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Autore: Selene Silver    23/01/2012    1 recensioni
Forse questi sono tutti momenti che il tempo intrappola fra le sue mani di bimba, donna e vecchia, tenendoli lievemente sospesi in una valle d'oblio.
Genere: Malinconico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Nuovo personaggio
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più stagioni
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ANACRONIE.

 

La prima volta che la vide aveva sei anni. Stava rannicchiato sul sedile posteriore dell'auto di suo padre, che un giorno sarebbe diventata sua. Suo fratello gli dormiva in braccio, con la testolina posata sulla sua spalla come il più leggero ed importante dei fardelli.
Guardando fuori dalla finestra, aveva scorto una figurina piantata all'angolo della strada, sotto un cartello verde. Una ragazza dai lunghi capelli scuri ed un giubbotto che quasi le arrivava ai piedi. Guardava intensamente verso l'auto, verso lui, come se lo stesse cercando. O aspettando.
Allora, spaventato ed insieme affascinato da quella strana presenza, si era stretto di più Sammy al petto, senza osare però distogliere lo sguardo. Avrebbe voluto. Forse, avrebbe dovuto. Vide anche a quella distanza che la ragazza aveva gli occhi neri. Proprio come il cielo di notte. Fissava verso di lui, direttamente dentro la macchina ferma al semaforo rosso.
Poi suo padre aveva schiacciato di nuovo l'acceleratore, avanzando lentamente sulla strada poco trafficata. Era tutto di una luminosità incredibile ma polverosa; la tipica luce delle giornate d'inizio estate al Sud. Poco più avanti, ricordava l'insegna rossa di una tavola calda, il verde del cartello sotto cui stava la ragazza, il blu della giacca di denim di un uomo dall'altro lato della strada. Il vento aveva sollevato un vortice di polvere ed i capelli di lei nel vento.
Ricordava tutto così bene, ora; ma per anni quella memoria era rimasta sepolta dentro di lui, dimenticata.
Mentre l'auto che un giorno sarebbe stata sua si allontanava da quella città di cui forse non aveva mai saputo il nome, lui si era voltato indietro e aveva visto che lei era ancora ferma lì; una figurina sottile e solida sotto un cartello all'incrocio. Lo guardava e sorrideva, e nel suo sorriso c'era una fiducia assoluta ed incrollabile.

Dieci anni dopo. Anche allora stava all'angolo di una strada, ma voltata di spalle, con le mani ficcate nelle tasche ed i capelli che le scendevano in onde oltre la metà della schiena.
Era stata la stessa sensazione che le persone provavano nei suoi confronti a farlo avvicinare, senza sapere neanche cosa volesse da quella ragazza. Quando le era arrivato accanto, si era chinato appena su di lei, che gli arrivava alla spalla e sembrava infinitamente minuta sotto i vestiti troppo larghi che indossava.
L'unica cosa che gli fosse venuto in mente di chiederle, senza neppure sapere chi fosse o averla mai vista, era stata: «Cosa stai aspettando?»
La ragazza si era voltata e gli aveva sorriso in modo dolce, come se lo conoscesse. C'era tanta familiarità nel suo viso da fargli credere che fosse vero.
Anche quel momento era fissato nitidamente nella sua memoria, in colori vividi e sensazioni cristalline; la consapevolezza di essere in una città marittima, il biancore abbacinante dei vestiti dei passanti tutt'attorno a loro. La ragazza indossava un cappotto rosso e grigio e aveva gli occhi neri, come il cielo di notte. Sembrava che la realtà si librasse sopra e attorno a loro come la patina opaca che circonda i sogni.
«Sto aspettando una persona importante.» Sorrideva come se non fosse davvero lei ad aspettare. Sorrideva come se gli stesse svelando un segreto.
«E arriverà presto?»
«Arriverà fra un attimo. Fra quindici anni. È qui già da tanto tempo» replicò la ragazza, senza scomporsi di fronte alla sua perplessità. «Devi solo avere un po' di pazienza.»
«Non sono mai stato bravo ad aspettare.»
«Forse è solo un preconcetto che hai su te stesso» suggerì lei, come se stesse stuzzicando la sua pelle sensibile con una piuma. Aveva ammiccato, i lunghi capelli ondulati che le coprivano metà del viso, quindi aveva alzato la testa verso l'alto. Il sole era troppo bianco e troppo forte, nel ricordo. La pelle della ragazza era pallidissima, ed i suoi occhi brillanti d'intere costellazioni.

