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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    26/01/2012    1 recensioni
[COMBINATION][Hashiba/Sasaki]
[Partecipante al "Contest delle Situazioni" indetto da Akane]
Do they uphold the law in the cause of justice?
Maybe such a question will only make them laugh.
Even without the legal patronage... They do know the way.
To shield their dearest and carry out their own will.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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AUTORE: SHUN DI ANDROMEDA/KungFuCharlie
FANDOM: Combination (Hashiba/Sasaki)
TRACCIA: 5 - Protezione: Uno dei due si mette in serio pericolo per l’altro e questo poi si prodiga per salvarlo e/o aiutarlo.
GENERE: Drammatico, Avventura, Azione
RATING: Giallo
AVVERTIMENTI: ShonenAi, Yaoi

§§§

GUARDARSI LE SPALLE

Do they uphold the law in the cause of justice?

Maybe such a question will only make them laugh.

Even without the legal patronage... They do know the way.

To shield their dearest and carry out their own will.

 

Dal frontespizio di Combination

 

§§§

Mentre Sasaki scendeva dall'auto con espressione truce, non poteva fare a meno di pensare, e di riflesso arrabbiarsi, per la testaccia dura che, una volta di più, Hashiba aveva dimostrato di avere.

Con un sospiro, afferrò il telefono cellulare poggiato sul cruscotto, sbirciandone lo schermo nel caso vi fossero messaggi o chiamate.

Effettivamente, la busta chiusa che lampeggiava in alto segnava che v'era una mail in attesa di essere letta.

La aprì mentre chiamava distrattamente l'ascensore che lo avrebbe portato all'appartamento che aveva diviso con Tsuzuku per parecchio tempo, prima di trasferirsi.

Dai, non tenermi il muso! Giuro che è l'ultima volta che lo faccio!

Keiji sospirò, richiudendo lo sportello del dispositivo per poi farlo scivolare in tasca: non, non l'avrebbe perdonato con così tanta facilità quella volta. Diamine, era stato lui il più entusiasta alla notizia del ritorno di Toshiro e Owari a Tokyo, e così di punto in bianco aveva dato buca a quella semplice serata che avrebbero dovuto trascorrere tutti assieme.

Ma non era solo quello a farlo arrabbiare più di un serpente a sonagli.

Più che altro, era il fatto che sarebbe toccato a lui spiegare il perché della sua mancanza a farlo infuriare.

Sperava solo che Toshiro capisse, visto che sicuramente sarebbe stato lui quello a starci più male per l'improvvisa assenza di Shigemitsu.

Non che a lui non importasse beninteso, un motivo c'era se, di punto in bianco, una volta conclusa tutta la trafila di disavventure legate al caso Sawada, lui aveva lasciato l'appartamento che divideva con Tsuzuku e si era trasferito in quello che il moro aveva affittato da pochissimo, più grande e spazioso.

Dopotutto, era stato proprio Hashiba a mollargli la chiave nel cassetto della scrivania.

Però non poteva farci nulla, e sicuramente non si sarebbe messo a fare scenate di gelosia per una cosa del genere: semplicemente, si sarebbe vendicato in qualche modo più avanti, era un tipo paziente, e l'occasione giusta non avrebbe tardato a presentarsi.

Con i nervi leggermente più distesi, uscì dall'ascensore, ritrovandosi sul pianerottolo familiarmente illuminato dalla luce intesa che proveniva da dentro l'appartamento: sulla soglia, ad aspettarlo, c'era Tsuzuku, che gli sorrideva affettuosamente, con un pizzico di comprensione negli occhi chiari; lo fece entrare nell'ingresso di casa, dalle altre stanze si udivano risate e anche l'impianto stereo a tutto volume.

