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Autore: Duchessa di Scerni    27/01/2012    1 recensioni
Quando ho dovuto scegliere la tematica, mettere "romantico" era impensabile. Ho così optato per "sentimentale" che nonostante sia comunque lontano dalla vera natura della storia la sfiora almeno. Questa non è una storia d’amore, ma piuttosto una storia di due destini complementari che per volontà del caso - o meglio della tuke, come mi piace definirla - hanno la possibilità, in una notte strana ed inimmaginabile per entrambi, di rincontrarsi e capire che sono e saranno per sempre legati a doppio filo.
Dal testo:
“Se ti riferisci al cosiddetto amore risparmiati la farsa. La pensiamo allo stesso identico modo. La tua visione del mondo è anche la mia, il tuo ideale di vita è anche il mio…Compito dell’uomo d’intelletto è fare la propria vita come un’opera d’arte. La vera superiorità è tutta qui…”
“…L’amore non fa parte del disegno è anzi una deviante utile solo a smarrire la strada che era stata tracciata per arrivare allo scopo. Si lo so. Ma quello a cui mi riferivo è altro. E’ il condividere quell’ ideale.”
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: L'Ottocento
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Venezia, ottobre 1890.


Il teatro quella sera era gremito, sembrava che tutta la nobiltà si fosse data appuntamento per celebrare qualcosa.  Le dame avevano tirato fuori i loro abiti più sfarzosi , i gentiluomini avevano dato ordine di preparare le carrozze più belle, di far imbrigliare i cavalli migliori, addirittura la struttura del teatro sembrava scintillare per i tanti gioielli indossati in sala.
Tra tutto questo splendore nel suo palco privato, il giovane duca Andrea di Monteforte stava dando un piccolo ricevimento personale per festeggiare il suo recente ritorno dal pellegrinaggio che compiva annualmente andando in Grecia ad ammirare i frammenti di quella antica e meravigliosa civiltà giunti fino a lui.
Anche se il vero spettacolo si sarebbe tenuto sul palcoscenico  tutti gli occhi erano puntati sul duca, tutta l’attenzione di quel gruppetto di persone si catalizzava sulla sua voce, sui suoi gesti, sui sorrisi che rivolgeva a chiunque incrociasse il suo sguardo. Aveva l’assurdo potere di legare a lui le persone semplicemente parlando.  La sua bellezza poi, era in grado di ipnotizzare chi gli stava intorno.  Chi lo guardava negli occhi sembrava quasi affogare nella profondità di quelle due pozze del colore dello smeraldo più brillante. Colei che più recentemente stava subendo questo era la contessina Sofia von Altembourg, cognata del conte Fabrizio d’Esio, uno dei migliori amici di Andrea, che da un po’ di tempo a questa parte lo stava spingendo a sposarla, sapendola da sempre perdutamente innamorata di lui.
Sofia lo amava, nonostante conoscesse la sua pessima fama. Era un dissoluto le diceva suo padre ma lei questo lo sapeva perfettamente. Sapeva anche che le sue notti passavano prima ai tavoli da gioco e poi nel letto di donne ogni sera diverse, sapeva che era da sempre innamorato solo di se stesso, come quel Narciso la cui leggenda aveva dato il nome al fiore che portava sempre all’occhiello. Ecco, nonostante tutto questo lo amava.
“Sarò la sua medicina”si ripeteva, nutrendo la sciocca illusione di poterlo cambiare.
 Ma per Andrea quella creatura innocente non andava affatto bene, lui voleva una donna. Una donna che condividesse la passione per tutto ciò che era bello, condividesse l’amore-non amore che faceva parte di quella particolare visione della vita in cui il sé è più importante dell’altro. E a dirla tutta lui una donna così l’aveva trovata, ma prima di partire lei gli aveva fatto capire che al suo ritorno non ci sarebbe stata. Chissà dov’era ora… Ma mentre questi pensieri lo assalivano la musica del primo violino lo riportò alla realtà e con attenzione iniziò a seguire l’opera.
 
