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Autore: Febex    01/02/2012    1 recensioni
Edith è una ragazza bellissima e misteriosa. Frequenta il liceo classico ed è innamorata della parole più di ogni altra cosa.
Felici, tristi, temute, ispirate, perse, sognate: le parole sono in grado di raccontare la sua vita. Saranno le parole a guidarla nella strada difficile che stapercorrendo, le parole a indurla a cercare una madre persa da tempo, le parole a farle riscoprire la fiducia nelle persone. Le parole, infine, a permetterle di incontrare Giorgio.
"Uscendo dagli spogliatoi, un ragazzo si era fermato a guardare, incantato. Una ragazza bellissima, probabilmente la più bella che avesse mai visto, piangeva sommessamente, appoggiata all parete.
D’un tratto lei si era alzata e aveva iniziato a scrivere qualcosa sulla parete. Poi era andata via, silenziosa come era arrivata, ma lasciando comunque un suo segno. Avvicinandosi, i suoi occhi grigi notarono una scritta, e sentì dire dalla sua stessa voce:
SIAMO FATTI DELLA STESSA SOSTANZA DI CUI SONO FATTI I SOGNI
Rimase affascinato da quella frase. Si sentì attratto da quella ragazza come non lo non lo era mai stato e d’impulso uscì dalla palestra nel tentativo di incontrarla. La cercò con lo sguardo, invano.
Se n'era andata, bella e incompresibile come l'amore.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Della stessa sostanza dei sogni






Love. Love. Love. (nota 1 sotto)>
 
Erano queste le parole sparate a tutto volume dall’ipod viola e nero nelle orecchie di Edith, queste le parole al ritmo delle quali viveva in quel momento.
 
Love, love, love,
 
Sembrava fossero i passi leggeri della ragazza a dare il tempo alla canzone: un ritmo veloce, sicuro, seducente e inimitabile allo stesso tempo, proprio come quello della sua andatura.
I piedi sfioravano l’erba curata del cortile della scuola, i fianchi ondeggiavano dolcemente conferendo ai movimenti grazia e sensualità.
 
love love love
 
Si lasciava condurre da quelle parole, dalla voce di quella cantante e dalle note. Non pensava ad altro, non faceva caso alle occhiate curiose e ammirate dei ragazzi, né a quelle cariche di gelosia delle ragazze.
Era sempre così quando accendeva l’ipod: si lasciava trasportare dalla musica, consapevole che quegli istanti spesi ad ascoltarla le permettevano di staccarsi dal mondo, la facevano sentire più determinata e sicura. In qualche modo, migliore.
 
lovelovelove
 
Aveva bisogno di quelle parole; bisogno di qualcuno, fosse anche un cantante sconosciuto, che gliele dicesse. Ma soprattutto aveva bisogno di cambiare il ritmo di quella mattina, che fino a quel momento era stato pesante se non tragico, in qualcosa di più movimentato e emozionante.
 
Concentrata solo sulla musica posò i suoi occhi neri sullo spiazzo ristretto a pochi metri da lei.
Il suo sguardo da gatta indagò quel posto alla ricerca di un viso noto non solo a lei ma anche a buona parte delle altre ragazze della scuola che passavano interi intervalli come quello a osservare sognanti quel volto bellissimo che lei stava cercando.
O, forse, ad attirare l’attenzione delle ragazze erano quei bicipidi perfetti sempre tesi nello sforzo di sembrare ancora più notevoli di quanto già fossero.
 
Si fece strada tra fumo di sigarette e coppie di giovani impegnati in una limonata alla parete, ignorando le ragazze alle quali si avvicanava e i soliti commenti sussurrati del tipo “Hai visto quanto è figo Alex oggi?”,“Si, in effetti è ancora meglio di ieri!” rivolti ai soggetti più che interessanti che stava per raggingere.
 
“ Non ne vale la pena ” pensava considerando tutto il tempo speso dalle ragazze attorno a lei a guardare sognanti quello che per loro era un pezzo di paradiso, anche se in realtà si trattava solo di un analogo angolo di cortile scolastico uguale a mille altri. Né piu, né meno. Anche se, doveva ammetterlo, la presenza di alcuni ragazzi rendeva la vista molto… interessante.
 
“ Non ne vale comunque la pena ” si ripetè, pensando al carattere di quei ragazzi bellissimi che occupavano di diritto quello che rendevano un piccolo pezzo di paradiso.Il Piccolo Angolo Di Paradiso, per lesattezza.
 Se fosse stato presente  Dante, e se Dante fosse stato gay, probabilmente avrebbe descritto quel posto come il settimo cerchio del paradiso, quello irraggiungibile.
 
