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Autore: Lady Antares Degona Lienan    23/01/2012    2 recensioni
" Hai sette giorni per provare la tua innocenza. Altrimenti dovrai lasciare Camelot. "
Sono passati cinque giorni e Merlin non sa cosa fare.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gaius, Merlino | Coppie: Merlino/Artù
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Era settembre. Gli approvvigionamenti non stavano andando affatto bene. Arthur rimase fermo sulle mura mentre guardava la fila di contadini scorrere verso la cittadella. Alcuni bambini riposavano sul retro del carro; i muli parevano così spossati da non poter fare un altro passo. Certe famiglie avanzavano sui propri piedi per non gravare eccessivamente sulle bestie, e alcuni si lasciavano dietro di loro impronte insanguinate. Arthur si buttò il viso fra le mani, nascondendo quell’orrore alla propria vista. - Non possiamo andare avanti così -, disse. Il popolo soffriva la fame e lui non poteva offrire altro che non fosse un posto dove riposare al caldo, e del razionamento. Per un attimo gli parve che le parole fossero state pronunciate al vento; quando si voltò distratto da un rumore, tuttavia, colse gli occhi di Merlin intenti nell’azione di carezzarlo con affetto. Il solo pensiero lo gettò nello sconforto. Si sentì accapponare la pelle, quasi come se stessero cercando di tirargliela via dal corpo. Gli bruciavano gli angoli degli occhi, della bocca. Si guardò le mani per convincersi del fatto che tutto fosse ancora lì, al suo posto. Non mancava niente. Appoggiò le dita sul cinturone, quasi a rivendicarne la proprietà. - Pensi che ce la faremo? Forse basteranno per l’inverno -, disse. Anche i suoi occhi, come quelli di Arthur prima, scorrevano ansiosi sulla fila di uomini e carri che si attorcigliava intorno alle mura della cittadella. Alla sola idea che Merlin stesse guardando il suo popolo Arthur si sentì ribaltare le viscere. Perché lo stava tenendo lì, così vicino a lui e a tutti coloro che aveva giurato di proteggere? - Credo che con un po’ di razionamento si possa affrontare tutto -, aggiunse. Gli tremava la voce. Non riusciva a guardarlo negli occhi. - Gaius dice che ci sono state estati peggiori prima di questa. Forse non è il caso di abbandonarsi a troppi pensieri.

- Merlin -, disse Arthur.

- Sì?

- Non parlare.

- Arthur…

- Questo è il primo anno dacché mio padre non governa più su Camelot. Il primo anno!, e c’è già stata una carestia. L’autunno si prospetta gelido e l’inverno sarà ancora peggio. E bada bene!, non mi sto fidando di quei guarda budella. Me lo sento nelle ossa. E tu… Merlin, devi smettere di parlarmi. Non posso fare niente di ciò che mi viene richiesto, se tu non smetti immediatamente di parlarmi. Non posso. Non riesco a guardarti negli occhi. Per favore.

- Arthur, non avrei mai voluto-

- Ma l’hai fatto. Perché sei un mago, no? Uno stregone. Non avresti dovuto salvarmi la vita.

- Già. – la risposta di Merlin assunse il tono di una ripicca. – Ma l’ho fatto. Sciocco da parte mia, desiderare di salvarti. Solo un mostro avrebbe voluto salvare il proprio amico da quella bestia, d’altra parte.

- Merlin, adesso basta. Ho altro da fare.

Una folata di vento si levò risalendo lungo le mura e accarezzando il volto dei due uomini. Gli occhi di Arthur s’erano assottigliati, tanto che ora Merlin faticava a scorgerne l’azzurro così chiaro da parere bianco. A Merlin tremavano le mani. – Arthur, non potrai ignorarmi per sempre -, disse.

- No. No, hai ragione.

Lo sorpassò quasi di corsa, accertandosi di non incontrare il suo sguardo. Pareva si vergognasse; a guardare meglio, tuttavia, le mani gli tremavano di rabbia. – Devo occuparmi del mio popolo prima. Domani sarà il momento del conteggio del grano e del riso. Dopodomani… gli appezzamenti. Credo sarà tra due tramonti, Merlin.

- Arthur?

- Ci vedremo tra due tramonti, nei miei appartamenti. Al calare del sole. Avrai una settimana, Merlin. Una settimana per convincermi che tu non sia malvagio. Se non ci riuscirai, voglio che tu sappia che io pretendo che tu lasci questa corte. Immediatamente. – Il sole gli batteva negli occhi. Forse era per quello che continuava a guardare verso il basso. In Merlin sorse una rabbia terribile, come se fosse stato tradito da chi aveva di più caro.

Arthur l’osservò appena. – E’ terribile, vero? Questa rabbia che ti prende quando qualcuno di fidato e vicino a te improvvisamente si dimostra diverso da ciò che pensavi. Terribile, non è vero Merlin?

Ogni parola lo colpì sul viso. Si ritrovò a prendere un respiro violento, incapace di pensare ad altro.

- E’ così crudele che il mondo ti si ribalti all’improvviso sotto i piedi, no? Quando avresti più bisogno di supporto improvvisamente non hai più certezze. È una cosa che ti uccide, vero Merlin? È ridicolo davvero, Merlin, pensare che avresti potuto inventare così tanti modi per uccidermi quando in realtà la cosa più semplice era rivelarti per ciò che eri davvero.

