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Autore: LadyAliceSlytherin    26/01/2012    1 recensioni
"Quello fu il giorno in cui si conobbero e divennero amici. Da quel giorno in avanti furono inseparabili, complice il fatto che abitassero piuttosto vicini e che a metà strada fra le loro abitazioni sorgesse un piccolo parco giochi. Da quel giorno in avanti lui la protesse da tutto e tutti, anche a costo di ferite e lividi. Da quel giorno in avanti divenne per lei importante come l’aria. Da quel giorno in avanti l’essere così vistosamente per metà europea non rappresentò più un problema per Sayuri. Fu lui ad insegnarle ad essere fiera dei lineamenti delicati, dei capelli biondi e degli occhi grigi ereditati dal padre inglese."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Sayuri-chan, Sei sicura di non volere un passaggio?-
Una voce vellutata e familiare accarezzò l’orecchio di Sayuri e la costrinse a voltarsi nuovamente verso la veranda, luminosa e lussureggiante a causa delle numerose piante. Proprio accanto al portone d’ingresso, appena chiuso, della sua graziosa villetta in stile europeo, si ergeva una figura slanciata e armoniosa, impeccabile nel completo scuro.
-Non preoccuparti papà, oggi ho voglia di camminare! Grazie comunque, a stasera!-  fu la gentile replica della ragazza che guardava il genitore, in attesa di risposta, dirigersi verso l’auto parcheggiata di fronte al garage.
-Come vuoi, principessa. A stasera, allora.- replicò il signor Harper rivolgendo un tenero sguardo alla figlia, appena prima di sparire nell’abitacolo della sua fiammante auto sportiva. Sayuri, guadagnato il marciapiede fuori dal cancello, volse lo sguardo ad una finestra aperta del piano superiore della casa, da dove sua madre la salutava con la mano tenendo in braccio Shinji, il suo fratellino minore. Il piccolo era impegnato a stropicciarsi i begli occhietti grigi, ancora assonnati e tanto simili a quelli della sorella. Ricambiato il saluto con un sorriso, la ragazza si diresse con passo sicuro in direzione della propria scuola, sentendo alle spalle il rumore del grande cancello automatico che si stava aprendo per permettere all’auto del signor Harper di uscire. Con un rumore del tutto simile al ruggito di un leone infuriato, l’auto le passò affianco e la superò con un leggero colpo di clacson. Sayuri rispose con un piccolo cenno della mano affusolata per poi riprendere a camminare. Era una limpida mattina di inizio estate ed il cielo terso era di un azzurro meraviglioso. I fiori dei ciliegi, che costeggiavano ordinati entrambi i lati della strada, avevano lasciato il posto a deliziose foglioline d’un tenero verde, simile a quello degli smeraldi. Una leggera brezza dispettosa scompigliava appena la frangetta ed i lunghi capelli biondo cenere di Sayuri, eredità paterna e chiaro indizio delle origini metà europee della ragazza. Respirando a pieni polmoni quell'aria così fresca, Sayuri si passò una mano sul capo sistemandosi il cerchietto color sangue. Nel frattempo i rumori del centro città iniziarono a farsi un po’ più vicini, nonostante continuassero ad arrivarle come ovattati. Oramai fuori dal lussuoso quartiere residenziale in cui abitava, Sayuri si fermò in prossimità di un incrocio, in attesa che il semaforo le desse il permesso di attraversare. Durante quel breve lasso di tempo lo sguardo della ragazza vagò un poco in quella zona a lei così familiare, prima di fermarsi sull’ingresso di un piccolo parco giochi non distante. Era ancora lì, identico a come lei lo ricordava. “Sembra quasi incredibile che sia passato così tanto tempo da allora.” pensò la ragazza sospirando, “Mi domando cosa stia facendo adesso. 'E passato così tanto dall’ultima volta in cui ho avuto sue notizie.” Lo sgraziato segnale acustico del semaforo riportò Sayuri coi piedi per terra, quasi con violenza.  La ragazza attraversò in fretta la strada cercando di costringersi a pensare a qualcos’altro, senza però successo. I rumori della città adesso erano divenuti più forti. Era oramai giunta in prossimità del centro. Clacson, vociare, rombi di motori e urla di bambini circondavano Sayuri senza che lei, persa com’era nei suoi pensieri, se ne accorgesse. Dimenticare. Già, le era stato detto, o meglio ordinato, di dimenticarsi di lui. Ma come? Per quanti sforzi facesse, non c’era giorno in cui il suo pensiero non le desse il tormento. Nonostante fosse passato molto tempo dal loro ultimo incontro, la sua immagine era ancora nitida e precisa come una fotografia nella mente di Sayuri. Quei suoi  capelli scuri, il sorriso arrogante, gli occhi profondi ed il pallone da basket sempre sotto braccio. In fin dei conti come avrebbe potuto dimenticarsi di colui che era stato il suo migliore amico per tutta l’infanzia?  Senza neppure accorgersene Sayuri era finalmente arrivata davanti all’ingresso della propria scuola. Ferma di fronte al grosso cancello spalancato guardava a terra pensierosa, circondata da una moltitudine di ragazze che indossavano una divisa identica alla sua. Sarebbe rimasta lì ore se una squillante voce proveniente da un gruppetto di tre o quattro ragazze poco lontane da lei non l’avesse riportata alla realtà.
