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Autore: TheBlazer    31/01/2012    2 recensioni
Touko ha affrontato N sulla cima della Torre Dragospira.
E ha perso.
N, nuovo sovrano assoluto di Unima, dapprima ha costretto la rivale sconfitta a diventare la sua regina, poi ha obbligato tutti gli allenatori della regione a liberare i loro pokemon, uccidendo senza esitazione coloro che si rifiutavano. Oggi, a vent'anni di distanza da quel giorno oscuro, N spadroneggia crudelmente nell'intera Unima, facendo il bello e il cattivo tempo ed esercitando il suo potere con il pugno di ferro. Riusciranno i figli di Touya e Belle a rovesciare la sua dittatura e ripristinare l'ordine di Unima?
Genere: Azione, Dark, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Manga, Videogioco
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mosuta3

Un paio di avvertimenti... il rating è arancione per il linguaggio e per le scene violente. E' possibile che ci sia sangue, un bel po' di sangue, perciò se siete amanti del peace&love vi conviene cambiare pagina. N è paurosamente OOC. In altre parole, qui non è il ragazzo sognatore, un po' contorto ma sostanzialmente buono del videogame, bensì un personaggio sadico e violento che apparentemente odia qualunque forma di vita al di fuori di se stesso, pokemon compresi. Non ha semplicemente la capacità di parlare con i pokemon, ma anche quella di piegare le loro menti e costringerli a obbedire a qualunque suo ordine.

Per il resto, buona lettura....


The Dark Resurrection

Prologue

Era una giornata solare e luminosa, la tipica giornata di metà giugno. Il sole splendeva alto nel cielo e una brezza leggera scarmigliava i rami carichi di boccioli e i miei lunghi capelli biondi, già sufficientemente arruffati per conto loro. Tutto sembrava innocuo e tranquillo, come sempre; nulla lasciava presagire che, quel giorno, la mia vita sarebbe stata sconvolta per sempre.  

Io e mia sorella Hinata eravamo a giocare in giardino, come facevamo spesso. Abitavamo a Quattroventi, in una casetta piuttosto anonima ma graziosa e confortevole. All'epoca, io avevo appena compiuto dieci anni, mentre lei ne avrebbe fatti nove il mese successivo. La maggior parte della gente pensava che fossimo semplicemente amici, perché non ci assomigliavamo per niente: io avevo ereditato gli occhi nocciola di papà e i capelli biondi della mamma, mentre Hinata, al contrario, aveva gli occhi verdi e ballonzolanti ricci castani. Eravamo ancora piccoli, terribilmente piccoli, e ingenui, spaventosamente ingenui. Sapevamo così poco del mondo. 

Certo, eravamo a conoscenza del fatto che da qualche parte, fuori da Unima, esistessero strane creature chiamate pokemon. A scuola i nostri insegnanti ce li dipingevano come mostri violenti e pericolosi, fatti di pura malvagità, che non esitavano a uccidere chiunque capitasse a tiro con i loro oscuri poteri. Ma né io né Hinata ci credevamo: quando saltava fuori l'argomento, i nostri genitori ci parlavano di creature meravigliose, figlie predilette della natura, certe così nobili da incutere rispetto in chi semplicemente le guardava. Non avevo mai visto un pokemon, ma desideravo ardentemente averne uno. 

Al momento, comunque, cose più importanti occupavano la mia mente: io e Hinata eravamo ninja in missione e dovevamo infiltrarci nel Tempio del Drago del Sole, a.k.a. casa nostra. Il nostro obiettivo era un antico tesoro, il nettare degli dèi che conferiva vita eterna a chiunque lo assaggiasse. Hinata strisciò sulla pancia fino a quella che nella nostra immaginazione era una fitta boscaglia, ma che in realtà era la siepe spelacchiata che contornava il recinto.

- Svelto, Kei! - sussurrò. 