Gli vennero a mancare le parole, il coraggio. Franò tutto sotto ai suoi piedi gelati. Le dita erano congelate e improvvisamente gli parve di non riuscire più nemmeno a muovere un passo.

- Perciò, Merlin, non venire a parlarmi di essere traditi o delusi, ci siamo capiti? Perché questo, davvero, sarebbe troppo. Hai perso questo diritto nell’esatto momento in cui hai deciso di mentirmi per… anni, Merlin. Anni.

Non obbiettò. Semplicemente, non gli uscì una sola parola. Arthur come sempre aveva il potere di annichilirlo, di renderlo inutile, di strappargli il cuore e buttarlo giù dalle mura in un solo, devastante gesto.

Mentre lo superava per raggiungere le scale gli urtò la spalla con violenza. – E Merlin, - lo redarguì, - non rivolgermi la parola fino a che non ti sarà chiesto nuovamente. Qualunque cosa tu abbia da dire, non ti ascolterò. Va’ ad aiutare Gaius. Non cercarmi. Me la caverò da solo.

Quando calò il silenzio, lo fece in una maniera definitiva. Merlin non riuscì nemmeno a sentire i passi di Arthur che si allontanavano da lui, tanta era la foga del suo respiro. Gli si strinse lo stomaco. Quando gli si appannarono gli occhi si costrinse a batterli, e due lacrime scivolarono lentamente lungo le sue gote. Non piangeva da quando era morto suo padre; questa gli parve un’occasione degna della succitata circostanza. Gli veniva anche da vomitare. Si concentrò sulla brezza che gli carezzava gentilmente il viso e, un respiro dopo l’altro, riuscì a tornare calmo.

Era settembre e il vento faceva presagire tempesta. Il cielo era sereno.

 

*

 

Merlin avrebbe dovuto sapere che quella missione non sarebbe finita bene. Le premesse erano ridicole: il solito mostro venuto a minacciare Camelot e l’ombra della magia che velenosa s’arrampicava sulle lingue di chi veniva a raccontarne. Arthur si era dimostrato risoluto, irremovibile. Nessuno era riuscito a fermarlo, nemmeno Merlin, nemmeno dopo insistenti suppliche su come anche un manipolo di cavalieri avrebbe potuto fronteggiare la situazione egregiamente (non era vero e lo sapevano entrambi, ma solitamente Arthur sapeva scegliere con intelligenza tra le proprie priorità, e il popolo senza cibo lo era sicuramente). Dopo un solo giorno, entrambi stavano già caricando le selle dei propri cavalli di viveri e acqua. Si erano lasciati Camelot alle spalle senza una parola e così avevano continuato per tutta la durata del viaggio, la testa china e le spalle basse. Merlin si sentiva irrimediabilmente stanco, come se l’intero mondo poggiasse sulla sua testa. Strano pensare che era esattamente come Arthur doveva sentirsi ogni giorno della propria vita.

Trovarono la creatura tre giorni dopo, in un bosco ai margini del regno. La pelliccia era scuro, quasi come la notte, e gli artigli spuntavano minacciosi come coltelli. Merlin non fu affatto rassicurato quando si rese conto di riuscire a stare a malapena in piedi. Erano entrambi stanchi e infreddoliti; non mangiavano da un giorno intero. Il sentiero era fangoso e rallentava i movimenti, tanto che i cavalli si innervosirono subito e sfuggirono al loro controllo. Arthur si mangiò un’imprecazione e fece un passo avanti. – Merlin, vai a recuperare i cavalli.

- Cosa?

- Vai a recuperare i cavalli. Voglio avere una via di fuga pronta e con questo pantano in terra non possiamo correre.

- Ma potrei esservi d’aiuto, Arthur, non potete fare da solo…

- Vai!, adesso. – gli sussurrò Arthur, - Poi torna qui, il prima possibile.

Merlin fece una smorfia addolorata. Assentì brevemente con un cenno del mento e si girò velocemente cercando le impronte dei due cavalli. Corse, ma fu in grado di trovarli solo dopo cinque minuti. Si erano rifugiati in una piccola radura. Merlin non riusciva a sentire alcun rumore di battaglia. Temette che Arthur fosse caduto, o che fosse stato ferito, o peggio ancora. Perse ancora tempo per cercare di quietare i cavalli. Ne perse ancora, per afferrare le briglie. E di più, sempre di più, il sudore gli colava lungo le tempie bagnandogli il fazzoletto e infrangendosi anche sulla schiena. Gettava continuamente la testa all’indietro, cercando di scorgere traccia di Arthur. Nessuna figura apparve lungo la sua linea visiva. Trascinò i cavalli verso il sentieri principale nel tentativo di portarli entrambi con meno fatica, ma le due bestie non volevano abbandonare la sicurezza della radura. Tirò e tirò di nuovo. Poi, frustrato, decise di legarli entrambi al tronco di un albero per evitare che si allontanassero ulteriormente e corse da Arthur. Aveva un presentimento terribile che gli attanagliava il petto.

Non si era sbagliato.

