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Autore: the general girl    02/02/2012    5 recensioni
Sakura rivide Sasuke nel Paese del Vento cinque anni dopo la Grande Guerra, quando lui era ormai creduto morto da tutti e quando lei avrebbe dovuto rinunciare da tempo ai suoi sentimenti. Nessuno di loro due era mai stato bravo a tenere fede alle aspettative. [SasuSaku]
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Naruto Uzumaki, Nuovo Personaggio, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Tsunade
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Una premessa: Sasuke inizialmente vi apparirà OOC, ma se leggerete tutto il capitolo troverete la risposta.

Prima Parte

“Noi tutti possediamo delle macchine del tempo. Alcune ci riportano nel passato, si chiamano ricordi. Altre ci portano nel futuro, si chiamano sogni.”

Jeremy Irons

 

Haruno Sakura rivede Uchiha Sasuke nel Paese del Vento, cinque anni dopo la guerra.

È  in un’affollata sala da tè, seduta da sola a un tavolino, nell’angolo, spalle al muro, intenta a gustarsi dei dango, dopo una missione terminata con successo.  Il dolcetto è appiccicoso e Sakura sta per addentare l’ultima pallina verde quando lui entra.

È cresciuto, è più alto e struggentemente bello proprio come lo ricordava. Non può essere veramente lui, perché Sasuke Uchiha dovrebbe essere morto da ormai cinque anni. E non può essere lui perché quel ragazzo, quell’uomo che ha appena varcato la porta sta sorridendo e sghignazzando e Sakura non l’ha mai visto così rilassato prima, non ha mai visto le eterne barriere che ha eretto intorno a sé crollare in questo modo.

Forse è solo una crudele coincidenza. Forse Uchiha Sasuke ha un gemello. Forse si tratta di  un esaurimento del suo chakra, di allucinazioni o di un genjutsu diretto a riaprire vecchie ferite che non si sono mai rimarginate.

Ma no, lui sta diringendosi verso il bancone per ordinare e quell’innata grazia, quella fluidità di movimento, è proprio come lei la ricorda. Il cuoco gli sta servendo un piatto di tempura e uno di dango e non può trattarsi di Sasuke, perché lui ha sempre odiato i dolci. Non sono per lui; invece li porge a qualcun altro, qualcuno che lei non aveva notato quando Sasuke era entrato nella stanza senza alcun riguardo per il fatto che lui avrebbe dovuto essere morto, l’attenzione di Sakura non aveva spazio per nessun altro.

È una ragazza, piccola, aggraziata e formosa, con i capelli castano chiaro e sta sorridendo a lui, al loro Sasuke-kun.  Quel pensiero la spaventa a tal punto che la presa già molle che ha sul bastoncino di dango si allenta e il dolcetto cade a terra.

Lei non ha pronunciato quel nome, non ha usato quel nome in congiunzione a quel suffisso da molti anni.

Il cibo giace dimenticato sul pavimento come Sakura si alza dal tavolo con un rumore abbastanza forte da smorzare la conversazione intorno a lei, ma non le importa, non le interessa delle buone maniere quando Sasuke, quando Sasuke-kun è vivo, sta bene ed è nella stessa stanza in cui si trova anche lei e sta ridendo in compagnia di un’altra ragazza, con un’estranea che non è loro. Fa male, terribilmente male. Ferisce incredibilmente perché è chiaro che lui ha finalmente trovato la felicità e non è né con lei, né con Naruto o con il maestro Kakashi e sicuramente non entro le mura della loro casa (fa ancora più male, lei pensa, vederlo per la prima volta con una ragazza).

(E Sakura sa che è egoistico, meschino e sbagliato pensare ciò, ma maledizione, nonostante sia cresciuta, Sasuke sarà sempre il suo punto debole.)

Sakura se ne sta lì in piedi, le mani tremanti sul tavolo, e l’intera stanza si zittisce, la gente la osserva in modo strano, ansiosamente perché loro possono scorgere il suo coprifronte  e sanno che è una kunoichi e i ninja sono conosciuti per le loro azioni improvvise. Lui è l’ultimo a voltarsi, soltanto quando la giovane che è con lui – e il suo cuore si stringe per questo- lo tira leggermente per la manica.

