Fumetti/Cartoni americani > Looney Tunes
Ricorda la storia  |      
Autore: Mattie Leland    02/02/2012    6 recensioni
Osava spesso definirsi il più grande aderente alla Legge di Murphy.
Inizialmente non aveva effettivamente aderito; era stato quel che potrebbe essere definito un membro inconsapevole e senza libera scelta.
-
Conviveva con l’illusione di aver scelto tutto questo, ma in fondo sapeva benissimo che il fato agiva a discapito del volere altrui, e che gli aveva donato l’aderenza a questo club assieme ad una mente in grado di comprenderla appieno per puro caso.
Oh, certo, da una parte questa sua caratteristica gli aveva fornito notorietà sul posto di lavoro; difatti era riconosciuto come il collaudatore ufficiale di tutti i prodotti in fase di brevetto.
Ma… lui era un tecnico. Lui era un dannatissimo, preparatissimo, laureatissimo tecnico!
Non una nastro trasportatore sulla quale passare (indifferentemente) sveglie, oggetti di scena, microfoni, ferri da stiro, cellulari, calamite, fionde, fuochi d’artificio, e molte altre cose in attesa di verifica!

[ Wile x Road, Gijinka, NO Furry! ]
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
WILE ROAD

Dunque, prima di iniziare a leggere questa storia, è bene che sappiate che è possibile considerarla uno spin off delle mie FF sui Looney Tunes. Difatti, è previsto un seguito di My oasis in the desert (seguito a sua volta di Put the fucking R in a place of the fucking L) in cui potrebbero essere presenti i personaggi ed i riferimenti appartenenti a questa storia.
Questo era a titolo informativo.
Per una maggior comprensione della storia in sé, invece, è bene che sappiate cos'è la Legge di Murphy.
Si tratta di un insieme di detti popolari a carattere ironico. Il primo assioma è quello che riassume meglio la natura di tutti i detti: Se qualcosa può andare male, lo farà.
In fondo alla pagina troverete una serie di note, poiché ogni tanto cito tali detti mescolandoli alla trama.
A questo punto, voglio semplicemente dedicare questa FF a tutti coloro che supportano il fandom dei Looney Tunes, ed in particolare a Setsuka, che me lo ha fatto conoscere. Grazie per il supporto.
Buona lettura.

 

 

Accelleratii incredibus et Carnivorous vulgaris

 

 

Osava spesso definirsi il più grande aderente alla Legge di Murphy.
Inizialmente non aveva effettivamente aderito; era stato quel che potrebbe essere definito un membro inconsapevole e senza libera scelta.
Dalla tenera età di otto anni, in cui aveva iniziato a passare ogni mattina a raccogliere toast imburrati dal tappeto, faceva parte di quel club che dalla gente comune era chiamato in modo abbastanza grottesco.

Club degli sfigati.

Parole che Wile non avrebbe mai usato.
Lui preferiva definirsi, appunto, un concreto aderente e osservatore della Legge di Murphy.
Conviveva con l’illusione di aver scelto tutto questo, ma in fondo sapeva benissimo che il fato agiva a discapito del volere altrui, e che gli aveva donato l’aderenza a questo club assieme ad una mente in grado di comprenderla appieno per puro caso.
Oh, certo, da una parte questa sua caratteristica gli aveva fornito notorietà sul posto di lavoro; difatti era riconosciuto come il collaudatore ufficiale di tutti i prodotti in fase di brevetto.
Ma… lui era un tecnico. Lui era un dannatissimo, preparatissimo, laureatissimo tecnico!
Non una nastro trasportatore sulla quale passare (indifferentemente) sveglie, oggetti di scena, microfoni, ferri da stiro, cellulari, calamite, fionde, fuochi d’artificio, e molte altre cose, in attesa di verifica.
Ammetteva a se stesso che, visti i suoi precedenti, non sarebbe mai dovuto andare a lavorare ai Laboratori ACME.

 

*

Era stato praticamente lui a fare la fortuna di quel posto.
Anni addietro, si era dedicato con passione alla costruzione di macchine a moto perpetuo (che lo avevano da sempre affascinato) e aveva dunque fatto spesso ricorso ai cataloghi della ACME per trovare sempre nuovi oggetti. Il fatto era che nulla aveva mai funzionato.
Fionde che non rimanevano mai attaccate alla loro base, sveglie che iniziavano a saltellare e a sputare molle ovunque, palle da bowling che, invece di scivolare dolcemente sul pavimento, tornavano indietro per schiacciargli il piede e gli immancabili petardi a effetto a volte precoce, a volte ritardato, che gli avevano affumicato i capelli più di una volta.
Pur essendo consapevole del proprio “magnetismo murphologico”, aveva ritenuto impossibile che la colpa di tutti quegli incidenti gli si potesse attribuire per intero. Aveva avuto la certezza che i prodotti ACME fossero per la maggior parte pericolosi e difettosi, e aveva immediatamente provveduto inviando cortesi lettere di protesta. Si era stupito di quanto fosse stato difficile reperire il loro indirizzo. Aveva pensato che ricevere lettere non doveva essere una consuetudine per quell’azienda; a maggior ragione, quindi, si era convinto che avrebbe ricevuto prontamente una risposta.
Quando, però, tali lettere erano state ignorate, Wile aveva perso la pazienza.
Si era armato di cartelli con scritte in sfavore dei laboratori (nulla di troppo volgare, voleva essere preso sul serio) e si era appostato sotto le loro finestre, presentandosi anche con qualche fasciatura dovuta alle bruciature.
Durante la sua permanenza lì, aveva visto alcune persone lanciargli occhiate curiose e poi entrare nei Laboratori. Immancabilmente, alcuni dipendenti si erano anche affacciati alle finestre per guardarlo. Wile, però, non si era sentito esattamente trattato come un dimostrante.
Nessuno si era lamentato della sua presenza lì, dei suoi occasionali e brevi discorsi al megafono (che mandava scintille; era ACME) o degli insulti scritti suoi cartelli.
Si era sentito osservato, studiato, come un ospite inatteso; e proprio quando stava per rinnovare il proprio disappunto, dal portone principale era uscito un ometto basso e totalmente calvo, con un gran sorriso stampato in volto.
Wile aveva alzato un sopracciglio ed era rimasto imbambolato, vedendo quell’ometto dirigersi verso di lui con le braccia spalancate. Elmer J. Fudd, aveva letto sulla targhetta applicata alla giacca in velluto nero dell’uomo, quando questi gli aveva messo entrambe le mani sulla spalle.

«Caro ragazzo, grazie!» aveva esclamato gioioso, facendo sfoggio di una pronunciata R moscia.

«Eh?» Solitamente le risposte di Wile erano segno di loquacità, ma in quel caso… era rimasto letteralmente pietrificato.

Con nonchalance, Elmer (che era, incredibilmente, il proprietario della ACME) aveva spiegato a Wile che mai nessuno era entrato nei loro laboratori per chiedere informazioni o per guardare la merce. Una sola persona ordinava sempre tramite catalogo ma, fino a quel momento, nessuno aveva la più pallida idea di chi fosse.
Alla fine dei conti, Wile gli aveva fatto pubblicità. Poca, certo, ma pur sempre pubblicità.

«Il nome di un’azienda rimane impresso nella mente delle persone per due motivi» aveva detto Elmer « perché è incredibilmente di successo, o perché è stata attaccata.»

E quel povero genio incompreso di Wile E. Coyote, non aveva saputo cosa dire. Si era sentito preso in giro, ma Fudd non stava affatto scherzando. Difatti gli aveva offerto del denaro per venire a protestare anche nei giorni successivi, magari portando con sé qualche amico.
E così era iniziato il breve periodo da “dimostrante assunto” di Wile, alla quale aveva partecipato occasionalmente anche quello che poteva definire il suo unico amico. Bugs Bunny; e la faccia da schiaffi di quell’attore così amato dal pubblico che sostava di fronte alla ACME aveva prodotto una mole di pubblicità che persino la Ford avrebbe invidiato.
Non ci era voluto molto prima che Elmer venisse a sapere della preparazione tecnica di Wile e gli offrisse un posto fisso. In fondo glielo doveva, o almeno così aveva detto.
A Wile non importava granché di questo particolare. Era stato felice di essere stato assunto in un posto che avrebbe messo alla prova le sue capacità intellettive, e che sicuramente gli avrebbe fatto guadagnare una posizione di rispetto ( che meritava, essendo un genio).
Non avrebbe mai pensato che sarebbe diventato una sorta di manichino da crash test, e che avrebbe rinvenuto sulla propria scrivania dei biglietti da visita con recante la scritta:

Wile E. Coyote, super scemo.

*

 Nei momenti di pausa in ufficio, Wile era solito dedicarsi ai propri progetti personali. Anche dopo gli incidenti con i prodotti ACME, non aveva perso la sua passione per il moto perpetuo, e nemmeno quella per le trappole. Era solito catturare volatili.
Non era un cacciatore, un sadico o cose simili. Difatti il suo intento era semplicemente quello di catturarli per poi liberarli.
I suoi avi. Loro sì che erano cacciatori veri e propri, ma lui si definiva di una razza decisamente più evoluta. Anche perché la caccia (sia come sport che come stile di vita) non faceva davvero per lui.
Ricordava con dispiacere i giorni in cui a soli undici anni era stato spinto, da un’insana voglia di dimostrare la propria abilità ai parenti, ad inoltrarsi nella natura per poter sparare anche ad un solo, unico, pennuto.
E lo aveva trovato.
Un Geococcyx californianus.
Un esemplare piuttosto giovane, dal petto grigio chiaro e vaporoso, ed il becco bluastro abbastanza corto.
Si erano guardati per un attimo negli occhi, e poi il volatile era corso via, senza nemmeno dare a Wile la possibilità di imbracciare goffamente il fucile.
Qualcosa era scattato nella sua testa, qualcosa che gli aveva impedito di prendere di mira qualunque altro esemplare. Per giorni era tornato su quel suolo roccioso, cercando quel roadrunner, ed ogni volta che lo trovava doveva corrergli dietro perché per lui sarebbe stato impossibile sparargli da una lunga distanza.
Pareva quasi che quel pennuto aspettasse solo lui, che lo prendesse in giro. Per circa un mese, prendere il volatile era stato l’unico scopo della vita di Wile.
Si era procurato graffi, aveva strisciato nella polvere, si era fatto persino un occhio nero per riuscire a prenderlo. E ce l’aveva fatta.
Aveva sparato al roadrunner quando questi stava tranquillamente beccando del mangime, messo lì proprio da Wile. Dopo lo sparo era stato catapultato nella polvere e qualche piuma si era separata dal vaporoso petto grigiastro.
Wile si era diretto verso la vittima pieno d’entusiasmo, stringendo il fucile tra le mani tremanti. Ma poi, vedendolo, si era come svuotato. Il becco bluastro era rimasto semi aperto, gli occhietti neri si erano appannati, privi di una qualsiasi vivacità, quel bellissimo esemplare pareva non essere mai stato vivo.

