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Autore: LikeJoris    19/01/2012    2 recensioni
“New York è così luminosa che là non hai neppure bisogno di guardare il cielo in cerca di stelle: se vuoi esprimere un desiderio, devi solo accontentarti delle miriadi che sono appese ai palazzi”
Finalmente Tonks è accontentata: Lupin le regala un viaggio nella Grande Mela. Entrambi non sanno che non lo scorderanno mai più.
Piccolo missing moments!
Storia classificatasi prima parimerito al contest "Una storia per Capodanno" di TheGhostOfYou
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Tonks ne aveva parlato sempre meno, negli ultimi giorni: probabilmente perché si era resa conto che un Capodanno a New York sarebbe stato davvero costoso. Nonostante questo, e nonostante le diverse difficoltà incontrate, tra cui trovare un albergo libero in una data che probabilmente era la più affollata dell’anno, e cambiare galeoni, zellini e falci in dollari, Lupin aveva deciso di accontentarla. Le aveva fatto vedere il foglio con la prenotazione, e i suoi occhi si erano spalancati per la sorpresa, passando freneticamente da quel pezzo di carta a lui. Tutte le volte che lo guardava in quel modo si sentiva pervaso da una felicità che difficilmente avrebbe creduto di provare nella sua vita da reietto. Poi, era arrivata lei: non in punta di piedi, non con delicatezza, ma  facendo cadere tutto quello che le capitasse davanti, sempre sorridente, sempre pasticciona, e dopo aver aspettato tanto, finalmente lui si era concesso un piccolo gesto egoista: farsi amare da lei. Quasi per ringraziarla le aveva fatto quella sorpresa, quel viaggio che tanto desiderava. “Vedrai, piacerà anche a te. Ti stupirai di quanto una semplice città possa entrarti nel cuore!” gli aveva detto, sempre sorridendo. “New York è così luminosa che là non hai neppure bisogno di guardare il cielo in cerca di stelle: se vuoi esprimere un desiderio, devi solo accontentarti delle miriadi che sono appese ai palazzi”. Lupin l’aveva semplicemente ascoltata: conosceva la passione di Tonks per New York, una passione nata dopo aver sentito le tante storie di persone che là avevano realizzato i propri sogni. Lui forse ne era un po’ dispiaciuto: davvero ci voleva una città piena di grattacieli per essere felici? La riteneva sopravvalutata, sì, ma per Tonks, la sua Tonks, era disposto a spendere i suoi risparmi e a tenere per sé le sue critiche. Tanto sapeva come sarebbe finita: lei avrebbe scosso la testa decisa, avrebbe sbuffato un po’ e gli avrebbe spiegato chiaramente che era lei ad avere ragione, proprio come aveva fatto per convincerlo che non le importava nulla della sua condizione da lupo mannaro.
 