 -Sa-chan! Siamo qui!- La voce apparteneva ad una graziosa moretta che, sorridente, agitava un braccio, guardando verso Sayuri. Con un ultimo sospiro la ragazza si costrinse ad abbandonare i pensieri tristi che le affollavano la mente e a raggiungere le amiche che la stavano aspettando per entrare. Non aveva il diritto di farle preoccupare, ancora.
La mattinata trascorse tranquilla tra lezioni, voti  e qualche pettegolezzo. Sayuri era quella di sempre: la ragazza gentile e socievole per le molte amiche, o la principessina altezzosa e fredda per le molte che la detestavano.  Sul suo volto, così come nei suoi comportamenti, non vi era alcuna traccia dei pensieri che l’avevano rattristata tanto solo poche ore prima. Tutto era tornato alla normalità,  almeno in apparenza. La ragazza aveva, infatti, imparato da tempo l’arte del nascondere agli altri le emozioni scomode. Le teneva rinchiuse nelle profondità del proprio cuore, in modo che non potessero nuocere agli altri e avvelenassero solo il suo sangue.  Quando l’ultima campanella segnò finalmente la fine della giornata, Sayuri si lasciò sfuggire un piccolo sospiro di sollievo. Presto sarebbe stata di nuovo sola e avrebbe potuto smettere di fingere di essere serena. Serenità. Questa parola  da qualche tempo le era divenuta insopportabile. Salutate  le amiche, la ragazza si diresse con passo deciso verso l’entrata della metropolitana. Era decisamente troppo stanca per tornare a casa a piedi. Lungo il breve percorso che separava la stazione della metropolitana dalla sua scuola alcuni passanti l’aveva osservata. Qualcuno distrattamente, qualche altro invece con attenzione, addirittura fermandosi per guardare meglio. Dopotutto anche in un paese moderno e all'avanguardia come il Giappone era ancora piuttosto inusuale incontrare per strada una persona che non avesse i tipici tratti asiatici e che non fosse un turista. L’essere oggetto di attenzione e  il suscitare curiosità negli altri non era un qualcosa di nuovo per Sayuri, oramai ci era abituata. Non che fosse sempre stato così, anzi.  All’età di 5 anni circa Sayuri  aveva lasciato, con la famiglia, l’Europa, in cui era nata, poiché suo padre aveva ricevuto una vantaggiosa offerta di lavoro nel paese d’origine della moglie. La terra del Sole Nascente. La ragazza ricordava ancora con terrore il suo primo anno alle elementari. Nonostante non avesse avuto problemi con la lingua e fosse riuscita a fare amicizia con i suoi compagni di classe piuttosto in fretta, era stata presa di mira da un gruppetto di bambini più grandi che non perdevano occasione per  trattarla come fosse una specie di mostro a causa di quel suo aspetto ‘diverso’, ‘insolito’. Quello fu il frangente in cui si conobbero e in cui lui la salvò per la prima volta. In piedi presso il binario della metropolita Sayuri chiuse per un momento gli occhi. Nel suo ricordo, nitido come un film, si vide bambina. I capelli raccolti in due morbide e lunghe trecce, il vestitino sporco di terriccio e il ginocchio sbucciato. Il ginocchio sanguina, le brucia. Sta piangendo, seduta su una panchina nel cortile della sua scuola elementare. Si sente il vociare di altri bambini che giocano poco distanti. Una bambina di fronte a lei le porge un fazzolettino, un’altra le si siede accanto e le accarezza la testa, una terza le chiede se vuole che chiami la maestra. Sayuri non parla e continua a piangere, disperata. Ad un tratto ecco spuntare dal nulla un bambino. E’ arrivato fino a loro inseguendo un pallone, finito proprio accanto a quella stessa panchina. Si accorge della situazione e guardando Sayuri esclama: 
-Tu sei la bambina che abita vicino a me, vero? Ti ho vista qualche volta passare davanti a casa mia con la tua mamma.-