E adesso?

Aveva pensato, per poi trattenersi dal piangere.

Dopo quell’episodio, Wile aveva appreso di non essere fatto per uccidere, ma dentro di lui si era instaurato uno scopo. Quello di catturarli senza fargli alcun male, osservali, e poi liberarli. Perché aveva appreso che a l’unica parte veramente soddisfacente di quell’episodio non era stato il sparare il roadrunner, ma il corrergli dietro per in fine raggiungerlo.
I suoi colleghi lo avevano definito uno strambo, ma lui aveva ribadito il fatto di essere semplicemente più intelligente ed interessato di loro.
Parlando onestamente, avrebbe preferito passare la giornata circondato da delle galline piuttosto che da quei bifolchi dei suoi colleghi. Dio, quanto odiava quel branco di…

«Me! Me!»

«AH!» 

Era una fortuna che la sua sedia fosse provvista di rotelle. Se fosse stata un modello comune, Wile si sarebbe probabilmente ribaltato per lo spavento.
In compenso, il videoregistratore che stava assemblando per puro diletto si era come smontato.
Vedendo due granchi occhi neri che lo fissavano, capì cos’era successo.

«Runner…» disse, vedendo spuntare un sorriso alquanto sciocco sulla faccia del ragazzino che gli stava di fronte.

Road Runner, diciannove anni, stagista da qualche giorno alla ACME, aveva preso la brutta abitudine di piombare nell’ ufficio di Wile ad una velocità impressionante per fargli prendere spaventi che avrebbero certamente destabilizzato una persona meno controllata di lui.
Wile fissò Road, poggiando il mento sulla mano e battendo le dita sulla scrivania. L’altro lo guardò per qualche secondo senza sbattere le palpebre, poi iniziò ad osservare lo spazio attorno a sé, compiendo veloci e decisi scatti con la testa.
Wile si sentiva alquanto irritato da Road e dal suo comportamento.
Quando gli era stato presentato dal suo capo reparto, quest’ultimo era parso molto entusiasta di Runner. Il ragazzo non aveva detto una parola, e il suo capo lo aveva come affidato a Wile.

Dagli dei compiti, fatti ascoltare da lui, insegnali il mestiere… sì, insomma, come se fosse un tuo allievo.

Ed era stata quella parola ad impedire a Wile di ribattere.
Nella sua mente era apparsa la sua immagine in vesti di professore universitario con tanto di blazer marrone con le toppe sui gomiti, con Road davanti che prendeva appunti ed  prestava attenzione. E Wile adorava quando gli si prestava attenzione, anche se la cosa non capitava di sovente.
Ma già il giorno stesso in cui gli era stato affidato questo compito, le sue aspettative erano crollate.

«Ti hanno mandato qui, Road?» Gli chiese guardandolo con aria poco interessata.

Road annuì vigorosamente. Wile poté notare il ciuffo tinto di blu del ragazzino muoversi a ritmo con la sua testa. I suoi colleghi mandavano sempre quel moccioso problematico da lui, come se Wile E. Coyote potesse sprecare il suo tempo prezioso per chiedere ad uno stagista di fare fotocopie.
Si mise a scrivere al computer, e parlò senza rivolgersi direttamente a Road, ma nascondendo la faccia dietro lo schermo, come a fargli intendere che era infastidito.

«Okay, allora. Porta questi in ufficio e mettili in ordine nello schedario.» Disse senza staccare gli occhi dal monitor, passandogli un blocco di fogli con una mano.

Road inclinò la testa da un lato e prese il blocco con entrambe le mani, che erano molto più piccole di quelle di Wile.
Osservò il blocco di fogli con sguardo confuso.

«Me?» Disse poggiandosi una mano sulla gola.

«Sì, tu!» esclamò Wile per poi, finalmente, guardare Road in faccia «Corri!» lo incitò.

Road fece spallucce e sorrise. Sbatté un paio di volte le palpebre e si precipitò fuori dall’ufficio.
Dopo qualche secondo, Wile udì un veloce rumore di passi nel corridoio che si faceva più intenso e poi scemava,  si intensificava e scemava ancora

Effetto Doppler; elementare. Pensò.

Quando udì anche un frusciare di fogli, però, decise di alzare un attimo la testa per osservare (dalla propria porta ancora aperta) il corridoio. Ciò che vide fu Road Runner che correva avanti e indietro, talmente veloce da lasciarsi scappare alcuni fogli dalle braccia, che, dopo un breve soggiorno in aria, finivano disordinatamente per terra.

«Porca miseria!» Saltò letteralmente giù dalla sedia e corse verso la porta «Road! Fermati!»

Il ragazzo non stava facendo altro che correre per tutti gli uffici, evitando per un soffio i colleghi e mandando all’aria montagne di documenti.

«Runner!»

Era esattamente come il primo giorno in cui Road aveva messo piede alla ACME. Dopo aver ricevuto un ordine da Wile, si era messo ad andare avanti ed indietro per gli uffici correndo all’impazzata, ignorando bellamente tutto ciò che l’altro gli urlava dietro.
L’uomo iniziò ad inseguire il ragazzino nel tentativo di acchiapparlo per poter mettere la parola fine a tutto quel baccano, ma Road sembrava non farci nemmeno caso.
E così, come ogni giorno da quando conosceva Road, Wile fu costretto a corrergli dietro per minuti interi senza riuscire a prenderlo e, come al solito, la cosa finì solamente perché Road si rintanò nell’ufficio del capo reparto a fare fotocopie, lasciando a Wile il compito di raccogliere e schedare i documenti sparsi per terra.

*

La cosa che più di ogni altra lo urtava, era il fatto che Road, a quanto pare, teneva quel comportamento irriverente e menefreghista solo nei suoi confronti. A dire dei colleghi, il giovane dai capelli blu eseguiva perfettamente ogni compito che gli veniva assegnato, senza ribattere o cercare di sviare al proprio dovere.
Aggiungevano, inoltre, che svolgeva il proprio lavoro ad una velocità sorprendente.
Su quest’ultimo punto, Wile non aveva dubbi.
Tuttavia gli sembrava che quel ragazzino si stesse prendendo gioco di lui. Ma forse era semplicemente uno sciocco a cui si doveva parlare usando dei cartelli per farsi capire, e Wile non intendeva abbassarsi al livello di uno stupido semplicemente per farsi ascoltare.

«Ehm… che succede, amico? Ti vedo un po’ abbacchiato.»

Wile distolse per un attimo lo sguardo dal proprio lavoro (stava controllando una serie di prodotti potenzialmente difettosi e/o pericolosi) per osservare il giovane attore che stava appoggiato allo stipite della porta.

«Stress mentale, Bugs. Ma presumo tu non sappia di cosa io stia parlando.» Disse con fare altezzoso, anche se stonava parecchio con il suo aspetto trasandato e affaticato.

«Se tu non avessi una voce così sexy potrei arrabbiarmi per alcune tue osservazioni, sai? » Si passò una mano tra i capelli argentati (tinti, ovviamente) e bevve un sorso del proprio succo di carota.

Per essere un attore molto impegnato, Bugs Bunny si prendeva parecchie libertà. D’altronde faceva parte della sua natura. Non faceva mai qualcosa che non gli andava di fare, e oramai tutte le persone che lavoravano con lui lo sapevano.
Anche il suo coinquilino, Daffy Duck, lo sapeva, ma era l’unico a non accettarlo.
Bugs guardò l’orologio. Probabilmente a quest’ora Daffy era sul set a cercarlo, sbraitando contro tutta la troupe e urlando cose del tipo “Non sono stato mai così mortificato in tutta la mia carriera!”.
Sorrise e tornò a guardare Wile.
L’uomo aveva tra le mani un piccolo petardo (molto piccolo, per fortuna) e se lo rigirava tra le mani osservandolo. Per l’occasione indossava dei guanti e degli occhiali protettivi, ma era come se sapesse che non sarebbero serviti a nulla.
Infatti, senza che Wile schiacciasse il petardo o lo facesse cadere sulla superficie legnosa della scrivania, il piccolo involucro di cartapesta ed esplosivo lanciò un paio di scintille e scoppiò.
Bugs fece un piccolo salto; Wile, invece, alzò gli occhi al cielo e spense una piccola fiammella che era nata sulla punta di una ciocca dei suoi capelli castani. Lo fece con un gesto che mise in evidenza la sua abitudine a certe situazioni. Si tolse un guanto, si leccò l’indice ed il pollice e chiuse le due dita attorno alla fiammella, come se stesse semplicemente spegnendo una candela.

«Dovresti rifarti i dread. Credo il fuoco li stia disfacendo.» Disse Bugs avvicinandosi con finta aria apprensiva.

«Tanto sono corti. Non ci metto nulla a rifarli.» Fece Wile senza interesse, prendendo ad esaminare una sveglia rosso fuoco.

«Se vuoi, posso chiedere a Daffy di rifarteli. E’ lui che mi taglia i capelli.» Disse Bugs appoggiandosi alla scrivania e sfoggiando un sorriso

Wile si bloccò e alzò un sopracciglio, fissando Bugs.

«Lui fa… cosa?»

Era rimasto interdetto. Una persona così priva di pazienza come Daffy che faceva una cosa del genere, un gesto così intimo, per di più nei confronti di Bugs…  nella sua testa apparve l’immagine di una pallina da golf affiancata ad una vite. Era tutto ciò che poteva pensare. Un brivido gli percorse la schiena; non era ancora abituato ad immaginarsi Bugs e Daffy… insieme!

«Mi taglia i capelli quando diventano troppo lunghi. Ma non lo fa per me. Dice che se aspetta che io vada dal parrucchiere può anche morire nell’attesa, e che lui non può permettersi di andare in giro con qualcuno che somiglia ad una sorta di hippie, perché nuocerebbe alla sua immagine.»

