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Autore: Milla Chan    01/02/2012    5 recensioni
Non si fa neanche una domanda. Capisce subito.
Dopotutto, sarebbe da stupidi cercare di arrampicarsi sugli specchi cercando una qualsiasi giustificazione.
Però, il mondo gli crolla addosso. Letteramente.

[ Dedicata a AmyLerajie ]
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Finlandia/ Tino Väinämöinen, Svezia/Berwald Oxenstierna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Per Amy, che mi sopporta tutti i giorni.

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Si sveglia quasi di soprassalto.
Uno di quei risvegli in cui sei subito lucido e mentalmente presente.
Ci mette un attimo per capire dove si trova, ma si rende facilmente conto di essere rannicchiato nel letto con Berwald, che, a giudicare dal respiro pesante e costante, sta ancora dormendo profondamente.
Sorride e si fa un po’ più piccolo, facendo frusciare le lenzuola e strusciandovi la pelle nuda. Prende un bel respiro e mette una mano sotto il cuscino, per mettersi più comodo.
Sussulta, ritirando velocemente la mano.
Sì è punto con qualcosa. Possibile?
Corruccia la fronte, infilando di nuovo la mano lì sotto e tirando fuori l’oggettino.
Lo fissa nella penombra e lo rigira tra le mani. Un fermaglio.
Un comune fermaglio.
Assottiglia gli occhi, socchiudendo la bocca.
No. Non è tanto comune, quel fermaglio a forma di croce.

Una fitta al cuore sembra spaccarlo in metà.
Si tira a sedere, sconvolto.

Non si fa neanche una domanda. Capisce subito.
Dopotutto, sarebbe da stupidi cercare di arrampicarsi sugli specchi cercando una qualsiasi giustificazione.
Però, il mondo gli crolla addosso. Letteramente.
Rimane dieci minuti buoni a stringere quella croce. Dieci minuti in cui è spento, non pensa, si è fermato completamente, bloccato, incapace di muovere un muscolo.
Fissa il vuoto, a bocca aperta.

Improvvisamente, pianta i gomiti sulle ginocchia, premendo gli occhi sui palmi delle mani, tanto forte da farsi male, con una gran voglia di piangere.
Sente lo stomaco rivoltarsi, i pensieri che iniziano a vorticare irrazionalmente nella testa, e quel male ai fianchi diventa improvvisamente un peso impossibile da sopportare. Come se fosse diventato il segno di una sottomissione che neanche voleva pienamente, e si sentiva lurido, sporco dentro.

Oh, andiamo, Berwald avrebbe davvero potuto fare una cosa del genere? No era veramente capace?

Fa scivolare le mani tra i capelli, stringendoli e tirandoli fino a sentire la nuca bruciare.
Un modo, un modo qualsiasi per scaricare quell’assurdo rancore. Non capisce neanche se ce l’ha con Berwald, con Nor o con se stesso.

Lo fa rabbrividire il pensiero che Norvegia aveva preso il suo posto, in quel letto. Chissà quante volte, poi.
Poi, lancia violentemente per terra quell’odiata molletta, spaccandola a metà, tentando di reprimere un urlo di rabbia.

Passa qualche minuto prima che Ber si svegli e sfiori la sua spalla.
-...Stai bene?-
Ecco. Preciso, cupo e diretto. Proprio in stile Berwald.
Stringe i denti. No dannazione, non sta bene, non sta bene per niente e se ne dovrebbe accorgere.
Si gira verso di lui con lentezza disarmante. Lo scruta per un attimo.
È bello. Con solo il lenzuolo addosso, capisce uno dei motivi per cui è tanto attratto da lui.  E non trova tanto strano che anche altre persone possano essere attirate da un uomo del genere.
...Ma chi vuole prendere in giro. Nor è una persona profonda, no? Non è il tipo da andare a letto con uno solo per il fisico o per l’aspettativa di una bella e sana scopata, detto senza mezzi termini.
...O forse sì? Sì, potrebbe benissimo essere così.
Norvegia è una puttana. Questa è la conclusione.

Tino alza le braccia come una marionetta, prendendogli delicatamente il viso tra le mani.
Inclina la testa di lato, stampandosi in faccia un sorriso talmente falso da farsi schifo da solo.

-Tino?- sussurra semplicemente l’altro, carezzandogli i capelli.
Oh, Ber, quanta pena che fai.
Le tue richieste perverse nascoste dietro un tono di voce vagamente incrinato sono veramente, veramente patetiche.