Quando il violino liberò le sue prime, dolci, note, Elena si guardò per l’ultima volta allo specchio prima di entrare in scena. Finalmente quella sera dopo mesi passati a dare spettacoli di quart’ordine o a sperare che una delle due soprano si sentisse male per prendere il suo posto sarebbe stata lei la protagonista. Tutti l’avrebbero applaudita e sarebbe stata finalmente elevata dallo stato in cui si trovava. Quanto aveva aspettato quel momento che finalmente era giunto!
Mentre percorreva i corridoi che l’avrebbero portata sul palcoscenico ripensò al momento in cui aveva lasciato la sua famiglia, la casa di suo padre, il suo titolo di principessa, la sua città sfidando la sorte per essere libera.
Libera dalle costrizioni che il suo ceto le imponeva, libera dagli sguardi dei suoi innumerevoli pretendenti sempre puntati su di lei, libera dai mille pettegolezzi che si facevano sul suo conto. E ancora: voleva essere libera di appartenere solo a se stessa, libera di essere la donna che voleva accettando senza rimpianti tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate.
Infine si ricordò delle ultime parole che aveva scambiato con sua madre:
 
“Ti prego non lasciarmi, sei l’unica figlia che ho! Questa sera stessa morirò di dolore se permetterai alla carrozza di andare via dal palazzo”
“Tutte le cose che avevo da dirvi sono state già dette. Addio, madre.”
 
Ma ecco: era il suo momento. Si riscosse velocemente da quei ricordi entrando in scena ed interpretando la migliore Lucia di Lammermoor  che il teatro “La Fenice” di Venezia avesse udito da molti anni.
 
“Non è possibile”
Erano le uniche tre parole che la mente di Andrea riusciva ad elaborare. L’aveva lasciata nemmeno tre mesi prima a dare spettacoli di infima qualità in teatri di periferia ed ora invece eccola lì. Elena Faiella principessa reale di Santo Spirito nel Regno delle due Sicilie, era al centro del palcoscenico della Fenice e stava interpretando magistralmente il ruolo di Lucia.
Lei.
Era lei che aveva davvero condiviso la sua vita per pochi, chimerici, mesi. Avevano spartito tutto: il cibo, l’alcol, le sigarette e soprattutto il letto, passando i giorni a leggere o ad ammirare qualsiasi cosa bella offrisse Venezia e le notti ad assaporare qualsiasi altra sensazione  potessero offrirsi l’un l’altro senza mai aspettarsi nulla dal futuro. 
Quando lui era partito avrebbe voluto portarla con sé per farle finalmente ammirare lo splendore di cui le aveva tanto parlato ma il suo rifiuto era stato categorico. Partire con lui significava ammettere che c’era un legame e lei non l’avrebbe mai accettato. Era fuggita da un mondo di obblighi e imposizioni per trasformare il dipinto della sua vita, per farla diventare un’opera d’arte ripeteva, e non sarebbe ricaduta nel tranello.
Ma ora era proprio di fronte a lui e stava cantando, da protagonista, ammirata da tutti. Con un gesto impulsivo tirò fuori dal taschino il portasigarette d’argento che aveva fatto incidere con il loro vademecum tradotto in tre lingua diverse. “L’art pour l’art”, “Art for art’s sake” “L’arte per l’arte” si leggeva. E mentre seguiva con lo sguardo lo svolazzo finale di quell’ultima “e” pensò a cosa potesse fare per recuperare quel suo personale, tremendo, Paradiso.
 
Appena l’ultima eco degli applausi si spense, Elena tornò nel suo camerino. Voleva rifugiarsi in quel suo spazio privato prima di tornare all’albergo che la ospitava, in attesa che trovasse una casa più degna rispetto alla stamberga che aveva abitato nell’ultimo anno. Ora si sentiva perfettamente felice, la sua vita finalmente prendeva la piega giusta e per terminare la serata in bellezza non le mancava altro che rileggere nella dorata solitudine di quel suo ritiro personale, che la rispecchiava in tutto, qualche pagina di quel libro che portava sempre con lei e che aveva ispirato la vita che avrebbe voluto condurre.
Quando arrivò alla soglia però, senza nemmeno alzare lo sguardo sulla sala si accorse della presenza di qualcuno.
 