Che diavolo, ma andavano ancora di moda gli NG5? Eppure ricordava che le ragazze del Dipartimento li ascoltassero già tre o quattro anni prima... Quella Jump qualcosa lo aveva martellato per dei mesi, non riusciva a sentire altro: alla radio, in ufficio nei momenti di pausa... Era stata un'invasione.

Udì uno scalpiccio di piedi, poi dalla cucina sbucò la testa di Toshiro, infarinata fino alla punta dei capelli, ma con un sorriso immenso sul viso dai tratti leggermente paffuti, malgrado fosse già da tanto che aveva smesso di somigliare al cucciolo sperduto di cui Hashiba si era preso cura.

“Il vecchietto dove l'hai lasciato?” sfotté Owari, prendendogli la giacca per portarla chissà dove: “Il fratellone ha detto che stasera aveva da fare.” esclamò il ragazzo, sparendo in un'altra stanza; Toshi annuì, pulendosi le mani nell'ampio grembiale e passandosi sul viso una salvietta umida per levare gli ultimi rimasugli di salsa, farina e chissà cos'altro.

“Sono contento di vederti, Keiji.” disse il ventenne con tono affettuoso: “Non preoccuparti, troveremo il modo di punire Hashiba-san.” sorrise, “Shuko-neechan arriverà presto, ha detto che la accompagna Hajime-dono ma che non potrà restare perché anche lui stasera ha una cena di lavoro importante.” aggiunse infine, voltandosi verso Owari, che li aveva appena raggiunti; Sasaki sospirò, andandosi a sedere sul divano tra i cuscini. I due più giovani sparirono in cucina mentre Tsuzuku, chino su uno degli armadietti in legno massello laccato, sembrava stesse cercando qualcosa.

Quando infine la trovò, Keiji si stupì di vedere una bottiglia in vetro decorato, piena per metà di un bel liquido ambrato: “Un regalo di una vecchia amica di famiglia, Hajime non ama gli alcolici occidentali così l'ho presa io.” sogghignò il giovane, versandone una generosa dose nei bicchieri di cristallo disposti sul basso tavolino.

La sorsata di brandy stravecchio che gli scivolò in gola sembrò quasi bruciargliela ma Sasaki sembrava non reagire neppure a quello.

“Forza, dimmi tutto. Non è da te mettere su un broncio simile per qualcosa che combina Hashiba, c'è sotto qualcosa.”.

Con un sospiro, il bruno poggiò il bicchiere ormai svuotato da liquore, puntando i grandi occhi scuri in quelli chiari dell'amico di sempre: niente da fare, neppure in centomila anni sarebbe riuscito a nascondere qualcosa a Tsuzuku Imonoyama.

§§§§

Non era ancora l'alba quando la moto rombante di Keiji fece il suo ingresso nel parcheggio sotterraneo del Dipartimento, posteggiandosi accanto alla macchina di Hashiba, immobile lì dal giorno prima.

Il detective smontò dal mezzo, osservando il veicolo dalla carrozzeria scura accanto a sé con espressione truce: aveva davvero trascorso la notte lì in ufficio, e Keiji non capiva il perché di quel comportamento insolito.

Doveva ammetterlo, ci aveva sperato di rivederlo al risveglio, ma evidentemente l'altro aveva avuto piani diversi per la nottata...

Dal portafoglio, estrasse il badge magnetico, che passò davanti al leggi-schede: la porta scorrevole si aprì con un leggero bip prolungato e fu solo quando, finalmente, si ritrovò con la schiena poggiata contro la parete della cabina dell'ascensore, che si concesse di lasciare uscire un sospiro stanco ed esasperato.

Era preoccupato.

Guardò di sfuggita l'ora, mentre varcava le porte a vetri del dipartimento: non erano neppure le sei e lui già si trovava in ufficio, quando normalmente, tra una cosa e l'altra, lui e Hashiba riuscivano ad arrivare all'alba delle nove del mattino, quando già il commissario era già lì pronto a sbraitare contro Shigemitsu e i suoi modi non proprio ortodossi di condurre le indagini, malgrado l'evidente soddisfazione nell'averlo di nuovo come sottoposto.

