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Autore: LoveShanimal    02/02/2012    1 recensioni
È sicuramente colpa di Jared.
Con i suoi poteri da Divah ferita, mi avrà lanciato una specie di maledizione e avrà fatto venire il diluvio universale pur di farmela pagare.
Ha sempre desiderato essere il giudice ad un concorso, ma non gli si è mai presentata l’occasione.
Occasione che, invece, si è presentata a me un lunedì mattina, in una cassetta delle lettere, in una busta bianca e scritta con una grafia elegante.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Shannon Leto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono di nuovo qua, purtroppo per voi! 
Questa one-shot ce l'ho in mente da quando sono diventata Echelon, prima ancora della mia prima FF. 
Però mancava sempre qualcosa, non so cosa di preciso, quel qualcosa che non mi faceva neppure sedere e provare a buttare giù qualcosa con calma.
Bene, questo qualcosa è arrivato alle otto di un martedì sera, mentre tornavo a casa sotto la pioggia con Closer to the edge a tutto volume nelle orecchie, senza neppure che io lo volessi.
Ed eccola qui, pronta!
Spero che vi piaccia! Buona lettura!

 

Grazie a Jared, che con questa sua citazione, questa sua semplice frase, mi da sempre la forza di continuare ad inseguire i miei sogni.

No matter what you do, you should follow your dreams.

 
“Stupida pioggia!” impreco, scendendo dalla macchina e finendo in una pozzanghera, ritrovandomi con le scarpe nuove completamente rovinate, e il pantalone bagnato fino alla coscia.
“Un parcheggio al coperto no, eh?!”  inizio a parlare nella totale solitudine, circondato solo da automobili e da pozzanghere.
Acqua, acqua, acqua.
È sicuramente colpa di Jared.
Con i suoi poteri da Divah ferita, mi avrà lanciato una specie di maledizione e avrà fatto venire il diluvio universale pur di farmela pagare.
Ha sempre desiderato essere il giudice ad un concorso, ma non gli si è mai presentata l’occasione.
Occasione che, invece, si è presentata a me un lunedì mattina, in una cassetta delle lettere, in una busta bianca e scritta con una grafia elegante.
Non appena mio fratello ha sentito nella stessa frase le parole ‘io’ ‘giudice’ ‘competizione’, ha seriamente dato di matto. Come se io non me lo meritassi!
Al contrario, Tomo ne è stato felicissimo e mi ha costretto ad accettare, poiché opportunità del genere non si hanno tutti i giorni nella vita.
Questa frase, accompagnata da un “purtroppo..”  bofonchiato da Jared, mi ha convinto.
Mi sono vestito anche più elegante del solito, con una bella giacca nera e senza scarpe multicolor, per poi bagnarmi perfino le mutande solo perché questo stupido edificio non ha uno stupido parcheggio al coperto!
Impreco ancora una volta, e cerco nelle tasche il mio telefono.
Tasca destra, nulla. Tasca sinistra, nemmeno.
Sbuffo e mi giro verso il mio Suv, cerco le chiavi per riaprirlo ma mi cadono di mano.
Impreco più forte, dico parole cariche di acidità una dopo l’altra, sempre più veloce, e forse ho anche bestemmiato.
Raccolgo le chiavi, andando a sbattere con l’ombrello vicino all’automobile. Mi sbilancio all’indietro, ma prima di finire seduto per terra mi aggrappo allo specchietto e non cado.
Un signore rallenta vedendomi vicino all’auto, pensando probabilmente che sto per andare via, e mi guarda a bocca aperta e occhi sbarrati dopo aver visto in quale situazione sto.
Lo guardo storto, mi alzo, uso le chiavi e mi affaccio nell’abitacolo della macchina.
Il mio telefono è lì, sul sedile del conducente, facendo contrasto con la mascherina celeste sul rivestimento nero.
“Tu! Come ci sei finito lì, stupido blackberry? Sei in combutta con Jared, eh?”
Ovviamente, il cellulare non mi risponde e io semplicemente lo afferro e a passi veloci mi dirigo verso l’edificio.
“E facciamo questa cosa..” dico, mentre cammino e vengo guardato da una ragazza come se fossi pazzo.
Forse ha ragione, non è normale parlare da soli.