Eppure lei ci stava andando.
Con la musica pompata nelle orechie e i lunghi capelli scuri e voluminosi accarezzati dal vento, si dirigeva sicura verso di loro.
 
Guardò alla sua destra: una ragazzina rossa che doveva fare prima o seconda stava parlando cn una un’altra ragazza intenta ed osservare un ragazzo di nome Carlo, i suoi boccoli biondi e gli occhioni azzurri.
Edith considerava la bellezza di quel ragazzo una bellezza troppo da principino, non le piaceva affatto quello stereotipo. Invece doveva piacere molto all’amica di quella ragazza con i capelli rossissimi alla sua destra: lo guardava con occhi trasognati, ma continuava a restatre in disparte.
Certo, non poteva avvicinarsi all’Angolo di Padiso.
 
Era una di quelle regole della scuola che tutti conocevano a rispettavano nonostante non fosse scritta né imposta da prof  e bidelli rompiscatole. Perché nessuno a parte quelli che vedeva in quel momento poteva stare nell’Angolo di Paradiso. Era un posto riservato a pochi ragazzi e ragazze conosciuti da tutti nella scuola, oggetti di eterne chiacchiere, gelosie e sogni.
 
Era l’anglo dei bellissimi: lei aveva tutto il diritto di starci.                                                            .
 
Fece gli ultimi passi ed entrò nell’Angolo di Paradiso. Si fermò atteggiando il corpo in una posizione che pur sembrando naturale metteva in evidenza tutti gli elementi che rendevano tale il suo fisico da modella: le gambe lunghissime fasciate dai jeans aderenti, il bacino perfetto che si restringeva nella vita stretta e il seno ampio ma proporzionato.
Sfoggiò quindi uno dei suoi sorrisi migliori, che lasciava scoperti i denti bianchissimi e allargava le labbra delicate e vermiglie.
 
Era incredibile come una canzone riuscisse a darle la sicurezza che altrimenti non riusciva a trovare in se stessa.
Edith infatti non era affatto certa della sua bellezza. Era consapevole dei commenti che gli altri facevano in proposito e di ciò che pensavano di lei, ma nulla più. Per un attimo si sentiva bellisima, ma poi ricominciava a pensare a tutti quelli che considerava suoi difetti e a prendersela con il creatore. O con i suoi geneitori (già, suoi genitori…) : chissà cosa avevano in mente diciassette anni fa… certo però che se proprio volevano farla nascere potevano metterci un po’ più d’impegno.
 
Comunque fosse ora era lì e sapeva ciò che voleva fare. Era stata una mattina schifosa e voleva prendersi una pausa distraendosi un po’.
 
“ Ciao Edith ”. Si girò e vide Luca, uno dei suoi magliori amici, che le si avvicinava dalla perte destra dell’Angolo di Paradiso. Si tolse le cuffie prima di salutarlo con un abbraccio.
“ Come è andata la mattina? ” si informò lui, gentile come al solito.
“ Male. Malissimo. ”
“ Cosa è successo? ”.
Dallo sguardo preoccupato Edith capì quanto Luca tenesse a lei e quanto fosse fortunata ad avere un amico così. Luca era una persona meravigliosa… e naturalmente lei non era l’unica ragazza (niente più che un’amica naturalmente!) della sua vita. Guardò alle spalle di Luca e subito vide la sua nuova ragazza: sicuramente bella, ma altrettanto sicuramente stupida come una capra. Possibile che seguisse Luca e facesse esattamente tutto quello che faceva lui? Incrociò il suo sguardo e nei suoi occhi lesse gelosia. “è davvero gelosa di me?  Ma quanto è stupida!!!” Pensò, e stava per mettersi a ridere, quando alla mente le riafforò la domanda di Luca.
“ Niente. Cioè… un sacco di cose… ma non ne voglio neanche parlare. ”
“ Sai che a me puoi dire tutto ”. Edith lo sapeva bene, Luca infatti una delle poche persone di cui si fidava ciecamente.
“ Sì, lo so. ” Rispose “ Ma adesso non ho voglia di parlarne. ”
Vedendo la facia delusa di Luca, cambiò subito argomento: “ Hai visto Marco? ”
 
Marco era il ragazzo con cui usciva in quel momento. Gliel’avessero detto sei mesi prima non ci avrebbe mai cerduto, ma Marco le piaceve veramente. Insomma, non era affatto il suo tipo di ragazza: era bello, certo, ma anche superficiale e ottuso. E si credeva il padrone del mondo.
Ma lei cercava soprattutto di considerare la prima caratteristica, che nascondeva le altre. Le piaceva stare con lui. Si sentiva protetta in quelle braccia muscolose e le piaceva che lui passasse ore a farle complimenti per la sua bellezza.
E poi era diverso dagli altri: non era il classico tipo figo che oltre alla relazione ufficiale aveva altre cinque o sei tipe con cui cornificare la sua ragazza. No, lui era diverso. Aveva aspettato tutta l’estate per lei e non si era mai stancato dei suoi rifiuti.
Forse, se avesse aspettato ancora un po’, quel sentimento che provava per lui avrebbe potuto maturare in amore.
 