E sette anni dopo, al crocevia di una piccola città imbiancata di neve, sotto un cielo ancor più bianco della sua pelle.
«Stai ancora aspettando?»
Si era voltata verso di lui con un sorriso di benvenuto. «Tutti aspettiamo, sempre.»
«Chi stai aspettando?» Il fiato gli si condensava davanti al viso, in candide, spesse nuvolette. Il suo calore si disperdeva irreparabilmente nell'aria gelida. Suo fratello voleva lasciarli. Come aveva ragione, lei. Tutti aspettano qualcosa. Lui aspettava che la sua famiglia finisse in pezzi.
«Un uomo speciale» aveva risposto la ragazza, senza distogliere lo sguardo dal suo viso. Forse sapeva tutto, perché nei suoi occhi scuri per la prima volta si era affacciato uno spicchio di tristezza. «Un uomo in trench.»
Dean aveva riso, nuvolette di divertimento senza allegria a ghiacciarsi davanti al suo volto. Il calore stillava via come sangue da una ferita. «Dev'essere un vero sfigato.»
Era stato da quell'incontro in poi che le memorie diventavano concrete e più che semplici sogni. Eppure ogni dettaglio era ancora impresso nelle sue retine, pur senza lo strazio dei colori troppo vividi a ferirgli la mente. No; in quel ricordo c'era soltanto bianco. I contorni dei tetti delle case a tagliare il cielo. Il cappotto della ragazza, una macchia di colore brillante.
«Perché lo aspetti?»
«Porterà un cambiamento.» E, vedendolo accigliarsi; «A volte cambiamento vuol dire aiuto. Vuol dire felicità.»
«A volte vuol dire tanto silenzio e tanta rabbia da spezzarti il cuore.»
La ragazza tornò ad affondare lo sguardo nel candore che li circondava, senza dir nulla per un po'. Poi aveva socchiuso le labbra, e solo allora lui aveva notato che anche le sue parole ed il suo calore si condensavano in quel vuoto bianco e freddo. «Sì, è vero. A volte vuol dire anche questo.»

E quattro anni dopo, sotto un sole torrido, carcasse di macchine da demolire sparse su un terreno polveroso; le spalle scottate e la maglietta incollata al petto e alla schiena dal sudore, la sensazione di essere rovente fuori e ghiacciato dentro.
Si era sfilato da sotto quell'auto ora sua che stava riparando, e aveva notato la sua figura. Il lungo cappotto rosso e grigio, indossato nonostante il calore. La strada vuota si estendeva per chilometri e lei stava lì e basta, con vortici di polvere sollevati tutt'attorno insieme a quell'atmosfera sospesa che era solo sua.
«Aspetti ancora?» aveva chiesto, la voce ruvida come carta vetrata, il tono pieno di rabbia. Come a dire che non c'era più nessuno da aspettare.
La ragazza l'aveva guardato e basta, come se tutta la pena del mondo fosse racchiusa nei suoi occhi; un lungo serpente nero arrotolato attorno ad una pietra d'arenaria.
Avrebbe voluto urlarle di non guardarlo così. Avrebbe voluto urlarle di smetterla d'illuderlo. Avrebbe voluto urlarle che non gliene importava nulla della sua fottuta mezzasega in trench, che prometteva di arrivare da quanti, vent'anni?
E si era ritrovato ad ansimare, come se davvero avesse urlato, gridato fuori tutta la sua rabbia fino a stracciarsi i polmoni; ma si sentiva la gola stretta, tanto che, pur volendo, non ne sarebbe uscito neppure un suono.
«Sì, Dean.» La sua voce era dolcissima, il modo in cui aveva pronunciato il suo nome tagliente come la lama d'un pugnale. Per la prima volta, l'aveva toccato. Appena uno sfioramento: due dita sulla guancia ruvida di barba, macchiata di grasso. «O forse sei tu, invece, che stai aspettando.»