Arthur giaceva a terra, la faccia riversa sul terreno e il sangue che fluiva copiosamente da una ferita alla testa. Merlin si sentì mancare il fiato. Non era possibile. Anni di fatica per proteggerlo, per guardargli le spalle, e improvvisamente tutto gli sfuggiva di mano per essere stato mandato a recuperare dei cavalli. La situazione era così ridicola che gli veniva da piangere.

La bestia lo guardava; aveva gli occhi più umani che Merlin avesse mai visto. Castani, limpidi, spaventati. Non per la prima volta Merlin si chiese quali fossero i limiti legittimi che la magia avesse il dovere di imporsi. Quella creatura era stata creata all’ombra di una vendetta o forse di un dolore talmente grande da far sembrare il resto del mondo ridicolo; questo, però, era inammissibile. Nessuno avrebbe dovuto creare un essere vivente e liberarlo poi nel mondo senza una guida. Tese la mano davanti a sé. – Va tutto bene. Non devi aver timore di me, vedi?, sono disarmato.

La bestia piegò leggermente il capo, uno sguardo curioso sul viso. Merlin sorrise appena, un sorriso amaro.

- Non verrà nessun’altro cavaliere, ma tu devi andare via di qui. Mi capisci?

Quella fece un ruggito terribile. Merlin arretrò di un passo, tenendosi davanti a Arthur. – Va bene. No. Devi andare via. Sulle montagne. Non puoi stare qui. – agitò brevemente le mani davanti a sé. – Vai via!

Non fece un passo. Merlin gettò un’occhiata ansiosa al corpo esanime di Arthur, guardando il suo torace muoversi ritmicamente. Respirava. Era già un successo.

- Molto bene. Ora, ora faremo così. Io userò la mia magia, sì, lo so, non stupirti, anche io posseggo lo stesso dono di chi ti ha creato per portarti lontano da qui. E probabilmente farà freddo dove ti manderò, ma tu mi sembra assai pieno di pelliccia e quindi non dovresti avere problemi. E sto parlando con un animale che non capisce, quindi…

Si concentrò. Certi nuovi incantesimi non gli erano perfettamente chiari. Chiuse gli occhi e si lasciò trascinare dalla magia dell’incanto, come se mille fili gli trascinassero le corde vocali nella giusta direzione per emettere il suono corretto. Come ogni volta, eseguire una magia era più una scommessa che una vera e propria abilità. Sentì la sua mente circondare la figura intera della bestia, delinearne i contorni con sicurezza. Ogni artiglio, ogni pelo, ogni punto della pupilla: pareva quasi che essa fosse direttamente poggiata sulle sue mani; si sentì come se, solo con la forza della propria mente, avesse potuto stringerne il manto e riconoscerlo al primo tocco. Quando liberò il fiato che era rimasto imprigionato nella sua gola chiese alla Terra di guidare ciò che stringeva nei palmi verso una direzione più sicura, ove nessuno uomo avrebbe potuto arrivare. La Natura rispose. Sentì fili invisibili attorno a sé e quando aprì gli occhi, la creatura era scomparsa; come se non fosse mai esistita.

Gli occhi di Arthur, invece, erano aperti e posati silenziosamente sul suo viso.

Cominciò a piovere qualche goccia, ma il cielo rimase sereno.

 

*

 

Quando arrivò negli appartamenti del Re il sole era appena calato oltre l’orizzonte. Merlin reggeva in mano una candela mezza consumata che aveva portato direttamente dall’appartamento di Gaius. Si era spenta due volte a causa dell’umidità terribile che permeava nel castello e dei congiunti spifferi, ma era sempre riuscito a riaccenderla grazie a qualche torcia che gli veniva offerta. In un certo senso Merlin sperava che quella candela potesse offrirgli del conforto in qualità di metafora positiva. Davanti al volto cereo di Arthur, comunque, pensò che la speranza era una cosa vana. Le linee erano disegnate sul suo viso in maniera così marcata da sembrare fatte con la china. Le occhiaie sprofondavano nelle guance e gli occhi, gonfi e irritati, parevano avere come sola necessità quella di chiudersi. Le spalle erano chine. Merlin deglutì e gli parve che il rumore fosse risuonato per tutta la stanza; chiuse gli occhi; li riaprì; scosse il capo, sperando di trovare una sola parola con cui esordire. Fu Arthur tuttavia a sottrargli tale privilegio. Lo squadrò dal basso verso l’alto e fece una smorfia.

- Vattene.

- Arthur, aspettate. Non posso…

- Devi andartene Merlin. Non ho tempo di parlare con te.

- Ma voi dovete, altrimenti io – Arthur lo zittì con un gesto della mano. Lo fissò dritto in volto con lo sguardo onesto con cui era solito rivolgersi ai suoi cavalieri. Con cui, ogni volta, li ringraziava per aver rischiato la vita in una missione tenendo alto l’onore di Camelot. Adesso in quello sguardo traspariva solo disgusto.

- Vattene. Non posso… non posso parlare con te. Tu hai tradito tutto ciò in cui credevo. E hai fatto sì che io tradissi il mio credo, inconsapevolmente.

- Vi prego.

- Non pregarmi. Vattene. Ripresentati domani.

