Es War
Einmal ~
Al
suono della campanella i bambini si alzano quasi all’unisono, sgusciano
con le spalle tra le cinghie delle cartelle e si affollano verso la porta.
Almeno la metà di loro finge di non sentire le sue raccomandazioni di
non correre. Quasi tutti le lanciano un cantilenante saluto – buon
pomeriggio, signorina Blanchard. Uno, uno solo, resta
sempre indietro a guardarla.
Mary Margaret non ha figli, e ha sempre pensato
che l’insegnamento potesse essere un ottimo surrogato a
quell’istinto materno che non ti è di alcun aiuto se non hai
ancora trovato la persona giusta per crearti una famiglia. In fondo è un
po’ quello che fanno le mamme: dare consigli, lodare l’impegno,
sedare i guai e rassettare i vestiti sgualciti dalle corse interminabili. E
– per quanto quasi non riesca a ricordare da quanti anni lavori nella
quinta classe della scuola elementare di Storybrooke,
tanto la vita in questa città è sempre uguale a se stessa –
le sue convinzioni in campo pedagogico non sono mai vacillate, né si sono
mai scontrate con un ostacolo apparentemente insormontabile; non prima di
incontrare gli occhi spenti di quel bambino.
Henry Mills porta in
viso lo sguardo caratteristico del pesce fuor d’acqua, e ha solo dieci anni, per l’amor del cielo.
Parla poco; non ha amici. Ascolta ogni lezione in un silenzio attento ma
passivo, le braccia conserte e le piccole mani strette a pugno, seminascosto
nella sua uniforme sempre impeccabile. Mary non l’ha quasi mai visto sorridere.
Ogni giorno lo studia da lontano, dove sa che non potrà ferirlo, in
cerca di anche una sola plausibile
ragione alla sua espressione distante e così terribilmente triste. Tutto
ciò che ne ha mai ricavato è un dolore che va al di là di
ogni parola.
E ogni giorno, mentre i suoi compagni ridono e
chiacchierano e si affrettano a tornare a casa, Henry resta indietro a
guardarla, come aspettandosi un suo invito a restare, a non andare via.
Mary Margaret conosce la sua storia. È
una di quelle che si confidano solo agli amici, parlando a mezza voce, in segno
di comprensione e di rispetto. È una di quelle che si concludono,
fortunatamente, con un bel lieto fine: Henry ha una famiglia. Ma è evidente che questo non basta.
Un giorno come tanti, lui le parla.
Ha aspettato con metodica pazienza di restare
solo con lei, ben dopo l’ultimo trillo della campanella, prima di
allontanarsi dalla porta aperta e tornare indietro verso la cattedra. Sul
momento Mary ne è rimasta così stupita da dimenticare di avere le
mani a mezz’aria, in procinto di riporre i registri nel cassetto. Con
l’espressione di sempre, Henry glieli sfila via dalle dita e lo fa al
posto suo.
«Signorina Blanchard,
posso tornare a casa con lei?»
Mary lo scruta interdetta. Non solo è il
primo vero contatto che s’instaura tra loro fin dall’inizio
dell’anno scolastico, ma avviene addirittura sul piano personale.
«Non preferisci... aspettare tua
madre?»
Henry stringe le labbra. Le viene voglia di
darsi uno schiaffo. Sa che non voleva
sentirsi dire questo, ma non può neppure lasciar correre. Se il sindaco Mills si presentasse a scuola e non trovasse suo figlio ad
aspettarla come al solito, ne farebbe un caso di stato; quella donna incute
già abbastanza terrore senza avere in mano un reale motivo per
esercitare il proprio potere.
«No» lo sente mormorare infine,
«non voglio.» Quando alza gli occhi, Mary Margaret li vede lucidi.
«Voglio tornare a casa con lei. Se... Se non ha impegni,
naturalmente.»
Sulle sue guance pallide è fiorito un
lieve rossore, e in quel momento Mary si sente sciogliere. Henry Mills le sta chiedendo aiuto. E lei capisce che per quella
resa potrebbe affrontare tutte le minacce del mondo.
«Non ho impegni.» Sorride. «Ma
ti avverto che dovrai darti da fare per stare al passo.»
C’è
un tempo per tutto.
