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Autore: Gertie    04/09/2006    7 recensioni
“Cosa farai quando sarai adulto?”
“… Il cavaliere.”
“E tu?”
“Anche io farò il cavaliere.”
“E massacreremo i sassoni insieme!”

La storia di Elynor, la sorella adottiva di Lancillotto.
Genere: Romantico, Drammatico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ecco qua la prima fanfiction che la mia mente contorta ha creato......... Su un film che è stato stroncato dalla critica, che a dispetto di tutto e tutti mi è piaciuto un sacco. Spero che vi piaccia! Commentate commentate ^^


Capitolo Primo
Nel quale si fa la conoscenza della protagonista e si parla di una straordinaria quanto fragile amicizia

Il cielo era nuvoloso, e minacciava pioggia, come il solito.
Me ne stavo sdraiata sotto un albero in cima ad una collina, e osservavo la forma delle nuvole plumbee che si avvicinavano fluttuando.
Le vallate e le colline erano diventate verdissime, grazie alle secchiate d’acqua che da circa un mese si abbattevano sulla Britannia.
Una brezza leggera muoveva le fronde degli alberi, che frusciavano intonando una musica antica.
Me lo aveva raccontato Uwaen, il più vecchio del villaggio di Graeth: le piante avevano una voce e cantavano le loro canzoni accompagnate dal vento. Mi piaceva ascoltare quel fresco mormorio, e abbandonarmi a mille pensieri. Immaginavo di essere un indomito cavaliere, che massacrava le linee nemiche. Oppure un anziano druido, a raccogliere vischio sugli alberi e preparare pozioni e filtri misteriosi. Un vagabondo, che sostava nelle piccole città per narrare le sue storie, le gesta degli eroi… Ma alla fine la mia mente si soffermava sempre su un unico tedioso punto. Non ero altro che una bambina di dodici anni. In un piccolo villaggio che non sarebbe mai stato menzionato nei racconti dei cantastorie.
Sbuffai, sconsolata. Non avrei mai avuto gloria, né onori, se fossi rimasta per sempre in quel posto microscopico e noioso.
Mi avevano spiegato anche che il nostro era un villaggio fondato da una delle colonie sàrmate che erano emigrate in Britannia per aiutare i romani a combattere gli invasori sassoni. E io non vedevo l’ora di dare una mano.
Sorrisi tra me, contemplando una nube grigiastra che aveva assunto l’immagine di un cavallo. Se ci si sporgeva a sinistra si intravedevano i peli folti della criniera; poi anche i lineamenti del dorso e delle zampe. Se si era attenti osservatori si potevano notare anche le due piccole orecchie in cima al capo, rivolte all’indietro. Era un cavallo imbizzarrito, probabilmente. Forse il suo padrone lo aveva frustato troppo, lui si era stufato e lo aveva scaricato in un rigagnolo di fango, assieme a tutta la bardatura.
Il vento si fece più forte, e un gruppetto di foglie mi venne a danzare davanti al volto.
Immaginai dei guerrieri che saltavano attorno al fuoco al suono dei tamburi, ispirata dai bruschi movimenti che le foglie facevano, trasportate dalla brezza.
Chiusi gli occhi, ma i guerrieri continuarono a ballare nel buio delle mie palpebre serrate. Potevo sentire le loro grida di guerra, il clangore delle loro asce contro gli scudi. Percepivo il calore delle fiamme sul viso. I tamburi mi rimbombavano nelle orecchie.
Poi, con un colpo secco, la musica si interruppe.
Mi sollevai sui gomiti e mi guardai intorno. Ecco, succedeva sempre così: sul più bello c’era sempre qualcosa che interferiva con i miei giochi di immaginazione.
Ed era sempre lui, che puntualmente veniva a disturbarmi!
“Lancillotto!” esclamai stizzita. Ed eccolo lì, che usciva da dietro un albero e scoppiava in una fragorosa risata.
