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Autore: Fra The Duchess    28/01/2012    0 recensioni
Scrissi questo racconto ispirato a David Thewlis e la sua interpretazione di Remus Lupin in "Harry Potter 3", perchè mi ispirò una tenerezza infinita. Nonchè una nuova storia. Questa storia è datata a quasi 7 anni fa, insomma, una delle mie opere giovanili, spero comunque possa interessare anche gli interessati ad una versione giovane e italianizzata di Remus. Enjoy it!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Credo di poter affermare con sicurezza che mi innamorai di Davide sin dal primo momento che lo vidi, anche se inizialmente non capivo il perché mi piacesse vedere il suo sorriso o il suo volto assorto sui libri e mi limitavo a tradurlo come simpatia.

 

Ai tempi del liceo ero considerata tra le più carine della classe, un titolo falso oltre che stupido a mio parere; nonostante le mie idee, molti giovani venivano da me e mi sussurravano romanticherie da quattro soldi (del tipo:”Se tu me lo chiedi, sono pronto a darti la luna!”) e mai stanchi di farmi la ronda come gatti, e più insistevano e più mi innervosivano, così li snobbavo tutti, ben intenzionata a non avere fidanzato e rimanere zitellona per il resto della mia vita senza inutili maschi fastidiosi tra i piedi.

Quello che più detestavo era che stavo simpatica a quasi tutte le ragazze che conoscevo e loro, per ricambiare la gratitudine di essere loro amica, mi stavano sempre accanto ovunque andassi. Sembravo un boss della mafia, sempre con le mie guardie del corpo; così non avevo neanche un attimo di pace per tutto il tempo che rimanevo dentro l’edificio scolastico.

Davide arrivò il quarto anno scolastico e fu subito preso di mira dai più prepotenti sin dal primo giorno a causa della sua aria un po’ trasandata.

-Ehi, sfigato, tu in prima fila devi stare!- gli urlò Alberto seguito dalle risa sguaiate di Giuseppe, Pietro e Mattia.

Docilmente, obbedì e prese posto accanto a Paolo, il tipo più simpatico della classe, in prima fila nel posto più odiato da tutti, proprio davanti alla cattedra sotto tiro dei prof.

Dalla mia postazione lo osservavo incuriosita. -Hai visto che perdente, Giuly?- mi sibilò all’orecchio Serena prontamente con il lungo collo da giraffa teso verso di me. Il bello era che credeva veramente che prestassi ascolto ai suoi pettegolezzi.

Lo studiai con scrupolosa attenzione: aveva la carnagione molto pallida, i capelli castano chiaro ed occhi azzurri incredibilmente dolci, statura alta e corporatura normale, la sua aria era però malaticcia e stanca.

-Non sembra un barbone così conciato? Eh, Giuly?- mi chiese con aria di tronfia soddisfazione Marta dal banco davanti al mio.

Non più di te” pensai, estremamente seccata.

Trovai il coraggio di parlargli solo ad inizio ottobre quando finalmente mi sentii pronta. Siccome non sapevo come attaccare bottone, decisi di barare, e sguinzagliai il mio “squadrone speciale” a cercare informazioni su di lui e ne venne fuori un ottimo risultato: Davide Rotondi abitava a Legnano in via Ebolowa, era figlio unico, aveva un cane, frequentava poca gente e gli piaceva il cioccolato.

Sapevo che lui saliva in classe prima di tutti, circa un quarto d’ora prima che suonasse la campanella, così ne approfittai e lo seguii di soppiatto.

-Ciao- lo salutai entrando in aula.

Si voltò a guardarmi con aria sorpresa. -Oh, ciao Giulia- mi disse con un lieve sorriso. Notai subito che pareva avercela con me.

-Come va?- gli domandai sedendomi davanti a lui.

-Tu, piuttosto?- rispose fulminandomi con lo sguardo. -Perché hai cercato informazioni su di me?-

Tacqui, non sapendo che rispondere. Chissà come era venuto a sapere.

-Ah, ci sono, forse desideravi prendermi in giro e così hai cercato qualche appiglio a cui fare riferimento. Bhe, devo dire che mi disgusti- mi disse in tono schifato.

Sembra strano che insulti come “puttana” o “troia”, che a volte Alberto mi gridava, non mi facevano né caldo né freddo, invece le semplici parole “mi disgusti” mi avessero lasciato completamente male e umiliata. Se non dicevo qualcosa, e alla svelta, vedevo sfumare davanti a me la mia unica possibilità di parlare con lui.