E poi, due anni dopo, mezzo sbronzo davanti ad una bettola qualunque, gli occhi allucinati di qualcuno che ha visto l'inferno. Le aveva poggiato la mano sulla spalla, con un ghigno. Attorno c'era solo buio, ed il contorno appena accennato di un lampione potente abbastanza da dar luce solo a se stesso. «Allora? Ancora non si vede, il tuo moccioso in trench?»
La ragazza aveva sorriso con appena una punta di biasimo; un sogghigno, più che un sorriso. «Oh, no. È arrivato. Non te ne sei accorto, tu?» E a sua volta gli aveva poggiato una mano sulla spalla: a ricalcare, in modo goffo, l'impronta bruciata di un palmo molto più grande del suo.

E altri due anni. L'aveva trovata seduta in un'aiuola accanto al motel dove alloggiavano per una caccia, mentre andava a prendere da bere ad una macchinata.
Tutt'attorno all'edificio c'era solo buio, vegliato dal frinire dei grilli. La pelle nuda delle sue braccia si sollevava in piacevoli brividi di freddo nonostante il clima tiepido. Suo fratello dormiva - sperava - in una stanza tutta sua, mentre in quella di Dean, invece c'era un angelo nudo accoccolato - così umano! - fra le lenzuola, in attesa del suo ritorno.
Per la prima volta, lei aveva smesso di aspettare e si era tolta il suo cappotto, sedendosi con le gambe allungate e le braccia a sorreggerla su di esso. Inclinò la testa all'indietro per guardarlo, sorridendo con la pigrizia di un gatto. Indossava una giacchetta di velluto verde a coste sopra una camicia bianca col colletto largo. 
Per la prima volta, fu lei a cominciare la conversazione. «Sei felice?»
Dean aveva deglutito un sorso della sua bibita alla caffeina. Aveva guardato il buio attorno a loro, poi si era voltato verso la luce proveniente dalla sua stanza al pianterreno. «Ora? Sì.»
La ragazza non gli toglieva gli occhi di dosso, aspettando che finisse la frase. Ma lui decise di non farlo, di allontanare almeno per quella notte l'amarezza, la paura pressante del futuro.
L'aveva guardata, chiedendosi distratto se lei riuscisse a vedere il verde dei suoi occhi chiaramente quanto lui vedeva il nero dei suoi. «Se non ci fossi stata tu, forse avrei perso la speranza.»
Ma lei aveva scosso la testa, con un mezzo sorriso divertito. «No. Sei un maledetto testardo, Dean Winchester: avresti continuato anche solo per quello. Io ho solo ficcanasato. Ti ho dato… un piccolo incentivo, diciamo.»
«Be', grazie comunque.»
La ragazza si adombrò, tornando a guardare il buio della notte. Forse i suoi occhi neri di stelle e rocce riuscivano a distinguere ogni filo d'erba, l'asfalto dell'autostrada, tutti quei grilli dal frinire incessante. «Fra un po', Dean. Sarebbe più saggio se mi ringraziassi fra un po'. Ora è inutile.»
Quand'era tornato dentro la sua stanza, braccia nude, pallide e magre si erano tese verso di lui, richiamandolo ancora in un nido caldo di coperte. L'aveva baciato ad occhi chiusi, sentendosi di nuovo tranquillo, al sicuro, mentre Castiel gli toglieva, per la seconda volta quella notte, i pantaloni e la maglietta.
«Con chi stavi parlando?» gli chiese il suo angelo dagli occhi blu - e lui sapeva che blu lo erano per davvero anche nella sua vera forma: come avrebbe potuto essere altrimenti?
«Non lo so, Cas» aveva sospirato, passandosi una mano sulla bocca prima che l'altro la prendesse e se la posasse sulla guancia, allontanando quel gesto nervoso. «Col tempo, forse.»