La piccola alza gli occhi arrossati e gonfi di lacrime. Senza smettere di singhiozzare, incontra lo sguardo del suo giovane interlocutore: si tratta di un bambino poco più grande, il volto simpatico, gentile e i capelli un po’ spettinati. Il piccolo le si avvicina e dopo averle guardato il ginocchio le domanda cosa le sia successo. Sayuri abbassa lo sguardo e scoppia nuovamente in lacrime. La bambina che le siede accanto risponde per lei : -Sono stati Nobu-kun e i suoi amici, l’hanno spinta e Sayuri-chan è caduta. E’ dall’inizio della scuola che le fanno i dispetti e la trattano male, senza motivo. - Il bambino  torna a guardare Sayuri e, assunta un’espressione grave, stringe i piccoli pugni dicendo: - Nobu-kun e i suoi amici se la sono presa con una bambina più piccola, eh? Che vigliacchi! Ma adesso darò loro una bella lezione! Così la smetteranno di fare i prepotenti!-  Così dicendo il piccolo si allontana correndo sotto gli sguardi interrogativi delle quattro bambine. Poco dopo è di ritorno. Tiene per i capelli uno spaventatissimo Nobu-kun, con un vistoso livido viola sulla guancia destra.
-E adesso chiedi scusa a questa bambina e prometti che né tu né i tuoi amici le darete più fastidio, per il resto della vita! Promettilo, stupido!
Sayuri, spaventata e scossa dai singhiozzi, e le altre bambine sono come impietrite e osservano Nobu-kun dimenarsi sotto la presa del bambino sconosciuto, mentre borbotta scuse e piagnucola per il dolore. Finalmente soddisfatto, il misterioso salvatore lascia che Nobu-kun, piangente e dolorante, si allontani correndo, spaventato come mai prima. Un istante dopo il bambino si avvicina a Sayuri e porgendole la mano le dice sorridendo: - Va tutto bene, adesso. Non ti daranno più fastidio.
-Gr … Grazie mille.- è tutto ciò che la piccola, ancora scossa, riesce a bisbigliare stringendo appena la mano che le è stata porta.
-A proposito, io mi chiamo Hisashi Mitsui e sono in terza. Piacere di conoscerti.- 
Quello fu il giorno in cui si conobbero e divennero amici. Da quel giorno in avanti furono inseparabili, complice il fatto che abitassero piuttosto vicini e che a metà strada fra le loro abitazioni sorgesse un piccolo parco giochi. Da quel giorno in avanti lui la protesse da tutto e tutti, anche a costo di ferite e lividi. Da quel giorno in avanti divenne per lei importante come l’aria. Da quel giorno in avanti l’essere così vistosamente per metà europea non rappresentò più un problema per Sayuri. Fu lui ad insegnarle ad essere fiera dei lineamenti delicati, dei capelli biondi e degli occhi grigi ereditati dal padre inglese.
– A me piaci così, Sayuri-chan! Se fossi diversa non saresti tu!-  
Queste erano le parole che le ripeteva sempre quando la vedeva giù e che, ogni volta, le scaldavano il cuore. Passarono gli anni senza che la loro amicizia fosse mai scalfita. Per lui arrivarono l’iscrizione alle superiori, gli allenamenti di basket sempre più intensi e sempre più frequenti, gli infortuni, le operazioni. Per Sayuri, che lo osservava ammirata combattere con forza e determinazione pur di continuare a giocare nonostante i pareri contrari dei medici, arrivò la consapevolezza che qualcosa nel suo cuore stava cambiando e pretendeva attenzione. Mancava così poco perché si dichiarasse a lui, perché gli aprisse il cuore e gli confessasse i propri sentimenti. Purtroppo però l’occasione non arrivò mai, e tutto cambiò completamente una sera di fine estate. Sayuri era appena tornata dall'Europa dove aveva trascorso le vacanze  in compagnia dei nonni paterni. Prima della partenza la ragazza aveva avuto modo di notare un certo cambiamento nell'atteggiamento di Mitsui, ma non  vi aveva dato peso data la vicinanza dell’ennesimo torneo. Durante le vacanze poi, non avevano avuto contatti. Quella fatidica sera suo padre la condusse con aria grave nel suo studio e, mentre il canto dei grilli in giardino entrava dalla finestra aperta, le disse che era venuto a sapere che Mitsui, il suo amato Mitsui, aveva lasciato il basket per sempre in seguito all’ennesimo infortunio, e che aveva iniziato a frequentare pessime compagnie. Era diventato un teppista e per giunta della peggior specie. Sayuri si sentì sprofondare nella poltrona di pelle su cui era seduta, di fronte alla scrivania del padre. D’un tratto le mancò l’aria, le sembrò di affogare.  No, non era possibile. Mitsui, il suo Mitsui non avrebbe mai … No, doveva esserci un errore. Nessun errore. Fu la volta dei litigi,  delle lacrime e poi del divieto, inappellabile e assoluto, di vedere, sentire e addirittura salutare Hisashi Mitsui.  