Rimase a lungo a guardarlo. Merlin tenne lo sguardo basso, piantato sul pavimento, torcendosi il labbro tra i denti. Non era mai stato spaventato da Arthur, né lo era in alcun modo adesso. Tuttavia, temeva il momento in cui il Re l’avrebbe allontanato da sé; lo temeva perché poi non sarebbe riuscito a tener fede alla profezia del drago; lo temeva perché, semplicemente, senza Arthur Merlin si sentiva in qualche modo smarrito, perso. Come se non fosse più in grado di ritrovarsi su una mappa, o in mezzo al castello.

Mentre si allontanava, uno sguardo sfuggente al proprio amico gli disse che per Arthur era stava accadendo lo stesso. La cosa lo spaventò e rincuorò allo stesso tempo.

Il cielo era terso, le stelle crudeli nel loro splendore.

 

*

 

Mentre tornavano verso Camelot Arthur si era rifiutato di farsi toccare da lui. Merlin aveva provato, più e più volte, ma a ogni tentativo la sua mano era stata scacciata in malo modo, il gesto accompagnato da un grugnito. Era come se Arthur, oltre alla fede in lui, avesse perso anche le parole.

Lo scoprì più volte a fissarlo, intento, quasi curioso, come se improvvisamente quella rivelazione lo avesse esposto a un’altra luce. Come se, da qual momento in poi, ogni occasione fosse diventata preziosa, buona per strappargli via la vita. Avrebbe voluto dirgli che la vita gliel’aveva salvata così tante volte che era ormai impossibile contarle, ma suppose che una simile affermazione avrebbe portato rapidamente Arthur verso livelli di incandescenza a cui non era saggio avvicinarsi. Non quando aveva un’enorme spada appesa al fianco e non c’era mezzo di salvarsi la vita se non usando la magia – e quello, senza dubbio, avrebbe portato solo ulteriori danni.

A Camelot li accolse un arcobaleno che bruciava gli occhi, tanto era il suo splendore. Merlin avrebbe voluto scendere da cavallo e urlare con quanto più fiato aveva in gola. Non fece nulla, invece; scese da cavallo e si rifugiò nella sua stanza, sotto le coperte. Aveva bisogno di parlare con il drago.

 

*

 

Il secondo giorno Arthur lo fermò prima che potesse emettere un singolo fiato. Alzò la mano all’altezza del petto e gli lanciò uno sguardo così carico di riprovazione che ogni parola a cui aveva pensato per un’intera giornata gli morì sulle labbra. Attese, dunque, che Arthur parlasse. Dopo dieci minuti di completo silenzio decise di interrompere quella ridicola atmosfera che si era creata tra di loro. Non era mai successo – né a causa della rabbia o di dissapori o noia – che Arthur non riuscisse nemmeno a rivolgergli la parola.

- Prima o poi dovrai ascoltare ciò che ho da dire.

- Fa’ silenzio, Merlin. Ti ho chiesto di non parlare, mi pare.

Rassegnato, quello fece per girarsi e andarsene. La voce di Arthur lo richiamò quando ormai era a poco più di un passo dall’afferrare la maniglia della porta. – Ti ho detto di non parlare, Merlin. Non ti ho detto di andartene. -, disse, la voce sottile e pericolosa come fosse stata un ringhio di lupo. – Perché non ti siedi? -, chiese, disponendo elegantemente una sedia a qualche metro da dove Merlin si trovava.

- Arthur.

- Siediti perché io ti possa guardare bene in viso. Così magari capirò dove ho sbagliato. Cosa non ho visto.

Merlin strinse i pugni in una morsa ferrea. Si arrabbiò. Come osava Arthur accusarlo con una voce tanto tagliente? Come osava muovergli simili critiche dopo che più di una volta l’avergli salvato la vita avrebbe comportato la morte sicura sotto il regno di suo padre? Le parole gli uscirono di bocca prima che potesse persino farsene una ragione.

- Non sono qui per giocare al vostro gioco, Arthur. Non sono qui perché voi possiate disporre di me come un bambino capriccioso i cui giocattoli si sono tutti rotti, all’improvviso. -, disse.

Arthur tirò le labbra in una linea sottile.

- Sono qui perché come mio Re, come mio amico!, voi mi avete chiesto di presentarmi ogni giorni nei vostro appartamenti. E sono tornato, Sire, dopo che ieri voi mi avete scacciato senza una parola, in malo modo. Potrete essere ferito, sciocco Arthur, ma non intendo stare ai vostri giochi un attimo di più.

Le stoviglie poggiate sul tavolo si infransero sul pavimento. Il bicchiere per metà colmo di vino si rovesciò, facendo tracimare il liquido sulla tovaglia in lana; qualche goccia toccò il pavimento. Arthur lo guardò, furente. Infine, arso dalla rabbia ma senza dire una sola parola rovesciò anche il tavolo. Andò tutto in frantumi.

- I miei giochi! I miei giochi, Merlin? No sono stato io a mascherare la mia vera identità per anni! Non sono stato io a burlarmi del mio… non sono stato io.

Non riusciva nemmeno a pronunciare la parola amico. L’aveva detto, in fondo, che due persone come loro, così diverse, mai avrebbero potuto sperare di instaurare un simile legame. Un principe e un servo. Pura fantasia. E adesso, un Re e uno stregone. Se solo ci pensava, la testa cominciava a girargli.

