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Autore: Feel Good Inc    21/01/2012    7 recensioni
C’è un tempo per tutto.
Si dice che il tempo delle favole sia il più breve di tutti. I bambini crescono in fretta, imparano presto che la realtà è un’altra cosa.
Ma chi può stabilire quanto duri il tempo della realtà?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Henry Mills, Mary Margaret Blanchard/Biancaneve, Regina Mills, Signor Gold/Tremotino
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Es War Einmal ~

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Al suono della campanella i bambini si alzano quasi all’unisono, sgusciano con le spalle tra le cinghie delle cartelle e si affollano verso la porta. Almeno la metà di loro finge di non sentire le sue raccomandazioni di non correre. Quasi tutti le lanciano un cantilenante saluto – buon pomeriggio, signorina Blanchard. Uno, uno solo, resta sempre indietro a guardarla.

Mary Margaret non ha figli, e ha sempre pensato che l’insegnamento potesse essere un ottimo surrogato a quell’istinto materno che non ti è di alcun aiuto se non hai ancora trovato la persona giusta per crearti una famiglia. In fondo è un po’ quello che fanno le mamme: dare consigli, lodare l’impegno, sedare i guai e rassettare i vestiti sgualciti dalle corse interminabili. E – per quanto quasi non riesca a ricordare da quanti anni lavori nella quinta classe della scuola elementare di Storybrooke, tanto la vita in questa città è sempre uguale a se stessa – le sue convinzioni in campo pedagogico non sono mai vacillate, né si sono mai scontrate con un ostacolo apparentemente insormontabile; non prima di incontrare gli occhi spenti di quel bambino.

Henry Mills porta in viso lo sguardo caratteristico del pesce fuor d’acqua, e ha solo dieci anni, per l’amor del cielo. Parla poco; non ha amici. Ascolta ogni lezione in un silenzio attento ma passivo, le braccia conserte e le piccole mani strette a pugno, seminascosto nella sua uniforme sempre impeccabile. Mary non l’ha quasi mai visto sorridere. Ogni giorno lo studia da lontano, dove sa che non potrà ferirlo, in cerca di anche una sola plausibile ragione alla sua espressione distante e così terribilmente triste. Tutto ciò che ne ha mai ricavato è un dolore che va al di là di ogni parola.

E ogni giorno, mentre i suoi compagni ridono e chiacchierano e si affrettano a tornare a casa, Henry resta indietro a guardarla, come aspettandosi un suo invito a restare, a non andare via.

Mary Margaret conosce la sua storia. È una di quelle che si confidano solo agli amici, parlando a mezza voce, in segno di comprensione e di rispetto. È una di quelle che si concludono, fortunatamente, con un bel lieto fine: Henry ha una famiglia. Ma è evidente che questo non basta.

Un giorno come tanti, lui le parla.

Ha aspettato con metodica pazienza di restare solo con lei, ben dopo l’ultimo trillo della campanella, prima di allontanarsi dalla porta aperta e tornare indietro verso la cattedra. Sul momento Mary ne è rimasta così stupita da dimenticare di avere le mani a mezz’aria, in procinto di riporre i registri nel cassetto. Con l’espressione di sempre, Henry glieli sfila via dalle dita e lo fa al posto suo.

«Signorina Blanchard, posso tornare a casa con lei?»

Mary lo scruta interdetta. Non solo è il primo vero contatto che s’instaura tra loro fin dall’inizio dell’anno scolastico, ma avviene addirittura sul piano personale.

«Non preferisci... aspettare tua madre?»

Henry stringe le labbra. Le viene voglia di darsi uno schiaffo. Sa che non voleva sentirsi dire questo, ma non può neppure lasciar correre. Se il sindaco Mills si presentasse a scuola e non trovasse suo figlio ad aspettarla come al solito, ne farebbe un caso di stato; quella donna incute già abbastanza terrore senza avere in mano un reale motivo per esercitare il proprio potere.

«No» lo sente mormorare infine, «non voglio.» Quando alza gli occhi, Mary Margaret li vede lucidi. «Voglio tornare a casa con lei. Se... Se non ha impegni, naturalmente.»

