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Autore: HeavenMayBurn    24/01/2012    0 recensioni
John ha sempre visto i suoi errori in faccia sorridergli da lontano prima che si avvicinassero a lui lentamente e, nonostante questo, non è mai stato capace di evitarli.
[Taking Back Sunday; John Nolan/Adam Lazzara. Scritta il P0rnFest#5 di fanfic italia e il COW-T#2 di maridichallenge.]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'You need me like a bad habit.'
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Disclaimer: I fatti narrati sono completamente di mia invenzione, i personaggi presenti in questa storia sono realmente esistenti ed appartengono a loro stessi, ed io non intendo dare rappresentazione veritiera ne del loro carattere ne della loro sessualità o offenderli in alcun modo. E per finire non guadagno nulla da tutto questo, boohya! \o/

Timeline: Autunno 2000.

Conteggio parole: 3.153

Note: Scritta per il P0rnFest#5 @ fanfic_italia con il prompt: RPF TAKING BACK SUNDAY, Adam Lazzara/John Nolan, Live up to your first impression. Well, my best side was your worst invention (One-Eighty By Summer - Taking Back Sunday)  e per il COW-T#2 @ maridichallenge con il prompt: pioggia.

L’ambientazione temporale di questa è l’autunno 2000.

E’ possibile (leggere: mi ci sto impegnando ma non assicuro nulla) che io decida di scrivere una serie su ‘le allegre avventure di Jesse, John e Adam perché ho così tanto headcanon da condividere *W*

E dopo queste basta con baby!John, baby!Jesse, baby!Laz e con tutto questo drama. D’ora in poi solo fanfic dove sono tutti zucchero e miele :|

Alla fine ho messo uno specchietto con un po’ di TBS!facts, in modo da spiegare un po’ :°D

Titolo della storia da Slowdance on the Inside dei Taking Back Sunday .

 

I’m lying just to keep you here.

 

Ci sono giorni in cui Adam ha l’impressione che siano passati anni da quando si è trasferito a Long Island.  Ormai conosce quei posti come se ci fosse cresciuto, riesce a riconoscere l’odore della pioggia e il rumore del vento. Aveva smesso di chiedere indicazioni un mese dopo essersi trasferito e, due mesi dopo, era il piccolo appartamento umido che divideva con John a venirgli in mente quando pensava a casa sua.

 

Adam appunta sul quaderno una frase che gli è appena venuta in mente, per poi cancellarla un secondo dopo con una riga.

E’ ormai sera, il cielo fuori è grigio scuro e la pioggia cade ad un ritmo incessante; rimbalza sul vetro della finestra e sui cofani delle auto. Un leggero vento soffia fuori dalla finestra, facendo sbattere le tapparelle contro il muro.

Lui ha una chitarra accanto e una matita tra i denti. Sfiora le corde con le dita mentre si passa si passa l’altra mano sui capelli e cerca di scrivere sul suo quaderno le parole che ha sulla punta della lingua da ormai tutta la sera. Prende un sorso della birra che aveva appoggiato al tavolino e si stiracchia, lanciando un’occhiata al foglio scarabocchiato e ricominciando da capo.

Dopo qualche minuto sente la porta di casa aprirsi e poi sbattere, e appoggia la schiena contro i cuscini del divano, lanciando un’occhiata in quella direzione.

 

Prima che John faccia scattare nuovamente la serratura, un po’ d’aria fredda entra in casa, e Adam si accorge di stare tremando leggermente.

John apre leggermente la bocca appena lo vede, colto di sorpresa, e Adam appoggia la chitarra sul tappeto. Dopo meno di un istante le sue labbra si piegano velocemente in un sorriso, lascia il giaccone bagnato su una sedia e lo raggiunge, lasciandosi cadere sul divano.

-Ehi- lo saluta con un sorriso e Adam si spinge in avanti, lasciandogli un leggero bacio sulle labbra. –Come mai già a casa? Pensavo lavorassi…-

Adam alza le spalle e lo bacia di nuovo, intreccia le dita nei suoi capelli corti e lo spinge sui cuscini e non riesce ad immaginare un modo migliore per passare la serata di questo. Baci lenti e languidi sul divano mentre schiacciano a caso i tasti della chitarra e cercano di scrivere qualcosa che non faccia completamente schifo. –Non c’era molto da fare, mi hanno dato la serata libera.- smette di parlare un istante e gli lascia un piccolo bacio sul collo. -Sai, pensavo potessi aiutarmi, c’è questa rima che non mi viene…-

John ride mentre Adam gli soffia quelle parole sulle labbra. –Oh, certo, una rima…-

–A meno che tu non abbia altri programmi…- dice quelle parole ironicamente mentre gli alza appena la maglietta ma quando incontra il suo sguardo vorrebbe ricacciarsele direttamente in gola.