Erano cambiate tante cose in quell'anno, da quando erano riusciti ad assicurare Sawada alla giustizia, cose belle, alcune forse un po' amare, ma era stato un buon inizio per tutti: Owari e Toshiro avevano deciso di trasferirsi in pianta praticamente stabile nell'isola dell'Imonoyama più giovane mentre il “cerbiatto” aveva preso a lavorare nel laboratorio di Tsuzuku, lo stesso dove avevano recuperato il Vaso di Pandora...

Sembravano passati anni, non solo pochi mesi...

L'importante, però, era che tutto fosse tornato alla normalità, con lui e Hashiba nuovamente seduti alle loro scrivanie, nuovamente il squadra, pronti a guardarsi le spalle nel lavoro come nella vita quotidiana.

Anche se, in effetti, non è che fosse cambiato granché in quel senso: a ben pensarci, anche quando erano impegnati nella loro guerra personale contro Sawada, si erano sempre guardati e coperti le spalle a vicenda.

Forse dal primo giorno in cui si erano visti avevano cominciato a farlo.

Perso in tale vorticoso flusso di pensieri, Keiji non si accorse subito della figura rannicchiata sulla scrivania, tra i rimasugli di una cena cinese d'asporto ormai fredda, immersa in un sonno che definire profondo era sminuirne l'effettiva intensità.

Fu solo quando una mano gli afferrò improvvisamente un lembo della giacca mentre si avviava ad aprire le finestre che, trattenuto un mezzo sobbalzo per la sorpresa, quasi cadde tra le braccia di un Shigemitsu più rimbambito che mai, con un sorriso incredibilmente ampio, malgrado la sonnolenza.

Sulle labbra socchiuse di un Keiji ancora sconvolto, il moro poggiò un bacio lieve, che venne approfondito mano a mano che il corpo del bruno si avvicinava a quello di Hashiba, fino a trovarsi quasi del tutto privo di fiato e aria per l'intensità del contatto.

Quando si staccarono, l'espressione di Hashiba oscillava tra il gioioso oltre ogni umana previsione e il malizioso.

“Si può sapere cosa hai fatto qui tutta la notte?” chiese Sasaki, non alzandosi però dalle sue ginocchia: “Oh, nulla di che, solo scartoffie, scartoffie e scartoffie. Ma il commissario mi ha obbligato a farle da solo e non ho potuto chiedere il tuo immenso e valido aiuto. Poi mi sono addormentato...” borbottò, “Volevo tornare a casa, giuro! Ma la cena era troppo pesante e sono crollato qui.”.

Bugia lunga un chilometro, ma Keiji poteva anche fare finta di crederci, almeno momentaneamente.

“Vai a darti una lavata prima che arrivi il capo.” era stato un razzo, Sasaki, ad afferrare le bacchette ancora sporche di salsa e colpire il compagno sulle dita: “Fila, io intanto sistemo qui.”.

“Che cagnolone crudele con un onesto lavoratore, che non ha potuto fare una cena decente cucinata dal suo cerbiatto preferito!” si lamentò l'occhialuto, “Che ha dovuto fare gli straordina-” altra bacchettata sulle mani, che costrinse Hashiba in ritirata nel bagno.

L'espressione corrucciata di Keiji, se possibile, si acuì quando vide lo stato in cui si trovava la scrivania del compagno: riusciva ogni volta a stupirsi ancora di più per lo stato in cui la lasciava o la riduceva...

Con infinita pazienza, si chinò a raccogliere fogli, appunti e perfino penne abbandonate sulla moquette nel tentativo disperato di dare a un senso logico e un ordine a quel cumulo di documenti sparso per ogni dove: chissà di cosa si stava occupando...