Sulle sue guance pallide è fiorito un lieve rossore, e in quel momento Mary si sente sciogliere. Henry Mills le sta chiedendo aiuto. E lei capisce che per quella resa potrebbe affrontare tutte le minacce del mondo.

«Non ho impegni.» Sorride. «Ma ti avverto che dovrai darti da fare per stare al passo.»

 

 

 

C’è un tempo per tutto.

Strana cosa, il tempo. Così relativa. Ce n’è uno per i libri a fumetti e uno per quelli di scuola. Ce n’è uno per un amico in difficoltà e un altro per una donna che ha bisogno di te. Ce n’è uno in cui sfogli pagine di ricordi e un altro in cui quei ricordi li stai ancora costruendo, senza neppure immaginare quanto saranno preziosi, quando non ti resteranno che quelli.

Si dice che il tempo delle favole sia il più breve di tutti. I bambini crescono in fretta, imparano presto che la realtà è un’altra cosa.

Ma chi può stabilire quanto duri il tempo della realtà?

Accompagnata da tali riflessioni, la punta del pennello più sottile traccia con cura le ultime forme. L’uomo sorride. L’illustrazione finale sta venendo bene.

C’è un tempo per tutto. Il tempo giusto sta per venire.

 

 

 

Ha scoperto che domani sarà il suo compleanno. In classe nessuno ne ha parlato mai; di solito i bambini organizzano delle piccole grandi feste per queste occasioni, ma il non aver sentito dire una singola parola su una festa per Henry convince ancor più Mary Margaret della sua solitudine. Ma forse anche lui è stanco di quella barriera. Forse ha bisogno di una mano per uscire – forse è per questo che oggi è tornato indietro verso la cattedra.

Ha scoperto anche che, una volta trovato il tasto giusto, Henry è un fiume in piena. Tutto fa capo a sua madre, sua madre, quella donna che per lui è solo una sconosciuta, che ha scelto per lui un nome e una vita che lui non si è mai sognato di chiederle. Non è famiglia, quella, se ci sono così tanti giocattoli e così poco affetto vero, se basta una macchia su un tappeto persiano a trasformare un sorriso in un sopracciglio inarcato a mo’ di minaccia, se ogni sabato e ogni domenica diventano lo sfondo dell’ennesima lezione di buone maniere o di tennis o di equitazione e non c’è un unico minuto per stare semplicemente insieme. Henry parla ininterrottamente per tutto il pomeriggio, lamentando la prospettiva di un altro compleanno noioso e inutile; parla mentre svoltano in Main Street e parla quando Mary vuole fermarsi a offrirgli una cioccolata calda e non ha ancora finito di spiegarsi quando nel loro camminare senza meta arrivano in vista del bed&breakfast della Nonna.

E il modo in cui parla. Possiede una capacità di linguaggio e di espressione molto rara, se non addirittura unica, tra i ragazzi della sua età. Tutte le sensazioni che le descrive, l’insofferenza, il freddo, Mary le sente sottopelle. Si svolgono nelle sue vene come serpentelli viscidi, abbastanza velenosi da spegnere gli occhi di un bambino di dieci anni.

«Io ci provo, signorina Blanchard, ma non ci riesco. Lei non è mia madre. Non mi conosce neanche.» E alla fine, quando pensa che non potrà più sentirsi peggio di così, Henry alza su di lei quegli occhi finalmente gonfi di lacrime e le fa la domanda più difficile del mondo. «Perché sono stato abbandonato?»

Mary Margaret non risponde. Se anche esistesse una risposta giusta, non c’è il tempo di pensarci.

«Henry

Regina Mills piove su di loro come un falco, sbucata da chissà quale angolo della strada, invisibile fino all’ultimissimo istante – quando il dolore del ragazzino si è fatto tanto intenso da costringere Mary a guardare altrove.

«Sei qui! Ti cerco da ore! Hai idea di quanto mi sia preoccupata? Chi ti ha dato il permesso di andartene a tuo piacimento dalla scuola?»

Henry fronteggia la madre in silenzio, il viso di nuovo chiuso in se stesso, come è stato prima di quell’insospettato quanto atteso sfogo. Mary Margaret non può tollerare oltre una simile ingiustizia.

«È stata colpa mia, signora sindaco. Ho proposto io a Henry di accompagnarmi.»