E poi sei anni dopo, in un mondo distrutto, Dean Winchester, capo della resistenza a Lucifer, ex spada di Michael, la trovò ad attenderlo con le spalle appoggiate alla recinzione di Camp Chitaqua. Una sorta di amaro senso di vittoria gli ruggì nello stomaco, quando si rese conto che era lui che stava aspettando, questa volta.
Persino lei sembrava cambiata. Più vecchia. O forse, semplicemente più triste.
«Il salvatore in trench a quanto pare è morto e sepolto, eh?» Le allungò la bottiglia di whisky, prima sfidandola a prenderne un sorso, e poi, vedendo il suo sguardo gelido, levandola per augurarle un brindisi.
La ragazza non rispose, continuando a fissarlo. Il cappotto rosso e grigio adesso era abbottonato fin sotto il mento, le mani nelle tasche, gli occhi più neri che mai.
«Non hai esaurito il tuo compito? Non dovresti svolazzartene via come  hanno fatto gli altri angeli?»
«Forse non sono un angelo.»
«Mmh, forse no.» Si staccò dal collo della bottiglia rivolgendole un sorriso storto. «Non fa molta differenza.»
«Suppongo di no. Non ne ha mai fatta, in fondo.»
Dean attese, aspettando che lei continuasse a parlare. Ma la ragazza non lo fece, e lui aveva imparato a temerlo, quel silenzio. «Sei venuta a rimproverarmi perché non lo tratto bene?» chiese in tono puerile, come un bambino petulante.
«Sto solo cercando di capire come faccia l'amore a trasformarsi in questo modo. Una cosa strana, non credi?»
«Forse non è mai stato amore.»
Lei lo fissò. I suoi occhi erano così freddi, senza un briciolo di empatia. «Sei sempre stato un ottimo bugiardo. Tanto da crederti persino da solo.»
Lui serrò la mascella e provò quel desiderio che ormai da anni lo tormentava ogni volta che vedeva Castiel - e lui lo sapeva, ed ecco perché rideva e rideva e rideva. Desiderò colpirla, farle quanto più male poteva. Punirla perché sapeva chi era, perché non accettava per morto colui che era stato. Punirla perché gli chiedeva di tornare ad essere quell'uomo.
«Non capisci? Non capisci che è l'unica cosa che posso fare?» E non sapeva neppure se l'avesse urlato o se il suo fosse stato il mormorio iroso che rivolgeva a quello che un tempo era stato il suo angelo. Il suo angelo che ora marciva in una baracca puzzolente di erbe mezze decomposte, di sudore e sesso, e dell'odore chimico delle pillole. Dean distolse lo sguardo ricordando, in una staffilata così slealmente dolorosa, il profumo caldo che aveva il suo letto quando Castiel dormiva insieme a lui; una morbida massa di piume e sussurri. Amore.
Chi aveva tradito e abbandonato chi? E quali erano i motivi? Ed erano giusti? Potevano essere giusti?
Alzò lo sguardo su di lei, la odiò con tutte le proprie forze quando vide sul suo viso la stessa espressione che gli rifletteva lo specchio ogni mattina. Desiderò dilaniarla e farla sparire.
Ma la ragazza rise, amara come fiele. E Dean si augurò che quel veleno che lei gli aveva portato servisse almeno un po ' a contrastare quello che già gli circolava nelle vene.
«Cosa vuoi fare, Dean? Puoi uccidere l'amore, e i ricordi, e anche la morte, sì, anche lei. Ma il tempo?»
E quello d'altra parte era la memoria di un futuro labile, ma probabile, che si aggrappava con una forza selvaggia alle nebbie del presente pur di non sparire. Forse Dean Winchester non avrebbe mai vissuto quel momento. Forse sarebbe stato un attimo che solo il tempo ed il futuro avrebbero conservato fra le loro piccole mani di bambina, e di donna, e di vecchia.