-Ecco, io… Jesse mi ha invitato fuori per prendere una birra…- risponde John, e non ha la minima idea del perché si senta in bisogno di giustificarsi e ancor meno di scusarsi. Jesse è il suo migliore amico e Adam non sarebbe dovuto essere a casa quella sera. Ma comunque cerca la sua mano per intrecciare le dita con le sue.

-Oh,- Adam sospira mentre sente il suo cuore diventare un po’ più pesante nel petto. Cerca di fare del suo meglio per sorridere comunque. –Non importa.-

 

Sapeva chi era Jesse dal primo giorno in cui si era trasferito a Long Island ma aveva sempre sfruttato ogni occasione che gli capitava per evitare di avere a che fare con lui. Purtroppo, quasi subito si era reso conto che quella fosse un’impresa più difficile del previsto, visto che sembrava vivesse in simbiosi con tutti i suoi amici, soprattutto con John.

La prima volta in cui l’aveva visto di persona era stata la prima volta in cui aveva provato con i ragazzi. Adam sapeva stare prendendo il suo posto nella band ed aveva la sensazione che non avrebbero fatto amicizia, ma Jesse non gli aveva rivolto la parola. Si era appoggiato al muro con le braccia conserte e non aveva tolto lo sguardo da lui nemmeno per un secondo mentre Adam cercava di concentrarsi sulla musica facendo finta di non accorgersi degli sguardi che John gli lanciava.

Non glielo aveva mai detto chiaramente ma Adam aveva intuito subito che se voleva averlo nella sua vita, Jesse era un effetto collaterale. In poco tempo però aveva capito che quello che Jesse vedeva in lui non era altro che una seccatura che sarebbe sparita con il tempo.

E’ soprattutto il suo atteggiamento a farlo incazzare,  come ad esempio il fatto che nonostante lo frequentasse da ormai un anno, non avevano ancora litigato. Adam sapeva che era nell’aria, ma sembrava che la presenza di John impedisse alle scintille di centrare la miccia e fare accadere l’inevitabile.

Quando erano tutti e tre nella stessa stanza, Jesse osservava lui e John con la coda dell’occhio ed un mezzo sorriso sulle labbra, come se stesse aspettando il momento giusto per avvicinarsi e mandare a puttane tutto tra di loro. Paradossalmente, Adam non vedeva l’ora che si decidesse, che facesse cadere la maschera e rivelasse le sue vere intenzioni. Perché Jesse riusciva a far sembrare come se fosse tutto nella sua testa e Adam non era un pazzo, ne tanto meno uno stupido, ed era stanco di essere considerato tale. Jesse poteva darla a bere a tutti ma non a lui, e sapere di essere a conoscenza di cosa ci fosse sotto lo faceva sorridere; se avesse voluto, anche Adam avrebbe trovato il modo di colpirlo.

-Puoi venire anche tu. Lui non morde, sai.- mormora John scostandogli una ciocca di capelli dalla fronte.

Adam fa un mezzo sorriso, allontanando lo sguardo da quello di John. –Non mi va di rischiare.-

 

Prima che i baci tra di loro avessero smesso di sapere di whiskey, in una delle tante serate passate nel seminterrato di Eddie quando tutti gli altri si erano ormai addormentati e loro due erano rimasti gli unici svegli, John si era offerto di accompagnarlo fuori a fumare una sigaretta. Adam quella sera aveva finito tutto il pacchetto.

Si erano seduti su uno dei gradini del giardino e non avevano smesso un attimo di parlare. Adam aveva raccontato di quando viveva ancora in North Carolina e di tutte le notti passate in macchina per raggiungere il luogo di un concerto di cui era venuto a conoscenza solo nel pomeriggio, e John aveva parlato di Jesse, dei litigi, del rancore e di quello che era accaduto tra di loro. Aveva raccontato ogni cosa sulla la loro amicizia e tutta la verità.

Adam aveva ascoltato in silenzio e, quando John ebbe finito, gli aveva dato un leggero bacio sulle labbra ed poi era tornato dentro con un sorriso. John aveva detto tutto quello che c’era da dire su Jesse, e forse adesso avrebbero potuto cominciare a parlare di loro.

