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Autore: ferao    28/01/2012    31 recensioni
John fu costretto a interrompere la propria – inutile – apologia nel momento in cui Sherlock fece qualcosa di totalmente assurdo.
O meglio, qualcosa non da lui.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota iniziale: c'è uno spoiler minimo - minimissimo - sulla 2x03 alla fine. Ma proprio minimo.
Altre note in fondo.










Fisicamente




Di John Watson non si poteva affatto dire che fosse un uomo privo di qualità. Magari non era particolarmente versato in un certo ambito, ma di sicuro c’erano parecchie cose di cui poteva andar fiero: era un buon medico, un ottimo soldato e un eccellente cecchino; aveva nervi saldi e una tempra morale niente male.
Aveva molte, molte qualità. Ce n’era però una – ma forse, più che una qualità era un’abilità – di cui era particolarmente orgoglioso e davanti alla quale le altre sue virtù passavano in secondo piano – almeno per lui.
L’abilità che John apprezzava di più, in se stesso, era il sapere esattamente come trattare Sherlock Holmes.
A questa abilità faceva da corollario un dettaglio non meno importante: John riusciva sempre a portare Sherlock Holmes fuori a cena.
 
 
« Cena fuori? »
Bastava questa semplice frase. Solo questa. Bastava anche nei momenti di maggior noia di Sherlock, bastava sempre.
« Cena fuori? »
« Hai fame? »
« Abbastanza. »
« Allora andiamo da Angelo, magari oggi è in vena di sconti. »
Come al solito, Sherlock aveva ragione: cena gratis da Angelo. Proprio come la prima volta che avevano mangiato lì, durante la loro prima indagine assieme. Un secolo fa, pensò John, il quale iniziava addirittura a dimenticarsi di aver avuto una vita prima di incontrare quel pazzo furioso del suo coinquilino.
Una serata come tante, quindi, in cui come al solito John fu l’unico ad approfittare della riconoscenza di Angelo; questo perché Sherlock sembrava considerare il cibo un elemento assolutamente irrilevante nella sua esistenza.
« Prima o poi mi spiegherai come fai a vivere senza mangiare » commentò ad un certo punto John, piuttosto acidamente. Non era la prima volta che, mentre lui faceva onore alla tavola, Sherlock si limitava a congiungere le mani e guardarsi attorno.
« Non capisco » rispose l’altro, tranquillo.
John sbuffò, lasciando le posate. « Hai capito benissimo invece. Maledizione, Sherlock! Com’è possibile che tu non provi fame nemmeno la sera? E poi rischi di ammalarti seriamente, a forza di non mangiare. Ci avevi mai pensato? »
Sherlock sbatté le palpebre, un po’ perplesso da quella breve sfuriata. « Sei davvero noioso quando vuoi fare il medico » replicò poi. « Non potresti tornare ad essere il mio assistente? »
« No. Tu… »
« Peggio per te. Ti divertiresti di più. »
John sbuffò di nuovo. Era impossibile cercare di fare un discorso a Sherlock: per quanto si potesse essere nel giusto, si veniva sminuiti dalla sua parlantina o distrutti dal suo sarcasmo.
Non si vinceva mai.
A John questo dava sempre fastidio.
« Senti, magari il tuo super cervello ti dice il contrario » attaccò a dire, sempre più irritato, « ma non puoi non mangiare. È fisicamente impossibile che tu… »
« Noioso, noioso, noioso. » Ciò detto, Sherlock distolse di nuovo lo sguardo dall’amico e tornò ad osservare le persone attorno.
Quello doveva servire a chiudere l’argomento; in realtà a John sarebbe piaciuto insistere, continuare a dire la sua, ma sapeva che da quel momento in poi nessuna delle sue parole sarebbe arrivata a Sherlock.
« … Oh, al diavolo » sospirò. « Fa’ un po’ come ti pare. »
 