-Devi dimenticarti di quel ragazzo! Non capisci che è per il tuo bene?
No, all’epoca non riusciva a capirlo. Adesso però, seduta sul sedile della metropolitana, Sayuri comprendeva perfettamente perché i suoi genitori avessero agito in quel modo. Non si erano certo divertiti vedendola piangere, rifiutare il cibo, rischiare di ammalarsi. Fu un periodo orribile, sia per lei sia per tutti coloro che le stavano intorno. Sayuri era però lentamente riuscita ad uscirne, metabolizzando l’accaduto. Si costrinse a riconoscere e accettare il fatto che il Mitsui che aveva conosciuto, il Mitsui di cui si era innamorata, non esisteva più. Avrebbe dovuto rinunciare a lui e mettere a tacere per sempre il sentimento che ancora sentiva bruciarle le viscere. Il tempo era riuscito a sanare la situazione e a ridonarle equilibrio. Inoltre, per scongiurare ogni pericolo, i signori Harper avevano avuto la premura, giunto il momento dell' iscrizione alle superiori, di scegliere per la figlia un prestigioso liceo femminile. Il tutto prima ancora che potesse nascere nella ragazza il desiderio o la speranza di potersi iscrivere al liceo Shohoku, che i suoi genitori sapevano essere ancora frequentato da Mitsui, oramai al terzo anno.
“La prossima fermata è la mia.” pensò Sayuri alzandosi dal proprio posto e sistemandosi in prossimità dell’uscita dietro a due ragazze che chiacchieravano animatamente e che, come lei, erano di ritorno da scuola, a giudicare dalle divise che indossavano.
-Una rissa nella nostra palestra?! Ma è impossibile!-
-Ti giuro che è la verità, Kaoruko-chan! Ma non è tutto, pare che il teppista del terzo anno che ha dato il via alla rissa faccia parte della nostra squadra di basket adesso! Mi pare si chiami Mitsui, Hisashi Mitsui.-
Quel nome colpì violentemente l’attenzione di Sayuri, come fosse stato un destro in pieno stomaco. Quella ragazza aveva davvero pronunciato il nome di Mitsui oppure si era trattato solo di un crudele scherzo della sua immaginazione? Sayuri, in preda all’agitazione e alla sorpresa, si aggrappò più saldamente che poté al palo che le stava di fronte. Sentiva le gambe molli, come fossero state di burro. Il cuore prese a martellarle il petto con tanta forza da farle male ed il suo respiro si fece terribilmente corto. La metropolitana si arrestò improvvisamente, o almeno così parve alla  povera ragazza  che, terribilmente scossa da quelle poche parole, dovette far appello a tutto il suo equilibrio per non cadere e per riuscire ad uscire dal vagone senza danneggiare se stessa o gli altri passeggeri. Raggiunto il marciapiede della metropolitana, Sayuri si appoggiò al muro più vicino e prese a fare lunghi e profondi respiri a occhi chiusi per cercare di calmarsi. Una volta che ebbe riacquistato un po’ di autocontrollo, si guardò intorno in cerca delle due ragazze di poco prima. Avrebbe tanto voluto fermarle e chiedere loro più informazioni ma purtroppo non c’erano più, la folla dell’ora di punta le aveva ingoiate. E comunque, se anche fossero state di fronte a lei non sarebbe riuscita a pronunciare una sola sillaba, nelle condizioni in cui era.  