“ Marco? Mmm… No… Proprio non l’ho visto.” Rispose Luca.
“ Davvero? È sempre qui… ”
“ No, oggi non c’è ”.
Non c’era? Ma come? Se era sempre lì per farsi vedere! F non era molto convinta, ma decise di lasciare perdere. Perché mai Luca doveva mentirle?
 
Stava per tornare indietro quando con la coda dell’occhio vide una figura di un ragazzo alto girato di spalle. Era molto occupato a giocare con la lingua di un’altra ragazza.
Lo riconobbe subito. Marco. Con un’altra. E non una qualsiasi altra, ma una stronzetta del primo anno tutta trucco e risatine da stupida. Forse questa era l’unica cosa in cui non aveva bisogno di fingere: era stupida veramente.
 
Come primo sentimento sentì montarle una rabbia cieca.
Quello era il SUO Marco. E lei non era altro che una stronza puttanella di prima. Carina, ma ugualmente stronza e puttanella.
Non poteva permettere che lui la tradisse, non poteva permettere di essere superata da un’asignifacante oca di prima.
 
Raccolta tutta la sua decisione e la sua rabbia si diresse verso di lui, senza badare a un paio di persone che la salutavano.
 
Arrivata a un metro di distanza, aveva tutta l’intenzione di chaimarlo e fargli una scenata davanti a tutti, consapevole di avere tutti gli occhi dei ragazzi presenti addosso.
 
Ma si accorse di non sapere cosa dire. Di non riuscire neanche a socchiudere le labbra per parlare.
 
Quello era il SUO Marco. E lei non era altro che una stronza puttanella di prima.
Eppure era riuscita a farsi il suo ragazzo.
Eppure era riuscita a portarglielo via.
Eppure stavano limonando lì davanti agli occhi di tutti.
Eppure occupava quel posto contro la LORO pila che per i diritti dettati dalle leggi dello stare insieme era suo.
 
Le salirono le lacrime agli occhi.
 
Era troppo arrabbiata per parlare, troppo sconsolata per trovare le parole giuste per dire ciò che aveva dentro.
 
Si fermò un attimo, ma soltanto un istante. Poi fece un passo con la sicurezza di chi sapeva esattamente cosa fare: picchiettò un dito contro una spalla muscolosa e larga di lui, aspettò con pazienza che si girasse mentre rilassava il viso e socchideva le labbra. Voleva che lui vedesse tutto ciò che stava per perdere, che sapesse che quel bel viso che le apparteneva non era più suo.
 
Quando finalmente lui si voltò, Edith lesse sul suo viso prima l’aria scocciata di chi è interrotto quando non vorrebbe esserlo, poi lo stupore nel vederla e infine quell’aria da cretino sfottente che gli apparteneva da sempre e che da sempre lei aveva considerato dolce e romantica.
 
Si aspettava di vederlo in imbarazzo, mortificato per quello che aveva appena fatto o perlomeno per averlo fatto in modo tanto stupido da essere scoperto. Invece era tranquillissimo, solo un po’ infastidito.
 
Lo seppe in quel momento: lo odiava. Lui e quella stronza di prima.
 
Quindi gli sorrise, appoggiò una mano su un fianco e senza dire niente (la parole non le sarebbero uscite comunque) gli tirò uno schiaffo che produsse uno schiocco secco nell’improvviso silenzio del cortile.
Ci aveva messo tutta la forza che aveva dentro. Le sagome di cinque bianche dite affusolate  cominciarono a delinearsi sulla bella guancia di Marco, che finalmente sostituì l’espressione da cretino sfottente con un’espressione da cretino stupito.
 
Gli angoli della bocca perfetta di Edith si piegarono all’insù nel sorriso compiaciuto di chi ha appena ottenuto l’effetto desiderato.
Guardò Marco negli occhi, poi la ragazza che era la causa dell’ennesimo casino da quel giorno.
Non si soffermò a studiare la sua espressione. Le bastava farle capire che, nonostante tutto, era lei quella che aveva vinto.
 
Si voltò di scatto, veloce e silenziosa come una gatta, per poi dirigersi a passi svelti verso l’uscita del cortile.
 
