Capitolo 28
Una
mattina carica di sole, è una mattina che infonde energia
anche nel corpo più
stanco, con i suoi benefici raggi che sono sempre stati sinonimo di
vita per
tutti gli esseri viventi. Per questo adoravo le stagioni calde,
così vitali,
così capaci d’infondere positività
nell’animo; soprattutto amavo le mattine
estive, che avevano quel qualcosa in più nei loro raggi
caldi e accoglienti,
che ti davano un immediato buon umore.
Per
quel motivo, quando aprii gli occhi e venni inondata dalla luce del
giorno,
sorrisi di riflesso… Ma quel mattino c’era anche
un ulteriore motivo per essere
felice, un motivo che aveva dei ricci dello stesso colore del sole.
Non
appena aprii gli occhi, del tutto rinvigorita dai baci
dell’astro diurno, mi
voltai alla mia sinistra per cercare il mio compagno notturno e non
vedendo la
presenza di Emile, mi alzai a sedere, preoccupata che fosse andato via
mentre
dormivo. Quella mattina avrei voluto trascorrerla accanto a lui, avrei
voluto
godere della sua presenza accanto a me, parlargli della mia settimana,
chiedergli
della sua e restare abbracciata a lui finché non ci fossero
venute le ragnatele
addosso per la troppa immobilità! Il solo pensare che invece
fosse andato via,
senza nemmeno salutarmi, mi pervase di tristezza e preoccupazione,
sentii un
dolore lancinante al centro del petto al pensiero che non fosse
lì con me!
Dopo
qualche momento di puro
panico però,
iniziai a sentire dei rumori provenire dal basso…
«Ti
sei svegliata, Bella Addormentata?» … e quella
voce che tanto amavo, mandò via
in un solo colpo, tutte le mie stupide paure mattutine.
«Sì…
ma che ore sono? È tardi?»
«Non
è prestissimo, sono le undici.»
Feci
uno sbadiglio, contando le ore in cui avevo dormito e mi resi conto di
non aver
riposato granché…
«Come
fai ad essere già in piedi? Non hai dormito
proprio?»
Per
tutta risposta, lo sentii salire le scale per raggiungermi e una volta
arrivato
sul pianerottolo, mi beai di quella visione riservata solo ai miei
occhi.
Non
avendo un pigiama, Emile aveva dormito con addosso solo
l’intimo e fu in quelle
condizioni che arrivò portando un vassoio in mano,
regalandomi la visione del
suo corpo snello ma non privo di muscoli, reso ambrato dalla leggera
peluria
rossa che gli copriva braccia, gambe e torso. Era uno spettacolo e
iniziai a
comprendere il desiderio di Alberto di ritrarre sua moglie, per
imprimere sulla
tela le fattezze di un corpo e di un’anima che tanto amava;
probabilmente se
avessi avuto del talento artistico, avrei fatto rimanere immobile il
mio Pel di
Carota per immortalarlo in quel preciso istante, bello e perfetto come
solo i
miei occhi riuscivano a vederlo.
In
quello stesso momento in cui ammiravo estasiata la sua figura, Emile mi
rispose:
«Mi sono svegliato una mezz’oretta fa e visto che
c’ero, ho pensato di
preparare la colazione.»
Sul
vassoio c’erano due bei bicchieri di latte freddo, biscotti,
cereali, fette
biscottate e marmellata e anche il barattolo di Nutella che non faceva
mai
male!
«Emile
ma è la colazione per una famiglia intera,
questa!»
Appoggiò
il vassoio sul letto, prima di accomodarsi accanto a me e sorridendo mi
rispose:
«”Meglio abbondare che
deficere”! Puoi
sempre lasciare quello che non ti va.»
Mi
osservò per qualche momento, con un sorriso bellissimo e
naturale sul viso e
una luce negli occhi che non gli vedevo da tempo, per poi darmi un
dolcissimo
bacio: «Buongiorno, streghetta mia.»
Era
uno dei risvegli più belli che avessi mai avuto e in quel
momento mi resi conto
di quanto desiderassi che le mie giornate iniziassero sempre in quel
modo, con
il mio Emile che mi sorrideva felice, con la sua presenza sicura e
costante
accanto a me. Mi sentii avvolgere da una felicità
così malinconica, che per
mascherare la commozione che stava per avere il sopravvento su di me,
l’abbracciai
di colpo, incapace di reggere il suo sguardo.
«Non
te ne andare!»
Mi
stupii di quanto quella richiesta sembrasse una supplica: ero
consapevole di
sentire la sua mancanza, ma non mi ero ancora resa conto della sua
portata,
fino a quel momento. Cosa che di sicuro aveva compreso Emile,
poiché sentii la
sua mano sulla mia schiena che mi stringeva protettiva e con voce dolce
e
rassicurante mi rispose:
«Non
ne ho alcuna intenzione.»
Appena
riuscii a riprendermi da quel magone improvviso, mi accoccolai tra i
cuscini,
mentre il mio Pel di Carota mi porgeva il bicchiere con il latte,
seduto
accanto a me.
«Hai
dormito bene, piccola strega?»
«Benissimo!»
Gli
sorrisi felice, avrei potuto anche trascorrere la notte in bianco, ma
sarebbe
stata ugualmente bella perché c’era lui con me.
«Anche
se hai dormito poco più di quattro ore?»
«Lo
stesso vale per te.»
«Beh,
io ho dormito più di te, prima che arrivassi ho fatto un bel
pisolino.» Fece un
sorrisetto in mia direzione e quella stanza già pienamente
illuminata, sembrò
risplendere di quel sorriso sereno.