Strana cosa, il tempo. Così relativa. Ce
n’è uno per i libri a fumetti e uno per quelli di scuola. Ce
n’è uno per un amico in difficoltà e un altro per una donna
che ha bisogno di te. Ce n’è uno in cui sfogli pagine di ricordi e
un altro in cui quei ricordi li stai ancora costruendo, senza neppure
immaginare quanto saranno preziosi, quando non ti resteranno che quelli.
Si dice che il tempo delle favole sia il
più breve di tutti. I bambini crescono in fretta, imparano presto che la
realtà è un’altra cosa.
Ma chi può stabilire quanto duri il tempo
della realtà?
Accompagnata da tali riflessioni, la punta del
pennello più sottile traccia con cura le ultime forme. L’uomo sorride.
L’illustrazione finale sta venendo bene.
C’è un tempo per tutto. Il tempo giusto sta per venire.
Ha
scoperto che domani sarà il suo compleanno. In classe nessuno ne ha parlato
mai; di solito i bambini organizzano delle piccole grandi feste per queste
occasioni, ma il non aver sentito dire una singola parola su una festa per
Henry convince ancor più Mary Margaret della sua solitudine. Ma forse
anche lui è stanco di quella barriera. Forse ha bisogno di una mano per
uscire – forse è per questo che oggi è tornato indietro
verso la cattedra.
Ha scoperto anche che, una volta trovato il
tasto giusto, Henry è un fiume in piena. Tutto fa capo a sua madre, sua madre,
quella donna che per lui è solo una sconosciuta, che ha scelto per lui
un nome e una vita che lui non si è mai sognato di chiederle. Non è
famiglia, quella, se ci sono
così tanti giocattoli e così poco affetto vero, se basta una
macchia su un tappeto persiano a trasformare un sorriso in un sopracciglio
inarcato a mo’ di minaccia, se ogni sabato e ogni domenica diventano lo
sfondo dell’ennesima lezione di buone maniere o di tennis o di
equitazione e non c’è un unico minuto per stare semplicemente
insieme. Henry parla ininterrottamente per tutto il pomeriggio, lamentando la
prospettiva di un altro compleanno noioso e inutile; parla mentre svoltano in Main Street e parla quando Mary vuole fermarsi a offrirgli
una cioccolata calda e non ha ancora finito di spiegarsi quando nel loro camminare
senza meta arrivano in vista del bed&breakfast
della Nonna.
E il modo
in cui parla. Possiede una capacità di linguaggio e di espressione molto
rara, se non addirittura unica, tra i ragazzi della sua età. Tutte le
sensazioni che le descrive, l’insofferenza, il freddo, Mary le sente
sottopelle. Si svolgono nelle sue vene come serpentelli
viscidi, abbastanza velenosi da spegnere gli occhi di un bambino di dieci anni.
«Io ci provo,
signorina Blanchard, ma non ci riesco. Lei non
è mia madre. Non mi conosce neanche.» E alla fine, quando pensa
che non potrà più sentirsi peggio di così, Henry alza su
di lei quegli occhi finalmente gonfi di lacrime e le fa la domanda più
difficile del mondo. «Perché sono stato abbandonato?»
Mary Margaret non risponde. Se anche esistesse
una risposta giusta, non c’è il tempo di pensarci.
«Henry!»
Regina Mills piove su
di loro come un falco, sbucata da chissà quale angolo della strada,
invisibile fino all’ultimissimo istante – quando il dolore del ragazzino
si è fatto tanto intenso da costringere Mary a guardare altrove.
«Sei qui! Ti cerco da ore! Hai idea di
quanto mi sia preoccupata? Chi ti ha dato il permesso di andartene a tuo
piacimento dalla scuola?»
Henry fronteggia la madre in silenzio, il viso
di nuovo chiuso in se stesso, come è stato prima di
quell’insospettato quanto atteso sfogo. Mary Margaret non può
tollerare oltre una simile ingiustizia.
«È stata colpa mia, signora
sindaco. Ho proposto io a Henry di accompagnarmi.»
Regina si solleva lentamente, puntando su di lei
il suo sguardo più crudele. Mary conosce già quella luce
d’odio puro. Per qualche motivo, sa che è riservata soltanto a lei.
