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Autore: Ixia    20/01/2012    6 recensioni
“Ayumi” la chiama, sentendosi un Giuda.“Perché piangi?”
Ma lo sguardo che gli viene rivolto è troppo adulto, troppo stanco. Lo fa stare male.
“Chi sei?”
“Sono Shinichi, piccola. Un amico di Conan.”
Nel parco di Beika, quella sera, il sole sembra non voler mai scendere. Forse è per questo che la piccola Ayumi, sentendo il nome di ciò che ha perso, affonda il viso fra le mani e singhiozza.
“È andato via. È andato via.” ripete. “Ed è tutta colpa mia.”
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E fu così che anche la temibile Ixia approdò sulle coste del fandom di DC. Poveri sciocchi, non sapete in cosa siete incappati. 
 


 

Like a fading dream

 
 



 
 
 
Tramonto. Il cielo di Tokyo, come centinaia ormai passati, si tinge di rosso.
Un ragazzo ben vestito, adulto finalmente, passeggia per le vie del parco semideserte. Porta lo sguardo acceso al cielo, a stento trattiene uno sbuffo.
Sembra strano rinascere durante un tramonto.
Cammina con le mani in tasca, sgualcendo irrimediabilmente i lati della sua giacca. Poco male, si dice, dopo un anno passato nell’armadio di una casa disabitata sarebbe pronta a questo ed altro. Altro che litigi con il ferro da stiro.
Shinichi Kudo passeggia con una lentezza infinita, osservando l’ultimo sole del suo alter ego colare a picco dietro i grattacieli, in un torpore disarmante.
È Shinichi. Ora e per sempre.
Quante volte ha sognato quell’istante? Quante volte ha immaginato, nei momenti più bui, cosa avrebbe fatto una volta riacquistato il suo vero ego?
I suoi futuri sono molteplici, ma tutti grandiosi.
Correre da Ran, stringerla, confessarle tutto e potersi finalmente liberare dal peso sul petto che lo ha oppresso in quei  lunghi mesi. Oppure volare alla centrale, chiamare Megure e svelare al mondo intero che lui, Shinichi Kudo, ha sconfitto l’organizzazione criminale che lo ha costretto a vivere per un anno intero nelle fattezze di un bambino.
Che ormai, sotto quella luce, svanisce per sempre.
Si è sempre chiesto che effetto gli avrebbe fatto la consapevolezza di non dover più fingere. In quel momento, in quella foschia confusa che si muove all’altezza del suo sterno, Shinichi rimane confuso: sembra quasi che sia stato tutto un sogno.
Conan Edogawa è morto quella mattina, all’alba, quando dopo decine di tentativi falliti Ai aveva pronunciato le fatidiche parole.
Kudo, ci siamo.
E adesso lui è lì, con le scarpe che scricchiolano sulla ghiaia del vialetto e la possibilità di tornare a vedere il mondo dall’alto.
Libero.
Il sole è sempre più basso sull’orizzonte, ed il sogno pallido da cui si è risvegliato perde di risoluzione. Svanisce anche lui, portando via un nome.
Shinichi continua a muoversi, la frangia scura disegna sulla sua fronte rilassata delle linee bizzarre. Aspetta quieto che il giorno finisca, poi, deciderà cosa fare.
Il ragazzo scivola in un piccolo vialetto laterale, perso altrove e guidato da un riflesso inconscio dettato dall’abitudine. In quel posto, in verità, ci è stato milioni di volte. Solo che non lo ha mai visto da quella prospettiva.
E lì, d’un tratto, la vede.
Cosa è, in realtà, un sogno?
È qualcosa di privato, di personale, che rimane racchiuso della nostra mente a morire di solitudine? O forse è solo un ricordo, un frammento vissuto e poi riproposto dal nostro inconscio?
È forse una burla, uno spettacolino? O solo una masochistica illusione?
Nessuno lo sa.
Però ciò che è certo è che un sogno, al mattino, ci resta dentro. Non ci abbandona mai del tutto, esiste sempre qualcosa che rimane, anche se noi non siamo sempre capaci di ricordarlo.
Un sogno non muore mai.
C’è una bambina, quella sera, nella luce rossa. Le sue gambe arrivano a malapena al bordo della panchina, il suo zainetto è abbandonato con malagrazia ai suoi piedi.
Piange.
Il giovane detective, con il viso bagnato dall’ultimo sole del suo sogno, riconosce il suo lascito.
Piccola, uno scricciolo a guardarla. Un caschetto ribelle di capelli scuri, aranciati dalla luce del tramonto ed un paio di occhi, adesso serrati dal pianto, che lui ha sempre visto del colore del cielo.
