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Autore: she    03/09/2006    0 recensioni
VOLEVO ESSERE QUALCUN ALTRO Poi mi sono accorto che l’unica cosa che non avevo ancora provato era essere me stesso C’è un mondo. C’è uno stato. C’è una persona. C’è un corpo. C’è un cervello. C’è un cuore con un’anima. Poi ci sono milioni di altre persone.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Sofia
Il negozio nuovo mi piaceva. Non so cosa avesse, in fondo vendeva solo gingilli da quattro soldi, roba da mercatini di quella che compri attratta dai colori e dal prezzo, ma che poi finisce in fondo al più remoto cassetto della più remota stanza della tua casa. Però in quel negozio valeva la pena di perderci ore. Il mio paese è tutt’altro che pianeggiante: le strette stradine vanno su e giù seguendo la conformazione del terreno. Il negozio si trovava giusto nella discesa che portava a casa mia. Era una stanza con soffitto e pareti rivestite di legno chiaro e nodoso, radica probabilmente. Aveva una bellissima luce e molti oggetti colorati che si rinnovavano ogni giorno. Ogni scaffale era contrassegnato da una targhetta su cui era scritto il nome del prodotto accompagnato sempre da un aggettivo: c’erano i ventagli dell’autostima, le cinture danzanti, gli ovetti dell’amore, gli occhiali coraggiosi e le gomme dei problemi. Apparteneva a tre donne, tutte piene di braccialetti e collane che tintinnavano ad ogni passo. Una delle signore, Olga, stava sempre sulla porta, faceva accomodare i clienti(neanche fosse Gucci a Venezia!) e in caso, li serviva. Il posto di Elsa era invece dietro il bancone dove lavorava a maglia. L’ultima donna, Losca, si muoveva avanti e indietro per una stanzina posta in fondo a destra rispetto alla porta da cui quasi ogni giorno entravo. Sul vano c’era un cartello con scritto ingresso libero: era vero. Olga sembrava leggerti nel pensiero, riusciva a capire quando un cliente entrava per comprare e quando invece voleva solo guardare. Io molte volte ci andavo attratta dal profumo dei mille saponi che stavano in una cesta. Si chiamavano sereni ed erano dei colori dell’arcobaleno che arriva proprio con il sereno dopo la tempesta. Era un odore che mi rilassava e toglieva i pensieri della scuola, della pallavolo e degli amici dalla mia mente. Così potevo chiacchierare con Elsa e ammirare gli oggetti nuovi che erano arrivati, infatti la cesta dei saponi era una delle poche che non cambiava mai contenuto. Lunedì finalmente avevo ricevuto la paghetta, così sono entrata nel negozio e ho fatto un gran sorriso a Olga che mi ha chiesto –come posso aiutarti?-
-questo profumo…viene dai saponi, vero?-
-ottima intuizione!-
-bè…oggi sono ricca!- Olga si è avvicinata alla cesta, ha preso un sapone e me lo ha dato: era proprio quello che volevo!
–come ha fatto a indovinare?-
- suvvia, ora dammi del tu o mi farai sentire vecchia!- e ha lasciato cadere il discorso. Che strana coincidenza…magari mi aveva solo osservato i giorni precedenti. Ho pagato e sono corsa fuori felice: era la prima volta che la lunga stradina in discesa non mi pesava.