Appena sparita dalla vista dei ragazzi presenti, qualche fischio e applauso isolato iniziarono a farsi strada nel silenzio del cortile, che a poco a poco si rianimava della chiacchiere che si rarebbero diffuse rapidamente nella scuola.
Chiacchiere farcite di pettegolezzi,che parlavano di Marco, il ragazzo più casinista e trasgressivo della scuola. Il ragazzo più stupido della scuola. Che parlavano di quell’anonima ragazza di prima che da quel momento non sarebbe più stata anonima. Dei ragazzi dell’Angolo di Pardiso.
E di lei.
Cosa avrebbero detto?
Non lo sapeva. Non le importava.
 
Il suo passo frettoloso diventò sempre più veloce, fino a trasformarsi in una corsa che sperava l’allontanasse da quel posto e da se stessa.
Voleva piangere. Voleva dire al mondo che non era giusto che in una sola mattina avesse litigato con la sua migliore amica, perso il suo ragazzo e la fiducia in Luca. Perché le aveva mentito? Perché non voleva che scoprisse la verità?
 
Senza accorgersene scoprì che le sue gambe l’avevano portata fuori dai corridoi della sua scuola fino all’ingresso del liceo atristico, posto nel palazzo a fianco. Infatti la sua era una scuola composta da due parti: il liceo artistico e il liceo classico. Originariamente i due licei erano separati, ma per la mancanza di iscritti avevano dovuto fondersi a formare un unico nucleo scolastico distinto in due indirizzi: così gli studenti dell’artistico avevano invaso il classico e a essere sinceri a Edith non dispiaceva affatto quell’invasione.
Purtroppo agli studenti era vietato fare zapping tra le aule dei due differenti indirizzi, ma fortunatamente il cortile interno era condiviso da entrambe le scuole e costituiva una via di comunicazione tra gli studenti allo stesso tempo proibita e affiscinante come solo l’infrazione delle regole può esserlo.
Classico e artistico insieme. Cosa centrassero poi quelle due scuole, F non l’aveva mai capito.
 
Fatto sta che lei era una studentessa del classico e si trovava esattamente dove non avrebbe essere.
Ma non glien’era mai fregato troppo delle regole, quindi non se ne preoccupò. Anzi, era contenta di trovarsi in un posto in cui era poco conosciuta e dove, con un po’ di fortuna, avrebbe potuto stare da sola e piangere l’amarezza che aveva dentro.
Quindi si guardò intorno, in cerca di un luogo tranquillo e silenziozo in cui passare inosservata agli occhi di tutti, dai professori ai ragazzi.
 
Vide la la porta della palestra aperta a appena pochi passi da lei. Nell’intervallo doveva essere vuota. Perfetto.
Si avvicinò lentamente, entrò senza preoccurarsi di essere vista e scoprì di essere sola.
Finalmente sola.
 
Subito di rese conto che era esattamente ciò che aveva scongiurato non accadesse negli ultimi giorni, ma ora che si era avverato scoprì che non le dispiaceva affatto. Quel buoio, quel silenzio che l’avevano accompagnata da quando la madre la aveva lasciati non avevano più lo stesso significato di anni addietro. Se prima avevano rappresentato il vuoto che quella figura materna le aveva lasciato nel cuore, a mano mano che convivevano con lei erano diventati compagni fedeli a cui chiedere aiuto ogni volta in cui era in difficoltà. Amici, confidenti dei suoi pensieri e delle sue insicurezze, scrigni delle sue paure.
Si sentiva sola, ma sepeva di non esserlo: c’erano silenzio e penombra in quella palestra, tutto ciò che le serviva.    
Ripensò a quella mattina. Jessica era entrata in classe e senza salutarla le aveva sbattuto in faccia l’ennesimo lamento sul suo ragazzo, Roberto.
“ è uno stupido incapace, non mi capisce. È arrivato ben dieci minuti in ritardo oggi, quando gli avevo detto di essere puntuale. Non capisce neanche le cose importanti ”
E lei? Le capiva lei le cose importanti? No, affatto. Jessica era la sua migliore amica, d’accordo, ma perdeva la vita dietro a piccolezze senza valore. A Edith era montata una rabbia che non riusciva a giustificare. Come poteva Jessica ancora lamentarsi? Cosa aveva di sbagliato la sua vita? Aveva una famiglia splendida, un fratello magnifico, una madre meravigliosa, un ragazzo che l’adorava.
E ancora si lamentava? 
Cosa avrebbe dovuto dire lei allora? Non aveva niente di tutto questo. Non aveva niente di niente.
“ Smettila ” Le aveva detto “ Non ho tempo di ascoltare le tue cavolate, ora. ”
Naturalmente si era pentita di averle risposto con tanta freddezza e distacco. Jessica era rimasta interdetta, poi per un secondo A Edith era sembrato che sarebbe scoppiata a piangere. Invece si era voltata, con la stessa freddezza che lei dimostrato poco prima ed era uscita dall’aula. Non le aveva più rivolto la parola, e sapeva che per una cavolata del genere le avrebbe tenuto il muso per tutto il giorno.
 