«Ti
ho fatto attendere tanto?»
«Non
saprei… credo di essere crollato nel momento in cui mi sono
accertato che non
ci fossi e mi sono appoggiato alla porta.»
«Dovevi
essere davvero stremato!»
«Abbastanza…
Sei sicura di aver riposato? Se vuoi tornare a
dormire…»
«No!»
Risposi
immediatamente senza fargli finire la frase; no, non volevo
assolutamente
considerare quell’opzione, sarei crollata dal sonno quella
notte, ma durante
quelle ore diurne non
mi sarei persa
l’occasione di stare insieme al mio Pel di Carota!
Allungai
una mano verso la sua, con cui si stava puntellando sul letto:
«Voglio stare
sveglia, qui accanto a te; ci penserò stanotte a
dormire.»
Il
viso di Emile, dapprima sorpreso per la mia risposta fulminea,
mutò in
un’espressione dolcissima e poggiò il bicchiere
sul vassoio per accarezzarmi il
viso con la mano libera:
«D’accordo
piccola strega, sono tutto tuo.»
A
quelle parole, la mia emotività messa fin troppo alla prova,
mi tradì
definitivamente e mi
ritrovai in un
fiume di lacrime di gioia nel giro di un battito di ciglia.
«Ehi,
che ti succede, Pasi?»
Iniziai
a tirare su con il naso annaspando per cercare di parlare:
«Non… è …
niente…»
«Come
“non è niente”? Ho detto qualcosa che
non va? Ti ho ferita in qualche modo? Non
pensavo di …»
«No,
no… anzi…»
Emile,
sempre più preoccupato si avvicinò a me e mi
prese il viso tra le mani.
«Allora
cosa succede? Hai fatto qualche brutto pensiero?»
Feci
cenno di diniego con la testa, cercando di riprendere il controllo del
mio
respiro e appena riuscii a calmarmi quel tanto che bastava a farmi
parlare, ne
approfittai per spiegare meglio ad Emile il mio stato d’animo.
«Sono
felice, perché rimani qui, perché non vai via,
perché sei tutto per me oggi.»
Il
mio Pel di Carota assunse un’espressione contrita e mi
strinse di colpo a sé,
serrando la sua stretta.
«Mi
dispiace così tanto, Pasi! Per te non ci sono mai e tu non
ti sei lamentata
nemmeno una volta! Ti ho lasciato sola troppe volte, sono
inqualificabile.»
Mi
strinsi a lui come se volessi fondere i nostri corpi e lasciai scorrere
le
ultime lacrime di gioia nel calore del suo abbraccio, finché
ritrovata la voce,
risposi:
«Ora
sei qui e voglio pensare solo a questo, voglio stare con te oggi, solo
con te.»
Il
cuore mi scoppiava nel petto, sentivo una stretta micidiale che non mi
faceva
respirare, ma era un dolore dolcissimo, perché era il dolore
della felicità, il
dolore che indicava quanto io fossi profondamente innamorata del mio
Emile.
«Sono
qui, non me ne vado, piccola. Mi sei mancata troppo per potermi
separare da te,
ora.»
«Però
mi devi promettere una cosa.»
«Cosa?»
«Che
la smetterai di sentirti in colpa e che tornerai a sorridermi come
prima. Non
voglio musi lunghi, sono bastate queste due fontane ad incupire la
giornata!»
Sentii
Emile sorridere: «D’accordo ragazza indiana Piccolo
Fiume, niente musi lunghi.»
Mi
accarezzò i capelli e mi godetti ancora per un po’
quell’abbraccio, che,
nonostante la temperatura estiva lo stesse rendendo infuocato, mi
donava una
sensazione di conforto e di tranquillità come nulla al
mondo.
Appena
mi riscossi da quell’ondata di emotività
incontrollata, consumammo la nostra
colazione e iniziai a raccontare ad Emile della mia settimana e non mancai di
aggiornarlo con le mie
scoperte sul conto di Sofia:
«La
piccoletta innamorata di mio cugino? Questa è
bella!»
Era
la prima volta che Emile parlava di Lucien chiamandolo con
quell’appellativo e
fui così felice, all’idea che iniziasse davvero a
considerarlo parte integrante
della famiglia, che sorvolai sulla velata critica alla mia amica.
«A
quanto sembra sì… Rita dice che la sua presenza
al Dada era di per sé
indice dell’interesse di Sofi verso Lucien.»
Emile sembrava sorpreso e divertito, non c’erano ombre sul
suo viso e
incoraggiata, continuai «Inoltre Lucien l’ha fatta
arrossire e la cosa si è
ripetuta quando l’ho nominato a casa sua.»
Il
mio Pel di Carota continuava ad ascoltarmi incuriosito, mentre
sgranocchiava i
cereali rimasti nel vassoio. Eravamo rimasti sul letto a parlare: Emile
era
adagiato comodamente sui cuscini, mentre io ero seduta a gambe
incrociate
accanto a lui. Eravamo rimasti abbracciati finché la
temperatura ce l’aveva
permesso, ma quando avevamo iniziato a sudare c’eravamo visti
costretti a
separarci… almeno per un po’. Nonostante avessi le
tende alle finestre, il
calore arrivava imperterrito e a breve sarei stata costretta a chiudere
le
imposte per avere un po’ di refrigerio, anche se questo
avrebbe significato
rinunciare al sole.
«Incredibile,
non poteva trovare una persona più difficile.»
«Chi,
Sofi?»
