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Autore: Alhena17    28/01/2012    2 recensioni
11 maggio 2011
come molte delle mie storie, anche questa è nata da un sogno, anzi un quasi incubo".
Genere: Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Passeggiavo sul bordo della spiaggia affollata. Costeggiando il lungomare potevo vedere innumerevoli case basse e grigie, spoglie.
Alla fine della strada c’era un’abitazione diversa dalle altre. Più che una casa sembrava un castello, anzi, una torre. 
Numerosissime finestre salivano a spirale lungo le sue pareti. La torre aveva solo due porte: una al piano terra e un in alto che si apriva verso il cielo. Osservando attentamente riuscii a scorgere un piccolo balcone avvolto dalle tende bianche della finestra aperta. 
"Chissà chi ci abita…"
 
Continuai a camminare sul lungomare per cercare un passaggio per arrivare all’acqua attraverso quella selva di carne sudata stesa ad abbronzare al sole.
Scorsi in lontananza una piccola spiaggia deserta e decisi di avvicinarmi.
Non c’era la sabbia, bensì un ciottolato fine del colore della ruggine. Era abbracciata da due pareti di scogli bruni collegati da un ponte molto basso che lasciava sulla piaggia un’ombra rossastra. L’accesso alla spiaggia era chiuso da un cancello molto alto, rosso scuro anch’esso.
 
Una pulsione irrefrenabile mi costrinse a cercare di varcare la soglia, perciò appoggiai la mano sinistra, tremante sulla serratura del cancello. Con mia grande sorpresa la porta si aprì e una leggera brezza mi sospinse ad entrare. Mi sentivo benvenuta in quel luogo così misterioso, abbracciata dall’aura mistica che aleggiava nell’aria.
Mi voltai a sinistra e mi resi conto che non ero sola. Un brivido corse lungo la mia spina dorsale facendomi rizzare i capelli. «Ragazza, sei la benvenuta. Mi chiamo Dietrich. Ti piace questa spiaggia? Vorresti restare qui con me? Anche tu hai la sensazione di non trovarti più sulla terra?». Dicendo così ruotò su se stesso con le braccia aperte, come se volesse abbracciare interamente quel luogo. 
Guardai attentamente quel ragazzo. Vestiva abiti leggeri, pantaloni chiari e una camicia bianca sbottonata fino a metà petto. Era scalzo e la sua pelle era bianca, forse troppo pallida. Alzai lo sguardo dai suoi piedi, su fino alle sue mani, su fino al suo viso. Il colore bianco dei suoi vestiti e della sua pelle era in netto contrasto con i capelli e gli occhi, neri come il cielo tempestoso.
Non riuscivo a rispondere. La voce mi si era bloccata in gola, ma Dietrich non mi metteva fretta. Accarezzava il mio corpo, coperto solo da un pareo e dal costume, con il suo sguardo morbido.
Avevo paura di incrociare nuovamente i suoi occhi, quindi cercai un appiglio a qualcosa alle sue spalle.
Una, due, tre finestre. Dietro i vetri visi di adulti e di bambini ci osservavano stupiti. Con le mani e le guance premute al vetro, un bambino in particolare catturò la mia attenzione. Con un dito grassoccio indicava verso l’alto e i miei occhi seguirono tale direzione. Quelle erano le finestre della torre. Perpendicolarmente alla spiaggia c’era la finestra affacciata sul cielo. Un ricordò affiorò pallido alla mia mente.
 
« E questa è la stanza della regina. Come potete vedere è la più grande di tutta la torre e occupa interamente l’ultimo piano. La torre è disabitata dal giorno che vide la regina buttarsi dal quella portafinestra che vedete alla vostra destra. La famiglia ha deciso di renderla accessibile al pubblico.» «Perché ora la finestra è chiusa da quelle grate?» «Fino a cinque anni fa noi guide eravamo solite raccontare che è possibile vedere il fantasma della donna affacciato alla finestra. Smettemmo perché esattamente cinque anni fa un ragazzo tedesco si è messo a urlare dicendo che vedeva il fantasma. Poi si è ammutolito e si è avvicinato alla finestra. È morto sul colpo. Questa camera si trova a trenta metri da terra.»
 
Ritornai immediatamente al presente. Posai il mio sguardo sul corpo perfetto di Dietrich e la voce fuoriuscì dalla mia gola.
«Dietrich, sai perché questa spiaggia è abbandonata?» Fece un passo avanti, i lati della sua bocca salivano lentamente verso gli occhi. «È per caso morto qualcuno? Una donna?» Il suo sorriso divenne diabolico. «Un ragazzo?» 
Il vento si alzò irruento, mi spinse all’indietro e caddi sui ciottoli...
No!
Non sbattei violentemente la testa al suolo come mi aspettavo. 
Continuai a cadere. 
Da questa posizione vedevo la portafinestra. Nessuna grata la imprigionava. 
  
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