Io annuii e m'affrettai a seguirla, sempre rasoterra. Un po' strisciando e un po' correndo, a tratti appiattendoci contro i muri di casa, sgattaiolammo in silenzio fino alla porta posteriore, quella che dava sulla cucina. Eccolo, il nostro tesoro: il vassoio di biscotti che la mamma aveva incautamente lasciato a raffreddare sul davanzale della finestra. Mi guardai intorno, assicurandomi che lei non fosse nelle vicinanze. 

- Il guardiano del tempio non c'è - bisbigliai.

Hinata annuì. - Ottimo, entriamo in azione! -

Da veri ninja, ci appostammo sotto la finestra e, dopo un'ultima occhiata di sicurezza, rubammo una decina di biscotti, avvolgendoli nel fazzoletto di stoffa che mi ero saggiamente portato dietro. Il tepore dei biscotti appena sfornati mi riscaldò le mani. Una volta preso il bottino, scivolammo via con la stessa circospezione con cui eravamo arrivati. Corremmo a rifugiarci nella siepe, e lì ci spartimmo il nostro tesoro. 

- Il nettare degli dèi! - esultò Hinata, sollevando un biscotto e brandendolo con orgoglio, come se fosse stato chissà quale oggetto prezioso. - Ancora una volta, la coppia ninja Hinata & Kei ha completato la missione con successo! -

- Puoi dirlo forte! -

Ci gettammo sul nostro piccolo banchetto, ma non eravamo ancora arrivati al terzo biscotto che una voce bassa e maschile ci fece sussultare.

- Ah, ecco dove vi eravate nascosti. Belle lo sa che avete trafugato i suoi biscotti, vero? -

Per un attimo rimasi paralizzato, ma quando alzai lo sguardo la mia preoccupazione si trasformò in sollievo: l'uomo che ci osservava dall'alto della siepe non era che zio Komor, elegante e impeccabile come sempre, gli occhi azzurri brillanti di divertimento dietro gli occhiali rotondi alla Conan. Non era veramente uno zio, ma era come se lo fosse: era un amico d'infanzia di mamma e papà, e anche se lo vedevamo di rado (lavorava come capo ispettore della polizia di Mistralopoli) era praticamente uno di famiglia. Secondo Hinata era un tipo 'affascinante', però non si era mai sposato. Una volta, avevo chiesto alla mamma per quale motivo; lei aveva abbassato gli occhi e accennato qualcosa riguardo a una ragazza bellissima, di cui lui era innamorato fin da bambino, ma dalla quale era stato separato molti anni prima. 

- Zio Komor! - cinguettò Hinata, illuminandosi tutta. 

- Ciao, principessa. - Lui le sorrise, e lei diventò rossa come un pomodoro. - E ciao anche a te, campione. - Mi scarmigliò affettuosamente i capelli. - Un uccellino mi ha detto che il sette di giugno è stato un giorno speciale per te. -

- Sì, il mio compleanno - dissi allegro. 

- E quanti anni hai compiuto? -

- Dieci! -

- Dieci? - Il sorriso di zio Komor si allargò. - Oh, ma allora sei quasi un uomo! E per un vero uomo serve un vero regalo, non pensi? -

Mi mise in mano una sfera bianca e nera, delle dimensioni di un'arancia. La osservai per un secondo, perplesso, poi ricevetti una folgorazione: le avevo già viste, sfere del genere, nel film Mostri del passato. Le usavano alcune persone, chiamate allenatori, per evocare i loro... 

- Pokemon! - squittii, stupefatto. - Contiene un pokemon? -

Zio Komor mi fece cenno di abbassare la voce. - Sì, ma non farti vedere da nessuno. Resterà il nostro piccolo segreto. -

- Ma Kei non può tenerlo, è pericoloso - si allarmò Hinata. - E se qualcuno lo vede? - 

- Infatti, dovrete fare molta attenzione - disse Komor serio. - Apritela solo quando siete sicuri di non essere visti. E ricordate, nessuno dovrà mai notare o anche solo immaginare la sua presenza, neppure ai vostri amici. -