Intravede l’aria sconvolta di Henry poco più in là, ma
stavolta resta impassibile, ferma,
pronta a dimostrargli che non è solo.
«Prenda ancora un’iniziativa
simile» sibila la signora Mills, «e le
giuro che provvederò personalmente a farla licenziare.»
Senza aggiungere parola, gira sui tacchi e si
avvia giù per la strada trascinando Henry con sé.
Mary non saprà mai per quanto tempo sia
rimasta là immobile a guardarli andar via, con in cuore una gran voglia
di piangere.
Henry si volta un paio di volte a sbirciarla: a
quella distanza è impossibile decifrare la sua espressione, e poi dura
solo per qualche istante. Regina lo tira avanti, sempre avanti, senza neppure
curarsi di guardarlo. Ed è proprio questo il punto. L’avrà
mai guardato negli occhi?
Subito dopo averlo pensato, tentando di
sopprimere la collera e la frustrazione, Mary Margaret avverte un curioso senso
di solletico alla base del collo, quel genere di percezione che si ha quando si
è osservati. Eppure i due sono ormai spariti. Si volta e sopprime un
sussulto, sorpresa dal proprio riflesso nella vetrina alla sua destra.
Si calma abbastanza da riconoscere il posto. Non
vi è mai entrata, ma, anche senza il bisogno di leggere
l’importante insegna, tutti sanno che il negozio dei pegni è il
regno incontrastato del signor Gold.
E – che strano – il solletico sembra
provenire proprio da lì.
La
rilegatura è un’arte che richiede concentrazione e delicatezza.
È un lavoro antico, un’opera per la quale non esistono più
mani e colla e fogli, poiché il senso va cercato oltre le mani, oltre la
colla, oltre i fogli. Non è una mera conoscenza di ciò che si fa,
ma di ciò che il prodotto significherà per qualcun altro.
Un libro è sempre destinato ad essere
amato o temuto, e talvolta sarà entrambe le cose. Fin da subito va
trattato con cautela.
Quando il suono dei campanelli sulla porta
annuncia l’ingresso del suo primo potenziale cliente da tempi immemorabili,
il signor Gold continua il suo lavoro e non reagisce
se non con un sorriso.
L’aria del negozio si riempie a poco a
poco di un sentore di fiori. Non è tuttavia il profumo, né
l’eco di quei passi incerti, a suggerirgli il nome che gli esplode in
silenzio nella mente; né lo distrae dalla stesura dell’adesivo sul
dorso delle pagine.
C’è un tempo per tutto. È uno
di quei momenti in cui pare essersi fermato.
Attento a non tradire un suono più forte
del respiro, l’uomo solleva lo sguardo quel tanto che gli basta ad
appurare l’attenzione della giovane donna.
«Buonasera, signorina Blanchard.
Come posso esserle utile?»
È già di nuovo concentrato sui
fogli, ma non gli è difficile immaginarla stringersi nelle spalle, le
braccia avvolte attorno al ventre, i sensi all’erta; è cacciatrice
e preda, e di nessuna delle due cose è consapevole. Il sorriso si
accentua.
«Non sapevo che fosse un rilegatore»
tenta Mary Margaret Blanchard, omettendo a bella
posta una risposta diretta.
Il signor Gold taglia
via un lembo del filo che raccoglie insieme tutte quelle parole e tutte quelle
figure. «L’artigianato mi affascina da sempre. È un esempio
di conoscenza modesta, che non s’impone, ma è comunque alla base
di molti rami della realtà. Coloro che si muovono nell’ombra sono
sempre le figure più importanti, in un teatro. Non crede?»
Lei non dice nulla, e l’opera prosegue.
«Non mi ha risposto, signorina. Mi dica
come posso aiutarla.»
Non può sottrarsi ancora, e di nuovo Gold la immagina cercare di proteggersi. «In
realtà, non so perché sono entrata. Non mi sono accorta di avere
imboccato questa strada... Ero fuori con Henry Mills
e...»
«Il figlio del sindaco.» Un breve
silenzio. «Regina mi dice che domani è il suo compleanno. Lo
sapeva?»
Mary Margaret Blanchard
segue ogni movimento delle sue mani: sente
quegli occhi scuri sulla pelle, distintamente. Quando parla di nuovo, ancora
una volta non è per rispondergli.