Faceva freddo, persino troppo per nevicare, ma Tonks non se ne curava: bardata nel suo mantello, saltellava allegra per Union Square, lanciando di tanto in tanto un’occhiata a Lupin, che la seguiva silenzioso. “Coraggio! Cos’è quel muso lungo?! Siamo a New York, Remus!” gli urlò ridendo. Era eccitata, sembrava quasi una bambina, ma nessuno intorno a lei se ne curava: un altro motivo per cui trovava New York così bella, non aveva bisogno di fingere, lì ognuno aveva un posto proprio per sé. Lo trascinò in un grande magazzino che dava sulla piazza: “Aiutami, devo trovare un abito per domani sera!”. Lupin non credeva alle sue orecchie: Tonks, un abito? L’atmosfera scintillante che regnava in città doveva averla influenzata, ma sotto sotto ciò non gli dispiaceva: un tocco di frivolezza avrebbe contribuito a renderla più bella di quanto già non fosse. Tenne questo pensiero per sé e la seguì nel marasma di gente, espositori e commesse.
Il pomeriggio si era fatto ancora più freddo quando i due uscirono dal negozio: Tonks era entusiasta del vestito stile charleston che aveva trovato, e propose a Lupin una cioccolata calda. Entrarono nel primo Starbuck’s che trovarono, zeppo di turisti in coda per qualcosa di caldo o di fronte agli espositori di tazze. “Voglio farti vedere un posto che ho sognato tante volte di visitare. E’ una piazza qui dietro”. Uscirono dal locale e camminarono in fretta verso Soho, mentre Tonks guardava a naso in su le semplici case del Greenwich Village. “Sai che qua sono vissute un sacco di persone speciali, Remus? Scrittori, poeti…” “Deve essere perché questo posto è diverso dal resto della città, immagino. Poche persone, case basse…” rispose lui, arricciando il naso. “Oh, andiamo! Quando torneremo a casa New York ti piacerà così tanto che non vorrai più andar via!” Percorsero un vialetto che in estate sarebbe stato circondato da fiori e alberi pieni di foglie verdi, entrando a Washington Square. Un grande arco bianco dava il via ad un’altra strada, lunghissima, e al centro della piazza troneggiava una grande fontana spenta. “Ecco, se non fosse inverno renderebbe di più, ma io adoro questo posto. Non so spiegarti il perché, è…magico, in un certo senso” concluse Tonks sorridendo. Si erano seduti su una panchina, guardando la piazza che veniva piano avvolta dall’oscurità. Lupin si voltò a guardare la ragazza, incantata dalle luci che iniziavano ad accendersi. Neppure lui riusciva bene a definire quella semplice piazza, anche un po’ spoglia in una sera d’inverno come quella, eppure riusciva, seppur minimamente, a capire perché Tonks sorridesse così tanto, quasi a sentire il battito accelerato del suo cuore, ancora incredulo al regalo che gli era stato fatto. “Ti starò un po’ annoiando, qui seduti a gelare davanti a…nulla. Beh, avevo intenzione di…” non riuscì a finire la frase, perché Lupin la interruppe mettendole un dito sulla bocca, facendola arrossire per la sorpresa. “No, in realtà non mi stai annoiando. Sono io a doverti chiedere scusa, qui seduto a fissarti senza avere il coraggio di baciarti”, le sorrise. E poi si avvicinò, colmando magicamente la distanza e facendole sentire il suo respiro caldo. La baciò piano, teneramente, quasi avesse paura di romperla, una statua di ghiaccio che reagisce al troppo calore e alla pressione. “Stavi dicendo?” la invitò a proseguire. “Oh…Beh…” balbettò, confusa. “Sì, ecco, ci sarebbe un posto che vale assolutamente la pena di visitare. Un po’ troppo turistico, ma molto suggestivo” spiegò lei sorridendogli.
 