«No…
Lucien. La tua amica non mi sembra una persona facile a lasciarsi
andare, sembra
un limone appena colto!»
«Senti
da che pulpito vien la predica!» Allungai una mano verso il
vassoio e iniziai a
sgranocchiare i cereali anche io.
«Stai
insinuando che sono acido?» Emile mi guardò con
aria sospettosa, ma la sua
espressione mal celava un sorriso divertito.
«Come
un limone acerbo!» Lo stuzzicai, rendendomi conto che quella
mattina era di
ottimo umore, senza contare che non avrebbe messo musi lunghi
perché mi aveva
promesso di non farlo.
«Piccola
strega impertinente!»
Il
mio Pel di Carota prese i cereali che stava per mangiare e me li
lanciò contro
a mo’ di coriandoli e la mia risposta non tardò ad
arrivare: in un batter
d’occhio quel letto si trasformò in un campo di
battaglia e i cereali divennero
solo dei proiettili, sparsi ovunque sulle mie lenzuola. Quando mi
allungai per
fare rifornimento e mi resi conto che le munizioni erano terminate, un
lampo
balenò negli occhi di Emile che colse l’occasione
al volo per atterrarmi in un
solo colpo facendomi il solletico:
«Ahahahaha!!
Sei sleale! Ahahahah! Lo sai che al solletico non reggo!»
«I
limoni acerbi sono fatti così, non lo sai?»
Continuava
a sorridere soddisfatto, mentre gioiva della sua vittoria schiacciante:
torreggiava piegato su di me e osservai il suo viso che emanava
felicità,
sentendomi totalmente appagata.
«Guarda
che mi hai fatto, ho i cereali anche nei capelli!»
«Allora
conviene farci una bella doccia.»
E
lo fu, una bella doccia; una delle docce più bollenti che
avessi fatto,
nonostante l’acqua fosse a malapena tiepida.
Per
riprenderci dalle fatiche di quella splendida mattinata, preparammo il
pranzo
insieme e fu in quel momento, tra qualche pomodoro da tagliare e due
bistecche
da cucinare, che ricordai di chiedergli delle informazioni su una
persona in
particolare:
«Emile,
tu conosci Iulia?»
«Chi?»
«Iulia,
la ragazza di Francesco, il tuo chitarrista.»
«Ah!
Ora ho capito… Come hai fatto a conoscerla?»
Gli
raccontai della sera in cui Iulia si presentò a me, in quel
modo del tutto
fuori dall’ordinario e della sua richiesta di vederci; Emile
mi ascoltò serio,
ma aleggiava un certo divertimento sul suo viso.
«Non
la conosco molto, perché generalmente non voglio intrusioni
quando proviamo, ma
nelle volte in cui l’ho vista,
Iulia mi
ha dato l’impressione di essere una ragazza vitale e fuori
dagli schemi. È perfetta
per Francesco: come lui, riesce a portare allegria ovunque
vada.»
«Quindi
credi che sia sincera? Che voglia davvero conoscermi?»
«Probabilmente
si, così potrà parlare male di me, insieme a
te.»
«Oh
andiamo e perché dovrebbe?» La mia testa
però andò con la memoria ad una delle
poche frasi che mi aveva detto quella sera: “Scusami
se te lo dico, ma ad iniziare dal frontman, sono sempre tutti
così seri e pesanti.”
«Perché
la nostra band, o meglio il suo insopportabile dittatore, toglie a
Francesco
del tempo prezioso per stare con lei… su questo
probabilmente vi capirete in
pieno.» Il viso di Emile continuava ad essere allegro, ma
sentii una nota
sarcastica nelle sue parole. Lo guardai corrucciata per fagli intendere
che
stava entrando nel melodrammatico e ci rise su. «Lamentele a
parte, credo che
voglia davvero conoscerti, per condividere con te la dura vita della
compagna
di un musicista: negli anni in cui abbiamo creato il gruppo e abbiamo
iniziato
ad esibirci, Iulia è stata l’unica presenza
costante, nessuno di noi ha mai
avuto una ragazza fissa per così tanto tempo… A
parte forse, Claudio… ma la sua
ex non era mai presente, ci odiava apertamente e si rifiutava di
presenziare
alle nostre serate, per cui alla fine, Iulia è sempre stata
da sola.»
«Capisco…
quindi è una specie di mascotte, per voi!»
«Sì,
almeno quando dobbiamo esibirci, è sempre in prima fila a
tifare per noi.»
«Che
dolce, deve amare tanto Francesco.»
«Immagino
di sì…»
«La
prossima volta però, ci sarò anche io!»
Esclamai, felice all’idea di poter dare
anche a lui l’appoggio che Francesco riceveva da anni da
Iulia.
Emile
sorrise tra sé e sé: «Per ora non
abbiamo in progetto altre serate, ci stiamo
concentrando sul tour, ma non si mai, magari prima di partire
riusciremo a fare
qualche tappa nei locali, per promuovere l’album.»
«E
allora ci sarò!»
Gli
risposi cercando di essere più sorridente possibile,
perché al solo nominare il
tour imminente, il mio cuore si era contratto: non avrei visto Emile
per mesi!
Stare lontano da lui era sempre più una sofferenza fisica
per me e se qualche
settimana in cui eravamo stati più distanti, mi aveva
ridotto a piangere come
una bambina tra le sue braccia, come avrei potuto sopportare dei lunghi
mesi di
lontananza?