“Sei stata divina stasera”.
Quella voce. La voce che non sentiva da più di tre mesi, ma che avrebbe sempre riconosciuto, e che ora era a pochi metri da lei appoggiato alla parete di fondo della stanza. Quella voce, che le risvegliava dentro un qualcosa di pericoloso forse, ma che lei trovava estremamente inebriante.
La sua voce, la voce di Andrea.
“Vedi, si rimane in piedi nonostante la tua assenza, anche se tu non ci credi” replicò avvicinandosi.
“Certo. D’altronde il centro del tuo mondo sei sempre stata tu, non avevi bisogno di altri.”
“Soprattutto di te”
“Hai ragione, come sempre. Ci tenevo soltanto a farti i complimenti non solo per la straordinaria interpretazione ma anche per l’incredibile salto di qualità. Dai bassifondi alla Fenice in appena qualche mese, però.”  Il suo tono era di un’insolenza irritante.
“Come vedi la fortuna gira. Finalmente qualcuno mi ha notata ed ora sono qui.”
“Felice per te. Sei riuscita nel tuo intento, ma dimmi non ti manca qualcosa? ”
“Se ti riferisci al cosiddetto amore risparmiati la farsa. La pensiamo allo stesso identico modo. La tua visione del mondo è anche la mia, il tuo ideale di vita è anche il mio…Compito dell’uomo d’intelletto è fare la propria vita come un’opera d’arte. La vera superiorità è tutta qui…”
“…L’amore non fa parte del disegno è anzi una deviante utile solo a smarrire la strada che era stata tracciata per arrivare allo scopo. Si lo so. Ma quello a cui mi riferivo è altro. E’ il condividere quell’ ideale.”
“Forse mi manca, forse no…Ma ora dimmi il vero motivo per il quale sei qui.” Ormai la sua presenza l’agitava terribilmente.
“Davvero non ci arrivi? Suvvia cara, di te oltre alla tua bellezza ho sempre ammirato l’arguzia.”
“Speravo di sbagliarmi..”
“Ascolta: io non più chi sei… Non mi importa chi sei. Mi basta sapere che ci sei. Che sei di nuovo pronta a seguirmi nel mio Inferno, che poi del resto è anche il tuo.”
Rieccola.
 Quella sua particolare capacità di usare le parole come strumenti di cui si serviva a suo piacimento.
Cercando di cambiare discorso Elena accennò alle voci che lo volevano sposo imminente.
“Perché sei tornato da me? Sai quello che posso offrirti, che non è molto. Le certezze che avresti sposando la von Altembourg da me non le avrai mai.”
“Oddio, non metterti a fare la moralista, non ti si addice per niente. Non voglio niente di più di quello che volevo quando sono partito. Condividi con me la vita che solo noi sappiamo, non ti chiedo altro. Abbandoniamoci alla soglia della nostra pazzia…” disse, avvicinandosi pericolosamente alle sue labbra. 
Come resistergli? Ma del resto… Perché farlo? Lei non cercava altro rispetto a quello che lui chiedeva. La vita che le offriva le andava bene, era quella che aveva sempre desiderato. Per alcuni poteva essere un percorso di perdizione che avrebbe condotto addirittura alla morte. Ma entrambi sapevano che non era  così e a loro andava bene. Anzi, non avrebbero saputo chiedere di meglio.
Quella notte a differenza di quanto Elena aveva immaginato, non l’avrebbe trascorsa in solitudine né tantomeno nella sua stanza d’albergo. E poco prima che facesse giorno, rientrando con Andrea nel suo palazzo dopo aver trascorso la notte ai loro amati tavoli da gioco si rese conto che il caso, o meglio la Tuke, le stava offrendo quella seconda possibilità che per orgoglio non avrebbe mai ammesso di volere.
In nessun caso però, fu più sicura di qualcosa, come quando iniziando a far l’amore con lui nel letto che l’aveva ospitata tante volte, pensò che il duca di Monteforte, in un modo o nell’altro, avrebbe fatto per sempre parte della sua vita.
   
 
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