Serie TV > White Collar
Ricorda la storia  |      
Autore: margheritanikolaevna    22/01/2012    12 recensioni
Peter Burke era un uomo d'azione e un eccellente poliziotto, ma non aveva grande dimestichezza con le metafore. Altrimenti, forse, si sarebbe reso conto che le metafore possono essere dannatamente pericolose, che con le metafore è meglio non scherzare.
Perchè da una sola metafora può nascere l'amore.
Ipotesi puramente inventata sull'inizio del rapporto con Neal Caffrey.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Peter Burke
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

 
Come una cesta spalmata di pece, affidata alle acque agitate di un fiume.
 
 
 
F.B.I. Neal Caffrey, ti dichiaro in arresto!” gridò l'agente speciale Peter Burke, quasi senza fiato per il lungo inseguimento che l’aveva condotto, alla fine, all’imboccatura di uno stretto vicolo a nord di Broadway.
“Fermati o sparo!” urlò, subito prima d’incespicare nella neve soffice che gli arrivava
a metà polpaccio e cadere in ginocchio, perdendo così secondi preziosi.
Imprecò a mezza voce contro quella dannata nevicata fuori stagione, che stava mandando in tilt la città, e ancor di più contro il truffatore che, a una ventina di metri di distanza, si era fermato un istante, quasi a godere dello spettacolo del poliziotto che annaspava nella neve, oppure per non rendere eccessivamente facile la sua ennesima fuga. Giratosi verso di lui, gli aveva rivolto un sorriso beffardo, subito prima di voltargli di nuovo le spalle e allontanarsi a passo veloce.
“Fermati o giuro che ti sparo!” ripeté l'agente, accecato dalla rabbia; quello sguardo sprezzante gli aveva fatto montare il sangue al cervello.
Si rialzò e, prima di riprendere la corsa, tese le braccia davanti a sé, fissò il giovane che, ormai, era già piuttosto distante, prese la mira e, senza pensarci una seconda volta, fece fuoco.
Il lampo illuminò per una frazione di secondo il vicolo semibuio.
Lo sparo risuonò, seguito da quello che al poliziotto parve un grido soffocato; ma non poteva esserne sicuro, perché la neve attutiva i suoni, distorcendoli, e il suo stesso respiro affannoso gli rimbombava nelle orecchie.
 
***
Neal Caffrey appoggiò la schiena contro il muro gelato, si portò la mano tremante al fianco sinistro e la ritrasse bagnata di sangue; il dolore era lancinante e gli mozzava il respiro.
Così, quel bastardo gli aveva sparato davvero! pensò, confusamente. Non credeva che l’avrebbe fatto…aveva giocato d’azzardo, come sempre, solo che quella volta gli era andata male. Si guardò indietro, aspettandosi di vederlo comparire, pistola in pugno, dall’altra parte del vicolo da un momento all’altro.
Trasse un sospiro profondo e mosse a fatica qualche passo, ma ad un tratto le gambe cedettero e cadde in ginocchio, nella neve sudicia. Riuscì a stento a non gridare per il dolore.
Respirava affannosamente, gli girava la testa e le fitte al fianco non gli davano tregua; gli pareva che un ferro rovente lo stesse trapassando da parte a parte.
Il più piccolo movimento era una tortura e una nausea prepotente gli rivoltava lo stomaco.
Scosse il capo per dissipare il velo che già gli stava calando sugli occhi e si morse le labbra, trattenendo un gemito. Doveva alzarsi in piedi e continuare a scappare. Scappare, come aveva sempre fatto.
Altrimenti quel dannato federale lo avrebbe raggiunto; ormai non poteva essere lontano.
Si tirò su, aggrappandosi con una mano al muro e gemendo di nuovo.
Barcollando e lasciandosi dietro una scia di impronte insanguinate, Neal Caffrey riprese la sua fuga.
***
Peter Burke non era sicuro di avere colpito il truffatore, ma i suoi dubbi si tramutarono in certezza quando, dopo avere percorso qualche decina di metri, notò quelle che sembravano tracce di sangue fresco nella neve sporca che si era accumulata durante il giorno.
Diresse il fascio di luce della torcia su di esse, si chinò e le toccò, per aver esserne sicuro.
Riprese ad avanzare, stavolta con maggiore cautela, tentando di penetrare l’oscurità che si stendeva davanti a lui e osservando che le macchie si facevano via via più grandi e ravvicinate, segno che non solo l’aveva centrato, ma anche che stava sanguinando abbondantemente.
Serrò le labbra sottili in una smorfia severa.
Non sarebbe andato lontano, questo era poco ma sicuro.
 