- Arthur, ti prego.

- Sta’ zitto! Fai silenzio. Lascia –lascia solo che io ti possa guardare.

Merlin rimase in silenzio. Passata l’ira, sul volto di Arthur rimase impressa una vulnerabilità che per un istante lo spaventò. Non disse nulla, semplicemente annuì e si sedette sulla sedia in legno che Arthur aveva disposto per lui.

Arthur lo fissò.

Cinque ore dopo ogni candela s’era consumata. Il re annuì appena e Merlin, rassegnato, si alzò e uscì dalla porta. Lo sguardo di Arthur gli rimase impresso nella mente come un chiodo appeso a un’insegna di ferro.

Un corvo gracchiò sopra la sua testa e ancora una volta Merlin si sorprese a osservare il cielo. Come sempre da un mese a quella parte, nemmeno una nuvola si oppose al suo sguardo.

 

*

 

Il terzo giorno: Merlin si era rassegnato a sedersi sulla sedia e ad aspettare che gli venisse detto qualcosa. Aspettare minuti, ore. Arthur era diventato imprevedibile, mutilato dal dolore, e Merlin non era più sicuro di saper riconoscere le sue mosse. I giorni in cui avevano sconfitto mostri insieme parevano terribilmente lontani, quasi irraggiungibili. Sentì un nodo salirgli a fondo gola e decise di lasciar perdere. Non ne valeva la pena. Per parlare aveva bisogno di respirare e pensare al passato pareva non essergli in alcun modo d’aiuto.

- Quando hai scoperto di essere uno stregone?

Gli si ruppe il fiato in gola. Alzò lo sguardo, speranzoso, ma Arthur guardava ostinatamente fuori dalla finestra. Aveva il sole in faccia. I suoi capelli biondi creavano una buffa aura intorno alla sua testa, quasi stesse splendendo di magia.

- Allora, Merlin?

Scosse il capo. – L’ho sempre saputo, mia madre l’ha sempre saputo. Quando piangevo intorno a me si rompevano oggetti, altre cose volavano. Intorno a me c’è sempre stata della magia, fin dalla prima volta che ho tratto un respiro. Non ho conosciuto momento in cui chiudendo gli occhi non fossi in grado di percepire qualcosa scorrermi sotto pelle. Non saprei dirti quando è iniziata, Arthur. Posso solo dirti quando finirà.

Lasciò che le parole gli scorressero lungo la bocca per poi librarsi in aria. Chiuse gli occhi. Sentì il respiro di Arthur farsi irregolare, rotto, spezzato. Per un attimo ebbe paura.

- La magia ti ha mai aiutato?

Sorrise. – Sempre. Ogni volta che faccio cadere qualcosa, o che qualcuno cade, Gaius per esempio. O quando i miei amici sono in difficoltà e non vedo altro modo per aiutarli. La magia non è un vizio, Arthur: non rende le persone pigre. È semplicemente un dono in più, una garanzia. Per rendere l’impossibile possibile. Senza la magia io…

- Basta. -, disse lui. – Basta. Devi andartene, Merlin.

- Arthur.

- Vai. Domani. Alla stessa ora.

Gli occhi di Arthur si posarono finalmente sui suoi. Merlin si sentì sprofondare in un mare di desolazione, tanto erano spalancati e tristi. Fu come inghiottire un boccone amaro. – Arthur, non so quanto potremmo andare avanti.

- Ho bisogno di più tempo. Vattene.

Uscendo carezzò i nodi del legno sull’infisso della porta. Gli sembrò brutto pensarlo, ma gli parve quasi un addio; gli parve di non aver saputo fare abbastanza. Uscendo, lasciò che il cielo scuro della notte si chiudesse su di lui.

 

*

 

Nel buio della sua stanza le cose parevano meno difficili. Pareva meno difficile chiedersi come avesse potuto essere tanto incauto da farsi scoprire così; pareva meno difficile chiedersi: il giorno successivo avrebbe avuto ancora una testa?

Gaius rispettò il suo mutismo per qualche ora. Poi, sconcertato, decise di affrontarlo.

- Merlin.

- Lo sa.

- Cosa? Merlin, santo cielo, smettila con quell’aria da cane bastonato e dimmi cosa è successo.

- Arthur sa che sono uno stregone. Io, io credevo che fosse svenuto. Aveva battuto la testa. Ho dovuto usare la magia, o quella bestia non se ne sarebbe mai andata. Ho dovuto farlo, Gaius, o ci avrebbe attaccati e io non avrei saputo difendere lui, o me stesso. La sua vita era in pericolo.

Gaius l’osservò con aria grave. – Ti ho sempre detto, Merlin, che avresti dovuto usare la tua magia con più circospezione. Hai provato a parlarne con Arthur?

Scosse la testa. – Non vuole parlare. Ho provato, per tutta la durata del viaggio, ma non c’è stato modo. Gaius, non so che cosa fare.

Il maestro lo guardò. – Cerca di non pensarci. – gli chiuse una mano sulla spalle in segno di solidarietà. – Arthur è testardo, ma prima o poi capirà che lo hai fatto solo per il suo bene. Quando succederà, credo che tutta questa ridicola situazione in cui ti sei cacciato verrà spazzata via.