Più tardi, quando finalmente Sherlock si convinse sua sponte ad ingollare qualcosa, John si ritrovò senza volerlo a riflettere su quanto gli aveva detto poco prima.
Era fisicamente impossibile che il suo coinquilino sopravvivesse tanto a lungo mangiando pochissimo; John era un medico, lo sapeva. Eppure, quando si parlava di Holmes, la parola “fisicamente” perdeva del tutto di importanza: si allontanava dal suo significato comune andando quasi a scomparire.
Lui stesso non riusciva proprio a focalizzare la dimensione “fisica” di Sherlock: il suo cervello, la sua intelligenza e – diciamolo pure – la sua antipatia catalizzavano tutta l’attenzione, la sviavano, la distoglievano dal resto, facendo quasi dimenticare che quello davanti a sé era un uomo in carne ed ossa e non una specie di computer con le braccia. Probabilmente Holmes era anche un bell’uomo – beh, così sembrava, viste le occhiate sospiranti di Molly e persino della signora Hudson – ma davvero, era impossibile considerare quella parte di lui, tanto si veniva portati a concentrarsi sulla mente di Sherlock.
Niente fisico, tutto mente: questo era Sherlock Holmes.
Come teoria medica valeva meno di nulla, eppure John trovò molto logico pensare che, visto che tutti – o meglio, lui – riuscivano a dimenticare la parte fisica di Sherlock, forse ci riusciva anche Sherlock stesso. Ecco perché non aveva quasi mai fame e sonno.
« Finito? »
La domanda lo riportò alla realtà. Gli occhi di Sherlock lo osservavano ironici, come sempre.
« Sì. Vuoi andare? »
 
 
Se anche la parte fisica di Sherlock non aveva bisogno di mangiare, di sicuro amava moltissimo camminare per le vie meno conosciute della città; calcava i passi con sicurezza, con soddisfazione, quasi con affetto. D’altronde, come si fa a non provare affetto per un posto come Londra, soprattutto quando è notte? John ricordava le notti del deserto, in Afghanistan, e nonostante sapesse che non ne avrebbe trovate mai più di così terse e stellate, proprio non riusciva ad amarle più di quelle di Londra. La luminescenza costante in cui la città era immersa, il rombo dei motori, la gente fuori anche nelle ore più impensabili… era la vita.
Tanta, tanta vita.
John non poteva non amare quella vita, non adesso che iniziava a riconciliarsi con essa senza remore.
Paradossalmente, la causa principale di quella sua riappacificazione era proprio quello psicopatico al suo fianco che invece, con la vita, sembrava avere un rapporto tutt’altro che sereno. Scherzi del destino.
 
 
« Pensavo che ricordassi l’Afghanistan con più piacere. »
Quella frase avrebbe avuto un senso compiuto se John avesse espresso i suoi pensieri ad alta voce, o se lui e Sherlock avessero tenuto un dialogo al riguardo; invece, i due stavano camminando in silenzio lungo il Tamigi (abbastanza lentamente perché John potesse seguire il lungo passo dell’amico), quindi Sherlock non aveva nessun motivo di pronunciare quella frase.
Chiunque, nel sentire un commento ai propri pensieri, sarebbe rimasto sorpreso o turbato. Non John.
Il dottore era troppo abituato a queste uscite del suo coinquilino; si limitò a fare un mezzo sorriso rassegnato.
« Benissimo » commentò, un po’ sarcastico. « Immagino che ora mi dirai come sei arrivato a capire che stavo pensando all’Afghanistan… »
« Quando lo fai, inizi a zoppicare leggermente senza accorgertene; di solito però lo fai con baldanza, stavolta invece… »
John non ascoltò il resto, tornando invece ai suoi pensieri. Eccolo lì, lo psicopatico. Quello che ti guardava e sapeva tutto di te. Quello che, visto quanto eccedeva mentalmente, era come se non esistesse fisicamente.
Come se… fosse solo testa e niente corpo, ecco.
John Watson era un medico, un medico abituato alla fisicità dei suoi pazienti – e dannazione, aveva fatto la guerra, altro che fisicità! – ma non riusciva proprio a concepire una dimensione di Sherlock che non fosse esclusivamente interiore, intellettiva, astratta.
Smise di seguire il corso dei propri ragionamenti quando sentì silenzio alla propria sinistra. Sherlock lo osservava, di certo si era accorto della sua disattenzione.
« Ti vedo distratto » commentò infatti.
« Scusa, Sherlock… stavo pensando… »
« Sì? »
« … niente in particolare, davvero. »
« Pensavi a me, ovvio. »
Eh no, però. Finché si parlava di Afghanistan e sciocchezze varie Sherlock poteva leggergli nel pensiero quanto voleva, ma… diamine, non proprio quando pensava a lui!
(Che poi, naturalmente, non c’era nulla di male. Insomma, era chiaro che John non pensasse a Sherlock in nessun modo, solo… solo non in quel momento, dannazione!)
E naturalmente negare o cercare di chiarire sarebbe stato del tutto inutile.
 