Disse tutto ciò con leggerezza e un sorriso dolce stampato in volto, come se stesse parlando di qualcosa di piacevolmente ovvio.

«Spiegami una cosa. Per quale motivo non vai dal parrucchiere?»

Certo, nemmeno lui ci andava mai, ma questo perché Wile non intendeva perdere il proprio tempo a fare certe sciocchezze quando avrebbe potuto approfondire le proprie conoscenze sui magneti o sugli esplosivi. Bugs invece avrebbe anche potuto comprarsi un intero salone di bellezza, visto quanto guadagnava.
L’adoratore di conigli iniziò a dondolarsi sui talloni.

«Io in realtà speravo di farmeli crescere un po’. Così si adatterebbero meglio ad alcuni miei vestiti.»

«Quei vestiti?» Chiese Wile, lasciando intendere che conosceva già la risposta.

«Sì, quei vestiti. E  poi è divertente avere un parrucchiere personale.» Congiunse le mani e rimirò il proprio riflesso nel vetro della finestra, sistemandosi la frangia irregolare.

Wile preferì non andare avanti col discorso. Bugs e Daffy erano migliori amici da un vita, ma il loro rapporto era sempre stato troppo particolare agli occhi di Wile. Non s’intendeva di relazioni sociali ( poiché non gli interessavano minimamente) e per tanto ciò che intercorreva tra quei due era per lui un’incognita. E gli faceva anche venire i brividi. Daffy Duck non gli era mai stato particolarmente simpatico. Un uomo la cui vanità era paragonabile solo all’avidità, una persona ingestibile, un bipolare che probabilmente avrebbe mandato fuori di testa qualunque analista.
Non come lui. Modesto, pacato e con molteplici interessi che lo tenevano lontano dal manicomio.

«Bunny! Bugs Bunny!» Dal fondo del corridoio si udì la voce di Elmer Fudd, che parve riecheggiare all’infinito.

«Credo sia arrivato per me il momento di andare!» Esclamò Bugs facendo il saluto militare.

Da quando aveva partecipato per gioco alle manifestazioni di Wile, Elmer non gli aveva dato tregua. Ogni qual volta veniva a sapere della sua presenza nell’azienda, lo rincorreva per convincerlo a fare una pubblicità della ACME in televisione. Bugs non intendeva farlo. La cosa non gli interessava, inoltre lui era disponibile a fare pubblicità ad un’azienda come quella finché si trattava di aiutare un amico, ma se si parlava semplicemente di soldi non se ne faceva nulla. E poi ci avrebbe rimesso la faccia!
Fece per uscire ma si bloccò, come se si fosse dimenticato qualcosa. Si diresse di nuovo vero la scrivania di Wile e si sporse verso di lui.

«Comunque, prenditi cura di te. Mi sembra davvero giù di tono. Posso consigliarti un modo per stare meglio?»

«Sentiamo.» Disse sbuffando, sapendo che si sarebbe pentito di quella concessione.

«Sesso. Non c’è niente di meglio per i nervi.» E prima che Wile potesse commentare la cosa in qualche modo, Bugs gli prese il viso tra le mani e gli schioccò un rumoroso bacio sulle labbra, per poi liquidarsi, lasciando Wile a pulirsi la bocca con la manica della camicia.

 

*

Solitamente, nulla riusciva a turbare la sua mente.
Bugs, con i suoi discorsi privi di senso costellati di piccoli e disgustosi spezzoni di vita quotidiana, intaccava semplicemente la sua calma. Forse riusciva a farlo perché tra loro c’era stata una sorta di relazione fatta di occasionali incontri a sfondo sessuale.
D’altronde, Wile era sempre stato chiaro. Non era interessato alle relazioni sentimentali o alle convenzioni sociali; non aveva mai affermato di non essere interessato al sesso.
Bugs era sempre riuscito, in un certo senso, a comprendere questo suo bisogno senza ricamarci sopra un discorso generale sulla moralità o sul sesso come forma d’amore.
Quel tipo con i denti da coniglio non giudicava mai nessuno. Lui stesso aveva avuto innumerevoli relazioni fisiche con donne e uomini di cui sapeva a mala pena il nome. Non che fosse un poco di buono, semplicemente amava cambiare e sperimentare.
Anche se, da ciò che aveva potuto intuire, Bugs ora si dedicava interamente alla “relazione” con il suo migliore amico. E per quanto Daffy cercasse di nasconderlo, alcune cose erano trapelate da quella sua boccaccia anche in diretta televisiva.

Signor Duck, può dirci se ultimamente ha avuto… un flirt con qualche bella donna?
Femmine? Naaah. E’ più divertente uscire con Bugs.

Che idiota.
Ad ogni modo,Wile era un po’ diverso da Bugs. Non andava pazzo per la gente attorno a sé, e non lo attirava l’idea di andare a letto con un persona diversa ogni settimana.
In fondo, la cerchia delle persone che gli suscitavano attrazione non era così estesa.
Oltre a Bugs, aveva avuto qualche sporadico flirt di poca importanza, con persone della quale non rammentava nemmeno la faccia. Era sua piena convinzione che (con poche eccezioni) tutti attorno a lui fossero semplicemente degli stupidi che non comprendevano il suo brillante estro, per tanto tendeva a non essere particolarmente fisionomista.
Anche i suoi colleghi erano per lui meno di niente. Non fosse stato per i cartellini di riconoscimento che usavano portare sul taschino della camicia, probabilmente avrebbe presto scordato i loro nomi.
Preferiva riempire il suo cervello con qualche nozione interessante, piuttosto che con inutili volti e nomi insignificanti.

«Me!»

Ma c’era quel dannato suono, quel volto infantile, quel nome che stranamente gli ricordava una branca della zoologia… tutte queste cose si erano insinuate nella sua mente e non lo lasciavano in pace.
Forse era l’irritazione.
No, non era irritazione era qualcosa di simile… all’insoddisfazione, alla frustrazione. Era come se avesse qualcosa che gli sfuggiva continuamente dalle dita, un bisogno insoddisfatto che non sapeva spiegarsi e che non poteva saziare. Un tormento, un tormento privo di senso tra l’altro.
Quasi si dimenticò di avere tra le mani un mini –televisore che sarebbe potuto esplodere da un momento all’altro, ma una lieve scintilla glielo riportò alla mente.
Nello stesso istante, Road fece il suo ingresso.
Teneva le mani dietro la schiena, indossava una camicia azzurra a maniche corte e dei jeans. Non si adattavano molto alla sua capigliatura giovanile, ma visto il modo in cui li portava ( camicia abbottonata male e per metà  fuori dai pantaloni ) Wile immaginò che non gli importasse più di tanto.

«Che vuoi?»

Chiese, tornando a lavorare al mini – televisore. Road non disse niente, si limitò ad avvicinarsi alla scrivania di Wile e ad osservare il suo lavoro con aria curiosa.
Evidentemente non era stato mandato a fare una commissione o cose del genere, ma aveva semplicemente un momento libero.

E perché diamine quel moccioso veniva nel suo ufficio quando non aveva nulla da fare?

Quando lo vide poggiare le mani sulla sua scrivania ebbe come un fremito.  Forse era perché, a parte Bugs, nessuno gli si avvicinava mai così tanto.
Non seppe perché, ma prese a guardare le mani del ragazzino con interesse, come se avessero qualcosa di particolare.
Road iniziò a fissare in modo insistente il mini –televisore che Wile teneva tra le mani (che sprizzava ancora qualche scintilla) e, prima che l’uomo potesse accorgersene, la prese lui.
Wile si ritrovò spiazzato, mentre Road si rigirava tra le mani il piccolo apparecchio con entusiasmo.

«Ehi, che cavolo fai!?»

Quando si rese conto della cosa, Wile si sporse verso il giovane cercando di recuperare il mini – televisore prima che potesse esplodere o mandare scosse elettriche. Perché era sicuro che con quell’aggeggio non serviva far parte del club di Murphy per avere dei problemi, era sufficiente rientrare nella categoria degli esseri viventi.
Runner si allontanò di un passo dalla scrivania, impedendo a Wile di prendere l’oggetto, e continuò tranquillamente ad osservalo con aria curiosa con i grandi occhi neri, senza sbattere le palpebre.
Non accadde nulla.
Il mini – televisore smise di sprizzare scintille, Road non prese nemmeno una lieve scossa, ne ci furono esplosioni di sorta.
Wile rimase basito. Se lui avesse maneggiato a quel modo un oggetto tanto pericoloso, come minimo i suoi capelli sarebbero stati avvolti dalle fiamme. Ma anche una persona comune avrebbe preso come minimo una scossa elettrica abbastanza forte dal farlo desistere dal tenere in mano la fonte di essa.
Invece a quel ragazzino non accadeva nulla, e lui non sembrava nemmeno rendersi conto della singolarità della cosa.
Wile non seppe perché, ma il fatto, oltre che ad affascinarlo, lo irritò terribilmente.

«Ridammi quell’affare!»

Urlò, strappando di mano il mini –televisore a Road (che parve rimanerci un po’ male) ed osservandolo come se qualcosa fosse andato storto, premendo pulsanti a caso nel tentativo di provocare una qualche reazione.
E ci riuscì. Il piccolo schermo dell’oggetto esplose, facendo cadere a terra pezzi di vetro e sparando del fumo nero e delle scintille contro la faccia di Wile. Gli occhiali protettivi impedirono all’uomo di subire lesioni permanenti al bulbo oculare, ma non evitarono qualche piccola scottatura sul viso e una ciocca di capelli in fiamme (che fu tuttavia prontamente spenta).
Wile lasciò cadere a terra il resto dell’apparecchio televisivo e non disse nulla. Si sentiva come… preso in giro.
Road lo osservò con un po’ di preoccupazione negli occhi.
Era strano. Sembrava un bambino che ha, per la prima volta in vita sua, assistito a qualcosa di brutto.
Il ragazzino allungò la mano verso il viso di Wile, ma questi gli afferrò violentemente il polso. Nel farlo, Wile avvertì come una sorta di scarica elettrica, ma non di quelle che era abituato a sentire di solito. Rimase muto, fissando quel moccioso irriverente con occhi esterrefatti. Si sentì stupito, spaventato ed estasiato al tempo stesso, come se toccare la pelle di quel ragazzo (anche se con addosso dei guanti) fosse la cosa migliore che potesse capitargli, l’unica cosa bramata tutta una vita… una sorta di traguardo.
Si riprese solo quando il giovane si liberò dalla sua presa ed indietreggiò con aria adombrata.
Wile sbatté un paio di volte le palpebre, come per tornare alla realtà. Non gli era mai capitato di sfuggire dalla propria dimensione a quel modo. Solitamente vi era come ancorato, e di questo ne faceva anche vanto; ma per la prima volta in vita sua si era ritrovato a sfruttare qualcosa che non sapeva di avere.
La fantasia.
Gli ci volle qualche secondo per realizzare su cosa aveva fantasticato, e la risposta si trovava sulla soglia del suo ufficio, in procinto di andarsene.