Tese l'orecchio... Probabilmente Shigemitsu era sotto la doccia dello spogliatoio, aveva un po' di tempo se voleva sbirciare...

Cominciò a sfogliare il plico più vicino, accorgendosi che erano perlopiù rapporti di vecchi omicidi, alcuni anche di cinque-sei anni, altri perfino di dieci, ma tutti ben lontani dalla prescrizione.

Chissà cosa stava cercando... Cosa poteva mai portargli il fare ricerche su cose del genere?

All'improvviso, una manciata di kanji attirò la sua attenzione per la loro familiarità nei tratti e nel significato, e una sensazione di gelo all'altezza dello stomaco gli mozzò il respiro.

Alla fine capì, leggendo quel cognome, così dolorosamente familiare, già visto spesso inciso su una lapide nel cimitero vicino al dipartimento.

Date, il cognome dell'ex partner di Shigemitsu, il fidanzato di Yoko-san...

Ucciso da uno degli sgherri di Sawada.

Il giovane poliziotto si sentì come svuotato: perché il passato era tornato a fare male in quella maniera? Ma soprattutto, ricordava che il killer materiale dell'omicidio, com'è che si chiamava... Diede una rapida sbirciata ai fogli per ritrovarlo... Diamine, era stato rilasciato per un cavillo burocratico, libero come l'aria, avrebbe dovuto ricordarsi quel nome finchè campava!

Ah si, Yuuta Kawashima... Aveva sentito dire dal fratello che si era messo in affari con dei tipi abbastanza pericolosi, appartenenti alla Triade cinese trapiantata lì a Tokyo: roba non da poco, da qualche tempo la malavita cittadina era quasi di stampo cinese, e ciò voleva dire traffico di droga, armi, e a tratti anche riciclaggio, ma di prove neppure l'ombra.

La consapevolezza di ciò che forse stava cercando di fare Shigemitsu colpì Sasaki nello stomaco più forte di qualunque botta avesse mai preso in vita sua: per un attimo, reazione istintiva che gli suscitava ogni pericolo che poteva anche solo lontanamente nuocere le persone che amava, si lasciò prendere dalla rabbia, salvo poi riuscire, pur se faticosamente, a calmarsi.

Qualunque fosse il guaio in cui Hashiba si stava per andare a cacciare, lui avrebbe fatto il possibile per coprirgli le spalle, per aiutarlo e all'occorrenza per andarlo a recuperare, salvandolo anche da sé stesso se necessario: quel tacito accordo che avevano stipulato ormai quattro anni prima, quando era corso a salvarlo nella tana del leone, quando l'aveva riportato indietro, vivo anche se ferito nel corpo e nell'orgoglio, lo stesso che aveva fatto scattare qualcosa di più nel loro rapporto, non si sarebbe sciolto con tale facilità.

Rimise frettolosamente a posto tutto, cercando il più possibile di dissimulare rabbia e preoccupazione nel momento in cui Shigemitsu fu rientrato in ufficio, coi capelli ancora imperlati dalle gocce d'acqua e con una camicia pulita addosso.

Quasi non lo sentì parlare, tanto era concentrato nella ricerca di una soluzione al loro problema, ma più ci pensava più si rendeva conto che, effettivamente, non aveva molte alternative: odiava ammetterlo, e odiava soprattutto coinvolgerlo in situazioni che potevano rappresentare un eventuale pericolo, ma l'unica strada che poteva intraprendere era quella di rivolgersi a Tsuzuku e alle sue incredibili fonti.

§§§

Ti ho detto che non ho molto tempo per parlare, dobbiamo vederci oggi pomeriggio. Mi serve un favore.

