Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: BlackClover    02/02/2012    1 recensioni
Allora questa fan-fic contiene dello Spoiler per quello che riguarda il capitolo 62 di kuroshitsuji quindi se non l'avete ancora letto, leggetelo.
E poi tornate a leggervi questo(me re da! xD). Questa volta faccio veramente fatica ad accennarvi di più, l'inizio è un mio tentativo di interagire con chi legge e spero sinceramente che l'esperimento riesca, Come sempre spero vi piaccia.
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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prova ombrapeccato

L’Ombra del Peccato.





Immaginate un cielo nero e impenetrabile. Un cielo che vi sovrasta,  vi circonda e vi avvolge come un pesante manto intralciandovi il cammino. Immaginate ora che esista qualcosa che lo possa ferire, qualcosa che riesca a squarciare il buio con aura se possibile ancora più nera dandovi l'idea che possieda una sorta di spessore.  Uno "spessore" elettrico, volubile, dove uno schiocco di dita basterebbe per incenerire qualsiasi cosa nel raggio di un chilometro. L’ideale per descrivere un paesaggio di questo tipo sarebbe di trovarvi davanti ad unico cartello bruciacchiato con su scritto, in una lingua dimenticata da Dio:

“ Siate i benvenuti! Se volete visitarlo, l’Inferno è solo ad uno starnuto da qui. ” 
Tale scenario non poteva permettersi che un umorismo simile.

Quindi, ora accettate l'idea che da ere remote, vi sia qualcosa che abbia imparato a sostentarsi e a vivere considerando quell'inferno di nero e pece, contro ogni buon senso la propria casa.
Un regno di ombre a cui far ritorno dopo essere stato a braccare qualcosa. Un luogo desolato che non sembra aver mai visto la luce del sole e dove niente sembrava mettere le radici troppo a lungo.
A questo punto voi mi domanderete … e di cosa vivrebbe allora questo qualcosa?

Dì vita, per essere precisi. Dell’essenza stessa della vita.
È una creatura che ne riconosce il delicato e sottile profumo, ne segue la traccia percorrendola a ritroso valicando confini, fino a risalire alla fonte. Non esiste luogo troppo lontano dove non possa giungere, non esiste spazio o tempo che possa rallentarne il volo o la corsa. Se decide di trovarvi non esiste posto sicuro dove nascondervi. Caccia e cattura usando ingegno e astuzia. E, diciamocelo, sedere a tavola con uno di loro non è mai un bello spettacolo. C’è una credenza, secondo la quale non si debba dare agli incubi un nome… perché altrimenti essi diverrebbero più forti e più veri. Gli esseri umani tendono sempre a dare un nome a tutte le cose e, infatti, anche questo predatore che esiste fin dalla notte dei tempi non fa eccezione. Stiamo parlando del predatore dell’uomo per eccellenza.

Vi dico inoltre, che questo predatore di vita è immortale, con una forza sovraumana, che non conosce sazietà ed è divorato dalla fame tanto da non conoscere la parola riposo. Con il tempo ha acquisito più nomi e una mente brillante ed intuitiva. Può prendere un aspetto umano e camminarvi affianco, scambiando con voi battute come se si trattasse di un vecchio amico a cui sta a cuore un vostro problema e vi offre una facile e vantaggiosa soluzione.
Può presentarsi perfino come un ancora di salvezza, porgendovi la mano mentre siete ad un passo dal baratro e offrendovi così un allettante alternativa, un occasione d’oro. 
Perché semplicemente non sa resistere al richiamo di chi, come il sottoscritto trovandosi davanti ad una morte atroce, non ne vuole più sapere di quella barzelletta chiamata Dio. 

Ma diversamente da quello che potreste pensare non ero alla ricerca di una salvezza, ne di una opportunità.
Io volevo ogni cosa che quella creatura potesse darmi, giocare con chi mi aveva rubato la speranza, farlo ballare sulla punta di uno spillo ardente come sicuramente aveva fatto sulla tomba dei miei genitori. A quel tempo, ero solo un bambino che si crogiolava nella sua bolla di sapone e si credeva al sicuro, all’oscuro di tutto quello che lo aspettava fuori. Ora lo so, niente in realtà mi avrebbe potuto proteggere dalla malvagità che mi aveva strappato dall’abbraccio caldo di mia madre e di mio padre. Nessun santo sarebbe venuto ad asciugare le mie lacrime mentre marchiavano a fuoco il mio fianco. Nessun Dio misericordioso sarebbe accorso udendo le mie suppliche mentre i ripetuti abusi sul mio corpo mandavano la mia mente in pezzi. Non biasimatemi, ma sarei dovuto morire su quell’altare come un martire quella stessa notte, urlando e divertendo quelle bestie che portavano l’umanità come la maschera di una realtà atroce e rivoltante solo per preservare la fede in Dio?