Si accovacciò accanto alla porta, la schiena attaccata al muro. Improvvisamente le lacrime che aveva trattenuto uscirono fuori tutte insieme, inarrestabili. Si portò le dita affusolate verso gli occhi, come per raccogliere quella perle magnifiche formate attorno al dolore. Proprio come le perle più belle, quelle autentiche.
In quel momento sentì l'esigenza che qualcuno le stesse vicino e capì che quel qualcuno non sarebbe mai potuto essere Marco.
Lei non era quella ragazza sicura che aveva tirato uno schiaffo a Marco nel cortile cinque minuti prima. Eppure voleva esserlo e sperava che la sua determinazione le avrebbe permesso di diventarlo.
 
In ogni caso non poteva restare lì per sempre.
Si alzò e si asciugò gli occhi senza paura che il mascara che le rendeva la ciglia più lunghe ancora di quanto già fossero fosse rovinato. Infatti aveva usato quello waterproof, perché già aveva previsto che sarebbe stata una mattina disastrosa.
 
Si sitemò la mglia attillata che portava addosso e guardò il suo riflesso contro il vetro della finstra vicino a lei. Era più che presentabile e scoprì che quei vestiti le donavano molto.
Rappresentavano se stessa: a prime vista affascinanti e in un certo senso oscuri, nascondevano dentro qualcosa di bellissimo.  
Si diresse verso la porta, quando improvvisamente la sua attenzione fu attirata da varie scritte sul muro.
 
D’istinto frugò nella borsetta che portava dietro. Non trovò altro che una matita nera waterproof a lunga tenuta: non era un gran che, ma era più sufficiente per quello che doveva fare.
Sentiva la speranza crescerle dentro, più forte di qualsiasi altro sentimento negativo provasse in quel momento. Speranza in se stessa, speranza nella vita.
Si avvicinò a quelle scritte che rappresentavano paure e sogni di generazioni di studenti.
Sogni.
Pensando a quella parola iniziò a tracciare nuove lettere con caratteri gotici eleganti e aggraziati.
 
Quando ebbe finito, ritirò la matita dalla punta ormai consumata dentro la borsa. Non sapeva perchè l’aveva fatto, eppure l’aveva fatto. Guardò la scritta che aveva lasciato, poi uscì dalla palestra senza più voltarsi indietro.
 
Uscendo dagli spogliatoi, un ragazzo si era fermato a guardare, incantato. Una ragazza bellissima, probabilmente la più bella che avesse mai visto, piangeva sommessamente. Non la conosceva, non l’eveva mai vista, probabilmente non frequentavano la stessa scuola. Avrebbe voluto aiutarla, eppure non sapeva cosa fare.
 D’un tratto lei si era alzata e senza notarlo aveva frugato nella borsetta e aveva iniziato a scrivere qualcosa sulla parete. Poi era andata via, silenziosa come era arrivata, ma lasciando comunque un suo segno. Avvicinandosi, gli occhi grigi del ragazzo notarono una scritta, e sentì dire dalla sua stessa voce:
 
SIAMO FATTI DELLA STESSA SOSTANZA DI CUI SONO FATTI I SOGNI
 
Rimase affascinato da quella frase. Si sentì attratto da quella ragazza come non lo era mai stato e d’impulso uscì dalla palestra nel tentativo di incontrarla. La cercò con lo sguardo, invano.
Se n’era andata, bella e incompresibile come l’amore. 

1.  
Love love love fa riferimento a una canzone di Cristian Marchi, "Feel tha Love", che a me piace molto.

ANGOLINO DELL'AUTRICE:

Ciao a tutte!!! Questa è la prima storia che scrivo quindi vi pregherei di non essere troppo dure con me... Non sarà un gran che, ma io ho fatto del mio meglio. Love love love fa riferimento a una canzone di Cristian Marchi, "Feel tha Love", che a me piace molto. Se per caso questa storia vi ha lasciato qualcosa, anche solo la voglia di non tornare mai nella sezione "romantica" di efp, vi pregherei di dirmelo con un commentuccio... Grazie:)
Ciao ciao, baciotto
Febex
  
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