- Però... - Hinata era ancora dubbiosa, ma io la misi a tacere: - Eddai, Hina, staremo attentissimi! Lo terremo in camera e nessuno si accorgerà di niente. -

Nascosti la sfera sotto la felpa. Mi batteva il cuore all'impazzata: un pokemon, finalmente avevo un pokemon! Non avevo la minima idea di cosa o come fosse, ma sentivo di adorarlo già. Sarebbe stato il mio migliore amico, dopo Hinata. Non importava se gli allenatori di Mostri dal passato erano cattivi e spietati: io avrei allevato il mio pokemon con tutte le cure del mondo e se necessario avrei anche lottato al suo fianco. 

Dovevo avere una faccia totalmente estasiata, perché zio Komor rise di cuore. - Confido nel vostro buonsenso, piccoli ninja. -

In quel momento, la porta di casa si aprì e apparve nostra madre, Belle, in tenuta da casa e con la testa piena di bigodini. I suoi caldi occhi verdi scintillavano come smeraldi.

- Komor, sei tu? Prego, entra! Spero che i bambini non ti abbiano dato noia. -

- Ma che noia e noia. - Komor ci strizzò l'occhio e si diresse verso di lei. - Come stai, Belle? Ti vedo in gran forma. -

- Grazie, caro, anche tu hai un aspetto splendido. Touya arriverà a momenti, gradisci un po' di tè nel frattempo? - Fece accomodare Komor in casa, dopodiché tornò a rivolgerci un sorriso luminoso. - E voi due restate in giardino, d'accordo? Non allontanatevi. -

- Tranquilla, mamma - rispose Hinata, in quel tono innocentemente docile che avevo imparato a temere.

Morivo dalla voglia di correre in camera e aprire la sfera, ma zio Komor era stato categorico: avrei dovuto aprirla di sera. Oltretutto, se ci avesse visti tornare in casa troppo presto, la mamma probabilmente si sarebbe insospettita. Così, seppur di malavoglia, io e Hinata continuammo a giocare ai ninja per un po', fino a quando il tramonto non tinse di rosso l'orizzonte. Papà Touya era tornato a casa poco dopo l'arrivo di Komor e si era eclissato insieme a lui e alla mamma in salotto, per discutere di quella che Hinata chiamava sdegnosamente 'roba da vecchi': la possibile formazione di sacche di ribellione, la crisi economica che da qualche tempo affliggeva Unima, le ultime mosse politiche di re N Harmonia. 

Sì, perché dovete sapere che Unima era un regno. Lo era diventato da piuttosto poco, forse una ventina d'anni. A scuola ci avevano spiegato che N Harmonia era salito al trono dopo aver sconfitto una strega malvagia e il suo terrificante pokemon drago. Suo padre, il ministro Ghecis Harmonia, era deceduto pochi mesi dopo la sua ascesa; ufficialmente era stata colpa di una febbre fulminante, ma c'era chi mormorava che fosse stato fatto assassinare da N in persona. Pochi giorni dopo, N si era sposato con Touko, una giovane donna tanto incantevole quanto coraggiosa. Allora non sapevo ancora chi fosse realmente, né quanto in seguito sarebbe stata importante per me. Non potevo nemmeno immaginare che quella Touko era la sorella di mio padre, nonché l'amore segreto di zio Komor. 

Era da poco calato il sole quando lo zio uscì di casa. La mamma gli propose di fermarsi per cena, ma lui declinò gentilmente l'invito. Doveva tornare a Mistralopoli. Feci appena in tempo a nascondere la sfera sotto un cuscino del salotto prima che papà chiamasse me e Hinata perché apparecchiassimo la tavola. Mentre disponevamo i piatti e le posate, colsi brevemente l'immagine dei nostri genitori in salotto, intenti a parlare fitto fitto tra di loro. Per quanto gravi, però, le loro voci erano troppo basse perché potessi capirci qualcosa.

- Hai nascosto la sfera? - mi chiese Hinata.