“Sempre a sognare, eh Elynor?” scosse il capo, e i suoi riccioli neri ondeggiarono.
“Che cosa vuoi?” gli domandai aspra.
Lui si strinse nelle spalle.
“Lynet mi ha mandato a chiamarti, il pranzo è pronto…”
“Allora andiamo!” il pensiero dello stufato di Lynet mi fece dimenticare l’affronto subito dal ragazzo.
Lancillotto mi prese per mano, e insieme ci incamminammo verso il villaggio.
Le galline chiocciavano nel cortile, e un filo di fumo usciva dalla capanna centrale.
Cominciarono a cadere le prime gocce di pioggia.
“Accidenti…” sbottò Lancillotto, guardando verso l’alto “Non fa altro che piovere, piovere e piovere ancora! Ci marciranno le ossa, prima o poi, e il villaggio sarà sepolto dal fango!”
Risi.
Lancillotto era figlio di Lynet e Ban, i capi-villaggio. Era il mio migliore amico.
Io non ero di quelle parti. Ero nata in un posto che non ricordavo, da genitori che non ricordavo. Non ricordavo nemmeno come ero finita in quel villaggio sperduto tra le vallate; e per questo il vecchio Uwaen mi rinfrescava la memoria ogni tanto, raccontandomi di come in una buia notte fredda ero giunta fin lì.
Mi aveva trovato il popolo del bosco, gli Woad. Delle specie di selvaggi che si dipingevano il corpo di blu e saettavano tra gli alberi come volpi e scoiattoli. Erano silenziosi, e molto pericolosi. Per questo mi avventuravo poche volte nelle foreste, e quando lo facevo mi portavo sempre dietro Lancillotto, o perlomeno un cane. In giro si diceva che quella era una tribù di esseri demoniaci, che compivano sacrifici umani e si mangiavano tra loro. Ma io non ci credevo fino in fondo. Dopotutto, avrebbero potuto divorare anche me, se avessero voluto. Ma in mio soccorso era arrivato Merlino, il capo del popolo, uno sciamano potente. Temendo per la mia salute era sgusciato dal bosco durante la notte, e mi aveva trasportato fino alla capanna di Ban e Lynet, che avevano un figlio di due anni; Lancillotto, appunto. La gente del villaggio aveva cacciato a sassate Merlino, ma aveva accolto me. Nessuno se l’era sentita di uccidere una neonata.
I miei primi veri ricordi risalivano a quando avevo circa sette anni.
In quel periodo ero ansiosa di fare nuove scoperte e di esplorare tutto ciò che mi circondava. Trovai una guida importante, nonché un compagno di scorribande formidabile in Lancillotto.
All’inizio non aveva osato avvicinarsi a me, perché aveva paura di farmi male, non sapeva come ci si dovesse comportare con i bambini piccoli. Poi, quando Lynet glielo aveva permesso, lui aveva cominciato a portarmi con sé durante le sue cavalcate in groppa a Kelpie, il vecchio castrone grigio.
Io ero entusiasta di tutto ciò che faceva Lancillotto. Lo prendevo come esempio, e lo imitavo in ogni cosa. Lui era felice, e mi insegnava cose sempre nuove e affascinanti.
Imparai a rubare le uova dal nido di un fagiano senza che la madre se ne accorgesse, a tirare i sassi piatti nel lago facendogli fare i rimbalzi, a rimanere in sella a Kelpie reggendomi alla criniera, a costruire un arco, a pescare, a imitare il verso del gufo e del falco, a intagliare il legno e a fare dei disegni.
Avevamo anche fatto un giuramento di sangue, dove ci eravamo proclamati migliori amici.
In una mattina nebbiosa, mentre eravamo andati a cercar legna, eravamo saliti su un’altura, dove sorgevano delle rovine. Davanti ad una vecchia e consunta croce celtica di pietra, Lancillotto aveva estratto il suo piccolo pugnale, e ci eravamo fatti tutti e due un taglio sui nostri pollici sinistri. Li avevamo premuti, e le poche gocce di sangue che erano fuoriuscite si erano mescolate.