«Ehi!»

Urlò, non sapendo comunque cosa avrebbe dovuto dire o fare dopo di quello. Road gli risparmiò la fatica.
Si voltò verso di lui con aria offesa e… gli fece una la linguaccia, per poi correre via. Wile rimase in piedi, immobile e dopo pochi secondi udì distintamente fruscii di fogli e rumori di cose che cadevano provenire dal fondo del corridoio.

*

La sveglia suonò. Servì solo a ricordargli che doveva andare al lavoro, poiché Wile era già sveglio da diverse ore. Non era riuscito a chiudere occhio, e a nulla erano valsi gli sforzi per ribaltare la situazione.
Wile detestava quando Morfeo si rifiutava di accoglierlo fra le sue braccia, perché era cosciente del fatto che il cervello necessita di riposo costante, e che se questo gli viene negato i movimenti e le capacità cognitive vengono gravemente compromessi; e lui non poteva certo permettersi contrattempi del genere, non col suo lavoro, non con le nozioni che doveva ancora apprendere e sviluppare; non con tutti quei pensieri che vorticavano incessanti e che necessitavano di un’attenta analisi.
Scostò le coperte e spense la sveglia. O meglio, consapevole del fatto che probabilmente, toccandola, sarebbe accaduto qualcosa di spiacevole, la colpì con il manico di una scopa che teneva sempre accanto al letto.
Anche se era abituato agli incidenti, voleva che casa sua subisse meno incendi possibili.
Arrivato in salotto, dovette fare attenzione a non pestare il trenino elettrico in movimento, ed evitare le tessere di domino disposte verticalmente e che formavano un percorso ben delineato.
Oltre a quello, c’erano vari interruttori a cui bisognava prestare attenzione. Alcuni erano lì, in attesa, da talmente tanto tempo che Wile faticava a ricordarsi cosa avrebbero scatenato se fossero stati azionati.
Sul tavolo da pranzo erano sparpagliati vari progetti, e con essi oggetti da disegno, come righelli e matite.
Una volta vi lavorava anche nei momenti di pausa in ufficio, ma aveva presto capito che non poteva farlo.
Ogni qual volta i suoi colleghi lo vedevano con tutto quel materiale da disegno, osservavano con un sopracciglio alzato i progetti ed esclamavano:

Che roba è?

Cos’è? Una specie di macchina del tempo?

Che fai, Coyote? Costruisci le sorpresine degli ovetti?

Per tanto aveva deciso che avrebbe sviluppato le sue idee in privato.
Solitamente, ogni mattina beveva una tazza di caffè nero, sistemava delle casette per uccelli colme di mangime fuori dalla finestra, caricava correttamente tutti gli orologi presenti in casa ed, in fine, lavorava per qualche minuto ai propri progetti, per poi andare al lavoro.
Ma quella mattina non riuscì affatto a ragionare sui suoi lavori. Un certo suono, che continuava a riecheggiargli  nella testa, glielo impedì.
E quel suono era:
Me! Me! Seguito da una sonora linguaccia.

Arrivato sulla soglia dell’ingresso della ACME, aveva avuto un momento di esitazione. Non era dovuto a un pensiero folgorante o ad una dimenticanza ora rimembrata, ma alla vista di Road nel corridoio.
Il ragazzino gli dava le spalle, ed era impegnato a mettere in ordine alcuni raccoglitori.
Wile si era come bloccato, ed era rimasto a fissarlo fuori dal portone in vetro.
Quando Road si era allontanato, Wile aveva per un attimo potuto scorgere la propria espressione riflessa nel vetro.  Ed era un’espressione quasi animalesca, i suoi occhi castani erano ancora impregnati di… desiderio? Era quello che aveva visto nel proprio riflesso?
Era trasalito ed era praticamente corso via.

Invece di dirigersi subito nel proprio ufficio, decise di passare un momento nel cortile dietro l’azienda, a riflettere. Arrivava sempre qualche minuto prima, perciò poteva permetterselo.
Si sedette su una panchina e si mise a fissare il cielo, disegnando e cancellando delle disequazioni immaginarie. Iniziò anche a parlare da solo.

«Okay, vediamo di ragionare.»

Su che cosa?

«Sui miei vuoti mentali e sul mio rilascio di endorfine ingiustificato. Non capisco a cosa siano dovuti.»

Pensaci bene. Quando si sono presentati?

«Dunque. Il rilascio di endorfine si è presentato per la prima volta ieri, ma mi desta comunque preoccupazione. Inoltre è stato seguito da un temporaneo distacco dalla realtà.»

Ragiona. E’ accaduto qualcosa di insolito?

«Mmh… bè, sì. Runner è venuto nel mio ufficio e…»

E…?

«… e l’ho toccato.» Disse come se avesse appena realizzato cos’era accaduto.

«Uh-uh! Davvero?»

«Sì, davve… un momento!»

Si rese conto, improvvisamente, che non era stata la voce nella sua testa a parlare, ma una proveniente da dietro la panchina sulla quale era seduto. Si girò, poggiando le mani sullo schienale della panchina come se stesse affacciato ad una finestra.
Vide Bugs comodamente seduto sull’erba, che lo guardava sorridendo.

«Bugs… che cavolo stai facendo?»

«Ascoltavo uno che parla da solo. Tu che fai?» Disse con aria tranquilla ed innocente.

«Devi smetterla di farmi questi scherzi!»

«Pensavo che avessi imparato, dopo tanto tempo, che la voce che ti risponde quando conversi da solo è la mia.»

Wile si passò una mano sulla fronte. Doveva ammettere che Bugs gli faceva quello scherzo da talmente tanti anni, che avrebbe dovuto iniziare a guardarsi attentamente attorno prima di iniziare a parlare con se stesso. Come prevenzione.
Smise di guardarlo e ritornò a sedersi normalmente. Acquistò una posa austera e parlò a Bugs, tenendo però lo sguardo fisso davanti a sé.

«Ad ogni modo, ciò su cui stavo riflettendo non è affar tuo. Ti pregherei di lasciarmi solo mentre il mio cervello geniale elabora ipotesi.»

«Chiami quel tipo di pensieri “ipotesi”?» Chiese Bugs, appoggiandosi allo schienale della panchina. Wile assunse un’aria di sufficienza.

«Certo. Come altro dovrei chiamarli?»

«Magari… fantasie sessuali?»

Wile si irrigidì di colpo. Non perché fosse scandalizzato da ciò che Bugs aveva appena detto, ma perché si senti improvvisamente un… quasi -stupido, poiché lui non aveva minimamente pensato alla componente sessuale di ciò che gli stava accadendo. Era stato quasi più propenso a credere che si trattasse di una sorta di malattia metabolica, o di un avanzamento di pressione dovuto allo stress e al troppo lavoro.

Un momento! Vediamo di riordinare le idee. In effetti, il rilascio di endorfine e i battiti accelerati sono entrambi sintomi di una qualche eccitazione sessuale. Ma se è effettivamente questo il motivo dei miei disturbi, e questi si sono presentati in presenza di Road, ciò significa che…

«Che sei attratto da lui.»

Wile sobbalzò.

«Ma tu cosa… come…!?»

«Amico, davvero non ti accorgi di parlare ad alta voce? Hai della ghiaia nella testa che fa scivolare i pensieri fuori dalla tua bocca?»

L’uomo coi capelli castani ebbe un momento di confusione. Pensò contemporaneamente al fatto che sembrava non avere più il controllo sulle parole (come se fosse affetto da una sorta di sindrome di Touerette contenuta), ai suoi disturbi legati ai neurotrasmettitori (dannate endorfine) e alle sue continue fughe dalla realtà. Si massaggiò le tempie; sentiva come se la sua mente fosse sovraccarica di un peso sconosciuto che però non stava fermo. Vorticava e non gli dava tregua.
Lui, che solitamente si ritrovava a ragionare coscienziosamente e a mente fredda su ogni tipo di problema, in quel momento di sentiva in balia di qualcosa che non sapeva spiegare.
Lo odiò.

«Vado. Devo iniziare a lavorare, non posso permettermi di saltare la giornata come qualcuno

Disse alzandosi e facendo finta di pulirsi le mani sulla giacca, come se volesse darsi un tono.
Bugs mise le mani sui fianchi e lo guardò scuotendo la testa.
Certo che in quanto orgoglio e vanità, Wile avrebbe potuto quasi raggiungere Daffy. Bugs si domandò se non fossero proprio quelle caratteristiche a rendere un uomo attraente ai suoi occhi, visto che aveva avuto una relazione con Wile e quella con Daffy era ancora in corso.

«Ehi, non preoccuparti, vecchio mio. La tua attrazione è comprensibile. Ho visto quel Runner quando sono venuto a trovarti» Wile si bloccò «è carino. Forse un po’ troppo giovane, ma carino.»

L’altro finse di ignorarlo e si diresse verso l’ingresso.

*

Nei corridoi, mentre percorreva la strada che lo avrebbe condotto nel proprio ufficio, aveva incrociato Road, intento a trasportare dei raccoglitori.
Come ogni giorno, lo aveva salutato con un quasi impercettibile cenno della mano, e si era aspettato che, come ogni giorno, Road avrebbe mosso la testa con uno scatto in segno di risposta.
Invece, nonostante lui avesse compiuto quello sforzo sovraumano che era salutarlo normalmente, Road si era voltato dall’altra parte con aria offesa e si era allontanato.
Wile aveva dovuto trattenersi dal corrergli dietro; forse perché oramai quella di inseguirlo era diventata una sorta di abitudine, o forse perché iniziava a non poterne più fare a meno.
La medesima cosa accadde il giorno dopo. E il giorno dopo ancora… e anche quello successivo.