“Devo cercare di calmarmi, non posso rientrare a casa in questo stato! I miei si preoccuperebbero di certo. E poi chi mi assicura che le cose stiano davvero così? Potrebbe trattarsi soltanto di una voce di corridoio o di uno scambio di persona o di chissà che altro. Eppure quella ragazza sembrava così convinta e poi le divise che indossavano … Erano quelle dello Shohoku, ne sono sicurissima!” pensò, mentre usciva dalla stazione, con passo malfermo, tenendosi saldamente al corrimano della scala. La gentile brezza serale le accarezzò il viso e le donò un po’ di sollievo mentre si incamminava verso casa.
“A questo punto potrei anche andare a dare un’occhiata di persona, giusto per essere sicura. Se fosse davvero tornato a giocare a basket, potrebbe significare che abbia smesso di fare il teppista? Che sia tornato il Mitsui di prima, il mio Mitsui? Cosa succederebbe se fosse davvero così? E se invece non lo fosse? No, adesso non ci voglio pensare! Prima di tutto cercherò di verificare come stanno le cose e poi si vedrà il da farsi.”  Così convinta, varcò il portone d’ingresso e con la scusa di non aver fame e di essere sommersa di compiti per il giorno dopo, la ragazza liquidò i familiari, già riuniti in sala da pranzo per la cena. Salì più in fretta che poté l'ampia scalinata e si chiuse nella propria camera, senza che l’agitazione si fosse ancora decisa a lasciare in pace il suo esile corpo.
Sayuri trascorse la mattinata seguente cercando in tutti i modi possibili di evitare che qualcuno si accorgesse del panico e dell’impazienza che la stavano divorando. Per fortuna tutto filò liscio. Al termine delle lezioni, dopo aver gentilmente rifiutato l’invito di alcune compagne che avrebbero trascorso il resto del pomeriggio ad un nuovo Karaoke appena aperto, la ragazza si avviò con passo svelto e leggermente malfermo verso la stazione della metropolitana, in modo tale da raggiungere lo Shohoku più in fretta e senza destare sospetti. In piedi di fronte al finestrino, pressata come una sardina in scatola a causa del considerevole numero di passeggeri, Sayuri osservava con sguardo assente il buio al di là del vetro. Il suo cuore non dava alcun cenno di voler smettere di massacrarle la gabbia toracica. Sentiva le membra tremarle come foglie e poteva percepire il fiato che ad ogni respiro le moriva in gola.
“Maledizione! Devo assolutamente cercare di calmarmi almeno un po’. In queste condizioni non sarò in grado neppure di raggiungere la palestra!”  pensò visibilmente seccata con sé stessa. Facendo appello a tutto il proprio proverbiale autocontrollo, Sayuri si costrinse a ricomporsi e ad assumere, quantomeno in apparenza, il solito aspetto tranquillo e compito. Qualche profondo respiro e l’uscita da quel vagone troppo piccolo e troppo affollatole le furono d’aiuto. Appena tornata in superficie, un venticello leggero la salutò, giocherellando con l’orlo della sua gonna. Da quella posizione era in grado di scorgere il profilo del complesso scolastico dello Shohoku. Era vicinissima a raggiungere il proprio obbiettivo. Un ultimo respiro profondo bastò a calmarla quasi del tutto. In fin dei conti non era scritto da nessuna parte che avrebbe incontrato Mitsui. E poi se anche così fosse stato, l’avrebbe riconosciuta? Era passato del tempo e lei era certamente cambiata. Finalmente padrona di sé stessa, la ragazza si diresse con passo deciso verso l’ingresso del cortile puntando sicura verso la palestra. Nonostante non frequentasse quel liceo aveva imparato a conoscerlo piuttosto bene. Quando ancora frequentava la seconda media, aveva assistito ad alcune partite di Mitsui, che all’epoca era una matricola in quella scuola. Con grande sollievo Sayuri constatò che nulla era cambiato e dunque orientarsi non le fu troppo difficile. Raggiunto finalmente l’edificio che ospitava la palestra, si fermò un istante, la mano candida poggiata sulla maniglia dell’ingresso secondario che conduceva alle tribune. Da lì avrebbe potuto vedere tutto e nessuno si sarebbe accorto della sua presenza. Tuttavia, per un interminabile minuto l’incertezza la fece sua prigioniera. Perché mai era venuta fin lì? Cosa sperava di ottenere? Poi, rumore di palloni che si schiantano al suolo, rumore di scarpe da ginnastica che sfregano il pavimento tirato a lucido, voci ed echi che si mescolano. La squadra di basket dello Shohoku si stava allenando, non c’erano dubbi, e dunque Mitsui era di certo oltre quella porta. La ragazza scosse la testa per liberarsi dal dubbio e, respirando profondamente, abbassò la maniglia cercando di fare meno rumore possibile. Gli arti avevano ricominciato a tremarle ed il cuore aveva ripreso a correre come un puledro spaventato, dandole la sensazione di essere sul punto si squarciarle il petto da un momento all’altro. Sayuri sgusciò all’interno della palestra respirando a fatica. I rumori si fecero allora più forti e distinti. Facendo sempre estrema attenzione, la ragazza si chiuse la porta alle spalle trattenendo il fiato ed attese un momento prima di voltarsi.