Arrivo finalmente alla porta, e un uomo mi blocca la strada.
“Lei chi è, mi scusi?” dice, con uno sguardo ostile, lanciando diverse occhiate ai miei piedi. Abbasso lo sguardo, e noto che sul pavimento bianco ci sono enormi impronte, in linea dritta, che arrivano fino a me. Ci metto qualche secondo prima di capire che le orme le ho lasciate io.
“S.. Sono Shannon Leto. Devo fare il giudice per la competizione.” Borbotto.
“Ah, davvero?” mi guarda con un’espressione strana, e inarca il sopracciglio.
“Che c’è? Non mi crede?” sono troppo nervoso, troppo bagnato, troppo.. mmh.. sfortunato, per dover anche mettermi a dimostrare che sono me stesso.
“Signor Leto!” un uomo panciuto mi si avvicina correndo – o almeno provandoci – con una cartella in mano.
“Matt! Cosa stai facendo?! Fai accomodare immediatamente questo signore, deve riscaldarsi e anche asciugarsi! Come ti permetti di mettere in discussione la sua identità? Sappi che ti licenzierei  sul momento, se non fosse che oggi sono così impegnato da non poter nemmeno respirare!” le guance hanno cambiato colore, sono diventate completamente rosse.
“E lei, signor Leto!..”
“Shannon. Possiamo darci benissimo del tu, no?” Lo correggo io.
“Shannon, certo.. non sai quanto mi rincresce questa situazione! Matt è nuovo, non sa che lei .. cioè, tu, sei l’ospite d’onore di questa serata!” pronunciando le ultime parole, si è girato verso il ragazzo che mi sembra essere sbiancato, e gli ha rivolto un’occhiataccia.
“Non si preoccupi, signor..?” mi fermo e aspetto che completi lui la frase, non ho la minima idea su come si chiami.
“Green, George Green. Ma puoi chiamarmi George, Shannon!” cerca di sorridermi, e pian piano torna ad avere un colorito normale. Non si può dire lo stesso del suo povero impiegato.
“George, non ti preoccupare. Questo ragazzo infondo stava facendo solo il suo lavoro, no? Potevo essere benissimo un impostore, e mi fa piacere che lui non si sia lasciato abbindolare solo dal mio nome”. Cerco di essere gentile, sebbene me la sia un po’ presa.
Almeno la mia faccia poteva conoscerla!
“La tua gentilezza è davvero da ammirare! Sono sempre più convinto di aver fatto bene a sceglierti come giudice! Alla fine di questa serata, mi concederai l’onore di assistere ad una tua esibizione?” gli occhi hanno iniziato a brillargli.
“Per me è un onore esibirmi di fronte a te in questa occasione.” Cerco di sorridergli quanto più sinceramente è possibile. L’idea di esibirmi su una batteria che non è la mia Christine non mi piace così tanto..
“Allora vieni, ti porto al caldo e ti offro un caffè!”
I miei piedi congelati gioiscono a questa affermazione, e seguo George, finalmente di buon’umore.
Alla faccia tua, Jared!
 
 
 
Sbircio oltre la tenda. Ci sono dieci ragazzi in tutto, uno accanto all’altro, che aspettano allineati su un’immaginaria linea orizzontale che George finisca la sua presentazione.
La stanza è un rettangolo, molto lungo, diviso idealmente in due parti: il palco, una piattaforma rialzata con al centro una batteria di un modello uscito da poco – ripenso alla mia Christine, e sbuffo – e poco più avanti c’è il microfono a cui George è inchiodato mentre parla al pubblico.
Il pubblico rappresenta, appunto, l’altra parte. Ci sono tantissime file di sedie, alcune delle più vicine al palco hanno un foglio enorme con scritto sopra ‘riservato’, quelle in fondo vanno man mano rialzandosi, così da permettere a tutti una buona visuale.
Ci sono diverse uscite – due dal palco, due che portavano ai camerini, e altre due che portavano all’atrio principale dove sono entrato, la seconda occupata da me.
Intanto anche le ultime persone – possibilmente persone importanti, dato il posto a loro assegnato – si siedono, e George li presenta.
Io sarei dovuto stare seduto tra le prime file, ma avevo pregato George di vedere lo spettacolo da dietro le quinte, e di comparire solo alla fine, così che né i ragazzi fossero messi in soggezione nella mia presenza, né che io potessi distrarmi con le chiacchiere di qualcuno intorno a me.