John ci provò comunque.
« No, Sherlock. Contrariamente a quanto pensi, non sei il centro delle mie attenzioni. »
« Il tuo atteggiamento dice l’esatto contrario. »
« Oh, per la miseria… »
Avevano smesso di camminare; ora si trovavano vicino al muro di un edificio dall’aspetto poco rassicurante. In lontananza, alle loro spalle, si scorgevano il London Eye, le luci della città, la vita su cui John rifletteva poco prima.
« Sherlock, ti dico che non stavo pensando a te! »
« Invece sì, è evidente! Tu… »
« No, eh, non farlo! » John tolse le mani dalle tasche del cappotto e le alzò in segno di resa. « Per favore, non dirmi cos’è nel mio atteggiamento che ti fa supporre una cosa del genere, va bene? Non farlo. »
« Quindi lo ammetti? »
Signore, quanto era irritante!
« Sì, va bene, lo ammetto. Pensavo a te e al fatto che tu possa sopravvivere senza mangiare, dormire o… fare le cose che un normale essere umano reputa essenziali. Contento? »
Un sorrisetto indecifrabile increspò le labbra di Sherlock. « Quasi. Perché hai mentito? »
« Perché… ma che vuoi che ti dica, scusa? »
« Per esempio, la verità. »
Un presentimento colse John; d’improvviso seppe che non voleva sentire ciò che Sherlock stava per dirgli.
Però lo chiese lo stesso.
« E cioè? »
Gli occhi di Sherlock brillarono in modo strano quando rispose. « Che provi qualcosa per me. »
 
Cinque secondi di completo silenzio, sia attorno a John sia nella sua mente.
Cinque secondi di nulla prima di poter dire qualcosa.
« Co… come, scusami? »
Sherlock guardò verso il London Eye, alzò le spalle e fece una smorfia. « Come ti ho già detto una volta, non ci sono problemi in proposito. Io… »
« Non provo nulla per te, Sherlock! E te l’ho detto più di una volta, santo cielo! »
« E ogni volta non era vero. John, visto che dai tanti consigli agli altri per vivere meglio, non credi di averne bisogno tu per primo? »
Bene, tutto ciò era assolutamente pazzesco. Oh sì. Non c’era un termine di paragone umano con cui definire la follia di quella discussione.
Il problema era che solo John se ne rendeva conto.
« Sherlock… non essere sciocco, okay? Non stavo pensando ai miei sentimenti per te, non provo nulla per te se non una velata antipatia e una buona dose di amicizia, e… ma sì, ribadiamo pure per la miliardesima volta che non sono gay. Va bene? E continuo a non capire perché tutti continuiate ad affermare che… che… »
John fu costretto a interrompere la propria – inutile – apologia nel momento in cui Sherlock fece qualcosa di totalmente assurdo. O meglio, qualcosa non da lui.
 