Quattro anni prima, per l'ultima volta, lei lo aspettò all'angolo buio di una strada. Lui aveva gli occhi lucidi di lacrime ed alcool, una rabbia impotente a serrargli la gola. Vai avanti, Ancora. E ancora. E ancora. Mentre perdi pezzi. Il tuo cuore. La tua anima. Finché non ti rimane solo il cervello. Un cervello ormai incapace di pensare. Che geme e piange e urla e prega di morire, solo morire.
«Non c'è più nessuno da aspettare, ragazzina» aveva detto, la voce arrochita ed impastata, resistendo a malapena alla tentazione di appoggiarsi a lei, scuoterla, chiederle perché.
Perché mi hai chiesto di aspettarlo? Perché mi hai chiesto di cercarlo? Perché me l'hai chiesto, se doveva finire in questo modo? «Che cazzo ci fai ancora qui?»
La ragazza si era voltata verso di lui. Non era cambiata: nella luce fioca, la sua pelle era sempre bianchissima, le sopracciglia due pennellate scure sopra gli occhi neri, pieni di costellazioni. Erano così limpidi, e pieni di un'insensata fiducia. Ma, a metà fra lo stordimento dell'alcool e quello del dolore, non riusciva a capire a chi fosse rivolta.
«Sto aspettando una persona importante.» Sorrideva come se non fosse davvero lei ad aspettare. Sorrideva come se gli stesse svelando un segreto.
E pur col desiderio di vomitare piantato alla bocca dello stomaco, lui aveva deciso di concederle - concedersi - quell'attimo di dejà vu. «Chi è?»
«Un uomo speciale. Un uomo in trench.»
«Dev'essere un vero sfigato.»
Lei sorrise vagamente, sollevando lo sguardo verso il cielo offuscato dalle luci della città. La voce di Dean era stata malferma, quando aveva deciso di ritornare al presente. Un presente meno doloroso di quello vero, però. «Tornerà?» E in tutti quegli anni, non aveva neanche capito se lei esistesse o meno.
«Ma certo. Come ogni altra cosa.»
Le sue labbra tremarono mentre decideva di fingere ancora, solo un altro po'. «Fra quanto?»
«Fra un attimo. Fra quindici anni. È già qui da tanto tempo. Non è mai andato via.»
«Posso aspettare con te? Ormai non mi pesa più, aspettare.»
Lei aveva sorriso guardandolo con una dolcezza infinita, gli occhi ancora limpidi, senza lacrime. «Se vuoi, possiamo rimanere fino all'alba. Poi tu dovrai andare. Io sono solo una ficcanaso, ricordatelo. Ti basta?»
«… Va bene. Per come stanno le cose adesso, mi basta.»

Sotto un albero sono seduti due bambini. Uno indossa un trench troppo largo, e l'altro ha gli occhi verdi. Tiene la testa appoggiata sulle ginocchia del primo. Il moro dagli occhi blu gli passa le dita sul viso, soffermandosi spesso sull'arcata del naso, come volesse sentire le lentiggini che la punteggiano.
«Dove siamo?» chiede il bambino con gli occhi verdi ed i capelli biondi.
«Importa?» risponde l'altro, dolcemente.
I loro sguardi s'incontrano e si sorridono, piano piano, e non dicono più niente.
Poco lontano, un altro bambino con i capelli castani e gli occhi verdi tenta di leggere un libro, mentre una bimba bionda gli fa il solletico sul collo e gli soffia nell'orecchio. «Daaai, Jess!» esclama lui, tentando di soffocare una risata.
Nella valle, ci sono altri bambini; una bionda e con le trecce, un'altra rossa che corre dietro ad un bambino con un lecca-lecca in mano. C'è un bambino biondo e magrolino che li osserva con un sorriso beffardo prima di lanciarsi dietro di loro.
Altri due bambini, più grandi degli altri, cercano d'ignorarsi anche se i loro occhi scivolano in continuazione per cercarsi, e le loro bocce s'inclinano in lievi sorrisi subito soffocati.
Ci sono una bambina bionda ed uno moro che si tengono per mano e passeggiano lungo il prato.
Forse questi sono tutti momenti che il tempo intrappola fra le sue mani di bimba, donna e vecchia, tenendoli lievemente sospesi in una valle d'oblio.



1) La splendida, ma che dico, PERFETTA fanart all'inizio di sicuro non è opera mia, ma della geniale LalaLettie
2) La ragazza indossa un fottuto cappotto perché io non sono abbastanza intelligente da donarle un oggetto caratteristico originale.
3) I tempi sono probabilmente confusi perché dopo un po' tutti quei calcoli iniziavano a farmi venir male alla testa. Io e la matematica non andiamo d'accordo. Sono discalculica, okay?
[4) Postare con un computer non mio fa schifo.]
5) Descrivere i personaggi di questa serie da bambini è una cosa così tenera ç^ç Soprattutto Anna e Balthe che inseguono Gabriel. Ma anche Mike e Lucy che si guardano di soppiatto. E... oh, balle, anche tutti gli altri ç____ç
6) Mmmh, non so se il rating sia propriamente verde. Oh, be', a parte Cas nudo che poi spoglia Dean, non mi pare ci siano zozzerie (ma comunque non è una zozzeria neanche questa T^T Oooh, la prossima sarà come minimo un'arancione èwè) o___O
7) Giudico questa fiction un po' meglio della precedente, se non altro più riflettuta e sentita - mi girava in testa da quasi un mese - quindi ditemi cosa ne pensate voi! :D
[8) La foto di Jensen con una t-shirt dei Led Zeppelin mi sta uccidendo]
  
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