In realtà entrambi i discorsi erano rimasti aperti e, ormai sempre più spesso, Adam ha la sensazione che tutta la verità non sia altro che un’ottima scusa da tirare fuori al momento opportuno.

 

-Oh, andiamo…- John gli bacia un angolo delle labbra, Adam sente i suoi occhiali graffiargli appena la guancia e vorrebbe mandarlo all’inferno, perché questa è l’unica serata libera che avrà in settimane e l’aveva presa per stare con lui. E, comunque, preferirebbe passare tutta la notte al ristorante e tornare a casa con la puzza di fritto attaccata ai vestiti che trascorrerla in compagnia di Jesse Lacey. Probabilmente però l’unica cosa che Adam ha in comune con Jesse è il fatto di non riuscire a dire di no a John.

Cerca le sigarette nella tasca dei suoi jeans e ne accende una, prima di annuire con un sospiro.

John gli lascia un bacio umido sulle labbra e in quel momento Adam pensa che, fanculo Jesse e fanculo ogni altra cosa, John è lì con lui ora ed è l’unica cosa che conta. Per un attimo non sembra che tutto gli stia per crollare sotto i piedi, non ha l’impressione di essere il manifesto dei cuori infranti, non si sente una seconda scelta.

-Andiamo- mormora John rimettendosi la sciarpa e recuperando il giaccone dalla sedia. Adam annuisce e il momento è ormai passato.

 

Il pub è a pochi isolati dal loro appartamento e questa è una di quelle sere in cui il freddo ti entra nelle ossa e ti fa irrigidire le spalle. John intreccia le dita con le sue e comincia a correre mentre lui ride e l’ombrello si rompe sotto la forza del vento. Ed è così facile, evitare le pozzanghere rischiando di cadere, stare con Adam, pesare solo a quello che sta succedendo adesso, che nel momento stesso in cui la mente di John è attraversata da questo pensiero, esso finisce.

La verità è che Adam e Jesse, per essere due persone che non si sopportano, hanno un’infinità di cose in comune. Sono tutto quello che lui non riesce ad essere, nonostante ci provi.

John ha sempre visto i suoi errori in faccia sorridergli da lontano prima che si avvicinassero a lui lentamente e, nonostante questo, non è mai stato capace di evitarli.

 

Adam si ferma in mezzo al marciapiede, sotto un piccolo balcone che ripara appena entrambi dal temporale. Le gocce di pioggia cadono lungo la sua fronte e il suo cappotto è ormai fradicio. John gli lancia un’occhiata interrogativa e lui gli si butta addosso, bagnando completamente anche i suoi vestiti. Le sue labbra sono fredde e screpolate per via della pioggia ed il vento, e il sapore delle sigarette è ancora sulla sua lingua.

-Che stai facendo?- gli mormora John, rimettendosi a posto gli occhiali sul viso, e Adam lo bacia ancora e poi di nuovo, stringendogli i polsi tra le dita e prendendogli il labbro tra i denti.

-Adam,- prova di nuovo John, mettendogli una mano sul petto e spingendolo indietro. –Siamo già in ritardo.-

-Non mi importa- gli risponde, e John riesce a sentire il rumore del suo respiro contro le sue orecchie.

-E quindi il tuo piano sarebbe passare la serata qui sotto la pioggia?-

Adam alza le spalle e guarda John, ed entrambi hanno la sensazione di vivere in una specie di limbo. Quella scena l’avevano vissuta così tante volte da averne perso il conto e, ogni volta, Adam si trovava a odiare Jesse un po’ di più. –Il mio piano è di passare la serata con te.-

John scuote la testa, fa un passo indietro e il suo sguardo fugge lontano. –Non voglio fare questo discorso con te ora.- sissirra chiudendo la cerniera del proprio giaccone e stringendosi nelle spalle.

Adam lo guarda per un istante, alza la voce e, ancora una volta, John rivede nel suo sguardo gli occhi azzurri di Jesse e si chiede come faccia a cacciarsi sempre in queste situazioni.

–No, John, tu non vuoi fare questo discorso e basta.- dice mentre sente la rabbia scorrergli insieme al sangue, veloce nelle vene. –Anzi, no, scommetto che in realtà non vedi l’ora. Così puoi dimostrare quanto tu sia maturo. Quanto entrambi siate meglio di me-

Adam si morde la lingua ma non può rimangiarsi quelle parole. E così rimane fermo, mentre sente gli occhi pizzicargli leggermente, perché alla fine parte tutto da qui. Dall’orribile sensazione che ha quando li vede insieme, quando si accorge che il suo sguardo non è il primo che John cerca nell’istante in cui entra in una stanza.