Guardo i ragazzi.
Sono tutti molto pieni di sé, guardano gli altri con sguardo fiero, e sono tutti molto robusti e alti.
Tutti tranne uno.
Ha il cappuccio abbassato in modo da coprirsi la faccia, una felpa decisamente più grande di lui, un corpo magrolino e lo sguardo basso.
Cerco di scrutarlo meglio, ma un applauso parte dalla platea e distolgo la mia attenzione, per portarla sul primo ragazzo che deve esibirsi.
Guardo la cartellina che mi ha dato un assistente con il nome di tutti i concorrenti, la loro età, e la canzone che suoneranno.
Guardo la prima: Red hot chili peppers. Mmh, non male come scelta.
L’esibizione però è pessima: il ragazzo sbaglia l’attacco, non prende qualche accordo, e punta tutto sulla potenza, abbondando e rovinando tutta l’armonia della canzone.
Se lui è il migliore dei dieci, non oso pensare gli altri.
Dopo di lui altri sette si esibiscono: My chemical romance, ACDC, Avenged Sevenfold, Blink 182, System of down, addirittura i Queen e i Beatles.
Nessuno si esibisce perfettamente, ma vanno tutti meglio del primo. Il quinto mi è piaciuto particolarmente, come si chiama? Ah, Juan Grandol.
Devo ricordarmene.
Sfoglio ancora una volta la lista, leggo, e la prossima canzone è ‘Numb’ dei Linkin Park.
Bene, voglio proprio vedere come la suonerà!
Alzo lo sguardo, e il ragazzo magrolino si siede alla batteria. Sono decisamente curioso.
Parte la base, e la testa – anzi, il cappuccio dovrei dire – inizia a salire su e giù a ritmo di musica.
Prime due battute sui piatti. Perfettamente a tempo. Ne sono piacevolmente colpito.
Il suo piede destro batte a tempo sul pavimento, il ragazzo sembra ormai diventato una cosa sola con lo strumento.
Affascinato, continuo a guardarlo.
La tecnica è impeccabile, il senso del ritmo è ottimo, la potenza non è il suo punto di forza ma non posso dire che gli manca.
Inizio a sorridere senza neanche accorgermene, e per la prima volta in tutta la serata sono emozionato.
Guardo anche il pubblico: sono tutti estasiati, e anche le persone che non sembravano essere esperte, apprezzavano.
Sorrido ancora di più, intanto che l’esibizione finisce e il ragazzo scappa dietro le quinte, senza neanche dire qualche parola come tutti gli altri avevano già fatto.
 
 
C’è un vociare confuso nella stanza. Tutti hanno preso appunti sulle esibizioni, e stanno esprimendo le proprie opinioni. Io, zitto, li ascolto. Non ho bisogno di annotarmi nulla, ho una buona memoria.
“Il primo escludiamolo a prescindere, anche un ignorante è riuscito a sentire quanto la sua esibizione è stata scarsa! Mi chiedo come sia arrivato fin qui..!”
Concordo, decisamente.
“Il terzo non è stato male, vero?” il tipo alla mia destra alza la voce, per farsi sentire meglio.
“Ma ha avuto la sfacciataggine di suonare i Queen, e ha fatto tutti quegli errori che Freddie Mercury si rivolterebbe nella tomba a sentirli!” sbotta un uomo che fino ad adesso era stato in silenzio come me.
“Posso dire la mia?” a sentire il suono della mia voce, tutti si zittiscono.
“Ma certo, Shannon, certo! Anzi, è il tuo parere che è fondamentale! – fece lo spelling della parola fondamentale, per enfatizzare il tutto – sei tu a decidere, noi stiamo solo discutendo ma alla fine sono inutili le nostre discussioni, sei tu e solo tu a decidere!” mi sorride, per la cinquantesima volta della giornata. Mi tratta come se fossi.. qualcuno che gli possa staccare la testa da un momento all’altro, con rispetto e con anche un po’ di timore di fare brutta figura. Eppure sono solo un semplice batterista.