Merlin gli puntò addosso i suoi occhi blu come il mare di Albione e Gaius seppe, con matematica certezza, che non era solo il perdono a cui Merlin aspirava. Si limitò tuttavia a un breve cenno del capo; poi girò su se stesso e uscì dalla stanza, la borsa alla mano, pronto per aiutare un nuovo ammalato. Merlin sospirò. – Spero solo che non risolva quando la mia testa rotolerà giù dal collo.

La battuta non lo tirò su di morale. Gli raschiò la gola uscendo, e s’infranse contro il cielo più azzurro che avesse mai visto.

 

*

 

Il quarto giorno Arthur non gli permise nemmeno di entrare nella stanza. Nemmeno lo guardò. Si limitò a fissargli il petto e dirgli, con voce vibrante: - Il fatto che tu mi abbia tenuto nascosto tutto questo… il fatto che tu abbia mentito davanti a me tutte queste volte… non posso accettarlo. Non parlare! -, gli intimò quando vide il suo torace espandersi e il suo fiato rompersi, come se volesse esordire con una parola che l’avrebbe piegato.

- Non ci sono parole per ciò che hai fatto. Tenermi nascosto questo tuo segreto è stata… la peggior decisione che tu avresti potuto prendere. Davvero. La peggiore. La peggiore di sempre. Non solo ti ha reso sospetto ai miei occhi, ma ha corrotto tutto ciò che noi… stavamo costruendo. C’era qualcosa, Merlin, che ti rendeva unico ai miei occhi. Che poteva spiegare come mai io ti tenessi nonostante tu sia il peggior lucidatore di armature che Camelot abbia mai visto… per non parlare degli stivali. – il suo viso si piegò in una lieve smorfia che avrebbe potuto essere un sorriso. Lui stesso ne parve terrorizzato, e per un attimo strinse le labbra.

- Tu parlavi sempre e… parlando facevi la tua magia. Capisci adesso, Merlin, perché non voglio che tu parli? Non posso permettermi di ascoltarti. È stato ciò che ho fatto per mesi, per anni. Ti ho ascoltato. Quando dovevo fare qualcosa per compiacere mio padre, tu prendevi parola e mi convincevi del fatto che stavo sbagliando. Quando stavo per uccidere mio padre, poi!, decidesti di salvarlo: adesso mi chiedo perché. Non sarebbe stato meglio per te se io l’avessi ucciso? Taci, Merlin.

A Merlin bruciava la gola tante erano le parole che avrebbe voluto dire e che invece era costretto a tenersi per sé. Si strinse le mani l’una con l’altra e aspettò che Arthur finisse di parlare.

- Mi chiedo: è stata la magia a farmi questo, Merlin? A far sì che io credessi a tutto ciò che tu mi dicevi? A far sì che io credessi che ci fosse qualcosa di speciale in te? A far sì che persino adesso, adesso che tu sei un pericolo per me, persino ora io voglia ascoltare ciò che hai da dire?

Si fermò. Prese un respiro profondo.

- Vattene. Ci vediamo domani.

Gli chiuse la porta in faccia. Al di là della finestra gli ultimi stralci di un sole aranciato riempivano il cielo di fiamme.

 

*

 

Al quinto tramonto pensò di non bussare nemmeno. Per un attimo si convinse che sarebbe stato meglio abbandonare questo ridicolo tentativo di trovare un terreno su cui poter coltivare della pace; si convinse che correre via alle prime luci della luna sarebbe stato meglio. Tuttavia il pensiero di non rivedere più gli occhi stanchi di Arthur gli strinse il cuore e lo paralizzò. Non riuscì a muoversi per qualche minuto. Si appoggiò allo stipite della porta e fissò il pavimento, lasciando che le punte dei suoi piedi attirassero tutta la sua attenzione.

Fu così che Arthur lo trovò: pallido come l’impasto per il pane, poggiato allo stipite della porta, il sudore che gli colava dalle tempie. – Quando hai deciso di venire a Camelot? -, chiese.

Merlin alzò lo sguardo e glielo puntò addosso, ancorandosi con sicurezza ai suoi occhi chiari. Improvvisamente gli parve d’aver trovato la via. Prese un respiro. – Quando mia madre mi diede ad intendere che a Camelot, presso la corte del re vostro padre, vi fosse un uomo che forse poteva aiutarmi a gestire il mio potere.

- Gaius. -, disse Arthur semplicemente.

- Gaius. -, confermò.

- Dunque non venisti con l’intenzione di uccidermi.

- Cosa? – rise appena. - No Arthur, no. Al tempo nemmeno sapevo della vostra esistenza. Nemmeno sapevo che la stregoneria fosse così osteggiata.

Arthur parve annuire, come se le risposte di Merlin lo avessero in qualche modo convinto. – Entra. Quest’oggi dobbiamo parlare.

Nonostante le pessime premesse dei giorni precedenti, Merlin si costrinse a sorridere.

- Se non erro eri giù giunto quando il figlio di quella strega fu giustiziato.

Merlin annuì brevemente, ricordando l’orrore di quel giorno. Era stato il giorno in cui il suo entusiasmo era stato smontato e ucciso dalle gesta di un re crudele e dagli insulti di un principe senza cervello o ritegno. – Arrivai giusto quel giorno.