Quaranta minuti più tardi, New York si srotolava luminosa sotto gli occhi dei pochi, coraggiosi turisti che avevano deciso di salire fino all’ottantesimo piano dell’Empire State Building in una sera fredda come quella. Tonks era schiacciata contro il parapetto di cemento, che guardava il panorama con espressione estasiata. Si girò per guardare Remus, mormorando: “Non puoi più dire che sia insignificante. Ti prego, guarda. Guardala con i miei occhi, amala come se fossi me, perché a parole non riesco a descriverti quanto sia bella”. Tacque, scrutando il volto dell’uomo che faceva correre in ogni direzione i suoi occhi, poi si girò di nuovo, quasi preoccupata per quello che aveva appena detto. Lo spostò gentilmente e si diresse in un altro punto, riuscendo a scorgere Times Square, un barattolo strapieno di luci, forse una sineddoche di New York. Si sentì abbracciare da dietro, stretta, protetta dall’aria gelida. “Sì, la vedo. Non riesco ancora ad amarla come vorresti, ma a questo forse puoi rimediare tu, sempre che tu abbia voglia di spiegare qualcosa a uno testardo come me.” La ragazza si voltò nuovamente, e Lupin pensò che la vista al di là dell’inferriata non reggeva il confronto con la creatura strabiliante che aveva davanti agli occhi. Aveva le guance rosse per il freddo, un buffo cappellino a coprirle la testa e un sorriso felice sulle labbra, che si allargava sempre di più. “Certo che ne ho voglia”. Si avvicinò a lui, con una scintilla maliziosa nello sguardo, accostando la sua bocca a quella di Lupin, per poi staccarsi subito dopo. Si liberò dalla presa e corse sull’altro lato della piattaforma, ridendo. “Ma prima dovrai prendermi!”.
Sei così teneramente sorprendente. Il mago prese la direzione opposta alla sua, incurante delle persone che li guardavano, leggermente stupite. Come aveva previsto, Tonks non se lo aspettava minimamente, e gli sbattè contro, staccandosi subito dopo per balbettare qualche parola di scusa. Lupin rise apertamente, guardando il suo viso perplesso. “Oh, sei tu!” “Sì, sono io. E adesso, se non ti dispiace, riprenderei da dove ci siamo interrotti” spiegò lui, riportando le labbra alle sue con una certa insistenza. La spostò fino a toccare nuovamente il parapetto, approfondendo il bacio. Il mormorio leggero della ragazza lo fece fremere. La sua pelle sotto le dita sembrava essere l’unica cosa importante. E con questo pensiero in testa, dimenticandosi che qualcuno avrebbe potuto vederli, smaterializzò sé e la ragazza nella loro stanza d’albergo.
Tonks non sembrava toccata dallo strano sbalzo di temperatura, forse perché entrambi avevano iniziato a sfilarsi delicatamente i vestiti. Si sdraiarono sul letto, mentre le mani di Remus continuavano la loro danza sulla sua pelle, sempre delicate, mai irruente. Non aprì gli occhi fino quando non scivolò dolcemente dentro di lei. “Remus…”. Il mago la guardò sorridendo, mentre i loro corpi si muovevano all’unisono per il piacere. La baciò ancora, ancora, ancora, tenendola stretta a sé. “Non ti lascerò andare…” disse Lupin. Vennero insieme, respirando, le loro mani unite. Remus strinse la strega al suo petto, accarezzandola piano, posando un bacio leggero sulla sua testa spettinata.
 
Il pallido sole invernale entrò prepotentemente dalla finestra, svegliando Tonks. Si stiracchiò piano, allargando le braccia, e spalancò gli occhi per la sorpresa quando si accorse che di fianco a lei non c’era nessuno. Si tirò su, coprendosi il viso con le mani e cercando di riordinare le idee; le tornarono subito alla mente i ricordi della sera precedente, l’Empire, il freddo, e…Remus. “Remus!” chiamò, convinta fosse semplicemente in bagno. Ma quando non ottenne risposta si decise ad alzarsi e spalancare la porta, per scoprire con delusione che il mago non c’era.
 
Lupin rientrò in albergo soltanto nel tardo pomeriggio. Tonks era in bagno, aveva appena indossato il suo vestito, decisa almeno a godersi la sera di Capodanno. Dopo tutto, da sola o no, era a New York, e il tempo non andava sprecato. La strega sentì la porta chiudersi e uscì di corsa dal bagno, con un’espressione corrucciata dipinta in faccia. “Sei tornato…” esordì. “Sì, e devo chiederti scusa. Ero…” tentò lui, ma Tonks lo interruppe. “Non importa dove sei stato tutto il giorno mentre io ero qua da sola. Cioè, sì, importa, ma volevo dire che… Oh, insomma, è da stamattina che aspetto e se permetti…” non concluse la frase, gettandogli le braccia al collo e baciandolo. Dentro di sé, Remus sospirò di sollievo, le vedere che se era stata arrabbiata, ora non lo era più. “Mi sei mancato…” mormorò contro il suo collo. “E ho pensato una cosa.” “Dimmi” rispose lui, stringendola dolcemente. “Sai…So quanto ti deve essere costato questo regalo. E non mi riferisco solo ai galeoni, ma…Insomma, ti ho ossessionato così tanto per venire qua, e tu me lo hai dato! E non mi hai dato solo il viaggio, il tuo tempo…Mi hai dato tutto, l’ho capito ieri sera. Tutto te stesso, tutto il tuo amore. Ti amo, Remus Lupin!”, concluse. Lupin la guardò in silenzio, poi prese la sua mano e se la portò al cuore. “Ti amo anche io, Dora”.
 
