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Autore: Taila    24/01/2012    6 recensioni
Eppure in quel momento l’idea di provare a suonare quello strumento, il violino di Sherlock, lo attraeva in un modo irresistibile, perché c’erano state notti in cui l’Afganistan era così vivido nella sua testa da sentire la consistenza della sabbia sotto le dita e il rimbombo delle esplosioni nelle orecchie, e John sgusciava fuori dalle lenzuola come se il letto improvvisamente fosse diventato incandescente, sudato e ansimante come in una di quelle mille corse che aveva dovuto fare per non essere colpito da un proiettile. Disorientato si guardava intorno per capire dove fosse, fino a quando la melodia di quel violino suonata nel cuore della notte non lo ancorava nuovamente alla realtà, quasi come se il suo musicista sapesse. Cercando di imitare la posa che tante volte aveva visto assumere a Sherlock, posò lo strumento sulla spalla e ci appoggiò il mento sopra, tenendolo per l’estremità allungata con la mano sinistra, mentre con l’altra sollevò l’archetto e lo appoggiò sulle corde. John sorrise, sentendosi un po’ come quando da bambino rubava la giacca e la cravatta al padre, per sentirsi già grande.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Di incubi e violini
Autore: Taila
Serie: Sherlock (bbc)
Genere: Romantico, sentimentale, fluff
Tipo: One – shot, slash, slice of a life
Pairing: Sherlock Holmes x John Watson
Raiting: Verde
Disclaimers: I personaggi presenti in questa shot non appartengono a me, ma a Sir Arthur Conan Doyle in primis, a Moffat e della bbc, e a tutti coloro che ne detengono i diritti. Li ho presi in prestito soltanto per puro divertimento (e per vedere il nostro detective che sprimaccia a piacere il suo dottore *-*) senza scopo alcuno di lucro.
Note: Mia prima fic su Sherlock *ç* L’idea mi è venuta mentre cercavo qualsiasi cosa che riguardasse questo pairing in rete e mi sono trovata davanti un’immagine bellissima, in cui Sherlock sta dando lezioni di violino al suo dottore preferito. Ho deciso quindi di buttarmi ed eccomi qua. Di solito me la cavicchio con geni strampalati, ma Sherlock esula da qualsiasi Spencer Reid o Charlie Epps, quindi non so davvero come sia il risultato finale. Questa è una shot semplice semplice, ma spero comunque di non aver fatto un disastro completo, di essere riuscita a mantenere i personaggi sufficientemente IC.
Ringraziamenti: Ringrazio chiunque leggerà e commenterà questa shot (inchino!).
Adesso la smetto di chiacchierare e vi lascio alla lettura, alla prossima shot gente \^O^/



Di incubi e violini


John si girò tra le lenzuola, con un gesto secco e irritato.
I fantasmi dell’Afganistan erano tornati a soffiare più furiosi e gelidi che mai nella sua testa. Immagini, suoni e odori gli avevano invaso la testa, riempiendola fino a dargli la sensazione che stesse per scoppiare. Ma la cosa peggiore era quel senso di freddo che gli sciabordava lungo tutto lo scheletro, raggrinzendogli la pelle in mille brividi che gli squassavano il corpo come convulsioni.
John si appallottolò su se stesso, cercando di scacciare il freddo e i brividi, affondando la faccia nel cuscino per non mettersi a piangere come un bambino e mordendo la federa del cuscino per non urlare come un codardo. Odiava quei momenti con tutto se stesso e odiava ritrovarsi assediato dai suoi ricordi di guerra dopo settimane passate in uno stato di profonda quiete, perché gli dava la stessa sensazione di svegliarsi da quello che si credeva un bel sogno e scoprire subito dopo di essere invece ancora intrappolati in un incubo.
È disumano!
Quando gli fu chiaro che non sarebbe più riuscito a riaddormentarsi, John decise di andare in cucina e prepararsi una tazza di latte caldo per conciliarsi il sonno, ricordava che quando era piccolo e non riusciva a dormire, sua nonna si presentava in camera sua con una tazza fumante in mano, che spandeva nell’aria un lieve odore di miele e dopo riusciva a dormire fino al mattino successivo. Non credeva che una tazza di latte caldo sarebbe riuscito a vincere i ricordi della guerra, ma tentare non sarebbe costato nulla. Allontanò le lenzuola che ancora erano arrotolate attorno al suo corpo e notò che erano umide di sudore, si passò una mano sul collo e, quando le ritirò, aveva la punta delle dita appena bagnata. Era sempre così, più i suoi incubi era caotici e spaventosi, più si agitava e sudava. Si asciugò con un maglione usato che il giorno dopo avrebbe dovuto mettere in lavatrice e indossò il pantalone di una vecchia tuta e la solita maglietta a maniche lunghe bianca a righe blu, per poi uscire dalla stanza.