“Io.. beh..” mi sento improvvisamente a disagio, con tutte quelle persone che mi guardano. Più che scegliere il vincitore di un premio, sembriamo la giuria che deve scegliere se l’imputato è colpevole o innocente. La stanza è come la fanno vedere solitamente nei film: un lungo tavolo di legno scuro al centro della stanza, tutto intorno tavolini con cassetti e scartoffie, e addirittura una macchinetta del caffè.
“Secondo me c’è un vincitore, ed è palesemente più bravo di tutti.” Dico, agitando la mano.
Mi guardano interrogativi.
“Su, dicci chi è allora!”
“Il numero otto.”
Mi stanno improvvisamente guardando storto.. oh-oh.
“Il numero otto? Quello magrolino? Si, la sua esibizione è stata ottima, ma addirittura dargli il premio?” incalza l’uomo vicino George, che invece mi guarda con una strana espressione soddisfatta.
Si alza, tenendo le mani poggiate a palmi aperti sulla superficie liscia, e sorridendo.
“Shannon, sapevo di aver fatto un’ottima scelta con te. Anche io darei il premio a lui, in tutta sincerità. E siccome tu sei il giudice.. sei sicuro? Completamente?” sembra non aspettare davvero la risposta, ma voler semplicemente zittire tutti gli altri.
“Non dico mai qualcosa senza esserne sicuro. Lui è il vincitore, non cambio idea.” Batto le dita sul tavolo.
“Allora.. la decisione è presa. Andiamo a dirlo ai ragazzi?” tutti ci alziamo, e gli altri giudici sembrano incerti. George, però, mi arriva vicino e mi mette una mano sulla spalla.
Gli sorrido.                                                                                                             
 
 
“Siamo lieti di presentarvi il giudice della serata, che ha scelto e annuncerà il vincitore. Un applauso a.. Shannon Leto, batterista dei Thirty seconds to Mars!” un applauso parte dalla folla, qualcuno più energico di persone che conoscono il mio nome e ne sono contenti, e altri molto più indecisi, di persone che sentendo il mio nome, non l’hanno collegato a nulla.
Faccio il mio piccolo discorso di presentazione, che un segretario ha accuratamente scritto per me e che mi ha passato per farmelo imparare prima di salire sul palco.
“..E adesso, sono onorato di annunciarvi il vincitore.” Apro la busta, come da copione, ma inutilmente, dato che sono stato proprio io a scrivere il nome sul foglietto bianco.
“Vic Callaway, il numero otto, che si è esibito con la canzone Numb, dei Linkin Park!” faccio partire l’applauso, e noto una certa contentezza nel pubblico.
Il ragazzo non ha fatto colpo solo su di me.
Mi giro, e lo vedo guardarsi intorno, incredulo.
Finalmente riesco a guardare la faccia, o almeno a intravederla: ha un naso piccolo e all’insù, occhi grandi, le labbra sono sottili. È rimasto a bocca aperta, e non avanza di un passo.
Gli faccio segno di avvicinarsi, e, incerto, fa un passo verso di me.
Ha qualcosa di strano. La sua faccia non mi convince.
Un altro passo ancora. E tremando si avvicina.
Sotto il cappuccio vedo scintillare qualcosa. Starà per caso.. piangendo?
Quando è finalmente ad un passo da me, gli allungo il premio: due bacchette di argento incrociate, che escono da una grancassa.
Lui lo prende titubante, forse ancora non crede di aver vinto.
“Togliamo questo cappuccio, che dici?” senza aspettare la sua risposta, e ridendo, lo faccio io al posto suo.
Errore, Shannon. Errore madornale.
Una chioma di lunghi capelli castani si libera e scende leggera sulle sue spalle.
Sgrano gli occhi, e nella sala scende un silenzio innaturale.
Il numero otto non era un ragazzo, era una ragazza.
Il tempo sembra fermarsi, tutto diventa di una strana consistenza, come se non stessi più vivendo la realtà, ma stessi guardando la scena da uno schermo.
Poi, l’apocalisse.
Gli altri nove partecipanti si scagliano contro di lei, lamentandosi ed insultandola. Lei ancora non si rende conto di quello che è successo, e li guarda spaesata. Le afferro il braccio, e la faccio mettere dietro di me, difendendola.
George è subito corso sul palco, e mi ha affiancato. Stiamo cercando di calmare tutta quella confusione, ma senza buoni risultati. Sto decisamente perdendo la pazienza.
