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Autore: pinzy81    02/02/2012    11 recensioni
One-shot dedicata al tragico primo incontro tra Emmett e Rosalie. Questo lavoro ha partecipato al contest “Hi! Nice to meet you!” di Virgyblackina, classificandosi al terzo posto pari merito con un’altra storia.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Emmett Cullen, Rosalie Hale
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
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L’ispirazione per questa storia viene da una canzone di Sarah Mclachlan da cui ho attinto anche per il titolo della one-shot: Angel



L’aria fredda mi sferzava il viso, le lacrime che erano scese sulle mie guance andavano seccandosi. Non ne avevo mai versate molte durante la mia breve vita, ma nel momento in cui avevo capito che non c’era più niente da fare, che non sarei riuscito a scamparla, erano spuntate dai miei occhi. Come una silenziosa richiesta di redenzione dai miei peccati, come piccole messaggere di perdono.
Avevo perso. Che sciocco ero stato, avrei dovuto dare ascolto ai miei fratelli. Oh, loro mi conoscevano! Sapevano che non mi sarei fermato per nulla al mondo e che avrei riportato a casa la sua pellaccia morta o piuttosto sarei perito.
Povero borioso che non ero altro, ma era facile pentirmi ora che il mio cuore batteva i suoi ultimi colpi. E poi pentirmi di cosa? Non era sempre stata tutta la mia vita la caccia? Quello che riusciva a farmi sentire vivo, che mi permetteva di primeggiare? E dove mi aveva portato? Alla morte.
Sentivo la vita abbandonarmi lentamente. Avevo sempre pensato che morire fosse semplice, veloce. Immaginavo che sarei scomparso a causa di una battuta sfortunata, ma speravo che si verificasse in tarda età, quando i miei riflessi fossero stati rallentati dalla vecchiaia. E invece non mi era servito a niente essere il più forte di tutti i giovani di Gatlinburg, il più abile col fucile, quello con il senso dell’orientamento migliore. Niente di tutto questo mi aveva favorito nella battaglia che avevo intrapreso con la mia ultima preda.
L’avevo braccato, seguito le sue orme, notato i rami spezzati al suo passaggio. Tenendomi sopra vento ero riuscito a percepire l’odore della preda che, in fondo, non era altro che il predatore. Curioso come, anche se fossi così sicuro delle mie mosse e dell’ottima riuscita di quella particolare caccia, ero diventato l’animale catturato.
Non so cosa era andato storto, forse un movimento sbagliato, forse il rumore della cartuccia che veniva caricata nel mio Winchester, forse… forse era solo così che doveva andare. Quel bestione aveva avvertito, chissà come, la mia presenza e mi aveva puntato con gli occhi spiritati di chi capisce che sta per giocarsi la vita.
Ero sempre stato fortunato fino a quel momento, nella caccia, al tavolo del poker, con le ragazze. La fortuna era stata mia compagna fino a quando i miei occhi non si erano incollati a quelli del baribal(*) più grosso che avessi mai visto nella mia intera esistenza. Fortuna. Forse la fortuna non c’entrava niente, forse era semplicemente così che doveva andare. Forse non ero particolarmente bravo con il fucile o con le carte, forse era solo scritto che andasse tutto in questo modo.
Che idiota! Un idiota arrogante, ecco cos’ero! Invece di preoccuparmi di mettere su famiglia, di costruirmi una casa, di dare stabilità alle persone che amavo, mi gingillavo come un ragazzino con le battute di caccia, inorgogliendomi quando riuscivo a portare a casa il bottino migliore.
Non era certo la mia simpatia innata, quella che mi faceva essere sempre benvoluto dai miei amici, o la mia fierezza, che attirava le ragazze, che mi sarebbero state utili in quel ultimo scontro. L’orso non si era chiesto se ero capace di dire una battuta o se ero il miglior cacciatore della città, la bestia si era difesa e facendolo mi aveva ferito a morte.
Probabilmente era spaventato e magari difendeva il suo territorio, il suo branco, la sua famiglia, fatto sta che mi aveva ucciso. O per lo meno ci aveva provato ed entro poco il suo intento sarebbe riuscito.
Avevo percepito nettamente la carne del mio petto che si lacerava, il sangue che mi imbrattava i vestiti, le forze che mi abbandonavano, il dolore che mi assaliva. Avevo provato a strisciare via dalla furia dell’orso, ma quello aveva infierito sulla mia carne martoriata finché non avevo sentito neanche più il dolore.
