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Autore: chaska    01/02/2012    3 recensioni
Da ormai ben due ore, Sadiq non faceva altro che chiedersi perché avesse accettato quella follia. Cosa era successo? Quale malefica divinità aveva distratto la sua mente da lasciarlo indebolito fino a tal punto? Sospirando in maniera evidentemente forzata, l’impero si fermò dal suo isterico camminare. Chiuse gli occhi debitamente nascosti dalla fidata maschera, e si portò due dita alle tempie. Era davvero così debole? Bastava un suo semplice sguardo per renderlo inoffensivo? [Personaggi: Sadiq Adnan (Impero Ottomano) – Hellas (Madre Grecia)]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Turchia/Sadiq Adnan
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Rating capitolo: Verde
Personaggi:  Sadiq Adnan (Impero Ottomano) – Hellas (Madre Grecia)

Musica: One Republic - All We Are
Osservazioni personali:  Il titolo e la citazione all’inizio l’ho presa dalla canzone qui sopra. E beh, Hima-sensei ha detto che Sadiq era innamorato di Mamma Grecia, quindi fate un po’ voi D: Personalmente mi sono innamorata della coppia x° E scusatemi per gli errori storici che di sicuro ho fatto ù_u°

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

We won’t  say ours goodbyes, you know it’s better that way.

 


{We won’t break,
We won’t die,
It’s just a moment of change.
All we are- all we are
Is everything that’s right.
All we need- all we need
A lover’s alibi}

 

 

 

Da ormai ben due ore, Sadiq non faceva altro che chiedersi perché avesse accettato quella follia.

Cosa era successo? Quale malefica divinità aveva distratto la sua mente da lasciarlo indebolito fino a tal punto?

Sospirando in maniera evidentemente forzata, l’impero si fermò dal suo isterico camminare.

Chiuse gli occhi debitamente nascosti dalla fidata maschera, e si portò due dita alle tempie.

Era davvero così debole? Bastava un suo semplice sguardo per renderlo inoffensivo?

Sospirò in preda all’ira, stavolta, mentre riapriva gli occhi e ricominciava a calpestare nuovamente le pietre ai suoi piedi- se avesse continuato ancora, le avrebbe presto ridotte in polvere.

La mano destra era tornata a stringere l’elsa della vecchia spada, come se da essa cercasse forza.

Incontrare il nemico, lontano da occhi indiscreti e da ogni difesa! Follia, pura follia!

Non che avesse paura nell’affrontarla, sia mai. Il filo della sua spada sarebbe stato sufficiente per difendersi da ogni suo eventuale attacco. Allora perché preoccuparsi tanto?

Sinceramente Sadiq non lo capiva, e ad esser sinceri, era questo a renderlo preda dell’ira.

Era la mancanza di controllo e disciplina, il capire di non essere a conoscenza di ogni suo pensiero e quindi ogni sua debolezza che lo rendeva tanto instabile. Ed era pericoloso, dannatamente pericoloso.

«Dannazione! »

Sputò quell’esclamazione come se con essa volesse eliminare ogni sua insicurezza.

Ed anche se fallì in quel particolare intento, almeno ne ricavò la spinta necessaria per non pestare ancora quelle vecchie pietre e per procedere verso la sua meta.

Dopo pochi minuti di cammino, Sadiq si ritrovò in un malridotto spiazzale. Lanciò un’occhiata alle pietre sotto i suoi calzari: quei relitti dovevano essere stati abbandonati dagli uomini ormai diversi secoli addietro.

Alzò lo sguardo indifferente, di quel particolare non gli importava nulla, alla fin fine. Dopo essersi schermato gli occhi con la mano sinistra, ed essersi abituato alla luce del sole, poté finalmente scorgere la fonte dei suoi problemi.

Con passi svelti si avvicinò ad un gruppo di pietre accumulate, e alle quali vi era appoggiata una donna. L’ottomano non poté non posare i suoi occhi sui boccoli castani che le contornavano il volto. Non poté non soffermarsi sulle labbra delicate e sull’espressione seria, sui suoi occhi verdi che rilucevano alla luce del sole. Né poterono non accorgersi dell’assenza della spada, solitamente allacciata alla cintola.

La sua espressione di colpo s’indurì. A quale gioco stava giocando?