Un urlo che zittisce tutti.
Mi giro, e un altro uomo che ho visto prima nella commissione, sta strattonando la ragazza e cerca di tirarla dietro le quinte. Io li seguo, senza esitare.
“Mi lasci!” urla lei, opponendo resistenza.
Lui la ignora.
“La lasci immediatamente.” Gli dico io, con tono gelido e minaccioso.
Lui finalmente si gira, mi guarda, e allenta la presa sul braccio di lei.
Le faccio segno di venire vicino a me, e non esita a farlo.
Ci raggiungono anche tutti gli altri della commissione, George, che cerca di bloccare la strada a tutti, e i ragazzi, portando il caos anche in quel corridoio.
“È ingiusto!”
“Deve essere annullato tutto!”
“Non ci credo, è una truffa!”
Esasperato, George indietreggia verso di noi, cercando di calmarli.
Uno di loro, però, quello che si è esibito per primo, guarda la ragazza storto e urla: “Voglio che sia fatta giustizia!”
La sua voce sovrasta le altre, che improvvisamente si spengono.
“Tu? TU?” dico, sarcastico.
“Si, io, problemi?”
“TU vuoi giustizia? Ma per favore! Sei così mediocre che mi sono messo le mani nei capelli sentendo la tua esibizione. E tu vorresti giustizia? Sparisci, è un consiglio, così finalmente i miei occhi e le mie orecchie avranno giustizia non dovendoti più vedere né sentire! – mi fermo per un attimo, poi riprendo, guardando gli altri – voi, andate via insieme a lui. Le vostre esibizioni non sono state sufficientemente buone per meritarvi il premio. Migliorate, e poi potrete venire a lamentarvi. Arrivederci!”
Finalmente fanno dietro-front e ci lasciano in pace.
“Fare giustizia, pff..” borbotto.
L’uomo che mi ha preceduto spalanca la porta, e sbatte le mani sul palco.
“È inaudito, i-n-a-u-d-i-t-o!” La sua faccia cambia colore. Mi verrebbe da ridere, ma mi trattengo.
Nessuno nella stanza lo appoggia, e quindi ricomincia a parlare.
“Dobbiamo annullare tutto. Rifare le selezioni, e una nuova finale. – inizia a camminare avanti e indietro, facendomi girare la testa – è inaud..”
Prima che possa ripetere ancora una volta quella parola, la ragazza sbuffa e urla: “Non c’è nessuna regola che vieti la partecipazione di una donna!”
“Zitta, tu! Zitta! Hai combinato un guaio, hai rovinato tutto! Zitta!”
Un altro cambio di colore, adesso è paonazzo.
Io sono irritato.
“Non si azzardi a trattarla in questo modo e a dire queste cose, signor Salzman.” George mi precede, con sguardo duro.
“Io? Io non mi devo azzardare a fare cosa? Lei non doveva azzardarsi a pensare di partecipare a questa gara!” sbotta.
Ma quello che dice un senso ce l’ha?
“Ma mi faccia il piacere! – non lo sopporto più, sul serio! – la smetta. Non si azzardi a parlare così a questa ragazza!”
Invece che ascoltarmi, si avvicina e le strappa il premio da mano.
“Questo non te lo meriti, sei solo un’imbrogliona!” lo poggia sul tavolo, e porta le dita a massaggiare le tempie.
Sembra stia facendo un monologo. Ma non ci sarà un applauso alla fine della sua ‘esibizione’.
“Dobbiamo ricominciare tutto, solo io vedo la gravità della cosa? Il nome di quest’associazione rovinato così..” scuote la testa. Solo a me da sui nervi?
La ragazza assume un’espressione schifata.
“Ma se lo tenga il suo premio e non dico dove deve metterlo! – alza la voce, stufa. Il signor Salzman sgrana gli occhi, e sbianca. Io rido. – quel premio è mio. Che lei lo voglia o no. Me lo sono meritata, ho superato centinaia di selezioni e sono arrivata alla finale. Adesso non me lo potrà portare via neanche uno spocchioso, stupido, arrogante, altezzoso, borioso, megalomane maschilista! Quel premio è mio, anche se non lo porto a casa. È mio, perché me lo sono m-e-r-i-t-a-t-o.”
Senza salutare, gira i tacchi e scappa via.