Iniziai
a sentire il magone chiudermi la gola, ma cercai di farmi forza, per
non mostrare
quel malessere ad Emile, che però insospettito
dall’improvviso silenzio, alzò
la testa dalle bistecche e si girò in mia direzione.
«Cosa
c’è? Non avevi detto niente musi
lunghi?»
Aveva
ragione, quella era la nostra giornata insieme, la nostra isola felice,
non
doveva esserci spazio per i musi lunghi e per i pensieri tristi, doveva
essere
una giornata all’insegna del buon umore!
Cacciai
indietro le lacrime e mi riscossi dall’umore tetro,
concentrandomi su quegli
occhi che mi scrutavano preoccupati e sulla gioia di averli ancora
lì davanti a
me.
«È
vero, niente musi lunghi oggi, finiamo di preparare perché
sto svenendo dalla
fame!»
Purtroppo
per me, la mia giornata con Emile non era destinata a durare ancora a
lungo:
approfittando della giornata libera dal lavoro e dalle registrazioni, i
GAUS
avevano deciso di riprendere le audizioni per trovare il nuovo
batterista,
poiché la presenza di Claudio non sarebbe andata oltre il
tour imminente. Emile
era sinceramente dispiaciuto nel rivelarmi che nel primo pomeriggio,
sarebbe
dovuto andar via da casa mia ed io cercai di non farglielo pesare,
anche se la
tristezza velò il mio viso e mi ritrovai nuovamente tra le
sue braccia
confortanti.
«So
che non è la stessa cosa, ma potresti venire a casa mia,
invece di restare qui
da sola: ci sono mio padre e Lucien, saresti in loro compagnia e quando
avrò
finito con le audizioni, sarò di nuovo tutto per te, che ne
dici?»
Allentai
l’abbraccio quel tanto che bastava a guardarlo negli occhi:
«Siii! È da tanto
che non vedo Alberto e sono curiosa di vedere anche il suo
dipinto!»
Emile
mi sorrise felice e mi diede un bacio sulla fronte prima di tornare a
stringermi a sé.
Arrivati
a casa Castoldi, il mio Pel di Carota corse a cambiarsi, mentre io
andai di
filata nel laboratorio, alla ricerca di Alberto, dando per scontato che
fosse
intento a continuare il suo ritratto di Claudine. E infatti fu
lì che lo trovai:
seduto sul suo sgabello, intento a rifinire il prato ai piedi di sua
moglie,
che invece era quasi del tutto completata.
Alberto
era così concentrato che riuscii ad avvicinarmi e ad
osservare quel dipinto,
senza che lui si rendesse conto della mia presenza; solo quando mi
schiarii la
voce per annunciarmi si bloccò un istante, come se fosse
stato risvegliato da
un sogno e si voltò in mia direzione.
«Bambina
mia! Da quanto tempo non ti vedevo! Vieni qui e fatti abb….
No va, stavolta niente
abbracci!»
Fece
una risata, rivolgendo lo sguardo al suo camice ancora più
sporco ed io gli
andai incontro abbracciandolo dalle spalle, per dargli un bacio
affettuoso su
una guancia.
«Mi
sei mancato tantissimo anche tu!»
«Ma
mai quanto ti è mancato qualcun altro, vero? L’hai
fatto mangiare, o hai solo
consumato le energie di mio figlio?» Fece una delle sue
più belle risate, mentre
il mio viso diventava bordeaux: non mi sarei mai abituata a quelle
battute,
come diavolo faceva a scherzare sulla vita intima di suo figlio?
Un
normale genitore avrebbe agito come uno struzzo, facendo finta di non
sapere ed evitando
come la peste un
argomento simile, invece lui lo affrontava così
tranquillamente, come se non
stesse parlando della sua progenie ma di un semplice amico o
conoscente… Era
davvero un uomo fuori da ogni schema e ancora non riuscivo a
capacitarmene!
«Ed
ora dove lo hai lasciato? È fuggito via a riprendere
fiato?»
«Ma
no! Uff… tra poco arriveranno i ragazzi perché
hanno le audizioni per il nuovo
batterista ed è salito a cambiarsi, dato che aveva gli abiti
di ieri…» Abbassai
la testa insieme al mio tono di voce, temendo un’altra
battuta delle sue, che
per fortuna non arrivò.
«Capisco,
dovrebbe portarsi dei ricambi quando viene da te… Anche tu
dovresti fare lo
stesso qui, così non saresti costretta a mettere dei vestiti
smessi di Emile.
Ormai sei di casa bambina, non c’è alcun problema
se ti fermi a dormire quado
ne hai voglia.»
Alberto
riusciva sempre a toccarmi il cuore, l’abbracciai grata per
quelle parole così
cariche d’affetto e da sopra la sua spalla guardai con
attenzione il suo
dipinto: a distanza così ravvicinata, potei notare i
particolari del viso di
Claudine, i riflessi tra i capelli, l’abito leggero che le
fasciava il corpo,
ma senza rivelare troppo le sue forme e il prato mosso dal vento. Tutto
era in
perfetta armonia, pervaso di colori brillanti ma non accesi e
l’intera
composizione emanava gioia di vivere e il grande amore di Alberto,
infuso in
ogni sua pennellata. «È meraviglioso, è
ancora più bello ora che è quasi
completo.»
«Ti
ringrazio bambina mia, da quando ho iniziato, ogni momento libero lo
dedico a
questo quadro: riprendere i pennelli in mano è stato come un
droga per me: una
volta iniziato, non sono riuscito più a farne a meno. Mi sto
rendendo conto
solo ora di quanto mi sia mancata la pittura!»