L’eccitazione dell’intera popolazione newyorkese riscaldava l’atmosfera meglio di un calorifero gigante: Times Square era già piena di gente, tutte in attesa della mezzanotte, quando la palla di vetro e luci sarebbe scesa sulla città, inaugurando un nuovo anno. Tonks e Lupin avevano cenato in un affollatissimo Hard Rock Cafe, e poi avevano cercato un posto vicino alle transenne. Mancava davvero poco alla mezzanotte, e la folla di ragazzini urlanti per la comparsa di una famosa popstar rendeva il tutto ancora più confusionario. “Signore e signori! Eccoci di nuovo a Times Square!” urlò nel microfono il presentatore. “Stasera abbiamo il piacere di avere con noi…Ma proprio lui, il boss! Mr… Michael Bloomberg!” la folla urlò e applaudì, ma Lupin rimase perplesso nel vedere salire un vecchio su quel palco. “Remus, sveglia! Quello è il sindaco!” gli urlò Tonks, tentando di sovrastare il frastuono. “Ci aiuterà anche lui nel conto alla rovescia! Facciamoci sentire, New York! E 10, 9, 8….” Tutta la piazza proseguì a contare, seguita da Remus E Tonks, che guardava estasiata la palla, là, in cima al mondo. D’improvviso tutti i tabelloni pubblicitari riportarono un’unica scritta, Buon Anno, fuochi d’artificio colorati esplosero nel cielo, il presentatore urlava gli auguri al microfono. Remus baciò Tonks, tirandola per le mani e smaterializzandoli.
 
Tonks sbraitò e si guardò intorno, cercando di capire dove fossero. “Remus, ma era appena scoccata la mezzanotte! Il nuovo anno! E tu..Tu ci hai portati a…Washington Square?!”. La piazza era deserta e silenziosa. In lontananza si potevano sentire e vedere lo scoppio dei fuochi, ma l’atmosfera festosa era rimasta a Times Square. “Tonks…” fece lui, ma non ebbe tempo di parlare. “Per la barba di Merlino, qui in questo buco?! Ok, mi piace molto…Ma la festa, le luci…Vuoi spiegarmi che…” si interruppe, quando vide che Remus si era inginocchiato. “Oh. Che… che stai facendo, lì per terra?”. Lui le prese una mano, non curandosi delle parole che la strega balbettava, confusa. “Tonks… Ieri notte ti ho dato tutto me stesso. E poi stamattina me ne sono andato, non c’ero…Ma è stato solo per poterti comprare…” estrasse un anello dalla tasca del mantello. A Tonks mancò il respiro. Smise di parlare e si fece seria, comprendendo il perché della strana posizione del mago. “Adesso…Mi piacerebbe chiederti se anche tu hai voglia di darmi tutto, questa notte. Ninfadora Tonks, vuoi sposarmi?” le chiese, infilandole l’anello al dito. Non appena lo fece, la strega lo tirò su bruscamente. “A una sola condizione” disse. “Non chiamarmi mai più con quello stupido nome!”. Lupin sorrise, e la baciò. Si sentiva invadere dalla felicità per quel semplice . I fuochi d’artificio scoppiettavano allegri, mentre entrambi capivano che non avrebbero mai più scordato quella città: New York.

   
 
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