Nella stanza c’è un silenzio assurdo, imbarazzato da entrambi le parti: imbarazzato da parte del Signor Salzman, che era appena stato – giustamente – umiliato, e imbarazzato da noi, che cercavamo di trattenere le risate e di fare una standing-ovation alla ragazza.
“La ragazza ha ragione. Il premio è suo.”
Prima ancora che George possa finire la frase, ho afferrato il premio e sono corso via.
 
 
Il temporale è peggiorato, la pioggia scende abbondantemente e ci penso due volte prima di uscire fuori senza l’ombrello.
Ma la ragazza sta andando via, e non posso perdere tempo.
“Ei tu!” urlo, cercando di raggiungerla.
Lei si gira, e quando si accorge che sono io ad inseguirla, si sfrega gli occhi con le maniche della felpa.
“Niente ombrello?” le dico, cercando di sciogliere la tensione.
“Quel premio è m-mio. M-me lo sono meritata. M-mi sono impegnata tantissimo per v-vincerlo.” Mi ignora volutamente, e inizia a singhiozzare senza controllo.
“Lo so. Ecco perché sono venuto a portartelo!” le sorrido.
“D-davvero?” tira su con il naso.
“Si.” Ci stiamo bagnando, ma a nessuno dei due sembra importare. "Vic.. giusto?" 
"Si. In realtà mi chiamo Victoria, ma tutti mi chiamano Vic." mi dice, leggermente imbarazzata.
"Come hai fatto a passare le selezioni senza farti scoprire?" 
"Un mio amico lavora nella segreteria, e si occupa di controllare i documenti dei concorrenti. Gli altri vedono solo le esibizioni, non si interessano di queste cose.."
"Bene.. ah, questo è tuo!" gli porgo il premio. Lei lo afferra felice.
“Grazie Shannon, grazie!” mi dice, cercando di sorridere. Sbatte le palpebre più volte.
“Non ho fatto nulla. L’hai detto tu, te lo sei pienamente meritato. Hai suonato magnificamente, mi hai emozionato. Linkin Park, ottima scelta. Chester è simpaticissimo, io e mio fratello andiamo molto d’accordo con lui!”
“Diciamo che è stata un po’ forzata la mia scelta. Cioè, non prenderla a male, a me loro e lui piacciono un sacco. Ma diciamo che sono.. mmh.. la mia seconda scelta. La prima non è stata possibile.” Ha  un sorriso triste.
“E perché mai?” sono curioso.
“La mia prima scelta non era in lista, e adesso capisco anche il perché..”
Gli occhi mi cadono sul suo collo, e noto un tatuaggio. Scosto la ciocca di capelli che non mi ha permesso di vederlo fin’ora, e una Triade è disegnata perfettamente nel punto esatto in cui ce l’ho anche io.
“Ah, ora capisco anche io.”
“Quindi dovresti capire anche perché ti ringrazio.”
“Dovrei?”
“Si. Tu, Jared, Tomo, mi avete insegnato a seguire i miei sogni. Se non fosse stato per voi, non sarei qui, adesso. Grazie, grazie ancora.” Ha ricominciato a piangere.
Non importa quello che fai, dovresti seguire i tuoi sogni. Si, mio fratello ci sa fare con le parole, vero?” non c’è una parte di me che non sia bagnata, ormai.
“Decisamente! Shannon..” si porta le mani alla bocca, come a concentrarsi per trovare le parole giuste.
“Si..?” la incoraggio io.
“Grazie. Non so se avrò altre occasioni per dirlo, quindi ti prego, dillo anche agli altri, se puoi. Voi.. – respira profondamente, prima di finire la frase – voi mi avete salvato la vita.”
Piange più forte. Io mi commuovo.
Le prendo la mano, e la trascino verso l’auto.
“Che ne dici di dirlo direttamente anche a loro? Sono sicuro che ne saranno felicissimi. E poi non posso lasciarti qui così, sotto la pioggia, di sera, da sola. Dai, accetta! Vieni a cena da noi!”
Sgrana gli occhi, emozionata.
“Davvero?”
“Certo!”
Si avvicina e mi si butta addosso, avvinghiandosi con le braccia attorno al mio torace.
“Grazie Shannon, grazie!” dice, singhiozzando, e stringendomi forte.


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