Quello
davanti a me era l’Alberto che si era spento
vent’anni prima, il pittore che
aveva rinunciato alla sua arte, per amore della sua famiglia. Compresi
solo in
quel momento la portata del suo sacrificio, solo guardando i suoi occhi
malinconici e le sue mani fiere di essere imbrattate di colore, mi resi
conto
di quanto dovesse essergli costato abbandonare una parte di
sé così importante
come la pittura, per potersi dedicare a sua moglie e a suo figlio. E
Alberto
non aveva mai, nemmeno una volta, avuto parole dure contro la sua
famiglia, non
aveva mai mostrato del risentimento verso quelle due persone, che
l’avevano
involontariamente costretto a rinunciare a se stesso. Quale dolore
doveva
celarsi nel cuore di quell’uomo? O quanto amore puro e
incondizionato?
«Continuerai
a dipingere una volta terminato questa tela?»
«Non
so, sono tornato a dipingere perché volevo donarle un
ritratto, ma se il mio
desiderio di creare dovesse continuare, è anche probabile
che lo faccia; mi
sento bene quando dipingo e questa casa presto si svuoterà,
avrò bisogno di
qualcosa che mi tenga un po’ di compagnia.»
Alberto
aveva pienamente ragione: Lucien non sarebbe rimasto per sempre ed
Emile presto
sarebbe partito per il tour… Mi sentii stringere nuovamente
il cuore all’idea
della solitudine che avrebbe travolto sia me che l’uomo che
avevo accanto e i
miei occhi si velarono di tristezza.
«Coraggio,
non pensarci ancora, il nostro testone è ancora qui, ci
farà compagnia ancora
per un po’, è inutile immusonirsi prima del
tempo.»
Appoggiai
il viso sulla sua spalla stringendomi di più a lui:
«Hai ragione, però se ci penso,
mi manca già così tanto!»
Alberto
allungò una mano sulla mia guancia per farmi una carezza:
«Lo so bambina, ma
dovremo abituarci, è la vita che ha scelto per sé
e non possiamo fare altro che
accettarla.»
«Però
io e te possiamo farci compagnia, vero?»
«Certamente
piccola! Questa casa è sempre aperta per te, non lo
dimenticare mai!» Feci un
sorriso e gli diedi un bacio pieno d’affetto sulla guancia,
accanto a cui avevo
il viso.
«Voi
due siete sospetti, mi basta girare le spalle per un secondo e vi
ritrovo
abbracciati.»
Io
e Alberto sorridemmo felici al suono di quella voce che ci rimbrottava
come
consuetudine e insieme voltammo
le
nostre teste in sua direzione.
«Bentornato
a casa figliol prodigo, iniziavo a temere che fossi stato risucchiato
dalle
fate dell’amore.»
«Più
che fate, direi da una sola strega che fa per dieci.»
«EMILE!»
Ora
ci si metteva anche lui! Non avrei resistito ad essere presa in giro su
un
argomento così personale da entrambi; ma nessuno in quella
casa, aveva il
minimo pudore!?
Il
mio Pel di Carota si avvicinò a noi e passando una mano tra
i capelli del padre
scompigliandoli, ripetendo il gesto che Alberto faceva con lui, si
soffermò ad
osservare il dipinto che ritraeva sua madre: «Stai
migliorando papà, tutto
sommato non te la cavi male.»
«Ragazzo,
non devi mai sottovalutare chi hai accanto, ricordalo
sempre!»
I
due uomini più importanti della mia vita si scambiarono un
sorriso felice,
carico di amore e il mio cuore si riempì di gioia nel
vederli così sereni:
dopotutto, nonostante la tragedia della scomparsa di Claudine, il
puzzle si
stava ricomponendo e i suoi pezzi stavano tornando ai loro posti.
Anche
se Emile sarebbe stato via per un po’ di tempo, sarebbe
comunque tornato e nel
frattempo Alberto avrebbe continuato a dipingere e chissà
che non avrebbe
ripreso la sua vita da dove l’aveva interrotta
vent’anni prima!
Era
a questo che aveva pensato Claudine, prima di uccidersi? Aveva deciso
di porre
fine alla sua vita, per liberare i suoi due uomini dalla sua presenza
vincolante?
Mi
si strinse il cuore a quel pensiero così triste e
all’amore che era racchiuso
al suo interno; un amore fatto di puro sacrificio, lo stesso identico
amore che
aveva portato Alberto a rinunciare ad una parte importante di
sé.
«Posso
chiedervi una cosa?» Non sapevo come avrebbero reagito alla
mia domanda, per
cui abbassai il capo e sentii, più che vedere, i loro
sguardi su di me.
«Certo
bambina, chiedi quello che vuoi.»
«Posso
avere una foto di Claudine? O anche una vostra… di voi tre
insieme…?»
Alzai
il viso incapace di reggere la tensione per quella domanda improvvisa e
vidi
due paia di occhi che mi osservavano con dolcezza, tristezza e
tantissimo
amore. Ero accanto ad Alberto, per cui fu lui a raggiungere le mie mani
unite,
che si torturavano combattute.
«Ma
certo che puoi averla, piccola mia, sei parte della famiglia,
ricordi?»
«Vieni
con me, streghetta, così puoi sceglierne una.»
Emile mi allungò una mano con
un’espressione dolce e sorridente sul viso, ma proprio in
quel momento
bussarono al citofono e il suo viso si fece improvvisamente serio.
«Devono
essere i ragazzi… le vediamo dopo le foto, oppure
può pensarci papà, ok?»