Regina si solleva lentamente, puntando su di lei il suo sguardo più crudele. Mary conosce già quella luce d’odio puro. Per qualche motivo, sa che è riservata soltanto a lei. Intravede l’aria sconvolta di Henry poco più in là, ma stavolta resta impassibile, ferma, pronta a dimostrargli che non è solo.

«Prenda ancora un’iniziativa simile» sibila la signora Mills, «e le giuro che provvederò personalmente a farla licenziare.»

Senza aggiungere parola, gira sui tacchi e si avvia giù per la strada trascinando Henry con sé.

Mary non saprà mai per quanto tempo sia rimasta là immobile a guardarli andar via, con in cuore una gran voglia di piangere.

Henry si volta un paio di volte a sbirciarla: a quella distanza è impossibile decifrare la sua espressione, e poi dura solo per qualche istante. Regina lo tira avanti, sempre avanti, senza neppure curarsi di guardarlo. Ed è proprio questo il punto. L’avrà mai guardato negli occhi?

Subito dopo averlo pensato, tentando di sopprimere la collera e la frustrazione, Mary Margaret avverte un curioso senso di solletico alla base del collo, quel genere di percezione che si ha quando si è osservati. Eppure i due sono ormai spariti. Si volta e sopprime un sussulto, sorpresa dal proprio riflesso nella vetrina alla sua destra.

Si calma abbastanza da riconoscere il posto. Non vi è mai entrata, ma, anche senza il bisogno di leggere l’importante insegna, tutti sanno che il negozio dei pegni è il regno incontrastato del signor Gold.

E – che strano – il solletico sembra provenire proprio da lì.

 

 

 

La rilegatura è un’arte che richiede concentrazione e delicatezza. È un lavoro antico, un’opera per la quale non esistono più mani e colla e fogli, poiché il senso va cercato oltre le mani, oltre la colla, oltre i fogli. Non è una mera conoscenza di ciò che si fa, ma di ciò che il prodotto significherà per qualcun altro.

Un libro è sempre destinato ad essere amato o temuto, e talvolta sarà entrambe le cose. Fin da subito va trattato con cautela.

Quando il suono dei campanelli sulla porta annuncia l’ingresso del suo primo potenziale cliente da tempi immemorabili, il signor Gold continua il suo lavoro e non reagisce se non con un sorriso.

L’aria del negozio si riempie a poco a poco di un sentore di fiori. Non è tuttavia il profumo, né l’eco di quei passi incerti, a suggerirgli il nome che gli esplode in silenzio nella mente; né lo distrae dalla stesura dell’adesivo sul dorso delle pagine.

C’è un tempo per tutto. È uno di quei momenti in cui pare essersi fermato.

Attento a non tradire un suono più forte del respiro, l’uomo solleva lo sguardo quel tanto che gli basta ad appurare l’attenzione della giovane donna.

«Buonasera, signorina Blanchard. Come posso esserle utile?»

È già di nuovo concentrato sui fogli, ma non gli è difficile immaginarla stringersi nelle spalle, le braccia avvolte attorno al ventre, i sensi all’erta; è cacciatrice e preda, e di nessuna delle due cose è consapevole. Il sorriso si accentua.

«Non sapevo che fosse un rilegatore» tenta Mary Margaret Blanchard, omettendo a bella posta una risposta diretta.

Il signor Gold taglia via un lembo del filo che raccoglie insieme tutte quelle parole e tutte quelle figure. «L’artigianato mi affascina da sempre. È un esempio di conoscenza modesta, che non s’impone, ma è comunque alla base di molti rami della realtà. Coloro che si muovono nell’ombra sono sempre le figure più importanti, in un teatro. Non crede?»

Lei non dice nulla, e l’opera prosegue.

«Non mi ha risposto, signorina. Mi dica come posso aiutarla.»

Non può sottrarsi ancora, e di nuovo Gold la immagina cercare di proteggersi. «In realtà, non so perché sono entrata. Non mi sono accorta di avere imboccato questa strada... Ero fuori con Henry Mills e...»

«Il figlio del sindaco.» Un breve silenzio. «Regina mi dice che domani è il suo compleanno. Lo sapeva?»