La voce di Keiji gli era sembrata a metà tra lo sconvolto e il seccato, decisamente più sull'orlo del seccato, quando l'aveva chiamato quella mattina, e la cosa lo aveva sorpreso: cioè, non che non si sentissero spesso, anzi, praticamente ogni giorno, senza contare le volte in cui si vedevano, come era successo per la sera prima, però era la prima volta, in tanti anni che si conoscevano, che il poliziotto si rivolgeva a Tsuzuku per un favore. Da quel che ricordava, fin da quando si erano incontrati, da bambini, sotto quel ciliegio in fiore nel cortile della scuola, quando Sasaki gli aveva offerto un fazzoletto per asciugare le lacrime, era sempre stato il bruno a prendersi effettivamente cura di lui: aveva l'occasione di ricambiare almeno in parte le sue gentilezze.

Così, quando sentì la porta di casa aprirsi, attese pazientemente che il bruno lo raggiungesse nel suo studio: aveva detto a Shuko, Toshi e Owari di andare a fare un giro “perlustrativo” per Tokyo perchè qualcosa gli diceva che dietro al malumore di Sasaki ci fosse quella testa di marmo di Hashiba e se almeno fossero riusciti a bloccarlo, pur se per poco, sarebbe stato già tanto.

Dopotutto, Shigemitsu Hashiba era famoso per la sua spericolatezza, come Toshi sapeva bene.

Sulla soglia della stanza, con l'ombra proiettata sul pavimento, allungata per la luce ormai morente del Sole, stava Keiji, ritto come un fuso e immobile come una statua di sale, con gli occhi sgranati e l'espressione un poco sperduta: fu forse quello a sconvolgere di più Tsuzuku, e dire che, di carattere, gli Imonoyama non erano impressionabili proprio per nulla: fece cenno all'amico di sedersi, sbirciando il plico di fogli che teneva tra le mani, ma senza forzarlo a parlare.

Sarebbe stato lui a dirgli tutto, una volta pronto.

Semplicemente, il bruno glielo passò, senza neppure prendere in considerazione la poltroncina giusto accanto all'amico di sempre ma restando in piedi, poggiato contro il muro: “Mi servono informazioni su quest'uomo... Hashiba si è messo nei guai un'altra volta.”.

Era più che sufficiente come spiegazione.

Ma certo Tsuzuku non potè mai intuire cosa, quei fogli, gli avrebbero portato.

Perché il primo nome che lesse, il soggetto di quell’insolita ricerca, gli raggelò il sangue nelle vene, mentre istintivamente la sua mente tornava a quei giorni lontanissimi, quando suo padre non era tornato a casa come aveva promesso al mattino, ucciso dalle pallottole di quel killer spietato che Sawada aveva pagato profumatamente per far fuori il capofamiglia degli Imonoyama.

Strinse i pugni, così forte da farsi sanguinare i palmi mentre, accanto a sé, lo sapeva, Keiji si stava preoccupando e non poco.

Buttò tutto per terra in un gesto di stizza e rabbia, poi afferrò la cornetta del telefono, digitando un numero a velocità supersonica.

Anche gli altri suoi fratelli dovevano sapere cosa stava accadendo.

§§§

Mentre Hashiba entrava nell'elegante club di Kabukicho che era il suo obiettivo, sperò in cuor suo che Sasaki e Owari fossero riusciti a trovare il povero Toshi-chan prima che questi si prendesse una pomonite coi controfiocchi.

Povero cerbiatto, era stato crudele con lui, quando il ragazzino era solo corso a cercarlo nel tentativo di dissuaderlo dal commettere pazzie: probabilmente, Date-senpai non l'avrebbe mai approvato un comportamento del genere, come colpire un ragazzino come lui allo stomaco per gettarlo nell'incoscienza, ma era l'unica cosa che poteva effettivamente fare.

Non poteva permettersi di venir fermato, non in quel frangente, non in quella situazione.

Troppe persone reclamavano vendetta per il sangue che era stato versato dalla pistola di quel killer tanto efferato che, purtroppo, girava a piede libero mentre di coloro che erano stati uccisi era rimasto unicamente il ricordo nei cuori dei parenti e degli amici.