«Cosa vuoi da me, Hellas. »

Le sue parole dure e senza inutili fronzoli quali saluti e onorificenze di sorta, non tardarono a farsi sentire.

«Sadiq…»

La risposta della greca, dal suo canto, si fece attendere. La giovane, o almeno tale all’apparenza, si morse il labbro, mentre intrecciava le mani al petto e spostava lo sguardo da quello del suo interlocutore.

«Devo chiederti un favore, Sadiq. »

L’ottomano avrebbe voluto ridere, ma non lo fece. Avrebbe voluto rispondergli aspramente, ma non fece nemmeno questo. Avrebbe voluto chiedergli se il tutto non fosse che uno scherzo, o meglio, forse un’inutile trappola. No, non fece nemmeno quello.

Rimase invece in silenzio.

Poteva fare solo quello, non poteva fare altro che pendere dalle sue labbra che mordicchiava nervosa.

«Ne va della mia vita. »

Lo sussurrò, e nel mentre fece infine incrociare il suo sguardo con quello dell’uomo.

Lo sapeva, era un azzardo. Ma doveva rischiare.

«Sono tuo nemico. »

La greca sorrise amara. Come se non lo sapesse.

«Sei il nemico che ho incontrato su innumerevoli campi di battaglia. Sei l’impero che più ho onorato incrociando la mia arma contro la tua. Sei l’uomo che conosco meglio in queste terre. »

Hellas si prese qualche attimo per osservare colui che aveva dinnanzi, ricomponendo la sua espressione seria.

«Ti sbagli. »

Forse le sue parole potevano essere scambiate per un ringhio, ma per la greca ebbero tutt’altro suono, sicuramente più veritiero.

«No, non mi sbaglio. In questi secoli la tua maschera non è riuscita a proteggerti come volevi, in tutte queste battaglie la tua spada ha parlato al posto del tuo cuore. So di non sbagliarmi. »

L’ottomano crucciò lo sguardo.

«Dimmi cosa vuoi. »

Cercò di tagliare corto, notando come si stesse addolcendo l’espressione della donna.

«Sto morendo, Sadiq. E ho bisogno che tu ti prenda cura del mio lascito. »

«Non dire assurdità, Hellas! »

Sadiq proruppe in una risata, ma fu facile per Hellas notare l’agitazione che tentava di nascondere.

«Non sarà certo quel romano da quattro soldi a decretare la tua fine! O devo forse ricordarti cosa accadde alle Termopili? »

Rimembrava addirittura le sue sconfitte, adesso Hellas era sicura della sua agitazione. Forse poteva permettersi di chiamarla anche preoccupazione.

«Anche allora sembravi sul punto di cedere, ma non mi sembra che sia stato così…»

«Credimi, gli dei non mi concederanno più miracoli. Ed io l’ho accettato. »

L’ottomano si morse il labbro nel tentativo di non dire nulla.

«Non è il momento per la resa questo…»

«Sadiq, ti prego. Ti chiedo solo una cosa. Per favore, ti chiedo di prenderti cura di mio figlio. So che non è un incarico degno per un guerriero come te, me ne rendo conto, ma sei l’unico di cui possa fidarmi. »

Sadiq non rispose a quella richiesta.

Quelle parole, dette l’una dopo l’altra, come se per Hellas fosse l’unica ragione per cui esistere ancora, quelle parole furono un amaro colpo per l’uomo.

Suo figlio, figlio di quello stupido romano.

Suo figlio, figlio di Hellas.

Suo figlio.

Per un attimo rimpianse che non fosse suo. Uno stupido, inutile istante di irrazionalità.

Hellas non disse nulla dinnanzi al silenzio di Sadiq. Non che, comunque, una sua parola fosse necessaria.

Si avvicinò lentamente, e con una mano gelida gli accarezzò il volto ruvido per la barba.

«Grazie Sadiq. »

Lo sussurrò sorridendo. Un sorriso che Sadiq non aveva mai visto nella sua vita. Qualche sciocco avrebbe anche potuto dire che quelle parole erano incrinate dal pianto. Sarebbe stato solo uno sciocco.

Ancora uno sguardo, e Hellas l’abbandonò in quello spiazzale desolato.

L’ottomano rimase immobile in quello stesso punto fino al tramonto, incapace di ogni singolo movimento.

Incapace di accettare che quello fosse il suo ultimo incontro con Hellas.

Incapace di tutto.

   
 
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