Perché mi sento come una sorta di stalker incapace?

Da quando aveva parlato con Bugs, la situazione non aveva fatto altro che peggiorare. Gli sembrava che il suo cervello fosse stato svuotato di ogni buon senso, per essere riempito con le immagini di quel moccioso.
Odiava che ciò accadesse, perché gli sembrava di aver perso tutto ciò che lo rendeva migliore degli altri.
Ma non incolpava se stesso, ovviamente. Incolpava quel dannato lobo del cervello che faceva sì che l’istinto prevalesse talvolta sulla ragione, incolpava quella macchina sforna – ormoni che era il corpo umano, incolpava soprattutto quel ragazzino che, con fare innocente, gli era stato attorno per giorni… prima di decidere di ignorarlo completamente!

A pensarci bene… perché il moccioso si sta comportando così?

Un trenino elettrico in un angolo iniziò a muoversi e a sbuffare. L’unica cosa che azionò fu un’altra pista elettrica (di macchinine, questa volta). Wile non ci fece nemmeno caso, la sua mente era tornata a qualche giorno fa, quando aveva afferrato Road per il polso in malo modo. Forse lo aveva spaventato.
Si trattava pur sempre di un ragazzino, per di più con un aria non molto sveglia, chissà cosa poteva aver pensato.

Forse dovrei…

Deglutì. La parola che stava per affiorare nella sua mente non era mai stata applicata alla sua persona. Non un'unica volta in vita sua aveva pensato di dover ricorrere a questo espediente sociale, di dover compiere questo gesto nei confronti di qualcuno.

… scusarmi.

Il trenino sbuffò. Wile ebbe un sobbalzo.

 

*

 Raramente si recava a mensa per mangiare. Era risaputo che godeva della solitudine con la propria mente, e che riteneva i propri colleghi delle sorta di scimmie dotate di pollice opponibile ( anche se quest’ultima opinione se l’era tenuta per sé), ma stare da solo con i propri pensieri ultimamente non gli giovava. Inoltre, Road si era recato nel suo ufficio di rado negli ultimi giorni, e si era limitato a posare delle fotocopie sulla scrivania e a levare le tende.
La mensa era l’unico posto in cui era certo di incontrarlo; ed era anche sicuro che, notandolo, Runner non avrebbe certo lasciato il proprio cibo nel piatto semplicemente per allontanarsi da lui. Lo aveva già visto mangiare. Era un vero ingordo.
Si ritrovò seduto ad un tavolo con altri due colleghi. I cartellini riportavano i nomi di “ Bryce” e “ Arnold”.
Wile non avrebbe saputo dire se corrispondevano al vero, ma volle fidarsi di quei rettangoli plastificati.

«Strano vederti qui, Coyote. Che succede? Ti sei dimenticato di portarti il pranzo da casa?»

Wile bevve un sorso di caffè.

«Non dire sciocchezze» l’altro parve offeso, ma Wile non ci diede peso «sono qui solo per parlare con Runner.»

Vide i due uomini trattenere una risata. Non ne capì il motivo, ma la poca considerazione che aveva di loro gli impedì di fare domande. Cercò il giovane con lo sguardo, che sperò davvero non fosse quello famelico che aveva visto giorni prima riflesso nel vetro.
Quando lo trovò, non poté fare a meno di sentirsi un po’ agitato.
Era seduto ad un tavolo da solo e teneva lo sguardo basso. Stava mangiando una pannocchia, mordendola in stile “Jerry Lewis alla macchina da scrivere”. Qualche chicco gli rimaneva attaccato alla faccia e lui, prontamente, lo staccava e se lo mangiava.
Wile non riuscì a capirne bene il motivo, ma gli venne voglia di portargli un vassoio ricolmo solo di chicchi di gran turco per vedere a quale velocità li avrebbe mangiati.
Alla fine attribuì questo suo pensiero alla sua ossessione per le casette per uccelli per i volatili (il nome del ragazzino continuava a ricordargli lo studio dell’ornitologia).

«Allora, Coyote, non vai a… parlarci?»

Wile si girò di scatto verso l’uomo che aveva appena parlato (Arnold?) notando un’altra risatina sommessa, e domandandosi perché quel tipo si stesse interessando degli affari suoi.
Sospirò e si alzò. Certo, non gli andava di fare le sue “scuse” (come se le virgolette immaginarie cambiassero la parola) davanti a tutti, ma se davvero voleva (doveva) farlo non c’era scelta.

Road non si accorse della sua vicinanza, nemmeno quando Wile lo chiamò per nome. L’uomo ritenne che fosse troppo occupato a mangiare per poterlo udire, perciò gli diede un leggero colpetto sulla spalla con il dito indice, e lo fece molto velocemente per non ritrovarsi in un’altra dimensione come l’ultima volta che aveva avuto un contatto fisico con lui.
Il ragazzino si voltò verso di luì. Gli ci vollero due secondi per accigliarsi, per trasformare quel viso giovanile un po’ assente, in quello di un moccioso indispettito.

«Ehm… salve.» Disse cercando di sorridere, riuscendo solo ad esporre lievemente i denti.

Road piegò la testa da un lato e lo fissò. Sembrava curioso.
Wile si passò una mano sulla faccia, per poi fermarla sulla bocca. Le sue parole uscirono leggermente ovattate, ma del tutto comprensibili.

«Senti… non sono abituato a questo genere d’interazioni, per cui andrò dritto al sodo. Evidentemente ti ho offeso in qualche modo, anche se non ne avevo intenzione. Se è così allora mi… » si guardò attorno, era evidente che alcune persone lo stavano tenendo d’occhio, con sguardo insaziabile di fatti altrui.
Si tolse la mano dalla bocca e guardò Road dritto in faccia.

«Mi dispiace, okay?» Fu come se il suo orgoglio gli fosse scivolato sotto le scarpe. Non guardò nemmeno la reazione di Road, si voltò dall’altra parte ed iniziò (forse per la prima volta in vita sua) a parlare a vanvera.

«Ma devi comprendere! Insomma, non hai fatto altro che gironzolare nel mio ufficio per giorni, e metterti a correre a casaccio ogni qual volta che ti assegnavo un compito; come se non bastasse mi hai interrotto durante il mio lavoro di revisione, ti sei preso involontariamente gioco di me, e per colpa tua non ho nemmeno potuto ragionare a mente lucida per giorni!»

Si girò verso il ragazzino. Notò che lo guardava con aria confusa, tenendo un sopracciglio alzato. Alcune persone ( compresi quei due uomini di nome Bryce e Arnold) si misero a ridere in maniera più evidente e sonora di quanto non avessero fatto prima.
Li guardò con circospezione e poi tornò a guardare Road. Con sua grande sorpresa, il moccioso aveva preso un tovagliolo, e ora ci stava scrivendo sopra qualcosa.

«Dì qualco…»

Si bloccò vedendo Runner che alzava il tovagliolo (ora recante una scritta) e glielo mostrava.

“Mi dispiace, non ho capito quello che mi hai detto.
Ti sei voltato e non sono riuscito a leggerti le labbra, e comunque non sono tanto bravo.”

Wile sbarrò gli occhi. Le risate in mensa dilagarono.
Road si guardò attorno confuso e intimorito, Wile serrò i pugni e uscì.

*

Congiunse le mani e posò la testa sulle ginocchia. Un vento leggero gli fece ondeggiare i dread, una foglia quasi ci rimase impigliata.
Sordo. Quel ragazzino era sordo.
Ecco perché non gli ubbidiva mai, ecco perché quella volta in cui gli aveva detto “Corri!” guardandolo in faccia, lui lo aveva fatto. Ecco perché sembrava non capirlo, perché lo guardava sempre con aria confusa.
E i suoi colleghi… loro lo sapevano. Glielo avevano tenuto nascosto.
Fino all’ultimo, avevano aspettato che lui si mettesse in ridicolo, sfruttando la sua inconsapevolezza.

Come ho fatto a non accorgermene?

Facile. Era disinteressato agli altri a tal punto da ignorare qualsiasi anomalia comportamentale, e aveva sottovalutato Road, classificandolo semplicemente come stupido, senza badarci troppo.
Curioso. Negli ultimi tempi la sua mente era stata occupata quasi totalmente dalla sua immagine e da quel suo Me!, ma non una volta aveva pensato a cosa potesse realmente significare quella strana peculiarità.
Forse era l’unica parola che Road era capace di pronunciare correttamente… forse…
Sentì un colpetto sulla spalla e trasalì.
Girandosi, si ritrovò davanti ad un foglio di carta, con sopra scritte delle parole in una calligrafia piuttosto elegante e concisa. Svelta, era la parola giusta.

“Posso sedermi qui?”

Vide il ciuffo tinto di blu e gli occhi nero pece di Road sbucare da dietro il foglio.
Wile rimase talmente attonito da non poter far altro che annuire. Il ragazzino si sedette accanto a lui. Tra le mani reggeva un blocchetto per gli appunti, con annessa una penna blu.
Prima che Wile potesse fare una qualunque cosa, Road si mise a scrivere.

“ Scusa, mi puoi spiegare cos’è successo prima?”

L’uomo tentò di non sorridere. Era sorpreso della deficienza che svelava quel messaggio. Oh, non deficienza in senso spartano, non voleva essere un insulto. Si riferiva alla mancanza di qualcosa. Nel caso di Road, quel messaggio svelava la completa mancanza di malizia e di timore di quel ragazzino.
Non aveva intuito di essere stato preso in giro quanto lui, e non temeva di fare domande, a costo di sembrare un po’ sciocco.
Wile indicò il blocchetto, e Road glielo passò.
Con una calligrafia rude, scomposta e totalmente diversa da quella del giovane, Wile scrisse la propria risposta.

“ Si sono presi gioco di noi, temo. Hanno voluto farmi uno scherzo e hanno coinvolto anche te. Ero venuto a parlarti per chiarire un paio di faccende. Loro non mi avevano detto del tuo –problema-“

Solo dopo averlo scritto e mostrato a Road, si rese conto che forse la parola problema avrebbe potuto urtare il ragazzo.
Quest’ultimo, però, non sembrò affatto turbato.
Scrisse.

“Non ti avevano detto che sono sordo?”

“No.”