Io annuii e feci un cenno verso il salotto. - Secondo te di cosa stanno parlando? Sembra un affare serio. -

- Probabilmente roba da vecchi. -

Quando rientrarono in cucina, però, i nostri sembravano tranquilli e sorridenti come al solito e nessuno vi diede più peso. Per cena, nostra madre aveva preparato del pollo con le patate al forno. Papà cominciò a servirci, prima Hinata, poi me, poi la mamma e infine se stesso, da vero cavaliere. Mentre m'abbuffavo di pollo, però, alle mie orecchie giunse qualcosa... un suono ritmato, dapprima distante, ma poi più vicino di minuto in minuto. Nel giro di poco, quello che era cominciato come un vago flup-flup-flup divenne un cupo boato, così forte che pareva provenire direttamente dal tetto della nostra casa. Perplesso, sollevai il viso dal piatto, e vidi che i miei erano di colpo impalliditi. Si scambiarono un'occhiata allarmata.

- Sono venuti con gli hovercraft...? - sussurrò mia madre, bianca come un lenzuolo. 

Papà scattò in piedi e si diresse a rapide falcate verso il divano. Lo spostò leggermente di lato, rivelando uno sportello segreto: combaciava così perfettamente con la parete che, se non l'avesse aperto, sarebbe stato indistinguibile. 

Si volse verso me e Hinata, asciutto. - Presto, ragazzi, nascondetevi. -

Io e mia sorella ci guardammo, allibiti. Nel frattempo, la mamma stava preparando in fretta e furia due zainetti, infilandoci borracce, fette di pane e pezzi di formaggio. Ci le consegnò ansiosamente e papà quasi ci spinse a forza nella nicchia. Io e Hinata ci accoccolammo come potemmo. Sebbene fossimo entrambi piuttosto piccoli, eravamo così stretti che faticavamo a respirare.

- Cosa succede, papà? - fece Hinata, spaventata. 

A risponderle fu la voce squillante di un megafono, da qualche parte all'esterno: - Sappiamo che siete lì dentro, traditori! Deponete le armi e uscite con le mani in alto, e forse non vi uccideremo! -

Nostro padre strinse i denti. I suoi occhi nocciola erano duri come l'acciaio. - Hinata, Kei... qualunque cosa vi dicano, non fidatevi di loro, mai. Potete fidarvi solo di Komor e del team di Nardo. Kei, so che Komor ti ha dato un pokemon... usatelo per andarvene via da qui, appena ne avete l'occasione. Lui saprà dove trovare Nardo e i suoi. -

Sapeva del pokemon? - Aspetta un attimo, papà! Chi è questo Nardo? E tu e la mamma dove andate? -

Papà sorrise, un sorriso triste. - Nardo è un amico. Ci rivedremo da lui, quando tutto questo sarà finito. - Ci prese ciascuno per una spalla. - Siate forti. Diventate allenatori forti che non piangono e non s'arrendono mai. So che potete farcela. -

Mamma ci abbracciò tutti, con forza. Sarebbe stato il suo ultimo abbraccio. Noi non lo sapevamo, ma lei sì. - Vi voglio bene, miei cari. Vi vorrò bene per sempre! -

Nostro padre chiuse lo sportello. Io e Hinata sprofondammo nel buio, un buio interrotto solo da una sottilissima fessura luminosa. Vi accostai l'occhio, cercando di vedere qualcosa, e scorsi i nostri genitori in piedi l'uno di fronte all'altro. La mamma aveva il viso rigato di lacrime.

- Grazie, Touya. Senza di te, la mia vita sarebbe stata piatta e priva di significato. Tu mi hai salvato. Mi hai difeso da mio padre, mi hai donato il tuo amore e mi hai regalato la gioia di diventare madre. Senza di te... -

Papà la strinse a sé e le baciò la fronte. - Shh, Belle... sono io a dover ringraziare a te. Mi hai sempre sostenuto, sempre, pur sapendo che la mia era la guerra di un uomo solo contro il mondo, e mi hai dato due figli bellissimi. Sei stata la mia luce nel buio. -

Continuarono ad abbracciarsi in silenzio per quelli che parvero secoli, ma che in realtà furono pochi minuti. Poi la porta di casa fu brutalmente sfondata. Udii il cigolio secco del legno che cedeva, subito seguito da una voce fredda e crudele.