- Perché non te ne andasti?

- Non me ne andai?

- Perché non tornasti al tuo villaggio, Merlin? A casa, dove tua madre poteva aiutarti e amarti?

- Non c’era nulla per me al villaggio. Nulla che valesse la pena. -, disse con tono amaro. Arthur se ne accorse e alzò le sopracciglia, a mo’ di spiegazione.

- Avevano capito tutti quanto fosse potente la mia magia. Forse la temevano come tuo padre. Forse semplicemente non si fidavano. Forse avevano paura che mio padre tornasse indietro per me, prima o poi.

- Sapevi chi fosse tuo padre?

Scosse il capo. – Non allora, no. Quando me ne andai ancora non avevo idea di chi fosse.

- E adesso?

Merlin strinse le labbra. Non gli piaceva dove tutto ciò stava andando a parare. – Arthur, io…

- Adesso?

- Sì, lo so.

- Chi era?

- Balinor.

- Balinor.

- Lui. In carne e ossa. L’uomo che è praticamente morto tra le mie braccia era mio padre. E fino ad allora, io non avevo mai saputo. Mio madre non me l’aveva mai detto. Lui stesso aveva tentennato, nel vedermi.

- Saresti dovuto tornare a casa.

- Non avrei mai voluto farlo. Arthur, non avrei mai potuto tornare a casa. Nemmeno dopo quell’incidente.

- Perché dovevi rimanere al mio fianco, giusto? Per soggiogarmi con la tua magia da stregone, non è vero Merlin?

L’accusa gli bruciò in petto. Sapeva benissimo di non avere mezzi per sostenere un’eventuale difesa, proprio come Arthur non aveva prove per muovere la sua accusa. Ma forse, pensò in un momento di straordinaria lucidità, forse arrabbiarsi non sarebbe servito a nulla. Forse sarebbe stato meglio provare con un’altra strada. – No Arthur, - disse, - non è questo il motivo per cui ho deciso di rimanere. L’ho fatto nella piena consapevolezza che se fossi stato scoperto tuo padre mi avrebbe ucciso, sì, e forse questa potrebbe sembrare una pazzia agli occhi di tutti… - lasciò il discorso sfumare, aspettando che le parole giuste gli uscissero direttamente dal cuore.

- Ma abbandonare Camelot avrebbe significato abbandonare te, e questo non potevo permettermelo.

- Non potevi.

- Non potevo e non volevo. Non potevo, perché il drago mi avrebbe contattato e fatto tornare sui miei passi. Non volevo, perché mio malgrado avevo trovato in te un’anima buona, coraggiosa, diversa da quella che tutti vedevano in te. O da quella che tu cercavi di mostrare così spavaldamente di fronte agli altri.

- Il drago? -, chiese Arthur guardandolo dritto negli occhi.

- Il drago. Mi attirò la prima notte, quando arrivai. Mi condusse fino a lui. E mi chiese di vigilare su di te, perché i nostri destini erano destinati a intrecciarsi.

- Vigilare su di me. Tu?

- Se ci pensate bene, Arthur, la scorsa settimana nei boschi è stata solo la prima volta che mi avete visto compiere magie per salvarmi la vita. Ma ce ne sono state molte altre. Io e Lancelot vi abbiamo salvato spesso. E anche Gwaine.

- Menti.

- Voi avete i vostri trucchi, maestà. Lasciate a me i miei.

- Non ti credo.

- Con tutto il rispetto, Arthur, non credo che abbia altra scelta. Io non ho prove da portare a mio favore, e voi non potete dimostrare di essere stato soggiogato in alcun modo.

- Perché mi hai impedito di uccidere mio padre, quella volta?

Merlin esalò un respiro tremulo. – Perché nessuno deve vivere con il pensiero di aver ucciso un genitore. Nemmeno se quel genitore si macchia di crimini terribili.

- Lui ti avrebbe ucciso, se avesse saputo.

- Eppure io non avrei ucciso lui, pur sapendo ciò. Sapere che una persona è disposta a farci del male non ci autorizza a fargliene, Arthur. Non è questo che vostro padre vi ha insegnato, e non è questo che tu senti in fondo al cuore.

Arthur fece una smorfia. – Mio padre non mi ha insegnato nulla. Piuttosto, se c’è stato qualcuno ad avermi mostrato la pietà, sei stato tu. Tu e Gwen.

Il modo in cui proferì la frase fece sprofondare Merlin in una pozza di speranza. Forse c’era ancora della speranza per lui, per Arthur, per ciò che avevano costruito. Si avvicinò appena a lui, tendendo una mano. – Arthur -, disse. – Arthur, non ho mai voluto farti del male. Ho avuto paura, sì. È vero: ho dubitato di te e me ne pento. Me ne pentirò per sempre. Però, Arthur, devi credermi quando dico che non ho mai usato la magia su di te. Ciò che siamo stati in grado di creare, un principe e un servo… non ho mai usato la magia. Arthur, ti prego. – gli toccò brevemente la spalla con la mano. Quando quello non si mosse, la fece scivolare piano, verso il fondo. Lo sentì tremare.