Gli
feci un cenno di assenso e incoraggiante l’incitai ad andare
ad aprire ai
componenti della sua band. Si avvicinò a me per darmi un
bacio e sparì diretto
ai suoi doveri.
Appena
Emile scomparve, sentii la voce di Alberto dietro le mie spalle:
«È di buon
umore oggi, eh? Fino a ieri aveva l’aria di un morto, si vede
che la tua vicinanza
lo rimette in sesto.» Il suo tono non era canzonatorio,
appariva tranquillo e
sollevato; mi girai verso di lui e gli risposi:
«Non
credo sia a causa mia: ieri hanno terminato le registrazioni con
Claudio, ed
oggi riprendono i provini… io credo che sia
perché Claudio sta uscendo dalla sua
vita, anche se lentamente.»
«Come
sempre ti sottovaluti, bambina mia!» Si tolse il camice e
posando una mano
sulla mia schiena a mo’ di abbraccio, mi fece cenno di uscire
da quella stanza.
«Coraggio,
andiamo a scegliere quella foto.»
Gli
album con le foto di famiglia erano tutti radunati tra gli scaffali nel
salotto: quando raggiungemmo quella stanza, Alberto scelse tra i vari
volumi,
quello che probabilmente conteneva le foto di tutta la famiglia e lo
portò sul
tavolo.
Guardai
con commozione tutte quelle foto e vidi gli occhi del padre di Emile, rattristarsi mano a mano che
scorrevamo le
pagine dell’album: le prime immagini ritraevano lui e
Claudine insieme e felici
e dovevano risalire ai mesi in cui si erano conosciuti. Mano a mano che
si
procedeva, iniziarono a comparire delle foto di Claudine incinta e mi
salì il
magone nel vedere il suo viso così felice e così
languido. Uno scatto la
ritraeva mentre osservava il suo ventre gonfio sovrappensiero, come se
stesse
comunicando silenziosamente con suo figlio: era così
poetico, così perfetto nel
gioco di luci e ombre e se era opera di Alberto, quella foto era la
testimonianza del suo talento artistico anche come fotografo.
Rimasi
a guardarla per un po’ di tempo, osservando il viso di
Claudine, osservando
quel ventre che racchiudeva una vita, la vita di Emile, che cresceva
protetta dalle
sue cure. Accarezzai quell’immagine
con
un dito, preda di una strana tristezza.
«Di
questa ne vado particolarmente orgoglioso: per fortuna avevo la
macchina
fotografica accanto a me, in quel periodo non facevo altro che foto a
ma chère:
era bellissima e non potendo realizzare ritratti così
velocemente, rimediavo
con le fotografie. Quel giorno Claudine era particolarmente serena e
prima che
perdessi quel momento, la fotografai estasiato; era uno spettacolo
troppo bello
per essere vero!.»
In
quella foto c’era la vita di Alberto, c’era la sua
famiglia e forse rivedere
quelle immagini, ricordare delle emozioni così forti non gli
stava facendo del
bene, perché notai che i suoi occhi iniziarono a farsi
lucidi.
«Alberto…
forse non è il caso che ti faccia rivedere queste
foto… Non voglio che tu
soffra vedendole.»
Il
padre di Emile mi poggiò una mano sulla spalla
confortandomi: «Tranquilla
bambina, non sto soffrendo, è bello rivedere qualcosa e
qualcuno che ci ha
portato la gioia nel cuore… vuoi questa foto?»
«No,
no, assolutamente! Questa è tua, è
così bella, così perfetta che non potrei mai
prendertela! Andiamo avanti, ne sceglierò
un’altra!»
Arrivammo
alle foto in cui c’era anche Emile e mi resi conto che le
immagini in cui tutta
la loro famiglia era riunita e felice, erano davvero poche e in tutte
quelle
occasioni, il mio pel di Carota era davvero piccolo e sicuramente
incapace di
ricordare quei momenti.
Più
si andava avanti, più si vedevano foto di Emile in compagnia
solo di suo padre,
se non del tutto solo, intento a suonare qualche strumento
più grande di lui, o
ad andare sul triciclo come un piccolo grande centauro. Era
impressionante il
modo in cui Claudine era scomparsa dalle foto nel giro di qualche anno.
«Uhm…
se vuoi una foto di noi tre la scelta è ridotta,
però qualcosa troverai di
sicuro!»
E
fu così. Trovai una foto che doveva essere risalente allo
stesso giorno in cui
fu scattata la foto che Emile teneva in camera sua. Claudine aveva la
stessa
pettinatura e lo stesso abito e anche lo sfondo era lo stesso: erano
accomodati
su una panchina in un parco pubblico e i due coniugi avevano un sorriso
felicissimo sul viso, mentre Emile era in grembo a sua madre,
infagottato negli
abiti da neonato.
«Questa
foto ce la fecero una settimana dopo la nascita di Emile, Claudine era
appena
uscita dall’ospedale e voleva ricordare quel giorno come
l’inizio della nostra
nuova vita, perché dopo aver fatto la foto, ci saremmo
diretti a casa nostra
per la prima volta in tre e da allora saremmo stati davvero due
genitori,
saremmo stati una famiglia.»
Ascoltando
le sue parole, abbracciai la vita di Alberto con un groppo in gola.
«Perché
è andato tutto storto? Perché è finita
in quel modo, se era così felice? Non è
giusto!»
Alberto
allungò un braccio intorno alla mia schiena.
«Lo
so bambina, lo so che non è giusto, ma evidentemente doveva
andare così; è
inutile angosciarsi ora per qualcosa che non si può
cambiare.»