- Ha! Allora in questa fogna c'era qualche topo, dopotutto. -

Il giovane uomo che aveva parlato si fece avanti. Indossava una strana divisa nera e argentea e aveva il volto celato da un grande cappuccio; tra le mani stringeva due pistole semiautomatiche, una delle quali puntata verso i miei genitori. Papà si pose subito davanti alla mamma con fare protettivo.

- Rainer! - ringhiò.

L'altro rise. - Ti ricordi di me, Touya? Splendido! Sai che anch'io ti ricordo a meraviglia? - Sospinse indietro il cappuccio. Io trattenni a fatica un grido: il suo viso era per metà regolare e addirittura gradevole, e per metà sfregiato da una lunga cicatrice che gli percorreva le carni dalla fronte all'angolo della bocca, attraversandogli l'occhio. Sulle sue labbra si delineò quello che un tempo sarebbe potuto essere un affascinante sorriso da seduttore, ma che ora appariva solo come una smorfia oscena. - D'altro canto, è difficile scordarsi del bastardo che mi ha tolto un occhio e privato della mia dignità. Sì, credo proprio che comincerò con te. Logan, tienilo fermo! -

 - Sissignore, capitano Rainer! - esclamò una voce profonda. Nel mio limitato campo visivo comparve l'uomo più grosso che avessi mai visto. Doveva essere di tutta la testa più alto di papà, che pure non era basso di statura. Lui e papà ingaggiarono una breve lotta, ma fu inutile: Logan lo stordì facilmente con un pugno in pieno volto e lo sollevò come se fosse stato leggero come un burattino. 

- No! - urlò mia madre, in preda al panico. - Non potete ucciderlo! Lui è il fratello della regina Touko! -

- Oh, davvero? - L'uomo chiamato Ruiner sogghignò e puntò la pistola in mezzo agli occhi di mio padre. - Beh, adesso non lo è più. -

Chiusi gli occhi e strinsi a me Hinata. L'aria fu squarciata da un singolo sparo, a breve seguito dal rumore di un corpo che s'afflosciava per terra. Tappai la bocca di mia sorella con una mano per impedirle di gridare, ma non servì: l'urlo di disperazione di nostra madre avrebbe coperto qualunque suono. Quando osai guardare di nuovo, vidi che Rainer si era voltato verso mia madre. 

- E adesso è il tuo turno, dolcezza. -

La mamma continuava a gridare e a singhiozzare, scossa da un tremito incontrollabile. Il mio cuore era straziato da artigli invisibili. Avrei voluto spalancare lo sportello e gettarmi a testa bassa verso Rainer, ma ero pietrificato dall'orrore. Hinata, rannicchiata contro il mio petto, piangeva in silenzio. 

Rainer sollevò la pistola dalla bocca ancora fumante. - Ma prima, c'è una cosa che voglio sapere... dove sono i vostri bastardelli? Re N sa benissimo che tu e questo maledetto qui - toccò con lo stivale il cadavere di mio padre - vi siete dati da fare, negli ultimi anni. Allora, dove sono quei piccoli figli di puttana? -

Lei non smise un attimo di singhiozzare. Il suo petto s'alzava e s'abbassava, s'alzava e s'abbassava, freneticamente. Rainer le sferrò un manrovescio, tanto brutale da farla cadere a terra. 

- Dimmelo e avrai salva la vita! -

Mamma si tirò su lentamente, puntellandosi con le mani. I lucenti capelli dorati le velavano il viso.

- In... in soffitta - balbettò.