La cosa spaventosa era sapere che avrebbero proseguito il loro macabro divertimento, perché dentro quella gabbia la mia vita non significava nulla. Dopo di me sarebbe toccato ad un altro e ad un altro ancora. Non ero che una vittima tra le tante. Il piccolo Conte Phantomhive non era che un bambino qualunque. Con quella terrificante verità, che si faceva strada con l'accrescere della mia paura, speravo che le mie grida spaccassero quel cielo stellato che inclemente osservava incurante la mia fine.
Non volevo. Non volevo morire. Non volevo che quel luogo fosse la mia tomba.



Quella notte. Una fila di volti nascosti dai cappucci presero le chiavi della gabbia, arretravo scalciando, urlavo ma non riuscivo più ad udire le mie grida sotto le mura delle loro risate. Quando mi afferrarono una caviglia mi sentii mancare il respiro sotto quella stretta, formulai quello che pensavo sarebbe stato il mio ultimo pensiero. Avevo capito che mi stavo illudendo ancora una volta.

In realtà, non c’era mai stato alcun Dio per cui pregare.



Sentii delle voci di sgomento e il mondo si fermò, calò improvvisamente una nebbia innaturale, densa, nera, che si allargò minacciosamente. Inglobò tutto nel buio insieme all’altare incrostato dal sangue dell'ultima vittima …chi
si udì nel fumo, con una che sembrava giungere da un altro luogo …chi di voi?

Alcuni iniziarono a correre impacciati verso l’uscita non credendo ai loro occhi, altri gridarono che era giunto il demone e aveva apprezzato il loro sacrificio. Quell'agglomerato di fumo si mosse intorno all'altare come se avesse posseduto una volontà propria e la stesse usando per cercare qualcosa o qualcuno. In effetti, qualcuno gridò contro la fitta nebbia pregandola di donargli l’eterna giovinezza. La nube fosca sembrò prestargli un secondo di attenzione ma poi passò oltre. Si rivolse alle gabbie dove tremando mi ero attaccato alle sbarre non riuscendo a staccarle gli occhi di dosso.
Dire che ebbi paura era minimizzare, ebbi una paura fottuta perché quell'ammasso di fumo nero sembrava studiare chiunque respirasse in quell'infernale circolo di pietra. Lo sentii crepitare elettrico mentre mi sfiorava. La mia mente mi ricordò che stavo comunque per morire e mi suggerì che ero davanti l’unica cosa che pareva essere giunta alle mie preghiere. C'era da capire se fosse veramente così, o se quella dannata cosa fosse venuta per uccidere indiscriminatamente. I miei aguzzini intanto cercarono di capire come rivolgersi alla nebbia, pregando di donare loro fama e ricchezza.
Quella passò ancora
oltre. Era scioccante perché effettivamente lì sfiorava e poi si ritirava. Stava proprio cercando qualcuno ed era sempre più attirata nella mia direzione. Quella cosa era venuta per cercare me. Non chiedetemi come me ne resi conto, ma sentii una sorta di filo conduttore tra me e quel... qualsiasi cosa fosse. Sapevo che sarebbe stata solo questione di pochi secondi prima che si... E mentre lo pensai accadde. Si voltò improvvisamente nella mia direzione. È difficile spiegare come un banco di nebbia oscura, seguita dalle sue numerose escrescenze fumose che si dissolvevano man mano che si spostava, potesse mimare un simile movimento. Eppure l'aveva appena fatto. 
Sentii che ero ad un passo dall'andare in iperventilazione. Ero io, quello che cercava ero veramente io. Il fumo non possiede occhi, ma il quel momento avrei potuto giurare che mi stesse fissando. Si mosse nella mia direzione come se mi avesse sentito… o meglio come se mi avesse effettivamente riconosciuto, cosa che mi dette i brividi e infatti mi parlò.

Ah, ecco… dunque eri tu … lo fece attraverso la mente, direttamente dentro alla mia testa, esplorandola deliziato come avesse delle metaforiche dita di velluto, un esperienza che tra l’altro non auguro a nessuno. Dal nulla prese a delinearsi un volto.
Hai fatto un grande sacrificio… disse ancora, ma stavolta anche quelli che assistevano sgomenti in disparte sembrarono capire che qualcosa non quadrava. Non era come se lo aspettavano. Degli uomini gridarono di non farmi parlare, ma nessuno volle prendersi il disturbo di attirare "la cosa". Essa mi parlò restituendomi per alcuni secondi la concentrazione, tuttavia, mi diede la sgradevole sensazione di ospitare un intruso.