 
John non si era mai posto domande sul motivo per cui Sherlock amasse portare i guanti; del resto, lui non aveva mai le mani fredde, ma immaginava quale tormento potesse essere per gli altri. Quando la mano guantata di Sherlock si posizionò a pochi centimetri dalla sua testa, andando ad appoggiarsi al muro dell’edificio, John non poté fare a meno di chiedersi perché uno che non aveva bisogno di mangiare dovesse avere freddo alle mani. Non era normale, no: non per uno che non possedeva una dimensione fisica.
D’altra parte, rifletté subito dopo il dottore, quel dettaglio diventava insignificante se si andava a notare l’altra grossa stranezza di quella situazione. Come mai, infatti, Sherlock gli si stava addossando, costringendolo a mettersi con le spalle al muro?
Che diavolo significava?
« Che diavolo… »
« Penso che dobbiamo mettere in chiaro qualcosa, John. »
« E io penso che tu debba toglierti, innanzitutto. »
Sherlock lo ignorò. Era così vicino che John dovette alzare la testa per riuscire a guardarlo in faccia.
« Per caso » chiese Sherlock « devo ricordarti tutte le volte che ti sei intestardito a criticare la mia mancanza di umanità e di sentimenti? »
« Ma che cos… »
« No, non credo che serva. La mia domanda è: perché io devo subire i tuoi rimproveri, quando tu sei il primo a non voler parlare di questi argomenti? »
La vicinanza di Sherlock iniziava a farsi decisamente fastidiosa. John provò a scansarsi, ma l’altro si avvicinò ancora di più.
« Mio Dio, Sherlock, stiamo davvero parlando di sentimenti? Sei impazzito, forse? »
« Potremmo discutere per ore sulla sanità mentale di ciascuno di noi. E sì, stiamo parlando di sentimenti. Più precisamente, stiamo parlando del fatto che io dovrei dar retta a uno che non sa nemmeno ammettere ciò che è evidente. »
« Sì, sei impazzito. Completamente impazzito. »
« Non sai dire altro, vero? Non sai in che altro modo controbattere, giusto? »
La distanza tra loro era limitata, ma non abbastanza da impedire a Sherlock di avvicinarsi ulteriormente; d’istinto John frappose una mano tra sé e l’amico e l’appoggiò sul petto di lui, sospingendolo indietro.
Fu allora che se ne rese conto.
 
Sherlock Holmes era cervello, cervello puro. Era freddo, razionale, calcolatore, intelligentissimo, preciso e metodico persino nelle sue crisi di follia. Per John, “Sherlock” avrebbe potuto benissimo essere sinonimo di “mente”.
Eppure – se ne rese conto in quel momento – Sherlock Holmes esisteva anche fisicamente.
Aveva un corpo, una carne, una fisicità che in quel momento gli pesava addosso in tutta la sua concretezza ed evidenza.
Anche il cervello in fondo è fatto di carne, pensò John un attimo prima che tutti i suoi sensi si riempissero: gli odori di cappotto, lana, pelle, capelli e alito gli si mescolarono nelle narici, confondendolo. La sua mano, chiusa a pugno e appoggiata malamente sul petto dell’altro, gli trasmetteva sensazioni di calore, ruvidezza (lana, bottoni, qualcosa che somigliava a un… battito cardiaco?), di fisico.
Sherlock era mente, logica, astratto. Eppure quegli odori, quelle sensazioni erano sempre Sherlock, appartenevano a Sherlock, esattamente come il calore che sentiva salire dal viso davanti al suo. Sempre Sherlock. Così realmente Sherlock .
Com’era stato possibile che John non percepisse quella parte di lui, dopo secoli che lo conosceva? Come poteva essergli sfuggito tutto quello, tutti quegli odori e il resto?
Come aveva potuto pensare che… che non esistesse?
 
 
 