«Signor Gold,
che cos’è?»
Mostrarle un sorriso che non sia trionfante si
rivela quasi difficile.
La guarda, ma lei fissa il libro. La rilegatura
si è interrotta là all’ultima pagina, quella con
l’illustrazione della bambina nell’armadio. L’odore di
pittura è ancora fresco e i colori sono vividi, sorprendentemente vividi,
persino nel modo in cui si specchiano negli occhi di Mary Margaret.
«Questo? Oh, solo un vecchio libro di
favole. Era qui dentro ad ammuffire da... dieci anni, almeno. Era in pessime
condizioni. Ho dovuto lavorare molto per restaurarlo.»
La signorina Blanchard
continua a studiare la figura durante le ultimi fasi della lavorazione, e pur
non guardandola direttamente, Gold è certo che
non abbia mai distolto lo sguardo neppure quando il lavoro è finito e la
copertina rigida di nuovo chiusa, a mostrare le tre parole più potenti
del mondo, il confine tra fiaba e realtà.
Si dice che il tempo delle favole sia il
più breve di tutti...
«Non le piacerebbe regalarlo a Henry,
domani?»
Mary Margaret si scuote. È come se si
accorgesse solo in questo momento della sua presenza. Arrossisce.
«Oh, io non...»
«Non si preoccupi per il prezzo. Se per un
regalo, glielo cedo volentieri.»
Si morde il labbro, nervosa. «Non so se
è una buona idea.»
Gold si alza dal piano di
lavoro. Afferra il libro, con molta cura, e lo sostiene tra sé e la
donna, senza più sorridere.
«Signorina Blanchard,
nessun bambino al mondo dovrebbe mai soffrire.»
Mary Margaret tace.
Quando tende la mano verso la copertina e la
sfiora, Gold trasale. Trattiene il fiato, vacilla, deve
aggrapparsi al banco. Mary Margaret si muove sollecita come per toccarlo, ma
lui glielo impedisce e le lascia invece il libro tra le braccia.
«Lo prenda» soffia, ringhia quasi. «Lo regali al
ragazzo.»
Per qualche istante sembra volergli dire
qualcosa, ma alla fine solo un «grazie» tremulo le sfugge dalle
labbra.
Il signor Gold stringe
il bordo del piano fino a farsi sbiancare le nocche, seguendola in ogni passo
che lascia ad aleggiare nel negozio deserto, trattenendo a stento il furore
delle proprie emozioni mai sopite. Soltanto quando i campanelli suonano ancora
e la porta le si richiude alle spalle, si lascia andare alla rievocazione delle
immagini che gli sono entrate a forza negli occhi in quell’unico attimo
in cui la favola e la realtà si sono sfiorate e ritrovate.
Ride. Ed è una risata
dimenticata, ma familiare.
C’è un
tempo per tutto.
Il tempo
giusto comincia quando Henry Mills alza il viso
dall’ultima pagina di un libro di favole e, per la prima volta nella sua
vita, sorride con gli occhi.
Spazio dell’autrice
Dialogo
tra Emma e Mary Margaret, tratto dall’episodio 1x09, True North.
“Snow White... has a kid.”
“Apparently, that book you gave him – not exactly
the stories in their traditional sense.”
Ora,
vediamo un po’. Cosa ci fa un libro del genere a Storybrooke?
L’unico libro al mondo che
chiude la fiaba di Biancaneve con la maledizione e l’armadio magico made in Narnia? Sotto
il naso di Regina, poi.
L’unica
spiegazione (semi)razionale è lui. Il signor Gold.
*squeals* Lunga vita al signor Gold. ♥
Le
‘immagini’ che ho pensato vedesse nel dare il libro a Mary Margaret
sono un segno della sua preveggenza, e nello specifico riguardano Emma e il suo
arrivo in città. La risata ‘dimenticata ma familiare’
è quella tipica di Rumpelstiltskin. Il titolo
è la traduzione tedesca per ‘C’era una volta’, in
onore dei sempiterni fratelli Grimm.
E
tuttavia questa storia l’ho scritta per Henry. Perché sì.
Hope you liked
it,
Aya ~