Sa che dovrebbe odiarlo per quello; la verità è che è consapevole anche che non ci arriverà mai nemmeno vicino.

 

John respira dal naso e cerca comunque di mantenere la voce bassa per non attirare l’attenzione. Ormai non si accorge nemmeno più delle gocce di pioggia che gli cadano sul viso.

E’ stanco di quella discussione, del fatto che ci sono momenti in cui sembra che entrambi non facciano altro che girare intorno allo stesso punto, si sta stancando di ripetergli che ha scelto di stare con lui e non con Jesse. E, in questi istanti, ne ha abbastanza anche di Adam.

-Io non ce la faccio più.- mormora socchiudendo le palpebre mentre sente la rabbia scivolare via. Sa che ne lui ne Adam potranno mai vincere; non in quella discussione e non quando lui vede tutto ciò che lo circonda come una dichiarazione di guerra nei suoi confronti, non quando è convinto di avere sempre qualcosa da provare a dei critici che in realtà non esistono.

 

Adam non ha idea di cosa rispondere.

Vorrebbe chiedere a John cosa si aspettasse quando entrambi avevano deciso di provarci sul serio. Erano sempre stati quello, baci che tolgono il respiro, scenate e rabbia, e John non ha alcun diritto di esserne sorpreso. Non ora che Adam era affondato così tanto dentro di loro da avere paura di non riuscire ad uscirne, non quando solo il pensiero di perderlo gli fa venire la nausea.

Indifeso, dipendente e solo; solo John ha il potere di farlo sentire così.

Si tira indietro i capelli con la mano e ricomincia a camminare verso il pub. Con la coda dell’occhio vede John accelerare il passo per stargli dietro, ma lui non accenna a rallentare ed entra dentro lasciando che la porta sbatta alle sue spalle.

 

John rilassa le spalle appena varca la soglia del locale.

Il bar è piccolo ed illuminato da una pallida luce di un colore freddo in contrasto con i tavoli di legno scuro. Dentro ci sono meno di dieci persone, c’è una partita in televisione e quasi nessuno comunque lo nota entrare.

Jesse e Vin sono seduti ad un piccolo tavolino in un angolo in fondo alla stanza, davanti a loro ci sono due boccali di birra ormai vuoti e nel piatto dei salatini ormai non sono rimaste che briciole.

Vin gli sorride appena lo nota e prende le ultime noccioline rimaste. –Che è successo?- domanda con un’aria interrogativa, chiedendosi se gli ombrelli avessero smesso di andare di moda.

John lascia cadere il giaccone in una delle sedie accanto a loro ma rimane in piedi. -Non è il momento.- taglia corto e sospira. –Dov’è andato?-

-In bagno… Ma che diavolo avete tutti e due?-

John scuote la testa ma riesce comunque a notare il mezzo sorriso solcare le labbra di Jesse. In pochi, minuti quella che poteva essere una serata rilassante da passare con le persone che contavano di più, si era trasformata in un vero disastro; e la cosa peggiore era che John non aveva idea di come fosse successo, ne di come fare ad impedire che continuasse a peggiorare. Cosa che, a quanti pare, stava accadendo. -Jess, davvero, non adesso.-

Jesse alza le mani e prende un altro sorso dalla propria birra. –Io non ho detto nulla.-

 

Apre la porta del bagno con il gomito e Adam è in piedi appoggiato ad uno dei lavandini, con l’acqua aperta che scorre davanti a lui.

-Lasciami in pace.- gli dice tra i denti lanciando un occhiata al suo riflesso nello specchio.

John fa qualche passo in avanti, lasciando piccole macchie bagnate sul pavimento di ceramica, e vorrebbe davvero sputargli in faccia quanto, per una volta, desiderasse che le cose fossero facili, nonostante anche lui sappia che non lo saranno mai. Perché loro da qualche tempo sono o troppo o troppo poco; le cose non vanno mai abbastanza male da fargli decidere di andarsene e abbandonare tutto, ma nemmeno abbastanza bene da sembrare giuste.

Appena si trova così vicino a lui da sentire il rumore del suo respiro, anche Adam si volta. Lo spinge contro il muro e John si graffia le nocche delle mani contro l’intonaco vivo che si sta scrostando dalla parete; ancora una volta sta seguendo il suo istinto e, ancora una volta, ha la sensazione che non andrà bene. In un attimo la sue labbra sono di nuovo contro quelle di John. Lui trema leggermente, intreccia le mani nei suoi capelli, tirandolo ancora di più a se e serrando le palpebre.

