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Autore: HuskyGentile    18/01/2012    3 recensioni
“Holmes, è un piacere rivederla, vecchia volpe!” dissi, rompendo quel silenzio che aveva già detto tutto quello che dovevamo dirci come non saremmo mai stati capaci di fare con le parole.
“Anche per me Watson, anche per me” rispose con un sorriso sghembo.

Ambientata alla fine del film "Sherlock Holmes Gioco di Ombre", tiene conto del racconto di Arthur Conan Doyle "L'ultima avventura" e "Il racconto della casa vuota". Un tentativo di conciliare la versione cinematografica e con il Canone di Doyle.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2.

Il caso Adair

 

 

“Dal suo sorriso, deduco che si è deciso a seguirmi nelle indagini, non è vero?”

“Sono al suo servizio Holmes. Di cosa si tratta?”

“Conosce il caso dell’Onorevole Adair?”

“Se lo conosco? Holmes, andiamo! Ne parla tutta Londra, certo che lo conosco.”

Il caso, per le sue circostanze così particolari, aveva conquistato l’interesse del pubblico, e ormai tutti a Londra ne conoscevano i particolari.

L‘Onorevole Ronald Adair era il secondo figlio del Conte di Maynooth, al tempo Governatore di una delle colonie australiane. La madre di Adair era tornata dall’Australia per sottoporsi a un’operazione alla cataratta, e lei, suo figlio Ronald e sua figlia Hilda vivevano insieme al 427 di Park Lane. Il giovane si muoveva tra la buona società, e non aveva, per quanto si sapesse, nessun nemico e nessun vizio particolare. Era stato fidanzato con Miss Edith Woodley, di Carstairs, ma il fidanzamento era stato rotto per mutuo consenso alcuni mesi prima, e non c’erano segni che avesse lasciato indietro alcun sentimento profondo. Per il resto, la vita dell’uomo si muoveva in un convenzionale cerchio, per le sue abitudini pacate e la sua natura priva di emozioni. Era già un semplice giovane aristocratico che la morte venne nella sua forma più strana e inaspettata tra le ore dieci e undici e venti della notte del 30 Marzo 1894.

Ronald Adair era appassionato di carte, con cui giocava continuamente, ma non troppo da potergli nuocere. Era un membro del circolo delle carte del Baldwin, del Cavendish e del Bagatelle, e l’ultimo posto in cui era stato visto vivo il giorno della sua morte era proprio lì, come suo solito, dopo cena.

Giocava quasi tutti i giorni in un club o nell’altro, ma era un giocatore prudente, e spesso un buon vincitore. Venne fuori che, qualche settimana prima, insieme al suo partner aveva vinto ben 420 sterline.

La sera del crimine tornò dal club esattamente alle dieci. Sua madre e sua sorella avevano impiegato la serata fuori in società. La cameriera testimoniò che lo aveva sentito entrare nella stanza principale al secondo piano, che usava generalmente come proprio salotto. Lei vi aveva in precedenza acceso il fuoco, e poiché faceva fumo aveva lasciato la finestra aperta. Non erano stati uditi suoni nella stanza fino alle undici e venti, ora del ritorno di Lady Maynooth e di sua figlia. Desiderando dirgli buonanotte, lei cercò di entrare nella stanza del figlio. La porta era chiusa dall’interno, e Lady Maynooth, non ricevendo risposta alle sue grida e ai suoi colpi, chiese aiuto e la porta venne forzata. Lo sfortunato giovane giaceva vicino al tavolo. La sua testa era stata orrendamente mutilata dall’esplosione di un proiettile di pistola, ma nessuna arma di alcun tipo fu trovata nella stanza. Sul tavolo furono trovate due banconote da 10 sterline ciascuna e 17 sterline e 10 centesimi in monete d’argento e oro, disposte in piccole pile di ammontare vario. C’erano anche alcune figure disegnate sopra un foglio, con il nome di alcuni amici del club avversari, e col quale il giovane stava probabilmente facendo congetture per individuare le sue carte perdenti o vincenti, prima della sua morte.

L’esame delle circostanze servì solo a rendere il caso più complicato. In primo luogo, non c’era nessuna ragione evidente per cui il giovane avrebbe dovuto chiudere a chiave la porta dall’interno. C’era la possibilità che l’avesse fatto l’assassino e che fosse poi scappato dalla finestra. Il salto era, comunque, di almeno venti piedi, e un letto di croco in piena fioritura vi giaceva sotto. Né i fiori né il terriccio mostravano però alcun segno di essere stati disturbati, e nemmeno alcuna traccia sulla lunga striscia di erba che separava la casa dalla strada. Apparentemente, perciò, era stato il giovane stesso a chiudere la porta. Ma com’era andato incontro alla propria morte? Nessuno poteva aver scalato la parete fino alla finestra senza lasciare tracce. Supponendo che un uomo avesse sparato attraverso la finestra, avrebbe dovuto essere un notevole tiratore, per infliggere una così mortale ferita con un revolver.

Inoltre, Park Lane è un’arteria molto frequentata e c’è una fermata per le vetture a cento iarde dalla casa. Nessuno aveva udito lo sparo. Tuttavia c’era un uomo morto, colpito da un proiettile da revolver che era poi schizzato fuori, come fanno le pallottole dalla punta morbida, che aveva inflitto una ferita che doveva aver causato morte istantanea.

Queste erano dunque le circostanze del mistero di Park Lane. Erano note a tutti, cittadini e poliziotti; quello che però non si conosceva era il movente, l’arma del delitto, il modo e, soprattutto, gli indiziati.

Capii subito perché il caso avesse attratto l’attenzione del mio amico.

 

 

NOTA ALLA LETTURA: escluse le prime 6 righe e le ultime 4, le restanti sono quasi tutto frutto del genio creativo di Arthur Conan Doyle; io mi sono semplicemente limitata a prendere l’originale inglese, tradurlo e riarrangiare i pezzi così ottenuti in un unico capitolo in modo che contenesse tutte le informazioni relative al caso. Questo è il motivo per cui, sebbene la storia né i suoi personaggi mi appartengano, ho impiegato tanto tempo a scrivere il secondo capitolo.

 

NOTA DELL’AUTRICE: se avete apprezzato lasciatemi un commento, se vi ha fatto schifo lasciatemi un commento, se vi ha lasciato indifferenti siete dispensati dal lasciare commenti :).

  
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