Forse non era granché come angelo vendicatore, con la sua mano poco funzionale e la sua espressione da perenne pagliaccio, ma sentiva che era suo il dovere, finalmente, di assicurarlo alla giustizia. Sia per sé, per Yoko che per Tsuzuku e i suoi fratelli.

Perché, ne era conscio, mentre estraeva la pistola per fare irruzione nella grande sala piena di gente, anche loro avevano sofferto tanto per colpa di quel bastardo, che aveva portato via loro il padre, esattamente come lui aveva perso un fratello quando Date-senpai gli aveva fatto scudo col proprio corpo.

Forse sarebbe anche morto, quel giorno, un ragazzo di strada, sbandato e sempre in fuga da tutto e da tutti, se non fosse incappato in lui, e ora, voleva almeno ripagare in parte quel debito.

L'inferno che scoppiò nella sala fu un lampo.

Lui, semplice poliziotto, contro un importante esponente della Triade cinese.

Buffo il mondo.

Non poteva neppure sparare come voleva perché c'erano ancora persone che stavano fuggendo, ma era fiducioso del fatto che il suo avversario fosse lì da solo.

La sua piccola amica dalle mille informazioni si era rivelata un'altra volta utile, raccontandogli quando poteva trovare il suo nemico senza difese, permettendogli di organizzare l'arresto con tutta calma.

Gemette, quando una pallottola gli sfiorò la spalla, strappandogli lo smoking che aveva indosso: “Peccato che oggi non ci sia il mio cagnolone...” bofonchiò Hashiba scherzosamente, con la schiena contro il tavolo che gli faceva da rifugio mentre cambiava velocemente il caricatore, “Sono un disastro senza di lui, decisamente.” osservò.

Fu un attimo.

Alzata di scatto la testa, per un momento, pensò che fosse un miraggio, che Sasaki non poteva essere lì, che non sapeva nulla, un accidente di nulla do dove fosse andato a cacciarsi, che non l'aveva avvertito apposta per non vederselo morire davanti agli occhi, che non voleva perdere anche lui come aveva perso Date-senpai.

Fu un attimo l'alzarsi di scatto in piedi, nell'esatto istante in cui aveva visto la canna della pistola brillare minacciosa verso Keiji, e pararsi di fronte a lui.

Il colpo partì e non penetrò mai le carni del bruno, andandosi invece a conficcare nella spalla di Shigemitsu, che si sentì svenire tra le braccia amorevoli di Sasaki, il quale non si limitò unicamente a sorreggerlo, ma anche a sparare alcuni colpi in direzione del killer, disarmandolo e ferendolo alle gambe: non poteva più scappare e neppure reagire.

“Sei un bastardo...” la voce di Keiji era pericolosamente incrinata, ma era l'unica cosa che il moro riusciva effettivamente a sentire malgrado il casino che gli uomini di Owari, che li avevano raggiunti a razzo per prendere in consegna il cattivone della serata, stavano facendo, col minore dei fratelli Imonoyama in testa.

“Cosa avevi intenzione di fare, eh?!” lo rimproverò, gridandogli quasi nelle orecchie mentre cercava di tamponare il sangue della ferita: “Avevi intenzione di lasciarci la pelle questa volta?! È mai possibile che-”.

Ahia, l'aveva fatto arrabbiare...

Ma Hashiba aveva in serbo un asso nella manica, una frase ad effetto che non avrebbe mai pensato effettivamente di dire ma che si prestava bene a quella situazione surreale.

Gli afferrò le mani, pur se con qualche difficoltà, e lo guardò fermamente negli occhi chiari: “Speravo che saresti venuto a coprirmi le spalle, come sempre.” ammise con un sogghigno, “E comunque, questa la dovevo al tuo padroncino. Dopotutto, non sono mai riuscito a sdebitarmi per avermi salvato la pellaccia.”.

   
 
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