Feci
un cenno di assenso con il viso e dopo un gran respiro profondo indicai
la foto
al parco: «Posso avere questa?»
Alberto
era intento a riporre gli album con le fotografie nel suo scaffale,
quando
arrivò Lucien: non bussò, ma aprì
direttamente la porta di casa; suo zio doveva
avergli dato le chiavi per farlo essere indipendente e non farlo
sentire un
ospite.
«Si
può sapere dove sei stato?» Gli chiesi ridendo,
felice che si fosse ambientato
così bene da avere una sua vita sociale indipendente dalla
nostra.
«Oh,
bonsoir Pasi, che piacere rivederti! Ero da Stefano, o meglio, siamo
andati a vedere
una partita di pallavolo.»
«Da
soli? Non avete chiamato nessun altro?»
«Oui…
Stefano ha detto che di sicuro Rita e Federico erano impegnati e non
erano
comunque interessati, tu e mon cousin non eravate reperibili e Sophie
non sarebbe
venuta.»
Ero
già in procinto di arrabbiarmi per essere stata esclusa, ma
dopo la risposta di
Lucien, mi resi conto che aveva ragione: volendo godermi quella
mattinata con
il mio Emile avevo volontariamente lasciato spento il cellulare e
probabilmente, anche Rita e Fede erano impegnati a ritagliarsi un
po’ di tempo
insieme… A pensarci bene la presenza di Lucien aveva salvato
Stè dall’essere
totalmente solo in casi come quelli, perché ovviamente Sofi
non era da
considerarsi come una compagnia su cui contare… Nel nominare
la mia amica d’improvviso
mi balenò in mente un’idea:
«Lucien
non ti accomodare, andiamo da Sofia!»
«Eh?
Pourquoi?»
«Perché
io sono qui senza far niente e TU hai promesso che avresti parlato con
lei, per
chiederle di farci da insegnante di francese!»
«Oui,
mais…non credevo che dovessi farlo subito!»
«Perché
attendere? Cosa diceva Orazio? CARPE DIEM.» Gli presi la mano
e lo trascinai
via con me verso il salotto, avvisai Alberto che saremmo usciti e ci
dirigemmo
di filata verso casa di Sofi.
*****
«Ciao
Simo; sì lo so che non ti piace che ti chiami
così, ma oggi fai un’eccezione,
ok? Oggi sono felice, davvero felice e vorrei che lo fossero tutti. Non
sai
cosa ho combinato prima di venire qui da te, eheheh!»
Uscendo
da casa di Emile e Alberto, mi resi
conto che, essendo domenica, sarei potuta andare a trovare mia sorella
quel
pomeriggio mentre
il mio Pel di Carota teneva
le audizioni.
E
dato che avevo letteralmente rapito Lucien, per far sì che
vedesse Sofi con la
scusa dell’insegnamento, mi venne un’idea
diabolica: arrivati sotto casa della
mia amica, finsi di ricordarmi all’improvviso di dover andare
a trovare mia
sorella e lasciai un esterefatto Lucien solo soletto, prima che Sofi
aprisse la
porta di casa. Probabilmente stavo rischiando grosso, ma ciò
che avevo appena
detto all’immagine di mia sorella era la verità:
quel giorno ero felice e
volevo che tutti intorno a me lo fossero ed ero sicura che la presenza
di
Lucien, avrebbe reso interessante quel pomeriggio alla mia amica.
«Sai
Simo, oggi mi è sembrato di vivere in un sogno…
ricordi quando fantasticavo
sulla mia vita futura insieme ad Emile? Oggi ho fatto un piccolo tuffo
nel mio desiderato
futuro, perché sono stata con lui per mezza giornata e
c’eravamo davvero solo
io e lui. Mi dispiace così tanto che tu non possa vivere
un’esperienza simile,
perché mi ha fatto così felice, mi sono sentita
così vicina a lui, così parte della
sua vita, che d’improvviso l’idea di lasciarlo in
casa sua mentre teneva le audizioni,
non mi ha fatto male, perché sapevo che era lì e
che mi aspetta, perché oggi è
rimasto con me e ieri è stato così dolce da
venire a cercarmi fino davanti alla
porta di casa!
Se
la felicità si potesse distribuire, vorrei tanto farlo ora,
perché se tutti
potessero provare ciò che sento dentro di me, ci sarebbe
molta meno sofferenza
tra le persone che amo.
Vorrei
poterti dare un po’ di questa felicità…
mi sarebbe piaciuto tanto poterti dire
queste parole dal vivo, magari ora sarei a fare da Cupido tra te e
Stè anziché
Sofi e Lucien… anche se Sofi ha lo stesso bisogno di una
spinta che avresti
avuto tu, siete entrambe così serie e chiuse!
Stè
si sta riprendendo… sta meglio ora che è passato
un po’ di tempo… vorrei
vederlo felice Simo, vorrei sapere che anche lui ha trovato un
po’ di pace nel
cuore e mi chiedo se ci riuscirà mai… Quando
penso a lui, e a quanto ti amasse,
a quanto stia soffrendo per te, mi chiedo se troverà mai la
forza di andare
avanti e di cercare qualcun'altra… So che è
indelicato parlare di questo
davanti a te, ma non può vivere per tutta la vita pensando
solo a chi non c’è
più… Che poi non ho mai capito se ti piaceva o
meno!