Il corpo di Arthur era per lui una calamita. Ogni volta che gli si avvicinava troppo, desiderava ardentemente stringerlo con le proprie mani e accarezzargli le spalle e poi toccare quelle labbra.

Quel pensiero lo fece sussultare, tanto che si allontanò di scatto.

Anche Arthur, che fino a quel momento era rimasto fermo, improvvisamente si mosse. – Tu non ti sei fidato di me. Nonostante tutto, non ti sei fidato di me. Nonostante tutto quello che affermi, quello che c’era tra noi due…

Merlin rimase in silenzio. Arthur scosse il capo. – Vai. Torna domani.

Questa volta non provò nemmeno a opporsi. Annuì e scivolò via nell’ombra. Guardò fuori dalla finestra. Cominciava a stancarsi di quei tramonti perfetti.

 

*

 

Il drago non fu di alcun conforto. Poggiò le zampe sull’erba verde, lo guardò negli occhi e disse: - A volte c’è bisogno di un gesto estremo per riconquistare la fiducia altrui. A volte la pazienza non basta. Devi farlo, Merlin.

Volò via. Merlin si ritrovò a desiderare di essere ancora nella vecchia caverna, così che non avrebbe dovuto guardare le stelle mentre il drago scompariva dalla sua vista.

 

*

 

Il sesto giorno, Arthur non aprì nemmeno la porta. Urlò e urlò. Urlò fino a farsi sentire nelle cucine.

- Vattene Merlin! È tutta una bugia. Una bugia. Non c’è niente tra di noi. Niente di inusuale.

- Arthur…

- Tra di noi c’è solo la tua maledetta magia! Che tu sia maledetto, Merlin.

Poi, tacque. Merlin attese due ore fuori dalla sua porta, le mani ferocemente poggiate sul legno, ma nessun suono venne. Rassegnato, si decise a tornare da Gaius.

Non fissò il cielo.

 

*

 

Quella sera Gaius lo guardò da sopra la scodella della cena. Merlin si sentì improvvisamente trasparente, come se il suo dolore potesse essere tangibile. – A volte ci vuole un grande gesto, un gesto…

- Irresponsabile. Lo so.

Gaius annuì appena, come se farlo gli costasse della fatica. – Sei lo sai, allora fallo. Non ho nient’altro da dirti. – Si alzò e, presa la borsa che conteneva tutti i suoi strumenti, uscì velocemente dall’uscio. Di nuovo ad aiutare qualche malato, sicuramente. Merlin si chiese se ci fosse qualcosa che potesse essere utile per la sua malattia. Purtroppo, si ritrovò a pensare, non c’era un sortilegio contro il sentimento.

Ancora una volta, prima di dormire, maledisse le stelle e il cielo blu sopra di lui.

 

*

 

Il settimo giorno Merlin non aspettò che la porta si aprisse. Prese un respiro profondo e semplicemente fece irruzione negli appartamenti di Arthur. Quello lo guardò con gli occhi spalancati, di un celeste così chiaro che sembravano fatti d’aria. – Merlin!

- State zitto. Sì, vi ho tradito, sì, vi ho nascosto il mio segreto, ma potevate biasimarvi? Avevo paura.

- Avresti dovuto fidarti di me.

- Lo farò, lo sto facendo adesso. Adesso mi dimostrerò che mi fido di voi, Arthur.

Così fece l’unica cosa che avrebbe potuto fare: fece due falcate a colmare il vuoto che li separava e poggiò le labbra sulle sue. Batté contro il suo naso e le sua fronte. Con le mani gli strinse così forte le braccia da poterlo stritolare. Poi, dopo due secondi, si scostò da lui e lo fissò dritto negli occhi.

Arthur.

La sua vita e la sua rovina. Il motivo per cui non avrebbe mai abbandonato Camelot. Il motivo per cui, prevedibilmente, sarebbe morto. Arthur. Solo pensare il suo nome gli faceva dolore il petto.

- Adesso, - disse, - adesso potete davvero uccidermi. O cacciarmi. Ma non c’è magia in questo, Arthur. Solo… noi due. Come sempre. Fin dall’inizio.

Attese. Gli occhi di Arthur erano fissi su di lui, spalancati, sconcertati. Poi, lentamente, quasi fosse un miracolo, le sue labbra rigide si dischiusero in un brevissimo sorriso: così rapido che morì ancora prima che fosse certo d’averlo visto. Tuttavia le braccia di Arthur lo avvolsero e lo strinsero forte, quasi a voler eliminare fisicamente tutto ciò che c’era stato tra loro due: segreti, parole, pensieri, affetti. Merlin si sentì rinascere.

- Merlin. Merlin. Io… scusami.

Scosse il capo nell’abbraccio. – Va bene. Mi scuso anche io. Va bene. Va tutto bene.

Mentre lo disse, dalla finestra entrò uno stupendo odore di pioggia. Quando alzò lo sguardo oltre la spalla di Arthur, finalmente scorse delle nubi addensarsi all’orizzonte. E all’improvviso si sentì rinascere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questa storia! Cos’è stata questa storia D:

L’ho scritta tutta in un giorno, per il Clash of the Writing Titans su maridichallenge (http://maridichallenge.livejournal.com/).

Boh. Non lo so. Non chiedete. E’ uscita così. Non è colpa mia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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