Il senso di colpa, suo migliore amico, torna a bussare alla sua porta.
Ayumi.
Shinichi non avrebbe mai immaginato di incontrarla, non quella sera. Si da dello sciocco quando realizza che i suoi piedi lo hanno inconsciamente portato alla panchina segreta dei Detective Boys, dove lui ed i ragazzi hanno passato così tanti pomeriggi insieme.
Poi, all’improvviso, storce il naso ai suoi pensieri. Il sogno sta svanendo, non vuole più ricordare.
Forse…? si chiede. Forse potrebbe benissimo andare. Potrebbe camminare indietro, correre via a vivere la sua vita da poco riacquistata. Shinichi Kudo due anni fa avrebbe fatto così.
Ma… Si, c’è un ma. Vede quella bimba disperarsi stringendo un foglio di carta e sente di non avere scelta. Non può farlo.
Cammina, si siede, occupa quel posto ormai lasciato vuoto. Quando però nota che le sue lunghe gambe poggiano al suolo, Shinichi non può fare a meno di sentirsi un traditore.
“Ayumi” la chiama, sentendosi un Giuda.“Perché piangi?”
Ma lo sguardo che gli viene rivolto è troppo adulto, troppo stanco. Lo fa stare male.
“Chi sei?”
“Sono Shinichi, piccola. Un amico di Conan.”
Nel parco di Beika, quella sera, il sole sembra non voler mai scendere. Forse è per questo che la piccola Ayumi, sentendo il nome di ciò che ha perso, affonda il viso fra le mani e singhiozza.
“È andato via. È andato via.” ripete. “Ed è tutta colpa mia.”
Cosa?
“Si… Io l’ho sempre saputo.” il suo sguardo è vacuo. Un fuoco fatuo morente. “Noi non siamo mai piaciuti a Conan… Ci considerava dei bambini.”
È un tono troppo duro, per avere otto anni. È un tono troppo amaro, risentito, ferito.
Ma come è possibile che tutto quello sia stato solo un sogno?
“Ma io ho pensato che forse, impegnandoci, saremmo riusciti a piacergli… Ma non è vero. Conan ci odiava… ed è andato via per sempre.”
Shinichi, ormai uomo adulto, osserva quel corpo minuto che trema. Vorrebbe tanto potersi picchiare, punirsi per essere stato così cieco ed inetto. Scuote il capo, rassegnato, chiedendosi se non sia meglio sparire e lasciare che il ricordo di Conan svanisca quel giorno. Ma poi, pensandoci, scopre di avere ancora un’ultima cosa da fare.
Glielo deve, lo deve a Conan.
“Ayumi, ascolta.”
La sua voce è incerta, ma sincera. Il ragazzo non è mai stato bravo con i discorsi, non è mai stato in grado di parlare con una persona se non per accusarla di aver commesso un reato o per estorcerle informazioni. Shinichi è sempre stato un ragazzo egocentrico, poco interessato alla sfera emotiva a parte qualche rarissima eccezione. Ma, questa volta, non è Shinichi a parlare. È Conan.
Questo, infatti, è il suo epitaffio.
“Io questo Conan un po’ lo conosco. E ti confido un segreto: per Conan siete speciali… anche se non ve l’ha mai detto. Voi siete stati il suo tesoro… E lui vi vorrà bene per sempre.”
Si dice che i bambini siano facili da impressionare e Ayumi, nonostante tutto, è una bambina. Ma tutto quello che ha detto, Shinichi lo sa per certo, non lo ha fatto per chiuderle la bocca. E quando vede gli occhi della bimba farsi immensi, la sua reazione è spontanea.
Un sogno, in fondo, lascia sempre un segno. E mentre il giovane detective prende in braccio la piccola Ayumi e goffamente la stringe al petto, capisce che quella panchina, in quel parco, è stata la sua scelta migliore.
Ran aspetterà, Megure anche. Ci saranno centinaia di occasioni per raccontar loro tutta la storia, in fondo ha tutta la vita davanti.
Per adesso, Shinichi ha un sogno da salvare, un solo frammento che è rimasto in lui e che adesso piange sulla sua giacca lacrime un po’ più serene.
La stringe più forte, cullandola con gli occhi chiusi, e per un istante dimentica persino il suo congenito imbarazzo.
Il sole, non più rosso, è sparito. La giornata è finita e il giovane detective è tornato a vivere.
Shinichi è Shinichi. Ora e per sempre.
Stringe fra le sue braccia una piccola bambina… Non più grande del sogno che, in lei, continua a vivere.








 

   
 
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