-Ti chiedo di perdonarmi e di avere un minimo di comprensione nei miei riguardi- cominciai a dirgli mentre sentii un lieve pizzicorio dietro gli occhi.

-Capirti? E per cosa.-

-Da un pezzo volevo parlarti ma non riuscivo a trovare una scusa con cui cominciare la conversazione, così ho pensato che forse sapendo più cose su di te…-

Lasciai la frase a metà non tanto per apparire misteriosa, ma era che non riuscivo a inventarmi cosa dirgli.

La sua espressione divenne meno aspra. -E perché non me lo hai chiesto direttamente?-

-Perché mi vergognavo- ammisi, arrossendo.

Ogni traccia di malumore scomparve sul suo volto e mi rivolse un sorriso caldo e comprensivo. -È così difficile trovare un argomento di conversazione per una come te?- mi domandò con aria divertita.

-Cosa credi, sono un essere umano pure io, non sono mica la dea che fingano che io sia le mie adorate compagne- risposi con una smorfia mentre scoppiava a ridere -E ti volevo chiedere inoltre se ti andava di venire un pomeriggio a casa mia ad aiutarmi a studiare- aggiunsi, speranzosa.

-Mi era parso che tu andassi molto bene in tutte le materie.-

-Questo perché non hanno ancora consegnato i compiti di diritto- gli rivelai.

Fu così che feci amicizia con Davide, che divenne ben presto un assiduo frequentatore di casa mia, e tutta la mia famiglia pareva averlo preso in simpatia, anche i miei fratellini più piccoli (specialmente loro). Grazie a lui i miei voti in diritto migliorarono e lui perfezionò la sua grammatica che mi aveva detto non era il suo forte; ogni pomeriggio mia madre faceva irruzione in camera mia verso le quattro del pomeriggio con un vassoio colmo di pane e nutella e due tazze di tè caldo alla menta, il mio preferito, così noi due ci concedevamo un attimo di riposo e parlavamo delle prime cose che ci passavano per la testa, anche le più disparate. E come sempre i miei fratellini correvano da lui, mostrandogli, felici come pasque, i loro disegni che avevano fatto all’asilo o a scuola (dipendeva se era Daniele, Sara o Michele) e il guaio era che lui pareva interessato alle loro chiacchiere confuse e chiedeva ulteriori spiegazioni ai loro racconti, e loro, gioiosi, lo accontentavano finché io non mi stancavo di quel cicaleccio e li mandavo fuori da lì.

-Io non ho fratelli più piccoli e loro mi fanno sentire realizzato-mi spiegò con occhi sognanti.

-Vedrai, due mesi qui da noi e cambierai idea-

Scosse il capo dolcemente. -Non credo, dopo diciassette anni di solitudine- insistette con aria malinconica.

Mi faceva tanta tristezza, a volte.

Un giorno di novembre mi telefonò.

-Pronto? Ciao Giulia, sono io, Davide.-

-Oh, ciao Davide, come stai?-

-Bene grazie, e tu?-

-Altrettanto.-

Ci fu un attimo di silenzio.

-Senti, ti volevo chiedere…Tu per caso sabato hai qualche impegno?-

-No- risposi prontamente. Mi appuntai mentalmente di chiamare Rebecca per avvisarla che non sarei venuta alla sua stupidissima festa di compleanno.

-Ah, bene, perché volevo chiederti se ti andava di uscire con me per andare al cinema.-

Il cuore prese a martellarmi furiosamente in petto e lo stomaco mi fece una piroetta.

-Ma certo, che domande!- risposi con voce squillante, forse un po’ troppo.

-Benissimo;avevo in mente di mangiare qualcosa insieme prima- aggiunse.

-La trovo una bellissima idea.-

La conversazione andò avanti così per un quarto d’ora, con lui che proponeva ed io che assentivo con esagerata contentezza. Quando riattaccai fui presa dal panico e decisi che ci voleva l’intervento dello zio Giò.

-Mamma devo vedere assolutamente lo zio Giò- annunciai entrando in cucina.

-Tesoro, non sappiamo se stia lavorando- mi disse lei aggiungendo del succo di limone al pollo che rosolava in padella.