***
Neal Caffrey ci aveva provato.
Aveva lottato contro il dolore e la debolezza che lo attanagliavano e, con immensa fatica, vacillando pietosamente ad ogni passo, era riuscito a percorrere alcune centinaia di metri.
Il pensiero di stare sopportando un inutile supplizio, che rischiava di ucciderlo senza aumentare di molto le sue possibilità di riuscire anche stavolta a fuggire, non lo sfiorava nemmeno. L’unica cosa che gli importava era mettere quanta più strada poteva tra lui e quel dannato federale che gli stava dando la caccia.
Neal Caffrey ci aveva provato, ma non ce l’aveva fatta.
Le gambe non lo reggevano più e si era accasciato con la fronte nella neve gelata; respirava a fatica, il dolore si stava chiudendo su di lui come una morsa.
Si guardò ancora una volta intorno e poi chiuse gli occhi.
E così, pensò un istante prima di scivolare nell’oscurità, stava per morire in quel vicolo lurido…era quella, dunque, la sua fine?
 
***
Per Peter Burke seguire le tracce di sangue che spiccavano sulla neve era stato un gioco da ragazzi; la potente torcia elettrica in una mano e la pistola nell’altra, avanzò velocemente gridando una, due volte, il nome del truffatore che stava inseguendo.
Lo trovò disteso bocconi nella neve che, ormai, intorno al suo corpo si era trasformata in una disgustosa poltiglia rossastra; solo il sollevarsi e l’abbassarsi rapido della schiena rivelavano che era ancora vivo.
Gli si inginocchiò accanto e lo chiamò ancora; non avendo ricevuto risposta, lo afferrò con energia per le spalle e lo girò verso di lui. A quel contatto, il truffatore sussultò, aprì gli occhi e tentò di scostarsi, ricadendo subito a terra con un gemito soffocato.
Il poliziotto lo fissò: era mortalmente pallido, respirava affannosamente, le membra scosse da un violento tremito.
Peter Burke comprese subito la gravità della situazione e trasse dalla tasca del giubbotto il cellulare per chiamare i soccorsi; purtroppo, però, gli fu detto che l’intera città era in emergenza a causa della nevicata e la zona dove si trovavano in quel momento ancora isolata. Con le strade nei dintorni bloccate, un’ambulanza avrebbe impiegato ore per raggiungerli.
Il federale si lasciò sfuggire un’imprecazione e si avvicinò ancora al truffatore, che aveva ascoltato la telefonata in silenzio; gli aprì la giacca e, sollevando il maglione di lana, mise a nudo i due fori nella carne, dove il proiettile era entrato e uscito. Sanguinava ancora troppo. Decisamente. E non avrebbe certo resistito fino all’arrivo dell’ambulanza.
D’un tratto si ricordò che il Trinity General era a un paio di isolati da lì, più o meno.
Forse, pensò, potevano arrivarci.
Almeno doveva fare un tentativo, sperando che la memoria non lo tradisse.
Ascolta” disse al truffatore, che lo fissava, incapace di articolare una sola parola “ti porto in ospedale io…”
Neal Caffrey deglutì e scosse debolmente la testa.
“Io…io non credo di…” balbettò, faticosamente.
“Forza!” esclamò l'agente speciale per tutta risposta e, passatogli un braccio intorno alla vita, lo tirò su di peso. Il truffatore quasi gridò per il dolore acuto e si appoggiò all’altro, che lo sostenne.
La testa ciondolava, il bel viso era cinereo.
“A-aiuto…” mormorò, alzando gli occhi sul poliziotto.
Erano vicinissimi e i loro sguardi si incrociarono per la prima volta; Peter Burke lo fissò negli occhi e non vi lesse né odio, né rassegnazione.
Vi lesse paura. Terrore di morire.
E, più in fondo, una disperata, straziante solitudine.
Ciò che vide, in quello sguardo, lo toccò profondamente.
Provò qualcosa d’inspiegabile per quel ragazzo sconosciuto, qualcosa che la sua mente razionale non riusciva a definire con chiarezza, né tanto meno a iscrivere in una delle rigorose categorie entro le quali soleva incasellare la sua ordinata esistenza.
Peter Burke non era mai stato un tipo particolarmente religioso, e anche adesso certo non lo si poteva definire un assiduo frequentatore di messe domenicali; eppure quella notte, in quel vicolo gelido, chissà attraverso quale tortuoso percorso, gli tornò alla mente il brandello di un ricordo…una storia che aveva imparato secoli prima al catechismo e che gli era rimasta impressa nella mente.
Senza nessuna motivazione plausibile, gli venne d’immaginare che quel ragazzo, che lo fissava con gli occhi pieni di paura e di diffidenza, fosse un bambino che qualcuno aveva messo in una cesta spalmata di pece e affidato alla corrente di un fiume, affinché lui lo tirasse sulla riva della sua vita.
 