Non avevo mai provato un’emozione così forte.
“Per sempre amici” aveva detto sottovoce Lancillotto, fissandomi con i suoi occhi neri.
“Per sempre amici!” avevo esclamato io con enfasi.
La piccola cicatrice sul polpastrello era destinata a rimanere negli anni.
Da quel giorno diventammo inseparabili. C’erano altri ragazzi nel villaggio, ma non avevo legato così con nessuno di loro. Per me esisteva solo Lancillotto.
Un pomeriggio, mentre eravamo seduti sui rami della vecchia quercia che sorgeva al limitare del bosco, io avevo cominciato a pensare al futuro.
“Cosa farai quando sarai adulto?” gli avevo domandato curiosa.
Lui non aveva risposto subito. Era rimasto a fissare il sole che filtrava attraverso le foglie, e disegnava strane figure sul tronco.
“… Il cavaliere.”
Mentre io facevo dondolare i piedi nel vuoto, lui mi aveva guardato con i suoi occhi scuri e taglienti.
“E tu?”
Avevo sorriso.
“Anche io farò il cavaliere.” avevo annunciato, orgogliosa.
“E massacreremo i sassoni insieme!”
Poi Lancillotto era cresciuto, e non aveva più molto tempo da dedicarmi. Aveva cominciato ad interessarsi ai combattimenti, alle spade, alla gloria. E io non avevo potuto seguirlo.
Lui era un maschio, e io una femmina. Quando avevo provato a sollevare la daga di Ban, Lynet mi aveva apostrofato severamente, dicendomi che le donne dovevano badare alla casa, e non alla guerra.
Ricordo che andai dietro la legnaia, mi sedetti su un vecchio ceppo tarlato e mi misi a piangere.
“Non è affatto giusto” avevo pensato tra i lacrimoni.
Da quel giorno presi le distanze da Lancillotto. Ogni volta che lo guardavo in faccia pensavo al giorno in cui lui sarebbe andato via, in guerra. E io sarei rimasta a casa, a badare alle galline.
Quella sera salii sul tetto della capanna, per guardare il cielo rosato e il sole che scompariva dietro l’orizzonte. Adoravo i tramonti. La mia immaginazione cominciò a lavorare di nuovo.
Pensai a come doveva essere uno spettacolo simile ammirato da una spiaggia, in riva al mare. Magari il sole sarebbe sprofondato sott’acqua, e avrebbe illuminato i mostri che si nascondevano negli abissi. Draghi, piovre, serpenti marini… E io li avrei uccisi tutti, con l’aiuto della mia fida spada…
“No!” esclamai, e sobbalzai sulle frasche del tetto. Persi l’equilibrio e rischiai di cadere.
Quando mi rimisi seduta, mi venne voglia di piangere per l’ennesima volta. Il respiro mi si fece affannoso, e sentii qualcosa pungermi le palpebre.
Stavo di nuovo pensando ai cavalieri. Dovevo levarmeli dalla testa. Me l’avevano detto tutti: non era roba per me. Ma io continuavo a crederci.
Tornai a guardare verso la collina. Una quindicina di uomini a cavallo stava scendendo al galoppo verso il nostro villaggio.
Chiusi gli occhi.
Li riaprii.
Non era fantasia: i cavalieri c’erano davvero. Avevano le insegne militari di Roma. Ed erano ormai giunti alle prime capanne.
Una folla di gente si radunò attorno a loro.
Vidi Ban scambiare quattro parole con il generale, e poi marciare in direzione della capanna. Scivolai giù dal tetto, ed entrai per una finestra. Mi nascosi dietro un tavolaccio di legno grezzo.
“Lancillotto!” chiamò.
Il mio amico apparve da dietro una tenda.
“E’ ora. Sono arrivati…” disse ancora Ban con voce rotta dalla commozione.