“Coraggio, non puoi arrenderti proprio adesso!” pensò la ragazza cercando di darsi un po’ di forza. Voltandosi, scoprì con gran sollievo che le tribune erano completamente vuote, per sua fortuna, ma dalla posizione in cui era riusciva appena a scorgere il bordo del campo. Sentiva chiaramente le voci dei giocatori ma non riusciva ancora a vederli. Con passo lento e misurato si avvicinò al parapetto, stringendo più  forte che poté le bretelle dell’ampia borsa, carica di libri, che portava sulla spalla sinistra. Trattenendo il respiro allungò un poco il collo e diede una rapida occhiata al campo, che adesso riusciva a vedere per intero.  La sua attenzione fu subito catturata da un giocatore che le dava le spalle e che portava una fascia sul ginocchio.  Sayuri notò che stava urlando qualcosa al ragazzo alto e coi capelli rossi che gli stava davanti. Il cuore della ragazza mancò un battito nel momento in cui il giovane si girò mostrandole inconsapevolmente il proprio volto. Il respiro le si ruppe in gola e le sembrò che le gambe fossero sul punto di cederle. Sayuri riconobbe senza fatica i tratti familiari di quel bel viso sudato e stanco. Era tutto vero dunque.  Mitsui aveva ripreso a giocare a basket, aveva ripreso a lottare per i propri sogni con la determinazione e la forza che lei gli aveva sempre invidiato. Dunque, c’erano buone possibilità che avesse per sempre chiuso con la criminalità. Se così fosse stato … Lei avrebbe … Loro avrebbero … Sayuri percepì la propria vista annebbiarsi lentamente a causa delle lacrime che le stavano riempiendo gli occhi. Si portò la mano destra alla bocca, come a voler impedire che qualcosa ne uscisse. Come imbambolata, non si rese conto che qualcuno si era accorto della sua presenza. Si trattava di  due ragazze sedute sulla panchina a bordo campo.
-Ehi Haruko, chi è quella ragazza sulle tribune? Non mi pare sia una delle fan di Rukawa.-
La ragazza interpellata si voltò  a fissare per un istante Sayuri, strizzando un poco gli occhi per lo sforzo, e rispose: - Non so chi sia, Ayako. Comunque non credo possa essere una delle fan di Rukawa, l’avrei di certo notata prima! Sembra un’occidentale!-
Le due ragazze guardarono con più attenzione Sayuri e convennero in breve che non si trattava di una studentessa dello Shohoku. La sofisticata divisa scolastica che indossava, infatti, la denunciava come “estranea”. La scamiciata scura, le cui fini bretelle si incrociavano dietro, all’altezza delle scapole, cadeva alla perfezione sull’esile corpo della sconosciuta. Una fascia dello stesso materiale e colore faceva da cintura, stringendo in vita il tessuto per poi lasciare che si aprisse in un’ampia gonna a pieghe, che arrivava appena sopra il ginocchio. Un complicato stemma, cucito all’altezza del cuore, faceva bella mostra di sé, risaltando sullo scuro. Mentre un morbido fiocco color sangue spiccava sulla camicia chiara a maniche corte e a sbuffo, indossata al di sotto della scamiciata. Infine,  un delizioso basco dello stesso tono di rosso del fiocco faceva risaltare il biondo naturale dei lunghi capelli, legati a mezza coda. L’ampia frangetta e la distanza impedivano però ad Ayako e Haruko di capire di che colore avesse gli occhi la misteriosa ragazza.  Sayuri si sentì ad un tratto osservata e questo le permise di riprendersi dallo stato di semi incoscienza nel quale era caduta. Girandosi incrociò per un momento i due paia d’occhi che la stavano fissando con aria interrogativa da un po’.  Un’espressione di panico le si dipinse sul volto in pochi secondi e, voltatasi di scatto,  prese a correre in direzione della porta da cui aveva avuto accesso alle tribune.
-Ehi! Aspetta un momento!!-  Urlarono in coro le due ragazze alzandosi dalla panchina, come fossero state punte da un ago.