-Mamma, oggi non lavora, è il suo giorno di riposo.-

-Cara, starà facendo chissà che cosa…-

-È urgente.-

Dal mio tono intuì che dicevo la verità e compose subito il numero al telefono. -Giorgio, ti disturbo? Tua nipote dice di avere un impellente bisogno di te. Fra dieci minuti? Grazie, sei un amore. Allora ciao.-

Mi guardò con aria indagatrice. -Sarà qui tra poco- mi avvertì incrociano le braccia sul petto. -Perché no ne parli mai con me o tuo padre?-

Le lanciai un’occhiataccia. -Voi non mi capite bene come lo zio e date pessime risposte alle mie domande- risposi sedendomi sul divano della sala. -Scusami, mamma, niente rancori, spero-

-No, ti capisco, cara.-

Come da lui promesso, lo zio arrivò in una decina di minuti.

Lo zio Giò, ovvero Giorgio Ruggeri, fratello di mia madre, era un psicologo ed era il mio parente preferito perché sapeva ascoltarmi e capirmi alla perfezione.

-Allora, dov’è la mia paziente?- chiese appena entrato in casa. -Ciao Anna, spero di non disturbarti.-

-Ma cosa dici, spero che non sia stata io a causarti problemi- si affrettò a dirgli mia mamma.

-Figuriamoci, ero a casa a vedere “La rosa purpurea del Cairo”…-

-Zio Giò, zio Giò, è successa una cosa terribile!- lo assalii trascinandomelo in camera mia.

-Calmati e spiegami tutto per bene.-

Solitamente è lo psicologo che sta seduto mentre i pazienti sono sdraiati, ma quando avevo questi confronti con lo zio, era lui che se ne stava comodo sul mio letto ascoltando le mie disavventure.

-Il fatto è questo: io…sono appena stata invitata fuori a cena da un ragazzo.-

Mi fissò con il sopracciglio destro alzato, indice che avevo appena detto una cosa ad alto livello di stupidità.

-Non c’è niente di nuovo in questo, mi pare ce ne siano stati molti altri prima a proporti la medesima cosa- mi fece notare giochicchiando con una penna scarica che avevo dimenticato sul comodino da tempo, per nulla stupito.

-Sì, ma ora è diverso.-

-Vorrai dire che lui è diverso.-

Colta nel segno. Sorrise compiaciuto scoccandomi un’occhiata eloquente.

-Sì, immagino sia così.-

-E mi potresti spiegare cosa c’è di tragico in tutto questo?-

-Mi sento terribilmente confusa quando sto con lui, zio, mi fa venire la tachicardia- cercai di spiegargli nel miglior modo possibile.

-La tachicardia?-

-Insomma, lo sai cosa voglio dire, mi emoziono.-

-Mi auguro non sia tachicardia, Giulia, è una gran brutta cosa, ma stando a sentire gli altri sintomi direi che sei innamorata cotta di lui- concluse lo zio Giò accomodandosi il cuscino.

Lo guardai offesa, il mio animo di zitella si rifiutava di accettare una simile idea. -No, ti sbagli, non sono innamorata di Davide- ribattei a testa alta.

-Allora oltre che malata di cuore hai pure problemi mentali. Come definiresti se no quello che provi?-

-Amicizia.-

-Ma non farmi ridere! Con le tue amiche senti faville nello stomaco e frizzi nel cervello?-

-Sono delle femmine, se sentissi tutto quello, sospetterei di lesbicismo.-

-D’accordo, allora con quel tuo amico, Paolo, senti tutto quello che mi hai descritto?-

Tacqui, ormai con le spalle al muro. Fu così che mi arresi all’evidenza e davanti ai miei occhi si aprì una nuova, fantastica e meravigliosa prospettiva.

-Zio, me lo voglio sposare.-

-Piano, piano, Giulia. Un momento fa non volevi ammettere che ti piaceva e ora lo vuoi sposare. Non credi di avere dimenticato qualche tappa di mezzo del percorso?- mi domandò lo zio Giò sorpreso.

-No, è l’uomo della mia vita e non mi sposerò con nessuno all’infuori di lui- insistetti, testarda, con un sorriso da beota sul volto.

Scoppiò a ridere di gusto e mi guardò con affetto. -Per adesso è bene che ci organizziamo solo su questo fatidico sabato.-

Fu presa l’importante decisione di non portare addosso niente di provocante, ma qualcosa sufficiente a richiamare su di sé l’attenzione e di comportarsi da amici senza sbilanciarsi troppo e lo zio mi donò un informazione utilissima: -Non bisogna mai pretendere troppo dal primo appuntamento. Le ragazze, al contrario dei ragazzi, si sentono pronte per il primo bacio subito essendo dotate di mente forte e decisa, ma i maschietti devono far passare più tempo ad assimilare le informazioni e le emozioni, quindi mai, dico, mai tentare l’impossibile, perché ‘ chi troppo vuole, nulla stringe ‘.-

  
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