“Quindi tu non sei arrabbiato con me? “

«Cosa!?»

Quasi non si accorse di dirlo.
Road rimase basito per qualche secondo, perché nell’urlare quella parola Wile si era sporto di scatto verso di lui, e ora il ragazzino poteva quasi specchiarsi nei suoi occhi marroni.
Road provò un moto di simpatia per quell’uomo di circa diciassette anni più grande di lui, che prima lo guardava basito, col viso vicino al suo, e poi si ritraeva velocemente mettendosi le mani nei capelli come se avesse appena fatto qualcosa di stupido o sbagliato.
Sembrava come mezzo matto.
Lo trovò divertente, specialmente quando lo vide scrivere in maniera tanto frettolosa e nervosa.

“ Cioè, perché pensavi che fossi arrabbiato con te?”

“ Gli altri avevano insinuato che ce l’avevi con me perché sono sordo, e che pensavi che non potessi essere utile sul lavoro. Così sono venuto tante volte nel tuo ufficio, sperando che tu mi dessi qualcosa da fare, così potevo farti vedere che sono capace di fare tutto!”

Che sguardo deciso.

Pensò Wile. Si stupì dell’innocenza e della volenterosità di quel ragazzino.
Inoltre, in quel momento gli era così vicino, che temette di staccare di nuovo i piedi dalla realtà per ritrovarsi in chissà quale fantasticheria.
Prese un foglio.

“ Quei bifolchi hanno detto delle balle. Non sono arrabbiato con te, e non ho mai pensato o detto quelle cose. Pensavo, anzi, che tu avessi qualcosa contro di me e che mi prendessi in giro, dato che non mi davi mai retta. “

“ Non ti capivo.”

“ Grazie (sarcastico), ora lo so.”

“Che cosa mi hai detto a mensa?”

Wile deglutì. Sperava di poter cancellare quella parte, ma evidentemente non era possibile.

“ Dal momento che in questi giorni eri evidentemente arrabbiato con me, ero venuto a scusarmi.”

Road annuì.

“ Ero convinto che mi avessi sgridato o insultato, quando nel tuo ufficio mi hai urlato contro e poi mi hai afferrato il polso. Mi hai spaventato, e poi io non so leggere bene le labbra.”

E a quel punto, nella mente di Wile, si formò a lettere cubiche una parola che non aveva mai usato, poiché era sua abitudine utilizzare vocaboli eruditi, specialmente quando conversava con se stesso.
Nel vedere Road con quell’espressione che oscillava tra l’indispettito e l’intimorito, che stringeva al petto il blocco degli appunti, riuscì a pensare solo:

Carino.

Successivamente si formarono anche i pensieri Che diamine sta succedendo al mio cervello? e Sono davvero un pervertito, ma Carino fu quello che gli occupò la mente per più tempo.

“ Scusami. Ero arrabbiato, ma tu non avevi alcuna colpa. Spesso precludo alla gente ciò che avviene nella mia mente, e non mi rendo conto che gli altri possono fraintendermi (almeno, questo è quello che mi ha detto una volta un mio amico). Senza rancore? “

Con grande sforzo di volontà, decise di tendere la mano in segno di pace.
Okay, sapeva che se il ragazzino gliel’avesse stretta, probabilmente la sua coscienza sarebbe volata via per qualche tempo, facendogli assumere quell’espressione famelica che tanto odiava, ma d’altro canto era possibile che Road si offendesse nuovamente se lui non avesse…
Non riuscì a finire di pensare. Con cosa avrebbe dovuto farlo? Col cervello? Troppo tardi, era andato in frantumi nel momento in cui il ragazzino lo aveva abbracciato.

«Me!»

Gli occhi di Wile divennero avidi. Ogni centimetro visibile di Road, venne riflesso nella sua pupilla, poi trasmesso al suo cervello e memorizzato istantaneamente. Per Wile fu come fare delle foto.
Sentì le braccia del ragazzino che lo stringevano, la sua testa sul petto, il torace del più giovane che si alzava e si abbassava a ritmo con i suoi respiri.
Si sentiva come se fosse in procinto di esplodere per il troppo calore. Quasi involontariamente sollevò le proprie braccia tremanti e le lasciò a mezz’aria.
Dentro di sé disse una cosa un po’ stupida, ma che rappresentava appieno ciò che gli stava accadendo.

 Non sono Wile in questo momento. Sono Coyote.

Fece per ricambiare in modo piuttosto vorace l’abbraccio di Road, ma finì semplicemente con l’afferrare l’aria. L’altro si era, infatti, già alzato in piedi, e gli dava le spalle.
Wile notò che stava scrivendo qualcosa, ma l’unico pensiero che riuscì a partorire fu.

Torna immediatamente qui dov’eri prima!

Gli venne la grande tentazione di alzarsi in piedi e circondare le spalle di Road (non seppe perché, gli venne in mente il termine catturare). Tuttavia non ebbe tempo di mettere in atto queste sue intenzioni, perché Road si girò all’improvviso verso di lui e gli porse un foglietto.
Lo guardava fisso, con gli occhi spalancati, come se gli stesse dicendo: Prendilo! Prendilo!
Wile diede retta a quelle tonde iridi nere, e mentre il ragazzino si allontanava, l’uomo notò che sul foglietto era recato un numero di cellulare.

 

*

Dling!

Un altro messaggio. Road rispondeva in meno di dieci secondi, e riempiva almeno un’intera pagina.
Wile non avrebbe mai pensato che sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe detto una cosa del genere a proposito di Road Runner ma…

«Questo ragazzo è logorroico.»

E gli stava anche facendo spendere una fortuna in messaggi. Appena metteva piede fuori dal portone della ACME, il suo cellulare emetteva un piccolo squillo e compariva il nome di Road sullo schermo seguito dalla figura di una busta.

-Ciao! Sei già uscito? Scommetto di sì. Io sono ancora dentro,  ma tanto io faccio un’altra strada quindi non ti vedrei comunque. Come vanno le ferite? Meglio?
Non avevo mai visto una sveglia esplodere così, eppure quando l’avevo in mano io mi sembrava a posto. Dovresti procurarti un casco, i tuoi capelli prendono sempre fuoco.
Comunque, tutto bene?-

Wile rimaneva interdetto per qualche secondo da quella valanga di parole, e solitamente rispondeva con un semplice.

- Sì. Tutto bene. -

Non gli chiedeva come stava lui. Non perché gli dessero fastidio quei messaggi o cose del genere, ma semplicemente non era un tipo di domanda che era solito porre. E poi gli pareva superfluo, dal momento che lo aveva visto all’incirca cinque minuti prima e stava benissimo.
Inoltre, sperava davvero che non gli rispondesse, poiché alla fine di ogni messaggio Road poneva una domanda, e Wile si trovava costretto a rispondere a sua volta.
Le sue speranze furono vane.

-Son contento! Sto bene anche io, anche se starò meglio una volta arrivato a casa, sono tanto stanco.
Casa tua invece non è un luogo per riposare, vero? Qualche giorno fa mi hai detto che a casa tua ci sono i trenini elettrici, devono fare tanto rumore (a dire il vero io non lo so con certezza, però i treni grandi producono tante vibrazioni, forse lo fanno anche quelli piccoli?), deve essere una casa buffa, come te. Lo è?-

«Io sarei buffo?»

Sorrise tra sé. Quel ragazzo si era dimostrato molto curioso e particolare in quegli ultimi tempi.
Wile aveva scoperto che andava spesso nel suo ufficio anche quando non era richiesto perché trovava interessante vederlo lavorare con tutti quegli oggetti che, puntualmente, si mettevano a saltare, esplodevano, emettevano rumori forti e via dicendo, e tutto questo provocava delle vibrazioni, cosa che Road adorava. Esatto, adorava avvertirle, poiché lo rendevano più partecipe di ciò che gli accadeva intorno.
Wile aveva anche scoperto che era quello il motivo per la quale Road diceva spesso Me!
Oltre al fatto che era l’unica parola che era riuscito ad imparare prima di perdere l’udito, adorava l’effetto che faceva sulle sue corde vocali. Per questo si metteva quasi sempre tre dita sulla gola ogni volta che la diceva, per lui era come giocare con un mixer.
Wile aveva trovato la cosa piuttosto infantile, ma non era riuscito, tuttavia, a sentirsi infastidito.
Di norma, qualunque tipo di comportamento stupido, infantile, illogico o anche solo senza uno scopo costruttivo preciso, lo urtava (anche se leggermente). Nel caso di Road, invece, era riuscito a vedere quella sorta di gioco semplicemente come qualcosa di innocente e… simpatico.
Sì, lo aveva trovato simpatico e la cosa lo straniva molto.
Non era cambiata la sua visione del mondo. Le cose irritanti rimanevano tali, semplicemente Road riusciva a non farle sembrare più così irritanti.
Perché quel ragazzino era… era come un sorta di filtro. Tutto ciò che arrivava da lui, che passava attraverso di lui pareva migliore.
Fu ridestato dai propri pensieri da un colpetto sulla nuca. Corrugò le sopracciglia e si voltò.
Si ritrovò davanti Road con un foglio in mano e gli occhi vivaci spalancati.

“Perché non mi hai risposto?”

Recava scritto il foglio.
Wile si trattenne dal ridere. Temeva che Road potesse offendersi. Tirò fuori un foglio spiegazzato dalla tasca e una penna dall’interno della giacca. Oramai era abituato a portarsi dietro qualcosa con cui scrivere, dal momento che non conosceva il linguaggio dei segni e quello era l’unico modo per comunicare con Road.
E Wile ci teneva molto a comunicare con lui.

“Il tuo messaggio mi ha fatto riflettere sulle vibrazioni sonore.”

Disse, riuscendo a far sorridere Road.