Ti sei fatto sentire fino agli anfratti più remoti dell’inferno per poi infine giungere al mio orecchio… è stata quasi una fortuna per te. Non sembrò parlare dei presenti e non ero sicuro al momento di voler sapere esattamente cosa significasse quel "quasi". Poco dopo aggiunse...Gli altri che stavano arrivando … non si sarebbero presentati in modo altrettanto Elegante.
La voce marcò sulla parola "elegante" come se avesse un altro significato che sembrava divertirlo particolarmente. Io intanto, stavo lottando con la spiacevole idea di star impazzendo del tutto. Stavo concependo io quel pensiero, o lo stava veramente trasmettendo quella coltre  inquietante? La maggior parte della nebbia si condensò davanti ai miei occhi.
« Cosa sei? » dissi alla lugubre sagoma che via via stava acquisendo consistenza.

« … che padrone piccolo. »

Il commento fuorviante dell’essere fece ribollire di rabbia ogni singolo atomo della mia coscienza. Se proprio dovevo morire che accadesse subito, senza avere giochi di pessimo gusto anche da parte della mia immaginazione. RISPONDIMI!

Non ebbi bisogno di distinguerlo al buio per sapere che stava ridendo di me. La sua risata con mio terrore, mi avvolse come una calda pelliccia di visone e dal nulla iniziò a parlare con quella che credevo essere la sua vera voce. « Stavo seguendo il tuo richiamo e ti ho trovato. Quindi sta a te ora, decidere se fare un contratto con un Demone e realizzare i tuoi desideri, oppure no. »
Concluse. Dunque se mi fossi rifiutato si sarebbe rivolto a qualcun altro. Quella era la mia chiave per la libertà quindi per quanto spaventosa non provavo nessuna esitazione ad usarla. Si passò la lingua sulla labbra, ed ebbi la sensazione che avesse seguito o letto dal principio il mio pensiero, come se  avessi fatto qualcosa di estremamente interessante e nell'insieme si stesse chiedendo che sapore avessi.

« Il prezzo per attraversare il fiume è stato già pagato. »
Lanciai un rapido sguardo di terrore all'altare di pietra insanguinato. Immagino che si stesse riferendo al corpo della bambina che era stata sacrificata prima di me. Mi sentii un mostro perché apprezzai di non aver pagato io quel prezzo. Sorrise come se stesse ancora indovinando i miei pensieri. Forse esisteva veramente questo filo conduttore che ci univa, non che saperlo mi tranquillizzasse, al contrario.

« Io… io.. » uno degli aguzzini gridò: - Fatelo stare zitto! Tappategli la bocca! - Ma avendo io tutta la sua attenzione i miei carcerieri che si erano avvicinati restarono pietrificati sul posto. La nebbia li lambì come una fiamma nera. Fu semplicemente terrificante, li sfiorò come se  possedesse delle mani immaginarie. Il mio cuore batteva come se volesse uscirmi dal petto. Lacrime rabbiose corsero lungo il contorno del viso bruciandomi. Finalmente liberai l'urlo che avevo intrappolato in gola.
« … VOGLIO FORZA. »
« VOGLIO LA FORZA PER VENDICARCI DI TUTTO QUELLO CHE CI HANNO FATTO. » Ripresi fiato e conclusi in fretta. 

« DEMONE, FIRMERÒ IL CONTRATTO! »

Un sorriso affilato fece capolino dal fumo:
« Vuoi quindi rinunciare alla luce per seguire un sentiero oscuro… bene. Marcherò i nostri corpi con un sigillo, c’è bisogno di un posto bene in vista. Più è visibile più sarà forte il potere. Dove lo vuo- »

« QUALSIASI POSTO VA BENE! » Urlai e mi lanciai contro le sbarre cercando di toccare l’unica cosa che sapevo essere l’unica possibilità che mi restava. L’unico filo a cui aggrapparmi mentre le lacrime mi solcavano le guance. 
« VOGLIO IL POTERE PIÙ FORTE CHE ESISTA! » e due occhi tra i più spaventosamente vivi che avessi mai visto arserò davanti al mio volto. E vi lessi FAME. Una fame ceca, smodata, infinita.
E la mia rabbia sembrò solo accentuarla.

« Perfetto. »

La coltre si allungò velocemente nella mia direzione. Un braccio interamente foderato di nero apparve dal nulla.  Una mano pallida mi agguantò il viso e quasi mi scagliò via con una rapidità spaventosa che mi rese muto, incapace di parlare.  Ma a dire la verità quella mano non mi preoccupava tanto, temevo invece quello che ancora restava nascosto nella nebbia e che possedeva quegli occhi spaventosi. 
Prese ad accarezzarmi il viso quaso stesse toccando una sua proprietà.