« S-Sher… »
« Tu ti diverti tanto a criticare gli altri, ma quando si parla di te diventi improvvisamente sfuggente. Sai perché? »
« Sherlock, per… »
« Perché hai paura di affrontare la verità. Sei così supponente che pensi di essere al di sopra delle critiche. »
Sherlock Holmes che dava del supponente a lui?! Ah, questa sì che era bella. Da scrivere nel blog per far fare due risate al mondo intero.
John avrebbe replicato più che volentieri, ma il cervello era saturo delle informazioni inviate dal suo naso e dalla sua pelle; chiuse gli occhi e chinò il capo, cercando di non concentrarsi su Sherlock.
Non su quello fisico, almeno.
« Sai cosa penso dei sentimenti, no? »
John inspirò a fondo prima di parlare, e questo non fece che peggiorare la sua posizione. (Lana, pelle, un accenno di sudore. E quel caldo sulla sua mano chiusa, che se fosse stata aperta avrebbe sentito tutto.)
« Tu… odi i sentimenti, Sherlock. Perché… »
« … distraggono. Esatto. »
Che motivo aveva di stargli così vicino? John riprovò a sospingere via Sherlock, ma questi rimase esattamente dov’era.
« Il fatto che non mi piacciano, però, non significa che io sia immune dal provarli. Capisci? »
No, non capiva, e non vedeva perché Sherlock dovesse stargli così vicino. Così tanto vicino.
« Ascolta… »
« Io osservo » continuò Sherlock ignorandolo. « Guardo. Capisco. So. So cosa provano le persone le une per le altre, e so che, a volte, anch’io mi ritrovo a provare le stesse cose. »
Sentendo ciò, la parte razionale di John si ribellò con forza.
« No » mormorò, e accennò persino una breve risata. « No, è una sciocchezza. Tu non provi sentimenti, tu… tu sei Sherlock Holmes. »
« E tu non sei gay, ma io ti piaccio. »
John alzò la testa di scatto. « Oh Signore… cos’è, hai parlato con la Adler di recente? »
Sherlock aggrottò le sopracciglia. « Perché? »
«Perché lei… lascia perdere. Comunque no che non mi piaci. »
« John… »
« No. » Con maggior decisione, John spinse via da sé Sherlock; immediatamente le sue narici si riempirono dell’aria oleosa e puzzolente che li circondava, risvegliandolo dalla trance in cui aveva iniziato a scivolare.
« No » ripeté. « Tu… non so che diavolo ti sei messo in testa questa volta, ma no. No e no. »
« John… »
No. Un enorme “no” campeggiava sui pensieri di John: no a quella situazione assurda, no a quello Sherlock irriconoscibile, che disquisiva di sentimenti come se ne sapesse davvero qualcosa, no al suo calore che già svaniva dalla mano di John e no al suo odore, ai suoi odori. No alla strana sensazione di avvertirlo fisicamente, così fisicamente da sembrare irreale. No a quella parte di sé che urlava sempre più forte .
No.
« John… »
Per un momento il dottore ebbe paura che Sherlock gli sarebbe tornato vicino, a quella distanza, e con un tremito si rese conto che stavolta non gli sarebbe bastato un “no” per allontanarlo; tuttavia non accadde nulla.
Sherlock si limitò a mettersi le mani in tasca e ad osservarlo. Solo osservarlo, senza ironia, senza nessuna espressione particolare.
(Oppure sì? Cos’era, quella? Curiosità? Delusione?)
 
Dopo qualche secondo Sherlock alzò le spalle.
« Come preferisci. Caffè? »
Si allontanò col suo lungo passo, tranquillamente; fu solo quando si fu allontanato di qualche metro che John riuscì a staccarsi dal muro e a seguirlo.
Non riusciva a capire cosa fosse successo; non sarebbe riuscito a capirlo per molto tempo.
Le sole cose che la sua mente aveva percepito davvero erano odori, sensazioni. Cose che non avrebbe dovuto avvertire, visto che provenivano da Sherlock Holmes.
E invece le aveva avvertite. Chiaramente. Distintamente.
 
Raggiunse Sherlock e gli camminò a fianco. Non tornarono mai più sull’argomento.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“C’è qualcosa che avrebbe voluto dire e non ha detto?”
“Sì.”





























NdA:
Salve a tutti! Mi presento: sono Ferao e questa è la mia primissima fanfiction nel fandom di Sherlock - fandom che conosco forse da un paio di settimane.
Sono approdata qui con parecchi dubbi, molta buona volontà e una spinta decisa da parte di questa persona, la quale è la causa principale del disastro che avete appena letto ed ha avuto la pazienza di betarla da cima a fondo e, più in generale, di sopportare i miei deliri. Grazie, cara :*

Solitamente tengo molto a rappresentare i personaggi il più IC possibile e seguendo il canon, ma ho sempre il timore di creare stereotipi o di uscire dallo schema che mi sono prefissa. Siccome questa ff è per me più una prova che altro, sappiate che gradisco MOLTO consigli per migliorare, anche via messaggio privato se non volete lasciare recensioni.

Altre note importanti: la storia deve buona parte della sua ispirazione a questa bellissima fanart: http://dauntingfire.deviantart.com/art/Sherlock-BBC-Just-don-t-179070173
I
l passo in cui Sherlock deduce che John sta pensando all'Afghanistan e la seguente spiegazione è ispirato direttamente a non ricordo quale racconto di Conan Doyle, in cui Holmes ricostruisce per filo e per segno un ragionamento di Watson intorno ai suoi ricordi della guerra in Afghanistan partendo dai suoi gesti involontari (toccarsi la cicatrice etc.). Non so dirvi il racconto esatto, mi spiace: li ho letti più di dieci anni fa e la memoria inizia a vacillare.

Bene. Spero che la fanfiction non vi risulti troppo sgradita.
Grazie di aver letto,
Ferao
   
 
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