Poi silenzio. Niente più ruggiti, niente più terra sotto di me, niente più rumori della foresta con i suoi uccelli o i suoi insetti a fare da sottofondo sonoro.
Avevo sentito il mio corpo fluttuare, ero senza peso e senza forze.
Non avevo mai creduto alle storie che raccontavano in chiesa, alla vita dopo la morte, al Signore che ci guardava e ci guidava in tutto quello che facevamo. Avevo dato filo da torcere al pastore. Con me aveva dovuto vita dura! Credo che alla fine ci avesse semplicemente rinunciato. Ma ora avrei voluto averlo vicino per farmi spiegare cosa stava succedendo, cosa mi sarei dovuto aspettare. Avrei dovuto pentirmi dei miei peccati prima di essere messo di fronte al Supremo Giudice? Non lo sapevo. Tutto quello che capivo in quel momento era che la fine era vicina: la vita mi stava abbandonando.
«Resisti.»
Resistere, dovevo resistere? Ma chi me lo imponeva?
Con un ultimo sprazzo di tenacia riuscii ad aprire gli occhi. La vista era offuscata, gli occhi velati di lacrime e dolore. Li strizzai appena, cercando di migliorare la visuale. Tutto quello che riuscii a vedere furono lunghi capelli biondo miele che venivano agitati dal vento. Chiusi di nuovo le palpebre nel folle tentativo di riuscire a focalizzare meglio l’attenzione su quello che stava accadendo.
Respira Emm pensai in un barlume di lucidità. Pessima idea. Una fitta lancinante mi trafisse il petto facendomi inarcare.
«So che fa male, ma devi resistere. Ti prego!» La sua voce mi riportò indietro. Stavo affogando nel male, ma quelle parole così addolorate, dette in maniera così incalzante, mi aiutarono ad uscire da quel terribile spasmo.
Riaprii gli occhi, un solo desiderio animava i miei ultimi momenti, vedere a chi apparteneva quella voce celestiale. Era il suono più dolce che avessi mai ascoltato, la musica più bella mai scritta.
«Guardami, ragazzo. Tieni gli occhi su di me e non ti lasciare andare.» Oh, avrei fatto qualunque cosa per non smettere più di guardarla. Era la ragazza più bella che avessi mai visto. I suoi occhi, di uno strano colore ambrato, mi fissavano intensamente. Avevo come l’impressione che mi stesse trattenendo per l’anima. C’era preoccupazione in quelle iridi dorate, dolore, ansia, ma anche uno scintillio di pace.
«Non mi lasciare, tieni gli occhi su di me. Capito? Spero solo di arrivare in tempo.» Dove mi stava portando? Sicuramente in paradiso. Si, perché lei era senza ombra di dubbio un angelo. Una creatura celeste che mi stava conducendo in cielo, verso una vita eterna.
«CARLISLE!!» urlò di punto in bianco. Le sue parole, cariche di agitazione. Che fossero arrivati i miei ultimi istanti? Forse non era riuscita a farmi passare i cancelli del Regno dei Cieli.
Stranamente l’unica cosa che mi deludeva era il non riuscire a tenere ancora gli occhi aperti per godere della sua bellezza, dell’amore che sentivo circondarla come una coperta calda, sotto la quale ero stato per pochi attimi mentre mi fissava.
Avrei voluto dirle Hai fatto quello che potevi, ora guardami per un’ultima volta. Voglio morire così, tra le tue braccia. Nelle braccia di un angelo, ma non sarei mai riuscito a parlare, quando a fatica respiravo.
«Salvalo!» la voce del mio angelo era rotta dai singhiozzi. No, angelo mio, non piangere. Vedrai che andrà tutto per il meglio.
«Io… Rosalie, sei sicura? Capisci cosa mi stai chiedendo? Proprio tu che non hai ancora accettato il tuo destino mi chiedi di fargli la stessa cosa?» Di chi era quella voce? Melodiosa e profonda. Un Dio. Mi mise immediatamente una gran pace nel cuore. Il mio cuore, proprio lui che si stava rifiutando di martellare ancora. Sentivo che ogni tanto mancava un battito, che le forze ormai mi stavano abbandonando definitivamente.