-Si può sapere che avete da gridare, voi due?! Qui c’è gente che cerca di allenarsi! – le rimproverò il capitano della squadra, seccato dal fatto che i suoi giocatori avessero interrotto l’azione a causa di quel grido.
-Ma fratellone, la ragazza bionda che vi osservava giocare fino ad un attimo fa è appena scappata!- protestò Haruko indicando la porta d’accesso alle tribune, rimasta spalancata.
“Una ragazza bionda … ?” quelle parole riecheggiarono per un momento nella testa di uno dei giocatori, la cui schiena fu come percorsa da un brivido.
-Mitsui?! Mi hai sentito?!-
La voce del capitano Akagi riportò subito Mitsui alla realtà.
-Come? Che cosa hai detto Akagi?-
-Ti ho detto di inseguire quella ragazza, tonto! Le ragazze dicono che non indossava la nostra divisa perciò scopri se per caso si tratta di una spia del  Ryonan.- 
Mitsui non se lo fece ripetere due volte e scattò subito in direzione dell’uscita mentre un violento ma dolcissimo dubbio lo assaliva. “Possibile che …? No, non ha senso!”
Nel frattempo Sayuri aveva raggiunto il lato opposto del cortile che, con grande sollievo, scoprì essere deserto. Stremata dalla corsa, resa per nulla agevole dalla borsa coi libri e dalle ballerine lucide che indossava, la ragazza appoggiò la schiena contro il tronco di un enorme albero. Ansimando, lasciò che la borsa le scivolasse giù dalla spalla e si accasciasse ai suoi piedi, dopo averle tirato giù uno dei calzini chiari. A quel punto  Sayuri chiuse gli occhi e cercò disperatamente di regolarizzare il proprio respiro. Mille pensieri le affollarono la mente in quel breve momento di pace. Pensò ai suoi genitori , che di certo si sarebbero opposti con tutte le proprie forze ad un suo possibile riavvicinamento a Mitsui. Pensò al suo povero cuore, che non voleva saperne di smettere di martellarle il petto dolorante. E naturalmente pensò a Mitsui, a quanto fosse bello sapere che stava bene e che era forse tornato ad essere il Mitsui che ricordava. Il Mitsui che lei era incapace di dimenticare e che, in fondo, non aveva mai smesso di amare.
-Sa- Sayuri … Sei… Sei proprio tu?-
Una domanda improvvisa. Una voce familiare, calda, affannata. Sayuri spalancò gli occhi terrorizzata e volse lo sguardo di lato, in direzione della voce. Mitsui ansante, era proprio lì e la guardava con aria sorpresa.  La ragazza, sgomenta, si voltò del tutto verso di lui. L'uno di fronte all'altra, meno di cinque passi a separarli. Finalmente. Sayuri strinse a pugno la mano sinistra, tremante, e se la portò al petto, che ancora non aveva ripreso movimenti regolari. C’erano così tante cose che avrebbero desiderato dirsi. Mitsui la osservava, incapace di proferire sillaba.  La piccola Sayuri-chan  che ricordava e a cui non aveva mai smesso di pensare era cresciuta ed era diventata una bellissima ragazza. Non c’era da stupirsi del fatto che persino Haruko ed Ayako ne fossero rimaste colpite. Tuttavia il tempo non l’aveva privata di quella sua aria indifesa e fragile, capace di scatenare in lui quel forte quanto incontrollabile istinto di protezione. Sayuri  fece un breve gesto di assenso col capo, poi tornò ad osservare quel ragazzo,  causa di ogni sua gioia e di ogni suo turbamento, in attesa che accadesse qualcosa . Qualunque cosa.
-Che … Che cosa ci fai qui?- le chiese il ragazzo non trovando domanda migliore da porle.