 Rainer rise. - Molte grazie, troia, mi hai semplificato il lavoro. - Premette di nuovo il grilletto. Stavolta non distolsi lo sguardo abbastanza in fretta. Vidi mia madre ciondolare, quasi fluttuando, e per un attimo le ciocche bionde si scostarono dal suo viso, rivelando tutto il dolore inciso nei suoi lineamenti delicati. Poi un fiore rosso sbocciò in mezzo al suo petto, impregnandole la veste. S'accasciò sul pavimento quasi con grazia, come una farfalla che si posa dopo il suo ultimo volo. 

Rainer infilò entrambe le pistole nelle fondine e si rivolse all'uomo che l'aveva seguito. - Andiamo, Logan! -

Attesi che i loro passi risuonassero su per le scale, poi in qualche modo trovai il coraggio di aprire lo sportello. I corpi dei nostri genitori giacevano immobili in una pozza di sangue. Mi si contrasse lo stomaco e dovetti farmi forza per non rigettare. 

- Coraggio, Hina - sussurrai, prendendo mia sorella per la mano e trascinandola via. Lei sembrava aver perso coscienza di sé; rossa in viso, gli occhi gonfi di pianto, si limitava a seguirmi mollemente, come una bambola ambulante. 

Sbirciai fuori dalla porta, ma mi resi subito conto che tentare la fuga da lì sarebbe stata una follia: uno strano velivolo metallico (la cosa che la mamma aveva chiamato 'hovercraft', dedussi) era parcheggiato lì davanti e almeno una mezza dozzina di uomini bighellonava per il giardino, con le armi spianate. Corsi allora in salotto e afferrai la sfera che avevo nascosto nel divano nemmeno un'ora prima, dopodiché mi lanciai verso la cucina, sempre con Hinata al seguito. Controllai rapidamente la finestra: sembrava che fuori non ci fosse nessuno. Aprii la finestra e la scavalcai per primo, poi mi protesi verso Hinata e l'aiutai a fare lo stesso. Avevo il cuore in gola: per quel che ci riguardava, i due assassini potevano tornare in qualsiasi momento. 

Non mi accorsi di stare piangendo fino a quando non sentii le lacrime gocciolarmi giù dal mento, calde, impetuose. Me le asciugai con rabbia: dovevo essere forte, per i miei e per Hinata. Era stato l'ultimo desiderio di papà, no? Lui avrebbe voluto che diventassi un allenatore. Afferrai la sfera di zio Komor e la lanciai a mezz'aria, come gli allenatori del film. Un lampo di luce rossa saettò davanti a me, e un momento dopo al mio fianco si era materializzata una creatura: era un quadrupede, grande e imponente, una sorta di cavallo dal lucido pelo azzurro. Si curvò verso di me, studiandomi con i liquidi occhi scuri. In altre circostanze forse ne avrei avuto paura, ma adesso il mio unico terrore era che gli assassini dei miei genitori ci scoprissero e facessero del male a Hinata. 

Appoggiai una mano contro il fianco della creatura. - Dobbiamo andare da Nardo. Ci aiuterai? -

La creatura annuì. Io caricai Hinata sul suo dorso (era davvero in alto, ma il pokemon piegò le zampe per aiutarmi) e salii subito dietro di lei, aggrappandomi alla folta criniera della nostra cavalcatura. Il pokemon scattò in piedi e cominciò a correre. 

- Eccoli, sono laggiù! - urlò una voce alle nostre spalle. 

- Corri, corri! - gridai, implorante, e il pokemon parve spiccare il volo: le sue zampe sfioravano appena il terreno mentre sfrecciava a tutta velocità attraverso Quattroventi, percorrendola da cima a fondo e lasciandosela alle spalle nell'arco di pochi secondi. In breve, le case sparirono, sostituite da dense muraglie di fogliame e oscurità. La creatura azzurra si muoveva a rapidità ultraterrena, agile e leggera come il vento. Io abbassai le palpebre e strinsi un braccio intorno a Hinata. Tra me e me, giurai che gli assassini l'avrebbero pagata cara: per la morte dei miei genitori e per il dolore che avevano inflitto a mia sorella. 

  
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