Mary Margaret Blanchard segue ogni movimento delle sue mani: sente quegli occhi scuri sulla pelle, distintamente. Quando parla di nuovo, ancora una volta non è per rispondergli.

«Signor Gold, che cos’è?»

Mostrarle un sorriso che non sia trionfante si rivela quasi difficile.

La guarda, ma lei fissa il libro. La rilegatura si è interrotta là all’ultima pagina, quella con l’illustrazione della bambina nell’armadio. L’odore di pittura è ancora fresco e i colori sono vividi, sorprendentemente vividi, persino nel modo in cui si specchiano negli occhi di Mary Margaret.

«Questo? Oh, solo un vecchio libro di favole. Era qui dentro ad ammuffire da... dieci anni, almeno. Era in pessime condizioni. Ho dovuto lavorare molto per restaurarlo.»

La signorina Blanchard continua a studiare la figura durante le ultimi fasi della lavorazione, e pur non guardandola direttamente, Gold è certo che non abbia mai distolto lo sguardo neppure quando il lavoro è finito e la copertina rigida di nuovo chiusa, a mostrare le tre parole più potenti del mondo, il confine tra fiaba e realtà.

Si dice che il tempo delle favole sia il più breve di tutti...

«Non le piacerebbe regalarlo a Henry, domani?»

Mary Margaret si scuote. È come se si accorgesse solo in questo momento della sua presenza. Arrossisce.

«Oh, io non...»

«Non si preoccupi per il prezzo. Se per un regalo, glielo cedo volentieri.»

Si morde il labbro, nervosa. «Non so se è una buona idea.»

Gold si alza dal piano di lavoro. Afferra il libro, con molta cura, e lo sostiene tra sé e la donna, senza più sorridere.

«Signorina Blanchard, nessun bambino al mondo dovrebbe mai soffrire.»

Mary Margaret tace.

Quando tende la mano verso la copertina e la sfiora, Gold trasale. Trattiene il fiato, vacilla, deve aggrapparsi al banco. Mary Margaret si muove sollecita come per toccarlo, ma lui glielo impedisce e le lascia invece il libro tra le braccia.

«Lo prenda» soffia, ringhia quasi. «Lo regali al ragazzo.»

Per qualche istante sembra volergli dire qualcosa, ma alla fine solo un «grazie» tremulo le sfugge dalle labbra.

Il signor Gold stringe il bordo del piano fino a farsi sbiancare le nocche, seguendola in ogni passo che lascia ad aleggiare nel negozio deserto, trattenendo a stento il furore delle proprie emozioni mai sopite. Soltanto quando i campanelli suonano ancora e la porta le si richiude alle spalle, si lascia andare alla rievocazione delle immagini che gli sono entrate a forza negli occhi in quell’unico attimo in cui la favola e la realtà si sono sfiorate e ritrovate.

Ride. Ed è una risata dimenticata, ma familiare.

 

 

 

C’è un tempo per tutto.

Il tempo giusto comincia quando Henry Mills alza il viso dall’ultima pagina di un libro di favole e, per la prima volta nella sua vita, sorride con gli occhi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio dell’autrice

 

Dialogo tra Emma e Mary Margaret, tratto dall’episodio 1x09, True North.

“Snow White... has a kid.”

“Apparently, that book you gave him – not exactly the stories in their traditional sense.”

 

Ora, vediamo un po’. Cosa ci fa un libro del genere a Storybrooke? L’unico libro al mondo che chiude la fiaba di Biancaneve con la maledizione e l’armadio magico made in Narnia? Sotto il naso di Regina, poi.

L’unica spiegazione (semi)razionale è lui. Il signor Gold. *squeals* Lunga vita al signor Gold.

Le ‘immagini’ che ho pensato vedesse nel dare il libro a Mary Margaret sono un segno della sua preveggenza, e nello specifico riguardano Emma e il suo arrivo in città. La risata ‘dimenticata ma familiare’ è quella tipica di Rumpelstiltskin. Il titolo è la traduzione tedesca per ‘C’era una volta’, in onore dei sempiterni fratelli Grimm.

E tuttavia questa storia l’ho scritta per Henry. Perché sì.

Hope you liked it,

Aya ~

   
 
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