« Quanta Avidità per un corpo così piccolo… » sembrò dirlo fra sé estasiato. 
Continuò come parlando a se stesso « Dovrei mettere il sigillo su questo bell'occhio così grande e pieno di disperazione ».

Se pensavo che tutto quello che avevo subito fino a quel momento era stato straziante, mi sbagliavo. Raggiunsi delle vette del dolore che non pensavo fossero possibili, la sua mano riusciva a coprirmi l’intero viso e una fitta allucinante all’occhio destro mi rese ceco e sordo. Urlai come se avessi dovuto gareggiare con quella sofferenza. Lottai contro quella mano graffiandola, perché tanto dolore per me era inconcepibile. Ma era come cercare di scalfire un muro a mani nude. Rise di gusto, una di quelle risate che non si dimentica facilmente, una di quelle che ti gela il sangue nelle vene. La mia mente svuotata vacillava nel torpore mentre il dolore pian piano stava scemando altrove e la vista tornava. Per un attimo in quel fumo denso sentii un fruscio, continuo e vibrante, come piume che cadevano al suolo avvitandosi su loro stesse facendo dei mulinelli. Pareva il rumore di mille fogli che cadono scontrandosi fra loro.
In mezzo alla confusione intravidi un corvo, lo vidi con l’unico occhio su cui potevo fare ancora affidamento. Udii un graffiante rumore di tacchi che senza alcuna gentilezza artigliavano il pavimento. Mosse qualche passo nella mia direzione.

Mi sembrò un sogno poiché riuscii a scorgere di nuovo il sorriso affilato in quella sagoma nera. Sembrando stagliarsi contro il buio e fendere l’oscurità della notte con la sua sola presenza, come possedesse un aura tagliente.
Man mano che lo osservavo divenne sempre più reale. Un attimo prima c’era solo la nebbia e subito dopo c’era un uomo alto e distinto nel suo impeccabile completo scuro.

Potete pure darmi dello stupido, ma sembrava che ci tenesse ad apparire elegante ai miei occhi, come se la prima impressione fosse tutto. 
I presenti impallidirono a quell’apparizione e, pur essendo armati, presero istintivamente le distanze dall’uomo sbucato dal nulla. Il demone lì osservo con scarso interesse e si sistemò i guanti
immacolati sulle mani. Non mi accorsi che ero fuori dalla gabbia. Doveva essere stato lui.
« I vostri ordini? A parte eliminare i presenti ovvio. » Ah, giusto...

Gli uomini incappucciati udite quelle parole smisero di cercare la sua attenzione, corsero verso l’uscita e fu ordinato che venissi ucciso insieme a lui. Ovviamente nessuno voleva prendersi il tempo di farlo, tutti volevano fuggire e nessuno aveva la minima intenzione di restare lì. Si accalcarono alle porte come animali in trappola.
Era incredibile… la voce dell’uomo risultasse sempre elegante, pur mantenendo la stessa quantità d irriverenza verso il suo interlocutore...

« Padrone? »

Non riuscivo a credere che fosse tutto vero, la sua mano foderata di bianco mi sfiorò delicatamente una spalla e io mi scostai bruscamente come ustionato, non volevo assolutamente che mi toccasse. L’uomo sorrise pazientemente, se non altro il cuore che mi batteva a mille nel petto era senza dubbio la prova che fossi ancora vivo.
Eppure, guardandolo, seppi di aver comunque perso qualcosa. Qualcosa che come i miei genitori non sarebbe più tornato. Sapere esattamente cosa fosse, era dato saperlo solo a quel demone che attendeva sorridendo. 
Sempre e comunque quel dannato sorriso sulle labbra.
 « I miei ordini? »

« Mi proteggerai sempre a costo della tua vita. Obbedirai ad ogni mio ordine in ogni circostanza.»
« e... non mi tradirai mai. Questo fino a pieno compimento della mia vendetta. »



« …nient’altro? »



Pensai ai miei genitori… era passato parecchio tempo da quando ero stato rapito, anche se non sapevo esattamente quanto. Mi dissero sempre di non preoccuparmi di nulla e che divenendo grande mi sarebbero sempre stati accanto. Non era più così. Forse era solo una favola che mi raccontavano per riuscire a farmi dormire. Capii che l'avevano detto non sapendo della tragedia che stava per colpirci, ad ogni modo lo dissi ugualmente:

« Sì, … non mentirmi mai. »

Dopo di che il tutto si svolse in un battito di ciglia. Molti morirono velocemente sul posto e altri li seguirono senza neppure rendersi conto di ciò che si era abbattuto su di loro. Poi tutto venne avvolto dalle fiamme… due figure si allontanarono solitarie.



Entrambe dando le spalle all’incendio,
entrambe senza sentire il bisogno di voltarsi indietro.

Unite eternamente nell'Ombra del Peccato.


   
 
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