*

A questo punto poteva ritenere corretto definire quei momenti in cui attendeva trepidante l’attesa di Road, come agguati. Sperava sempre di sorprenderlo, di comparirgli davanti all’improvviso e bloccargli la strada… ma non ci riusciva mai. Era, anzi, Road a fargli prendere costanti spaventi con quel suo Me! Me! improvviso; altre volte, invece, il giovane correva talmente veloce da non notare neanche la presenza di Wile poggiato sullo stipite della porta, e quest’ultimo rimaneva a guardarlo con gli occhi spalancati mentre si allontanava.
Wile si rendeva conto che quel ragazzino non lo faceva apposta, eppure non poteva fare a meno di sentirsi preso in giro.
Era come se gli fosse impedito di raggiungere lo scopo della sua vita.
Cioè, Wile in realtà aveva molti scopi nella vita. Inventare qualcosa che funzionasse, riuscire a maneggiare oggetti elettrici e non senza finire in ospedale, ricevere la stima meritata, riuscire a vincere in una conversazione con Bugs Bunny (questo punto era totalmente dovuto al suo orgoglio e alla sua inesauribile voglia di rivincita) e altre cose di massima importanza!
Ma con Road era diverso, perché lui gli sfuggiva via dalle dita; e più lo faceva, più Wile lo desiderava.

Sono proprio messo male.

Pensò. Ma la sua razionalità non riusciva a compensare la sua ossessione. Era consapevole del fatto che tutto questo era folle e… quasi – stupido, ma non gl’importava, aveva persino smesso di odiare se stesso… dopo quattro, lunghissime, interminabili, logoranti settimane di colloqui con Bugs, in cui questi non faceva che ripetere “ carino, molto giovane, ma carino”. Wile aveva smesso di odiare se stesso e aveva iniziato ad odiare Bugs. Oltre a questo, gli pareva che il tempo stesse scorrendo per tutti tranne che per lui e Road. Era come se si trovasse in un deserto avvertendo la sola presenza di se stesso e del ragazzino. Dalla loro prima “conversazione” erano passati all’incirca trentasette giorni, e ogni volta che Wile vedeva Road gli sembrava di essere sempre più vicino al… niente.

Non poteva sapere che per Road era tutt’altra cosa. Per lui quel continuo avvicinarsi e allontanarsi, quegli scambi di frasi attraverso dei fogli scritti (ed, occasionalmente, attraverso il labiale e i gesti più comuni ) e quella sorta di gioco che comprendeva il maneggiare oggetti pericolosi senza alcuna ripercussione per poi ripassarli a Wile, erano dimostrazioni di affetto puro. Era consapevole del fatto che probabilmente volevano dire tanto solo per lui (e sapeva anche di essere una persona estremamente semplice) però la cosa lo rendeva abbastanza felice.
Wile era buffo anche se molto intelligente, e non lo annoiava mai, perché gli accadeva sempre qualcosa di nuovo.  Road l’aveva visto una volta nel cortile sul retro che tentava di attirare dei passerotti con del mangime per poi potergli fare delle foto. Gli uccellini erano arrivati, avevano divorato il mangime e aveva svolazzato attorno alla testa di Wile per poi dileguarsi. Ovviamente l’uomo non era riuscito a fare mezza foto. Se per Wile quella non era stata esattamente un bella esperienza, Road l’aveva trovata una cosa curiosa, e lui per natura adorava le cose che suscitavano curiosità.
Era anche per questo che aveva imparato a leggere e a scrivere prima dei cinque anni, ed era per questo che aveva deciso di lavorare come stagista alla ACME. Esisteva un posto più vario e strano di quello?
Bè, forse. Da come gliel’aveva descritta Wile… la casa di quel buffo genio doveva essere un posto davvero interessante.

Aaaah… mi piacerebbe molto vederla.

Avrebbe tanto voluto chiedere a Wile di mostrargliela, ma non era sicuro di poterlo ancora fare. Insomma, è vero che per lui tutto ciò che stava accadendo con Wile era segno di un affetto crescente, ma mancava un segnale importantissimo che lo lasciava un po’ incerto.
Dopo trentasette giorni, Wile non gli aveva ancora restituito l’abbraccio!

*

Gli caddero a terra cinque cose contemporaneamente. Solitamente non accadeva mai, perché aveva imparato a tenersi stretti gli oggetti come se fossero dei figli (farli cadere portava dolore e tanti soldi) ma questa volta fu colto totalmente alla sprovvista. E un frullatore, una trottola di metallo, una coperta elettrica, una pistola finta ( di quelle di scena, che sparano a salve) e una fionda con sopra la faccia di Bart Simpson finirono a terra. Straordinariamente nessuno di quegli oggetti gli cadde sul piedi o appiccò un incendio, ma Wile non ci badò nemmeno.
Dinnanzi a lui c’era Road.
L’uomo coi dread era rimasto basito di fronte a delle parole scritte su un foglio che il ragazzo teneva tra le mani.

“Vorrei vedere casa tua.”

Strano che non avesse aggiunto domande o altri tipi di punteggiatura per abbellire il messaggio (cosa che ultimamente faceva spesso), ma Wile non era preoccupato principalmente di questo.
Era la richiesta a lasciarlo interdetto.

«Cosa? Perché?»

Furono le prime cose che gli vennero in mente. Erano parole semplici, e Road riuscì a capirle leggendogli le labbra.  Rispose prontamente sul retro del foglio.

“Non posso?”

«No!» Road parve deluso, così Wile si corresse «Cioè, non intendevo questo.»

Disse tutto molto lentamente ed accentuando il movimento delle labbra e Road capì. Accolse il mancato rifiuto con un largo sorriso, che però non metteva in mostra i denti. Lui sorrideva sempre in questo modo, con gli occhi sbarrati e lucidi, e le labbra serrate.
Wile prese un blocchetto degli appunti e vi scrisse una risposta con un calligrafia un poco tremante.

“ Perché vuoi vedere casa mia?”

“ Una casa è come il suo proprietario, dicono. Se ti somiglia, sono curioso di vederla.”

Wile si sentì da principio leggermente imbarazzato, ma il suo orgoglio e la sua vanità subentrarono quasi immediatamente e così non poté non gongolare.
Si sistemò la fascia che gli teneva indietro i dread con un gesto volutamente elegante e poi incrociò le braccia.

«Bè, non posso negare di dover apparire interessante, specialmente agli occhi di un ragazzo giovane come te.»

Disse al vento, non accorgendosi del fatto che Road non stava capendo un parola. Ma forse era meglio così, perché stava dicendo quelle cose più a se stesso che al ragazzino.
Si girò verso di lui e, quasi senza pensare, fece un segno affermativo con le dita, unendo l’indice ed il pollice. Road sorrise di nuovo e, frenetico, scrisse sul foglio un orario che potesse andare bene per recarsi da lui e Wile gli diede una rapida occhiata e poi annuì, riuscendo solamente a pensare al complimento che gli era stato fatto, e continuando a gongolare.
Solo quando Road corse via mandando in confusione i corridoi, Wile si rese conto del fatto che casa sua poteva anche essere considerata una trappola mortale, e Road aveva il vizio di toccare ogni cosa.

«… accidenti.»

Passò il resto della giornata lavorativa a pensare a come rendere innocua casa sua.

 

*

 Uscito dall’ufficio aveva percorso la strada più lunga per tornare a casa, così da poter riflettere meglio. Oltre alla preoccupazione per i pericoli che stavano in agguato in ogni angolo della sua casa, pronti a colpire, sentiva anche la profonda ansia che gli aveva procurato realizzare che Road sarebbe andato da lui.
Come avrebbe potuto pensare lucidamente nella sua dimore, da quel momento in poi?
Avrebbe potuto riflettere sulla teoria delle stringhe, sedendosi sul divano dove si era seduto anche Road? Oppure, avrebbe ancora potuto progettare i suoi macchinari, disegnando sul tavolo dove Road aveva poggiato le mani?
Avrebbe formulato un’altra decina di questi pensieri, se non fosse stato bruscamente interrotto da quella che li per li gli era parsa una visione surreale.
Aveva assistito ad uno spettacolo a suo dire patetico.
Senza accorgersene aveva sostato davanti agli studi cinematografici. Se se ne fosse reso conto, di certo si sarebbe allontanato il più presto possibile.

«Daffy! Si può sapere dove stai andando!?»

«Lontano! Ad Alburquerque, magari!»

«Eddai, amico, non sfottere!»

Di fronte ai cancelli aperti con delle guardie ai lati, c’erano Daffy Duck e Bugs Bunny intenti a litigare. Daffy indossava un completo nero e bianco molto elegante, e teneva il farfallino sciolto. Dietro di lui Bugs teneva un abbigliamento decisamente meno usuale di quello del collega, e che saltava decisamente all’occhio.
Era quello di una ballerina di can can. Rosso fuoco, pieno di pizzi, e con un boa di struzzo che gli circondava le spalle e arrivava fino ai polsi, ricadendo dolcemente. Sulla testa aveva una piccola banda argentata, con in cima una piuma rossa e nera, e ai piedi delle scarpe col tacco rosso scuro.
Camminava con passo svelto, creando una sorta di effetto svolazzante per via di tutta la roba che aveva addosso.

«Io questo non lo faccio! Ti scordi che Daffy Duck si umilii così!»

«E’ solo una versione alternativa di Moulin Rouge, Daffy. Non essere così negativo.»

«Ah! Io sarei negativo? Forse tu non ti rendi conto del fatto che ballare con un travestito non è esattamente il massimo per un uomo del mio livello!»

«Oh… allora non ti farà piacere sapere che ho già consigliato il tuo nome per la parodia del Rocky Horror, vero?»

«TU SEI DAVVERO PESSIMO!»

Avrebbe voluto aggiungere altro,  ma si bloccò vedendo Wile che li fissava incredulo e sconcertato.
Daffy si ricompose velocemente, annodandosi anche il farfallino e fece per andarsene. Passando accanto a Bugs fece un gesto di sufficienza con la mano verso Wile.

«C’è il tuo amico pedofilo.»

Una scossa di rabbia e sbigottimento attraversò la testa di Wile, costringendolo a storcere la bocca e serrare i pugni. Daffy di liquidò e Bugs rimase fuori dai cancelli vestito da donna di fronte ad un Wile piuttosto arrabbiato.
Si avvolse nel boa di struzzo e assunse un aria disinteressata.

«Bugs... che cosa hai raccontato a quel pazzoide?»

L’altro fece finta di niente. Girò sui tacchi e si diresse velocemente verso una delle guardie ai cancelli, bisbigliandogli qualcosa all’orecchio. Vista la preoccupazione che aveva letto negli occhi di Bugs, Wile dedusse che probabilmente aveva chiesto alla guardia di non lasciarlo assolutamente avvicinare.
Eppure il principale pensiero dell’uomo non era quello di prendere Bugs a pugni. Nella sua mente si era annidato un tarlo fastidioso,  che Bugs nelle settimane precedenti aveva tentato d’inculcargli solo per divertimento; ma le parole di Daffy erano riuscite a farglielo sentire molto chiaramente, quel tarlo che ora sembrava mordergli la mente.