Oggi scuola. Sofia si alza contro voglia: ma chi ha stabilito gli orari? Ogni persona dovrebbe avere il diritto di dormire almeno fino alle nove! In classe un po’ si annoia, soprattutto da quando la prof l’ha messa in prima fila al centro, ma oggi si cambiano i posti. In ritardo come al solito, entra in classe. Si sente gli occhi di tutti puntati addosso, forse è solo immaginazione o magari ha veramente qualcosa che non va. Mentre poggia la giacca in fondo all’aula scorge la sua immagine riflessa sulla finestra; è sempre lei: i lunghi capelli ricci, i jeans della Rich, il mascara non sembra sbavato. In fondo è una bella ragazza, ha gli occhi da cerbiatta, il fisico atletico con le spalle aperte...forse le gambe sono un po’ grosse. In fondo la perfezione non esiste. Puoi piacere ad una persona e fare schifo ad un'altra. Però esiste il fenomeno gregge, l’idea platonica di bellezza, anche se passeggera. Questo è l’anno della prima superiore e Sofia si rende conto di quanto ogni ragazzo cerchi di appiattirsi. Comincia l’ora di greco vicino al nuovo compagno: Sandro. Sta pensando che è proprio fortunato ad essere capitato in quel posto, non tanto per la vicina ma per la posizione nascosta che gli permette di giocare indisturbato con il cellulare. Messaggia con chi sa chi senza alcun reale bisogno. Sandro vuole che sia ben chiaro a tutti che lui non ha bisogno di quella classe. Lui ha una vita là fuori che va avanti benissimo anche senza sapere l’aumento dell’imperfetto. Anche il resto dei compagni, tutti in jeans, ha l’aria sfuggente: probabilmente fa finta di essere annoiato per evitare di mettersi in gioco. Luca, si vede lontano un miglio, ha paura di affermare che non ha capito e sentirsi gli occhi di tutti puntati addosso; Giovanni evita accuratamente di fare la figura del secchione e Valentina tenta di attirare l’attenzione su di se facendo domande non pertinenti. In realtà crede di non potercela fare a seguire la prof. Sofia riflette: è l’era delle maschere. Ci muoviamo come se l’intera nostra vita si svolgesse su un palco scenico con i medesimi vestiti firmati. Pensiamo a divertirci prendendoci gioco di chi ci da fiducia. Rinunciamo ad essere noi stessi per paura del giudizio degli altro ma anche perché, in fondo, ci fa comodo non esprimerci veramente. In questo modo evitiamo di costringere la nostra mente e soprattutto il nostro cuore a rispondere alle domande che nei momenti di debolezza escono dal nostro io e le quali prontamente ricacciamo indietro. Anche Sofia ride e scherza. Un branco di pecore tenute a bada da un cane: è la prof. La Frattini insegna lettere e la prima classico ce l’ha undici ore la settimana. Vigile dalla cattedra spiega con tranquillità: non ha paura lei di distinguersi. Forse con l’età si smette di imitare, o magari la Frattini ha solo un altro branco dove le persone devono dimostrarsi superiori e per far questo alzano la voce.
–Sofia, vieni tu?- lo sapeva!! Maledizione!! Vorrebbe rispondere no: magari fosse stata una domanda. S’incammina velocemente verso la cattedra e tenta di farsi piccola piccola: ormai ci sei, è inutile preoccuparsi tanto. Eppure è difficile autoconvincersi. Domanda e risposta: va avanti così per più di dieci minuti che le sembrano interminabili. È incredibile come alcune persone sono in grado di metterci in soggezione. A volte avremo bisogno di dimostrarci perfetti per far vedere a noi stessi quanto valiamo. Ma quando questo dannato equilibrio si dissolve cadiamo nel mondo reale dove tutti alla fine sbagliano. Sofia sa che quell’interrogazione dovrà andarle bene: non può deludere i suoi genitori, vuole fargliela vedere alla Frattini e, ciò che più conta, ha studiato (quasi) come una matta. L’interrogata torna a posto: non resta che aspettare il domani che porterà il suo giudizio. Sembra essere andata bene ma, tutti hanno imparato a proprie spese a non farsi troppe illusioni con la Frattini.
Così procedono le giornate delle persone: alti e bassi si susseguono, si rincorrono, si mescolano, prende il sopravvento prima l’uno poi l’altro. Sta ad ogni uno di noi decidere a quale parte dare più peso, ma come diceva il grande Jim Morrison: non essere così triste e pensieroso, ricorda che la vita é come uno specchio, ti sorride se la guardi sorridendo.
  
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