Adam non gli lascia nemmeno il tempo di respirare, gli stringe la stoffa della maglietta tra le dita e spera che ogni parola che John voglia pronunciare venga inghiottita dalla sua bocca.

Un respiro gli si spezza in gola quando John apre gli occhi e comincia a muovere il bacino contro i suoi jeans bagnati.

Adam pensa che magari stanno sbagliando davvero a continuare, che semplicemente non sono adatti a funzionare e che, forse è proprio quello che a John piace di lui; vederlo in ginocchio davanti a lui.

Ma quando John cerca le sue labbra, in quel momento ogni genere di pensiero sparisce dal suo cervello.

Non può essere sbagliato se riesce a farti venire i brividi sulla pelle e farti battere il cuore così forte nel petto.

Porta la mano all’indietro e apre la porta di uno dei cubicoli alla cieca, spingendo John dentro e chiudendo nuovamente la serratura. Dentro la luce è tenue e sul muro ci sono decine e decine di scritte in pennarello; Adam smette di guardarle quando John gli lascia qualche piccolo bacio agli angoli delle labbra, sfiorandogli appena il collo con la punta delle dita.

 

Le parole che John vorrebbe dire ad Adam si sono bloccate nella sua gola insieme al suo respiro. E’ da un po’ che ha la sensazione che ogni passo fatto per avvicinarsi è un passo di cui poi entrambi si sarebbero pentiti e, ormai, avevano camminato così tanto da non ricordare nemmeno da dove erano partiti.

E’ sempre stato così, continuava a rimandare per cercare di trovare parole migliori da dire ma queste non arrivavano mai.

Abbassa lo sguardo, aprendo la zip dei suoi jeans e scostando l’estatico dei boxer quel tanto che bastava per infilarci dentro la mano. Adam si morde un labbro e appoggia la fronte contro la sua spalla e John decide di aspettare ancora perché forse con Adam ne vale la pena. Prima o poi le parole giuste verranno da sole e, forse, saranno proprio quelle che entrambi avrebbero voluto sentire.

Adam si morde le labbra, chiude gli occhi e si domanda come una sega in un cesso di un bar di periferia possa essere abbastanza per rimettere a posto le cose. Ma quello era John; abbastanza non era mai davvero abbastanza e, allo stesso tempo, abbastanza era tutto quello che sapeva di poter avere.

Lo bacia di nuovo, stringendo la stoffa della sua camicia tra le sue dita e dimenticandosi per qualche istante che le cose erano lontane anni luce da come avrebbe desiderato che fossero.

 

Prima di fare scattare la serratura, John sorride contro le sue labbra e gli fa un piccolo sorriso. –Ti aspetto fuori.- mormora sulla sua bocca mentre cerca un fazzoletto nelle proprie tasche un fazzoletto pulito e glielo porge.

Adam annuisce ma, prima che lui la apra, lo tira di nuovo verso di se, baciandolo ancora. La sua bocca sa di sigarette, paura e sulla sua lingua, John riesce a riconoscere la risposta alla domanda che gli aveva attraversato la mente solo pochi istanti prima.

Lo bacia ancora e poi un’altra volta, allontanandosi solo quando entrambi sono senza fiato, e l’ultimo bacio che gli lascia sulle labbra ha tutto il sapore di una di quelle promesse che John non è mai stato bravo a mantenere.

 

 

Note 2.0: Le cose vere in questo capitolo sono che Adam è nato in Alabama e ha vissuto in North Carolina da quando era piccolo fino ai diciotto/diciannove anni, quando si è trasferito a New York per entrare a tempo pieno nei Taking Back Sunday e ha cominciato a frequentare John, Eddie, Mark e Jesse. #gentebellatuttainsieme

Una volta arrivato però, non aveva idea di dove andare a vivere, quindi John gli ha proposto di dividere l’affitto del suo appartamento (che da quanto ho capito, è poi diventato casa di tutti XD). In pratica, di giorno lavorava in quello che mi pare fosse un ristorante per pagare l’affitto, mentre di sera/notte il gruppo provava. Anche la storia di Adam che quando gli girava pigliava la macchina e andava a vedere concerti in giro per gli States è vera. Tra l’altro, il numero 152, che è un po’ il simbolo della band, è il numero della strada in cui lui e i suoi amici si trovavano per poi andare all’avventura.

   
 
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