***
Lo guardava dormire nel letto del reparto di terapia intensiva del Trinity Hospital, pallido come un cencio, le labbra semiaperte, qualche ciocca disordinatamente appiccicata sulla fronte madida di sudore.
Lo guardava e pensava che non gli ricordava nessuna persona della sua vita passata.
Che cos’era per lui? Solo uno dei tanti criminali che avevano incrociato la sua strada.
E allora come mai era ancora in quella stanza, esausto, infreddolito e affamato, coi vestiti imbrattati di sangue, invece di essere in ufficio a stilare il rapporto sull’avvenuta cattura del pericoloso Neal Caffrey? O, ancora meglio, a casa da sua moglie?
Gli si avvicinò ancora. Il respiro febbricitante del truffatore si fece più rapido, si sentì un debole lamento.
Peter si chinò su di lui, respirando dalle sue labbra l’odore un po’ acre della febbre.
In quell’istante, Neal aprì gli occhi, forse per caso, forse perché aveva percepito la presenza dell’uomo e il suo istinto di fuggitivo era subito scattato. Durò solo un attimo e il poliziotto fu certo che non lo avesse nemmeno riconosciuto.
Ancora una volta, tuttavia, quello sguardo - reso lucido dalla febbre - lo incatenava.
Un ragazzo…poco più che un ragazzo…
Lo aveva arrestato, riuscendo laddove tanti altri prima di lui avevano fallito.
Già, considerò, e per farlo lo aveva quasi ucciso.
Il federale scacciò con rabbia il senso di colpa che, ancora una volta, gli artigliava lo stomaco.
Stronzate! Era un poliziotto e Neal Caffrey era un delinquente in fuga. Aveva fatto solo il suo dovere, nient’altro.
Allora per quale motivo indugiava ancora lì? Cosa lo tratteneva accanto a quel letto di metallo nel quale giaceva un uomo che gli era del tutto estraneo, che apparteneva ad un mondo lontano anni luce dal suo e che, con ogni probabilità, non appena si fosse svegliato avrebbe cominciato a odiarlo con tutte le sue forze?
Il motivo era che il truffatore stava lottando.
Stava combattendo la sua battaglia più difficile, sfiorato dall’alito gelido della Morte.
E per causa sua.
E Peter Burke sapeva che nessuno deve affrontare da solo una battaglia del genere, fosse anche il peggior criminale del pianeta.
 
***

 

L'agente speciale alla fine si era addormentato, con la testa posata sul letto, di fianco al truffatore.
All’alba, quando si svegliò, dolorante per la posizione scomoda in cui si era assopito qualche ora prima senza nemmeno accorgersene, si accorse che gli teneva la mano.
Il giovane era ancora privo di sensi, ma gli parve che il suo respiro si fosse calmato e che il viso avesse ripreso almeno un po’ di colore.
Gli aveva tenuto la mano tutto quel tempo? Gli sembrò incredibile.
Si liberò con cautela per non svegliarlo e si tirò su per osservarlo meglio.
Di nuovo fu attraversato dall’idea che fosse un bambino affidato, dentro a una fragile cesta, alla corrente.
Non si può certo lasciare che una cesta con dentro un bambino vada alla deriva sulle acque agitate di un fiume! Se la figlia del Faraone non avesse tratto in salvo il piccolo Mosè, non sarebbero esistiti il Vecchio Testamento, né tutta la nostra civiltà!
Peter Burke era un uomo d’azione e un eccellente poliziotto, ma non aveva grande dimestichezza con le metafore.
Altrimenti si sarebbe forse reso conto che le metafore possono essere dannatamente pericolose.
Che è meglio maneggiarle con cautela, come una pistola carica.
Perché le metafore possono giocare brutti scherzi.
Perché da una sola metafora può nascere l’amore.
 
 
 
Questi personaggi non appartengono a me, ma a chi ne detiene tutti i diritti. Questo racconto non è stato scritto a fini di lucro.
 
La fanfic è il frutto di una notte sottratta al sonno dall’influenza; ed è anche un rischio, perché riguarda un fandom che conosco appena, nonostante mi incuriosisca molto.
Perciò, sarò immensamente grata a chi mi darà il suo parere, segnalandomi eventuali errori o imprecisioni nella caratterizzazione dei personaggi.
Infine, l’idea del bambino affidato alla corrente del fiume come metafora della com-passione e dell’amore è stata partorita, prima e molto (molto) più autorevolmente di me, dal grande Milan Kundera ne “L’insostenibile leggerezza dell’essere”.
Detto ciò, spero vi piaccia.
 

  
Leggi le 12 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > White Collar / Vai alla pagina dell'autore: margheritanikolaevna