E allora la sua sorpresa diventa rabbia. Perché le ricorda che li ha abbandonati una seconda volta, nel peggior modo possibile. Li ha lasciati credere che fosse morto, ha lasciato credere a Naruto, il suo miglior amico e la cosa più simile a un fratello che avesse mai avuto, che fosse morto per un colpo destinato a lui. La rabbia è forte, graffiante e sovrasta lo stupore.  Per un attimo, tutto ciò che può vedere è il rosso dell’indignazione e di cuori feriti. Poi si calma, fessurando le iridi color smeraldo, e aspetta, anticipando il riconoscimento che sarebbe passato dai suoi occhi quando i loro sguardi si sarebbero incrociati.

Sakura, spera per il suo bene, di trovare anche il più flebile indizio di rimorso o rimpianto.

(Forse, anche di calore.)

Ma Sasuke è dolorosamente lento a voltarsi ed è risaputo che Sakura sia una donna impaziente (almeno per quanto riguarda lui). Quando finalmente si gira, i suoi occhi scivolano, lenti e languidi, dalle punte dei suoi piedi al rosa dei suoi capelli- lei sarebbe arrossita solo che, solo che-

(Il suo respiro accelera e le sue dita scavano piccoli solchi nel legno del tavolo).

Quando lo guarda in quei limpidi occhi scuri per la prima volta in cinque anni, Sakura quasi si spezza. Nelle sue iridi non vi è nulla se non vuota curiosità.

E Sakura non se lo aspetta; lei rifiuta ciò che è peggio del suo consueto marchio di apatia; si rifiuta di accomunarlo alla indeterminatezza degli estranei intorno a lei perché-

(Lui non è un estraneo. Non importa quanto duramente ci provi, perché è disposta a riannodare le fenditure nel loro legame ancora e ancora, intessendole lei stessa in nuove trame così che diventi qualcosa che nessuno sia mai in grado di sciogliere.)

I passi di Sasuke sono leggeri e veloci, forse anche più rapidi dell’ultima volta in cui l’aveva visto combattere e la presa di Sakura sulla sua maglietta nera è rude.  La giovane che lo accompagna urla impaurita e Sakura è shoccata, perché non c’è nessuna spada premuta contro la sua gola, nessun chidori diretto alle sue costole. Invece Sasuke sembra allarmato, come se avesse timore e non sapesse come reagire.

Sakura non può credere che Sasuke abbia abbassato la guardia al punto da venir sorpreso da un attacco. Non può credere che Sasuke lasci indovinare così facilmente le sue emozioni.

“Maledizione,” lei sussurra, “Tu non sei, tu non sei- chi cazzo sei e cosa hai a che fare con Sasuke-kun?”

Sakura solitamente è una ragazza calma, non abusa delle ingiurie, è razionale, l’esatto contraltare dell’esuberante e ribelle carattere di Naruto.

Questa donna rabbiosa non è lei. 

“Lascia andare Kun-chan! Solo perché sei un ninja non significa che tu possa infastidire chiunque tu voglia!”.

Gli occhi di Sakura dal volto di Sasuke si posano sulla giovane urlante, aggrottando le sopracciglia a quel nome. Si aspetta che lui la derida, si corrucci per quell’onorifico, ma non lo fa.  

Sta indossando ampi pantaloni neri, una maglietta scura e stivali dello stesso colore. Non ha né una fondina per i kunai né un porta-shuriken lungo la coscia o legato intorno alla vita, nessuna spada sulle spalle. Sembra a tutti gli effetti un civile.

Istintivamente, i suoi sensi si espandono e cercano quel chakra scuro e denso di potere che lo ha sempre contraddistinto, ma quanto trova non è ciò che si aspettava. Sì, la distintiva sensazione del chakra di Sasuke è lì, ma è ovattata e smussata, stratificata così in profondo dentro di lui che Sakura può solo rilevarne il più flebile dei segnali.

Quando lui parla, la sua voce ha lo stesso timbro rauco che ha sognato migliaia di volte.

“Chi sei?”.

 


Sakura non può che agitarsi per quel momento così surreale. È seduta sotto un melo in fiore e Sasuke non lontano più di due metri da lei le sta sorridendo. E sebbene il sorriso sia gentile ma distante e sia lo stesso che lei è solita dare ai conoscenti che incontra per strada, Sakura ne è affascinata, è al medesimo tempo entusiasta e devastata per questo mutamento.

Il ragazzo accanto a lei è ancora freddo e riservato, ma era come se tutti gli spigoli affilati e gli angoli appuntiti che aveva guadagnato lungo la sua vita fossero stati levigati dalla carta vetrata.  Il cambiamento è snervante, terrificante e quasi agrodolce perché questo è esattamente come Sasuke avrebbe potuto, avrebbe dovuto essere. Il Sasuke che sarebbe potuto esistere se una certa missione non fosse stata assegnata a suo fratello molti anni prima o se loro fossero stati abbastanza forti da trattenerlo a Konoha.