Mi
manchi Simo… Anche se io e te litigavamo in continuazione,
mi manca saperti
accanto alla mia stanza, pronta a farmi tutte le ramanzine del caso, mi
manca
il tuo volto perennemente serio e lo sguardo d’accusa che mi
rivolgevi… È
strano come col tempo, quando perdi una persona, persino ciò
che prima ti dava
un fastidio enorme, d’improvviso diventi un dolce
ricordo…
Simo,
io sarò felice anche per te, porterò dentro di me
questa felicità immensa e la
dividerò sempre anche con te. Questo è il mio
pegno, è il dono che voglio
farti, voglio impegnarmi ad essere felice perché voglio
donarti un pezzo della
mia gioia: saremo felici in due, insieme, così avrai anche
tu il tuo pezzetto
di Paradiso terreno, anche se forse ovunque tu sia ora, stai
già meglio. Ma io
ho bisogno di sapere che hai vissuto, qui tra i mortali, tutto
ciò che vale la
pena vivere e visto che non può più accadere,
m’impegnerò a farlo io per
entrambe.
Ora
vado perché voglio tornare da Emile e spero che Lucien non
sia arrabbiato con
me, ma dovevo lasciarlo da Sofi, dovevano stare un po’
insieme… Forse avrei
dovuto fare questo anche con te, avrei dovuto spingerti verso
Stè quando c’era
la possibilità… Voglio rimediare anche a questo
errore Simo!
A
volte le persone hanno bisogno di una spinta per essere felici e non
riescono a
darsela da soli: a costo di essere bollata come impicciona, voglio dare
quella
gioia a chi mi sta accanto! Ci vediamo Domenica prossima sorellina, ti
voglio
bene.»
________________________________________________________________
NDA
Mie care eccomi qui,
finalmente ho aggiornato. ^ ^
Vi è piaciuta la seconda dose
di
diabete multistrato?
Io vi ho avvisato che c'era da cariare i denti,
quindi non sono responsabile di alcun aumento spasmodico dello zucchero
nel vostro sangue xD *me se ne lava le mani*
Questo capitolo
è nato in fretta, presa com'ero ancora dalla chiusura del
precedente e subito dopo averlo concluso, mi sono decisa a passare da
Sofia e Lucien, con il risultato che ora tra le mie storie su EFP,
c'è anche lo spin off dedicato a questa coppia! :D *me
gioisce soddisfatta*
Sarà un
pò complicato per me
dovermi dividere tra le due storie facendo attenzione a mantenere la
coerenza degli avvenimenti, ma mi piace così tanto l'idea di
descrivere due storie parallele, che troverò il modo per
venirne a capo. ^ ^
Per la sua pubblicazione devo tutto a
ThePoisonofPrimula
e al suo amore incondizionato per Sofia e spero di
non deludere né lei né chi di voi
leggerà la mia nuova
avventura, riuscendo ad immergermi in modo degno nella testa e nella
vita della piccola del gruppo. ^ ^
Per chi fosse interessato, lo spin off è qui:
Love Sucks (L'amore fa schifo... si dice, ma sarà vero?)
per ora c'è il primo capitolo, ma a breve sarà inserito anche il secondo ^^ (Prim manca poco, mantieni gli amici in gabbia :P)
Inoltre, in questa settimana decisamente prolifica, anche la mia adorata admin Kira1983 ha finalmente pubblicato i primi due capitoli della sua storia originale ed io già la amo. La protagonista della storia è Dora, la classica ragazza timida e introversa che non riesce a relazionarsi con il mondo circostante, ma che una sera vedrà la sua vita cambiare radicalmente da un fatale avvenimento; e non si tratta di un incontro, ma di qualcosa di molto più violento e traumatico. Sin dal primo capitolo si comprende l'impostazione drammatica (siamo sempre figlie di Fuyumi Souryo xD) e l'approccio ai personaggi è profondo, ognuno è ben caratterizzato sin dall'inizio. È superfluo dirlo, ma ovviamente ve la consiglio se volete appassionarvi ad una storia, che ha tutte le carte in tavola per essere profonda e interessante. E poi è la trasposizione scritta di un manga che Kira stava disegnando e solo per questa particolarità, vale la pena di essere letta xD
Se sono riuscita ad incuriosirvi questa è la storia: Il fiore della notte e vi auguro buona lettura ^ ^
Angolo dei Ringraziamenti
Al punto in cui sono di
questa storia, non posso che guardare alle spalle e notare quanto io
sia stata fortunata ad avervi sempre accanto, sempre così
entusiaste per ogni capitolo pubblicato. Siete con me da Settembre,
sono trascorsi quattro mesi e voi siete ancora tutte qui, sempre pronte
ad incoraggiarmi e spendere delle parole meravigliose sul mio conto.
Scrivere è qualcosa che ha sempre fatto parte di me, ma
solo in questi ultimi mesi sto davvero comprendendo quanto sia bello e
appagante ed è solo grazie a voi, quindi non posso che
rigraziarvi tutte in blocco, anche per il solo fatto di essere passate
a
leggere la mia storia.
Fiorella
Runco, Concy,
Vale, Saretta, Niky, Cicci,
Darkely, Ana-chan, Kira1983, ThePoisonofPrimula,
Dreamer_on_heart.
Grazie a tutte voi perchè siete il mio sostegno, il mio incoraggiamento, la mia soddisfazione. Vi adoro, una per una!
Grazie ad ognuna di voi, perchè il vostro appoggio silenzioso è altrettanto importante, altrettanto soddisfacente e mi spinge a continuare giorno dopo giorno.
ARIGATOU GOZAIMASU a tutte voi!!!!!