Raccolsi l’ultimo sprazzo di vitalità che scorreva nelle mie vene e aprii di nuovo gli occhi alla ricerca dei pozzi d’oro del mio angelo, Rosalie.
Appena vidi la luce lei gettò il suo sguardo nel mio, irretendomi. «Ti prego, Carlisle. È tutto ciò che desidero.»
Un ultimo attimo, Signore. Lasciamela guardare ancora per un momento, lo so che ti sto chiedendo molto,  ma lasciami morire contento.
Le forze mi abbandonarono e il buio mi prese, ma non prima di sentir pronunciare un flebile «Concesso».
E allora il dolore tornò, potente e persistente. Non mi abbandonò per tanto, troppo tempo. Pensavo di impazzire, pregavo l’Onnipotente di prendermi con sé, di non farmi soffrire più così. Quando capii che nessuna preghiera mi avrebbe dispensato da quella pena, cercai di concentrarmi sull’unica cosa che sentivo importante per me: l’angelo. I suoi occhi, la sua voce. Rosalie.
Minuti, ore, forse giorni, settimane o mesi. Rosalie.
Niente aveva più senso per me: né il dolore che si accentuava ogni minuto di più, né il tempo che sembrava dilatarsi in un’entità indefinibile. Solo Rosalie.
Le fiamme che mi avvolgevano avevano bruciato ogni parte di me, concentrandosi nel torace, dentro il mio cuore che, agguerrito, continuava a battere imperterrito. E io che speravo solo smettesse di combattere, che mi donasse la pace ed il riposo eterno.
Rosalie. Tu-tum, piano.
Rosalie. Tu-tum, più piano.
Poi più niente.
«Rosalie».
 
 
Note:
Baribal(*) è l’altro nome nell’orso nero americano, il vero responsabile (secondo la guida) del ferimento mortale di Emmett.
Angolo dell’autrice:
La storia di Emmett e Rosalie non ci viene svelata nei libri della saga, c’è n’è solo un accenno in Eclipse, quando Rose parla con Bella della sua vita umana e dei suoi primi anni da vampira. Perciò, per essere più in contest possibile, mi sono rifatta a “La guida ufficiale illustrata”, senza la quale sarei, probabilmente, andata fuori dal personaggio.
Il fatto che Emmett pensi che Carlisle sia Dio l’ho trovato proprio nella guida, così come il luogo da dove proviene la famiglia del bel monkey man e le sue abilità al tavolo di gioco e con le donne.
Questa storia è stata scritta per il contest “Hi! Nice to meet you!” e si è classificata terza a pari merito con il lavoro di PerryPotter. Nel commento al piazzamento la somma giudicia *Pinzy fa la reverenza con umilità* mi ha fatto notare che sono stata leggermente penalizzata perché ho trattato un incontro di cui si legge molto sul sito. Come ho già detto alla somma *questa volta Pinzy si inginocchia per essersi arrischiata a nominarla per ben due volte* io non ho mai letto niente al riguardo in quanto non sono stata interessata fin’ora a questo tipo di pairing. Questo per riassumere e non farvi leggere tutti i post sul contest. Vorrei citare anche Kagome e il suo bellissimo articolo “Il mondo è bello perché è vario, e la fantasia è bella perché è varia. Se io devo aver PAURA a scrivere una fanfic solo perché non so se la mia idea è mai stata utilizzata da qualcun altro, o devo cestinare il MIO lavoro perché scopro, DOPO averlo scritto, che qualcuno prima di me ha avuto un'idea simile… se io devo aver remore a pubblicare una storia, e sentirmi chiamare "persona priva di creatività" se rimango affascinata da una tematica e decido di utilizzarla per scrivere qualcosa di MIO… allora si sta solo organizzando una caccia alle streghe.” Con questo non voglio assolutamente dire che sono stata accusata di qualcosa, voglio solo precisare che se avessi “preso spunto” (e badate bene non ho detto “copiato”) da un’altra storia avrei assolutamente prima contattato l’autore della storia per chiedere se il mio lavoro era troppo simile al suo e poi, con il suo bene placido, avrei almeno lasciato un ringraziamento nell’introduzione della mia storia. Concludo questo papiro perché tra plagio e ispirazione la distanza è breve e ogni autore dovrebbe stare molto attento, ma dice già tutto Kagome nel suo articolo che consiglio caldamente.

   
 
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