Sayuri, non sapeva esattamente cosa rispondere. La reale motivazione di quella sua visita non era troppo chiara neppure a lei. Era davvero venuta solo per assicurarsi che Mitsui avesse ripreso a giocare a basket e che avesse smesso d’essere un teppista? Oppure era arrivata fin lì con la speranza di vederlo, di parlarli e magari di sentirsi dire qualcosa in particolare? Queste domande tormentavano Sayuri che, abbassando lo sguardo, sentì gli occhi riempirsi nuovamente di lacrime. Poi ecco arrivare la risposta alla domanda appena postale da Mitsui. Una risposta limpida, chiara come la luce del giorno. Una risposta talmente ovvia da essere banale. “Sono qui per te. Perché non ho mai smesso di pensarti e di preoccuparmi. Perché non ho mai smesso di volerti bene e di desiderare di starti accanto”. Le sarebbe bastato pronunciare queste semplici parole per mettere a tacere tutti i quesiti che le straziavano la mente. Lui avrebbe capito, Sayuri ne era certa. Ma dove avrebbe trovato il coraggio per dire tutto questo? Poi ecco arrivarle in soccorso  una sorta di illuminazione.  Per la prima volta  in vita sua, Sayuri Emma Harper, sentì che avrebbe fatto bene ad affidarsi completamente al proprio istinto. Basta parole, basta riflessioni, basta congetture, basta calcoli. Era il momento di agire. Sarebbe bastato? A quel punto la ragazza non poteva far altro che augurarsi di sì. Senza pensare oltre per paura di cambiare idea, la ragazza coprì con decisione quei cinque passi che la separavano da Mitsui, non osando mai alzare lo sguardo. Giunta finalmente a destinazione, appoggiò la testa sul petto del ragazzo e si strinse a lui più forte che poté, aggrappandosi alla sua maglietta sudata. Mitsui, paralizzato dalla sorpresa,  perse per un istante la cognizione del tempo e dello spazio. Tutto ciò che era in grado di avvertire era il battito, divenuto improvvisamente furioso, del suo cuore ed il calore  profumato che quell’esile corpo, che tremante gli si stringeva addosso, sprigionava. Si alzò un leggero venticello  che prese a  giocherellare gentilmente coi vestiti e coi capelli dei due ragazzi. Mitsui d’un tratto comprese tutto. Comprese quanta sofferenza e quanta disperazione c’erano in quell'abbraccio, che era valso più di mille parole. Sayuri, oramai incapace di pensare a qualcosa che non fosse lo stringersi al corpo di Mitsui, sentì improvvisamente due forti braccia cingerla delicatamente e avvertì l’intero corpo del ragazzo piegarsi leggermente in avanti, verso di lei. Folle di gioia, Sayuri si lasciò andare ad un sommesso ma liberatorio pianto. Nel ricambiare il gesto, Mitsui non poté fare a meno di rendersi conto di quanto gli fosse mancata la sua bella amica mezza europea,  i suoi morbidi capelli biondi, gli occhi grigi, la pelle bianca baciata dal vento e dal sole.
-Mi dispiace Sayuri, mi dispiace tanto per tutto.- le sussurrò ad un tratto Mitsui.
-Se sapessi … Se sapessi quanto mi sei mancato, Hisashi. Se sapessi quanto  … Quanto mi sono preoccupata e quanto ho sofferto non potendo vederti o avere tue notizie. Più di una volta mi è sembrato di … Di impazzire.- rispose Sayuri singhiozzando.
-Anche tu mi sei mancata tanto, Sayuri. So che non avrei mai dovuto comportarmi così ma dopo l'ultimo infortunio tutto è diventato così difficile. Mi sono sentito perso, sconfitto, senza via d’uscita. E poi sono cambiato, sono diventato un’altra persona. Una persona orribile. Con che coraggio avrei potuto continuare a starti accanto dopo essere diventato un teppista? Dopo essermi arreso ed aver smesso di lottare? Ti avrei fatto solo del male. Per questo ho preferito scivolare via dalla tua vita in silenzio. Ma adesso che le cose hanno ripreso a girare per il verso giusto, adesso che io sono tornato ad essere me stesso, ti giuro che non ti lascerò mai più, qualunque cosa accada.-
Queste parole sorpreso piacevolmente Sayuri che finalmente dopo tanto tempo si sentì davvero serena, nuovamente completa. Mitsui era tornato quello di un tempo e queste sue parole ne erano conferma. Il ragazzo, allora, allentò appena la presa dell’abbraccio e, mentre il vento continuava ad accarezzarli, alzò il mento di Sayuri. Sorridendole, si perse per un momento nell'intenso grigio dei suoi occhi arrossati per poi posare delicatamente le sue labbra su quelle di lei, baciandola dolcemente e assaporando il gusto salato della lacrime che proprio lui aveva provocato.
Quello fu il giorno in cui si ritrovarono e capirono di appartenersi. Da quel giorno in avanti furono nuovamente inseparabili, Da quel giorno in avanti, insieme, protessero quel loro splendido e tenero amore, appena risvegliato, da tutto e tutti, anche a costo di ferite e lividi. Da quel giorno in avanti divennero indispensabili l’uno all’altra come l’aria.
 
  
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