Le notti londinesi erano particolarmente rigide, niente a che vedere con quelle del deserto mediorientale, ma rabbrividì comunque nel buio del corridoio che stava percorrendo a piedi scalzi. Si fermò sulla soglia del salotto e notò con soddisfazione che il divano era vuoto e Sherlock non era rimasto sveglio a riflettere su chissà cosa, che finalmente si stava concedendo qualche ora di riposo. Per andare in cucina doveva attraversare il piccolo salotto e, mentre passava accanto alla poltrona, notò che tra i cuscini era appoggiato il violino del suo coinquilino. John si fermò a osservarlo, incuriosito. La luce dei lampioni che entrava dalla finestra scivolava languida sul profilo dello strumento, accendendo di delicati riflessi dorati il legno scuro. Piano, come se temesse di romperlo, sollevò la mano e con la punta delle dita lo sfiorò, sentendo la sensazione di liscio e freddo sotto la pelle.
Era la prima volta che John osservava quel violino senza che fosse stretto tra le mani di Sherlock. A quel pensiero subito nella sua mente si formò l’immagine vivida del suo coinquilino in piedi al centro di quella stessa stanza, che strappava a quelle corde melodie dolci come ninnananne oppure irritanti come il graffiare di un gesso sopra una lavagna. Con un gesto dal sapore quasi religioso, John sollevò il violino tra le mani e lo soppesò, trovandolo più leggero di quanto pensasse. Non gli era mai interessato lo studio di uno strumento musicale da ragazzo, aveva sempre preferito spendere il suo tempo nello studio, con le ragazze e gli amici, poi semplicemente era partito per la guerra e non ce n’era stato più il tempo né la voglia. Trovava che suonare uno strumento non gli si addicesse e, se proprio fosse stato costretto, di certo non avrebbe scelto il violino.
Eppure in quel momento l’idea di provare a suonare quello strumento, il violino di Sherlock, lo attraeva in un modo irresistibile, perché c’erano state notti in cui l’Afganistan era così vivido nella sua testa da sentire la consistenza della sabbia sotto le dita e il rimbombo delle esplosioni nelle orecchie, e John sgusciava fuori dalle lenzuola come se il letto improvvisamente fosse diventato incandescente, sudato e ansimante come in una di quelle mille corse che aveva dovuto fare per non essere colpito da un proiettile. Disorientato si guardava intorno per capire dove fosse, fino a quando la melodia di quel violino suonata nel cuore della notte non lo ancorava nuovamente alla realtà, quasi come se il suo musicista sapesse. Cercando di imitare la posa che tante volte aveva visto assumere a Sherlock, posò lo strumento sulla spalla e ci appoggiò il mento sopra, tenendolo per l’estremità allungata con la mano sinistra, mentre con l’altra sollevò l’archetto e lo appoggiò sulle corde. John sorrise, sentendosi un po’ come quando da bambino rubava la giacca e la cravatta al padre, per sentirsi già grande.
- La posizione è errata.- disse all’improvviso la voce di Sherlock, da qualche parte nel buio.
E lui, ex soldato che aveva passato notti infinite a fare la ronda al campo in attesa di un attacco che forse non sarebbe mai arrivato, fu preso completamente di sorpresa, sobbalzò e fece un passo indietro, rischiando di inciampare nei suoi stessi piedi e cadere a terra. Subito dopo si guardò intorno, cercando di capire dove fosse l’altro e chiedergli cosa ci facesse nascosto al buio nel cuore nella notte invece di dormire.
- Stai guardando nella direzione sbagliata.- si fece di nuovo sentire la voce del consulente detective.
Poi John vide emergere dalle ombre che si erano addensate sul fondo alla stanza la sua figura alta e snella, imponente. Fece scorrere lo sguardo sui ricci neri annodati attorno alla testa come una nube temporalesca, sulla pelle bianchissima che sembrava risplendere di una leggera polvere in quella penombra appena rischiarata dalla luce che proveniva dall’esterno, sulle sue labbra sottili che in quel momento sembravano aver catturato l’ombra di un sorriso e infine cercò il suo sguardo, quegli occhi chiarissimi, di un colore indefinibile che sembravano sezionarlo fin dentro l’anima, iridi simili a un lago ghiacciato in pieno inverno sotto la cui crosta bruciava un fuoco di cui il dottore era riuscito a scorgere il riflesso sulla superficie in un paio di occasioni.
Sherlock gli si avvicinò senza dire un parole, guardandolo soltanto, e John avvampò imbarazzato, sentendosi di nuovo come un bambino che però, questa volta, era stato sorpreso a fare qualcosa che gli era stata vietata espressamente di fare, e dire che era di qualche anno più grande dell’altro.