Lancillotto assunse un’aria tesa, rimase a guardare il padre per alcuni istanti, poi si voltò e scomparve di nuovo dietro la tenda.
Uscì poco dopo con un mantello e uno zaino di cuoio sulle spalle.
Non capivo cosa diavolo stava succedendo. Lancillotto stava andando da qualche parte? Non mi aveva avvisato… Me lo avrebbe detto.
I due tornarono alla luce del sole, e si avviarono verso il drappello di legionari romani.
Un pensiero affiorò nella mia mente.
Trasalii.
Lo stavano portando via.
Alla battaglia.
Alla morte.
Dimentica di qualsiasi altra cosa, corsi verso il cavallo su cui era salito il mio amico.
“No! Ti prego! Non andartene!” urlai, con quanto fiato avevo in corpo “Non senza di me!!”
Mi aggrappai ad una staffa della sua sella.
“Portami con te…” la voce mi si affievolì, e chinai la testa contro il fianco del cavallo. Cominciai a singhiozzare in silenzio.
Sollevai lo sguardo verso Lancillotto. Avevo la vista appannata per le lacrime.
“Non… Partire… Per favore!” lo implorai.
Lui scosse la testa.
“Non posso.”
“Perché… Perché no..?” urlai “Perché?!”
Strinsi i pugni per la rabbia.
Lancillotto mi accarezzò i capelli.
“Tornerò, Elynor. Verrò a prenderti.”
Quelle parole toccarono il mio cuore, che stava per scoppiare dai singhiozzi.
“Me lo prometti?”
“Te lo prometto.”
Mi sorrise. Ma quello era un sorriso triste.
Il generale dei romani interruppe bruscamente il nostro addio.
“Dobbiamo darci una mossa… Levate quella ragazzina da lì!”
Lynet mi abbracciò, e mi fece scostare dal cavallo.
Il drappello dei soldati voltò i destrieri, e tutti insieme si lanciarono di nuovo al galoppo su per la collina, seguiti dal mio amico.
Quando furono sulla sommità, Ban esplose in un grido:
“LANCILLOTTO!!”
Il ragazzo si voltò.
“WAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHH!”
Tutti gli abitanti del villaggio urlarono il loro augurio al giovane, agitando i pugni per aria.
Io non persi tempo, mi liberai dell’abbraccio di Lynet e balzai in groppa a Kelpie.
“Elynor!” mi chiamò Ban, ma io diedi di sproni e mi allontanai.
Raggiunsi il gruppo, ma mi tenni a distanza.
Galoppavamo affiancati, Kelpie che sbuffava per lo sforzo.
Mi aggrappai alla criniera saldamente, e volsi la testa verso i cavalieri.
Fu un lampo. Una visione.
Come se il tempo rallentasse, li vidi.
Con le armature scintillanti al sole. Gli stendardi dispiegati al vento. I cavalli schiumanti. Le spade sguainate e gli scudi stretti al petto.
Lancillotto. I suoi riccioli neri erano coperti da un bronzeo elmo luccicante, il cui pennacchio si agitava nell’aria. Era il più radioso di tutti.
“ADDIO!” esclamai, fermando Kelpie.
Il drappello continuò ad avanzare. Ormai era solo una macchietta indistinta.
Non si sentiva più neanche il rumore degli zoccoli.
Quella sera tornai a casa tardi, perché avevo vagabondato per i dintorni per cercare di sfogare il dolore che provavo.
Ban si alzò dalla tavola, imbestialito.
“Dove sei stata?? Eravamo preoccupatissimi e…” Lynet lo indusse ad abbassare la voce, con un’occhiataccia.
Non mi reggevo in piedi, e la stanza mi vorticava attorno.
“Io… Voglio andare a dormire…” sussurrai, sforzandomi di rimanere dritta; ma barcollai e svenni.


Allora... Come vi sembra? Aspetto pareri e opinioni per sapere se è il caso di continuarla!
Bacetti

Gertie
  
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