Prova a tirare verso di sé Tino, con l’intenzione di baciarlo, ma lui si oppone, irrigidendo i muscoli.
Detesta l’idea che quelle labbra abbiano baciato Norvegia. Lo fa stare male, gli dà davvero la nausea.
Il suo sorriso tirato, infatti, scompare nel momento esatto in cui l’immagine sfumata di Norvegia e Svezia nel letto –il suo letto, il loro letto.- fa capolino nella sua mente.
Gattona verso di lui, alzando una gamba e mettendosi a cavalcioni su Ber.
Si abbassa verso di lui, questa volta di sua volontà, e addenta il suo zigomo, facendo fremere l’uomo, per poi scivolare verso l’orecchio e scendere sul collo, tirando un po’ di pelle.
Fa dei profondi respiri, non sa neanche lui per mantenere il controllo o per reprimere la rabbia che gli sta divorando lo stomaco. Non può dire di non volergli far male.
Si stacca, e fa scivolare le dita delle proprie mani sulla sua gola, muovendole languidamente avanti e indietro.

Ber lo guarda (non che lo vedesse poi tanto bene, immersi com’erano nella penombra) come un cane lasciato sulla strada guarda la macchina dei suoi ex-padroni allontanarsi.
Non dà neanche troppa importanza al fatto che Fin stia stringendo sempre più forte la sua gola, finchè le unghie non gli entrano nella carne, facendolo sussultare. È come un serpente, pensa subito. Non ti accorgi neanche di essere nelle sue spire, se non quando è troppo tardi.
Non vede neanche la sua espressione.
Forse non è poi un male, dato che Tino lo guarda sereno.
Come se non si stesse rendendo conto di star soffocandolo.
Ma è fin troppo cosciente di ciò che sta facendo. Sente le arterie pulsare sotto le sue mani, non si sforza neanche troppo. Lo fa e basta.

Ber tossisce, sentendo i polmoni contorcersi su loro stessi, e porta le mani sopra quelle di Tino in un tentativo di allontanarlo.
Ma non fa una piega.
Lo sanno tutti e due che Tino è abbastanza forte da non fermarsi e che Ber lo ama abbastanza da non riuscire ad usare la forza contro di lui, quindi non avrebbe stretto ulteriormente le sue mani morbide.

Lo sguardo di Tino è vuoto. Stringe più forte.

Ber serra gli occhi, immaginandosi –chissà perché- una lacrima sulla guancia di Tino.
Sente ogni vena del suo corpo pompare il sangue, ogni muscolo affaticato, e il cervello che si annebbia. Gli manca l’ossigeno, non ha più fiato, non sta scherzando.
Prova a prendere aria, anche solo un minimo.

Dentro la sua testa, Tino non vede Ber. Forse non vede neanche, a dire la verità.
Non  sembra nemmeno presente in quella stanza, non pensa di fermarsi, non pensa che lo stava davvero soffocando.

Sembra risvegliarsi quando finalmente Ber si rilassa con un piccolo soffio, vedendo la sua mano scivolargli addosso.
Sbatte gli occhi un paio di volte, percependo una goccia salata scivolargli giù per la guancia. Non sa se lacrima perché ha tenuto gli occhi aperti troppo a lungo o per tutte quelle sensazioni che lo stanno uccidendo.
Si sposta, rimanendo in equilibrio sulle ginocchia.
-...Respiri?- mormora serio.
Un’altra lacrima scivola giù quando non risponde. Ma ha solo perso i sensi, non lo ha ammazzato, no?
Non lo sa.
Si allunga verso il comodino, afferrando al volo il pacchetto di sigarette, mentre un’altra lacrima cade dagli occhi.
Rabbrividisce e si copre con il lenzuolo, mentre con tutta calma accende la sigaretta.
Espira lentamente, facendo vorticare il fumo nella stanza, con un singhiozzo inaspettato.
Si asciuga gli occhi con il dorso della mano, buttando fuori un’altra boccata di fumo.
Tira su il cuscino e appoggia la schiena alla testata del letto, mantenendo una faccia tranquilla, tradita però dalle lacrime che non riesce più a fermare.
Fissa con astio il fermaglio spaccato per terra.
Rimane fermo per altri tre o quattro tiri, singhiozzando di tanto in tanto, o facendo vibrare nervosamente la sigaretta.
Poi allunga il braccio, tenendola con due dita, e la preme sul petto fermo di Ber, spegnendola.

Inclina gli angoli della bocca verso l’alto con uno scatto.

No, non ha nessun senso di colpa.

   
 
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