- Io… ecco… mi di…- stava farfugliando il dottore, senza sapere lui stesso cosa volesse dire in realtà.
Ma Sherlock fermò il suo balbettio poggiandogli le mani sui fianchi, grandi calde e dalle dita incredibilmente lunghe, e facendolo voltare fino a fargli appoggiare la schiena contro il suo torace. Alla fine di quelle manovre le guance del dottore erano colorate di uno spesso velo di porpora, sentiva il battito del cuore pulsargli nelle orecchie per l’emozione e l’odore intenso del suo amico ottundergli i sensi.
John si rese conto confusamente delle mani di Sherlock che scivolavano in lente carezze sulle sue braccia ricoperte dalle maniche della maglia, prima di stringersi delicatamente attorno ai suoi polsi e sollevargli gli arti che ancora stringevano violino e archetto. Il consulente detective abbassò la testa fino a portare la bocca contro l’orecchio destro del dottore, sfiorandogli la guancia con la punta del naso e la mandibola con un paio di ciocche dei suoi capelli. Con pochi gesti misurati riposizionò il violino sulla spalla del dottore e poi iniziò a parlare con quella sua voce bassa e corposa da uomo che si scioglieva densa e sensuale nell’orecchio di John, portandolo a un passo dal gemere.
- Devi tenere il braccio che sostiene l’archetto più sollevato e devi pizzicare le corde con la punta dei polpastrelli.- gli spiegò stranamente gentile e disponibile.
Per un attimo John temette che Sherlock si stesse comportando in quel modo con lui per un altro dei suo esperimenti, ma quando le labbra dell’altro uomo gli baciarono quel pezzettino di pelle dietro l’orecchio, decise che non gli importava niente: qualsiasi cosa stesse tramando, valeva la pena di assaporare quel momento.
- Prova.- lo incitò Sherlock, prendendogli il lobo dell’orecchio tra i denti.
John represse un altro gemito, inspirò e mosse l’archetto sopra le corde, producendo un suono stridulo che sembrò quasi il lamento di un gatto agonizzante. Sherlock davanti quel suo tentativo miseramente fallito iniziò a ridacchiargli nell’orecchio e il dottore non riuscì a sentirsi offeso nell’udire quel suono che si scioglieva dentro di lui come morbido come il ronfare di un gatto. Era così stupidamente innamorato di Sherlock che si faceva schifo da solo, considerò con un sospiro tra il rassegnato e il depresso, mentre osservava i lori riflessi abbracciati sui vetri della finestra davanti a loro.
- Tu hai avuto tutta la vita per allenarti.- protestò comunque, giusto per non fargli capire quanto potere avesse su di lui.
- Io non ho mai perso tempo a correre dietro le gonnelle.- gli rispose il detective con le labbra contro la pelle della sua gola che stava baciando, senza riuscire a nascondere una minuscola vena di gelosia.
- Io per anni ho suonato uno strumento che produceva un’unica nota e non era piacevole ascoltarla.- ribatté il dottore con un sorriso amaro, ripensando a quel fucile che tante volte aveva imbracciato in guerra.
La stretta delle mani di Sherlock sui polsi del dottore si allentò, con un braccio gli strinse la vita tirandolo ancora di più contro di sé, mentre le dita della mano sinistra presero il suo mento per voltarlo indietro. Per John era sempre così quando Sherlock lo baciava: tutto il resto perdeva completamente d’importanza, sfumava e si annullava in un nulla indistinto, lasciando vivo e reale soltanto l’altro uomo che scavava nella sua bocca come se volesse raggiungergli l’anima. Sherlock non era una persona facile, non con i suoi mille difetti e le sue infinite stramberie che lo portavano al limite della pazienza, ma era quel genere di persona che ti fa mancare la terra sotto i piedi con un unico gesto, con una gentilezza in aspettabile in un tipo come lui. Bisognava imparare ad andare oltre la patina di insensibilità che si era cucita addotto, scavalcare quei muri che si era così faticosamente costruito attorno per tutta una vita e John in momenti come quello arrivava a credere di essere riuscito finalmente a vedere Sherlock.
- Adesso lascia fare al professionista.- bisbigliò la voce del detective sulle labbra del dottore ancora umide di saliva.
John annuì sfregando il suo volto contro quello dell’altro, per poi consegnargli il violino e l’archetto. Sherlock sciolse quell’abbraccio e si sistemò davanti la finestra, con lo strumento già posizionato sulla spalla. Il dottore si sedette sul divano e per un attimo ancora assaporò la figura del suo compagno, quindi si abbandonò contro lo schienale e chiuse gli occhi, lasciandosi naufragare tra le note dolci della melodia che l’altro stava suonando.
Mentre scivolava nel sonno, John pensò confusamente che i fantasmi della guerra avevano smesso di ruggirgli in testa grazie a Sherlock.

  
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