avesse voluto, gliele avrebbe date lui di sua spontanea volontà.

“Di cosa hai bisogno?” Sherlock avanzò lentamente, arrivando a un metro da lei.

“Se non fossi quello che tu pensi io sia,” mormorò. “tutto quello che io penso di essere… vorresti ancora aiutarmi?” Molly aveva letto i giornali e sapeva quello che si diceva in giro, ma non credeva a una sola parola: credeva in lui, aveva fiducia in lui e lo avrebbe fatto per sempre.

“Di cosa hai bisogno?” chiese ancora. Erano a pochi centimetri l’uno dall’altro: Molly poteva sentire il suo calore, il suo profumo, le sue paure…

“Di te.”

 

Per lui avrebbe fatto qualsiasi cosa.

E così Molly Hooper fece: gli diede tutto quello che poteva dargli, tutto quello che lui le chiedeva. Agì per lui, mentì per lui…

Adoro il personaggio di Molly Hooper e spero sempre in qualcosa di buono tra lei e Sherlock, anche se dubito avendo letto i libri di Doyle e vedendo come vanno le cose nella serie. Beh, si può sempre immaginare! :D Soprattutto dopo l'ultimo episodio della seconda stagione!!! ç____ç

A voi la scelta su come interpretare le ultime righe :D

Spero vi sia piaciuta: ho fatto del mio meglio per rendere la figura di Molly ^^ 

Ogni commento è bene accetto, come sempre!!

Monipotty

  
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