Invece lei è seduta sotto una cascata di petali bianchi, mentre il suo primo amore le racconta come si è svegliato in un piccolo ospedale, in un villaggio senza nome, senza i ricordi della sua vita precedente. Lo osserva mentre parla e racconta; il modo in cui la sua testa si piega leggermente verso sinistra quando parla di qualcosa di particolarmente duro o il modo in cui le sue labbra si assottigliano in una fine linea se risulta particolarmente doloroso rievocare un momento. Lei riesce a capire quando è frustrato dalla posizione delle sue spalle e quando è divertito dal vezzo delle sue sopracciglia. Tutti questi frammenti del Sasuke che era la rincuorano che sia quello vero, che se anche non ricorda nulla, lei sia ancora in grado di riconoscere quei piccoli pezzi di lui.

Che per qualche innata capacità possa ancora comprenderlo.

“Amaya e la sua famiglia mi trovarono in un fossato nel Paese del Fuoco. Secondo il suo racconto ero messo piuttosto male. Mi portarono in un ospedale di un villaggio vicino e i dottori mi rimisero in sesto.”

“Poi Kun-chan venne a casa con noi,” la ragazza, Amaya, interrompe il fluire del discorso. Sakura smette di osservare Sasuke e rivolge la sua attenzione alla ragazza sdraiata a terra accanto a lui. È chiaramente una civile e siede troppo vicino a Sasuke per i suoi gusti. È bella, ma Sakura nota la chiara lucentezza del trucco e non può non pensare che quella bellezza sia solo superficiale.

(Non è –lei dice fermamente a se stessa- la gelosia a parlare. Sasuke è sano e salvo, vivo, senza cicatrici e quella, ripete continuamente a se stessa, è l’unica cosa che conta.)

Sasuke sembra solo un po’ turbato per l’interruzione, i suoi occhi si posano divertiti sulla giovane “Sì. Non avevo alcun posto in cui stare e la famiglia Endo è stata abbastanza gentile da trattenermi. Lavoro nei campi e li aiuto in ogni modo che posso.”

“Mi dispiace per quanto successo alla sala da tè,” si scusò Sakura, “Io ero… sorpresa.”

“Direi,” Amaya sbuffò e Sakura non poté non notare come Sasuke trattenne a stento una risata.

Una risata, questa ragazza aveva visto Sasuke sorridere, aveva visto lati di lui che lei e Naruto avevano combattuto con le unghie e con i denti per riportare alla luce. Sakura era grata a Endo Amaya per aver salvato la vita di Uchiha Sasuke, ma non poteva negare la punta di gelosia che si riverberava nel suo cuore.

(Non può mentire a se stessa.)

“Mi hai riconosciuto?”  disse lui, calibrando attentamente le parole.

Il primo istinto di Sakura, il suo bisogno è quello di urlare “Sì ti ho riconosciuto, tu sei Uchiha Sasuke, appartieni al Team Sette, a Konoha. Per favore torna a casa.”

Ma questo è il Sasuke che sarebbe potuto essere ed era felice. Questo Sasuke può ridere agli scherzi e sorridere agli estranei. Questo Sasuke non conosceva il tradimento, il dolore, non aveva visto il sangue caldo dei suo genitori macchiare le pareti del salone di casa.

Questo Sasuke sarebbe rimasto.

Lei ci sta mettendo troppo, realizza, così riporta gli occhi color giada a lui e, sorridendo debolmente, scuote la testa.

“Non credo.”

 

Angolo Traduttrice: 

Desidero ringraziare l'autrice per il permesso di tradurre questa meravigliosa storia.

Nell'account dell'autore potete trovare il link alla versione originale in inglese.

Spero che questa fanfiction abbia successo anche nel fandom italiano. Su fanfiction.net è stata un enorme successo e ha ricevuto una media di 60 recensioni a capitolo. La storia è già completa e dunque -compatibilmente con i miei impegni- cercherò di aggiornare spesso.

E' un onore per me tradurre questa storia e spero di essere all'altezza del compito. Se volete/potete recensite :D Mi farebbe un immenso piacere.

Fede

P.S: la citazione iniziale è di Jeremy Irons, noto attore britannico. E' tratta dal film The Time Machine (2002).



 

  
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