"Pedofilo!"

Quella parola non gli piaceva per niente. Inoltre, lui non poteva definirsi certo a quel modo!
Era attratto da Road (molto, molto attratto) e dal momento che quest’ultimo aveva diciotto anni compiuti, non poteva assolutamente definirsi un bambino, per tanto Wile non meritava di essere appellato con quel termine disgustoso!
Ma poi perché dava credito alle parole di Daffy Duck? Mai in vita sua gli era importato del parere di qualcuno, men che meno di quello di quell’attore starnazzante.
E allora perché non riusciva a smettere di pensarci? Perché stava prendendo seriamente quella parola?

Perché è qualcosa che riguarda anche Road.

Pensò, e capì di aver centrato il punto.
 

*

Spense tutti gli interruttori che riuscì a scovare, tolse tutte le tessere del domino che si trovavano in testa alle altre (in modo da evitare un’eventuale accensione) e cercò anche di creare un percorso attraverso il salotto. Quest’ultima azione richiese parecchia concentrazione e molti tentativi.
Dopo essere riuscito a rendere la casa sicura almeno in parte, Wile non era riuscito a distrarsi in altro modo.
Stava cominciando a sentirsi… sbagliato. Sentiva che ciò che Road gli aveva chiesto era sbagliato, il fatto che lui avesse accettato era sbagliato… sentirsi così ansioso e (sì) euforico era sbagliato.
Per la prima volta da quando si era reso conto della propria attrazione per Road, aveva realizzato di essersi come umanizzato (cosa piuttosto fastidiosa) e questo gli aveva permesso di avvicinarsi al ragazzino in maniera abbastanza naturale, ma non gli aveva concesso di riflettere a mente lucida su ciò che stava facendo.
Fino a quel momento non aveva mai realmente dato importanza all’età di Road.
Perché avrebbe dovuto? Non aveva certo pianificato di avere a che fare con lui in modo tanto coinvolgente; per lui, inizialmente, quella era stata una semplice fantasia dovuta ad un’animalesca attrazione sessuale che sarebbe rimasta, appunto, una fantasticheria.
Questo era quello che il suo cervello geniale aveva pianificato, ciò che era accaduto in seguito era stata colpa (merito) della parte primitiva del suo encefalo, del tutto fuori dal suo controllo.
E per qualche momento, lo ammetteva, gli era piaciuto dare spazio a quella sua parte primitiva; a Coyote, per così dire. Solo ora si rendeva conto che quella parte di lui si era ridestata per quello che non era nulla di più di un ragazzino.
Il fatto che legalmente fosse un adulto, non lo includeva necessariamente nella categoria. Era innocente, ingenuo, una persona che sorrideva anche guardando fuori dalla finestra, che non esitava ad essere felice e che adorava stare in mezzo alle persone.
Dentro di sé, Road era come un bambino.
Tutto ciò, Wile lo adorava. E per questo, si sentiva in colpa.

*

“Tutto bene?”

Chiese il ragazzino, utilizzando il linguaggio dei segni.
Ultimamente lo faceva, perché Wile aveva insistito, dal momento che si era ripromesso d’impararlo. Non era facile, per niente. Conosceva solo i termini più semplici, e Road lo capiva. Perciò si limitava ad usare quelli di tanto in tanto.

“ Certo che sì.”

Rispose Wile a gesti. Road non sembrò molto convinto. Stava recandosi a casa di Wile, eppure quest’ultimo, per tutto il giorno, si era mostrato abbastanza scostante.
Il ragazzo doveva ammettere con se stesso di esserci rimasto molto male. Gli piacevano le attenzioni di Wile, erano momenti  di allegria e divertimento che spezzavano la noiosa routine quotidiana, ma quel giorno gli erano state negate.
Non poteva sapere che Wile si era trattenuto a stento, logorato da una specie di senso di colpa e da un certa, disgustosa parola; per cui Road si era semplicemente intimorito un po’. Era anche un po’ triste, perché forse quel malumore di Wile era causato dalla consapevolezza della sua imminente visita.
Forse l’uomo aveva accettato senza pensarci, e ora si era reso conto di non volere affatto la sua compagnia.
Si chiuse un poco in se stesso. Wile lo notò quando vide che Road non lo stava più fissando con i grandi occhi neri spalancati.

Nonostante l’inusuale mancanza di dialoghi durante il tragitto, quando Road varcò la soglia della casa di Wile provò l’irrefrenabile impulso di stendergli un elenco di impressioni e domande (quest’ultime anche numerate). Non lo fece solo per timore di infastidire l’altro (era triste avere questo tipo di preoccupazioni verso Wile) ma non poté trattenere una sfilza di: Me! Me! con tre dita poggiate sulla gola.
Osservò rapito le piste di trenini (purtroppo spente) alcune anche appese al soffitto.
Il pavimento era decorato da tessere di domino in posizione verticale (eccetto quella in testa e in coda alla fila) e di piccole macchine a moto perpetuo dalle forme più svariate. Alcune erano fatte con una sequenza di palline, altre erano a forma di delfino, altre di ruote. In quella stanza c’era un movimento costante, e a Road infondeva una certa pace.
Difatti lui era solito mostrarsi irrequieto e correre all’impazzata nei posti meno movimentati o che, secondo lui, necessitavano di una piccola scossa. In ufficio teneva sempre quel tipo di comportamento per questo. Se tutto era immobile e silenzioso sentiva il bisogno di ravvivarlo.
Una delle ragioni che lo avevano spesso portato nell’ufficio di Wile, erano i continui rumori e scoppi, che facevano di quelle quattro muro una posto totalmente diverso dagli altri all’interno dell’edificio. Un posto che gli piaceva molto.
Ovviamente sostava spesso lì anche per le vibrazioni, e constatò che ne riusciva a sentire in quantità anche dentro quella casa. Le sentiva provenire dallo sbattere continuo di quelle palline a moto perpetuo. Probabilmente ciò accadeva perché quest’ultimo poggiava praticamente sulle piastrelle del freddo pavimento. Road si chiese se non fosse stato Wile a costruire quell’affare.
Il ragazzo si girò verso Wile e fece il segno dell’OK con la mano. Si accorse solo dopo che l’altro aveva distolto lo sguardo.
A quel punto Road si sentì un poco offeso, ma più di tutto si sentiva triste. Ripensò con ansia a quanti giorni erano passati da quando aveva abbracciato Wile. Ne contò quarantacinque.
E in quel lasso di tempo Wile non solo non gli aveva restituito l’abbraccio… ma forse si era anche stancato di lui.
A quel pensiero, Road ebbe una sorta di brivido. Sapeva di essere abbastanza infantile da quel punto di vista, ma non gli piaceva che venissero a mancargli attenzione e affetto, e odiava che qualcuno ce l’avesse con lui. Aveva provato questa sensazione quando i suoi colleghi gli avevano raccontato quelle bugie su Wile, e quando era accaduto quello strano episodio nel suo ufficio. Solo che era stato diverso all’ora. Era convinto che Wile fosse in torto e, anche se gli era dispiaciuto, si era imposto di mostrare il suo disappunto e non rivolgergli più la parola.
Ora, invece, aveva la sensazione di aver fatto lui qualcosa di sbagliato.
Non aveva idea di che cosa avesse fatto, però. E come poteva, se Wile non gli diceva nulla!? Quest’ultimo si era appena seduto sul divano. Pareva pensieroso e distaccato, si teneva la testa tra le mani e si mordeva le labbra.

«… me

Fu ignorato. Non sapeva se volutamente o meno, ma la cosa lo ferì lo stesso. Non poteva sapere che ciò che stava accadendo non era colpa sua, che Wile era si sentiva tremendamente in colpa per averlo portato lì, per avergli permesso di entrare in una sorta di “intimità” con lui, e che in quel momento si stava sentendo un vero schifo. Road non poteva saperlo, per questo si rattristò tanto quando quel suono, che aveva sempre destato l’altro dai propri pensieri per concentrarsi su di lui, non ebbe effetto.
Senza che Wile se ne accorgesse, Road si ritirò in cucina con le braccia rigide lungo i fianchi.
L’altro stava ancora riflettendo, ed iniziò anche a pronunciare le parole ad alta voce senza accorgersene (non che importasse, dal momento che Road non poteva sentirlo).

«Perché l’ho portato qui? Sto impazzendo, mi sembra quasi di averlo rapito. Ah, no! Sciocchezze, non è così! E’ lui che è voluto venire… quindi si tratta di corruzione? Non in senso legale, certo, però mi sento come se mi dovesse entrare una giuria in casa. E’ colpa del consorzio umano e di tutti i suoi cavilli! Avrei dovuto starne lontano. Mhpf… come se potessi decidere da me. Murphy ha già decretato lo sviluppo e le conseguenze del mio vivere quotidia…!»

Non finì la frase. Vide uno dei trenini elettrici iniziare a muoversi, producendo dei piccoli sbuffi. Subito dopo di lui iniziarono le macchinine, e poi ancora i trenini appesi al soffitto.
Wile sbarrò gli occhi e si issò in piedi.
Nello stesso momento video Road sbucare dalla cucina e osservare i trenini con aria estasiata.

Cucina?

Si avvicinò alla porta aperta e vide le prese che aveva accuratamente scollegato tutte infilate nella presa principale. Aveva ritenuto che avrebbe risparmiato tempo scollegando la corrente piuttosto che spegnere gli interruttori uno per uno.
Inoltre aveva riposto un post – it vicino ad esse dove aveva scritto riattaccare! Non era un invito, ne un promemoria. Era una sua abitudine anche quella. Su alcuna bottiglie vuote c’era la scritta riempire, sul cestino della spazzatura buttare e sul mobile dello scolapiatti riporre.
Lui sapeva che quelli non erano inviti, Road no. Quindi il ragazzino aveva messo in moto quella specie di campo minato.
Si fece strada tra le tessere di domino, facendone inavvertitamente cadere un fila, il che fece venire i brividi a Wile. Road allungò una mano verso la ferrovia appesa al soffitta, che sprizzava alcune leggere scintille.
Il ragazzino non pareva preoccupato, infatti non gli accadde nulla.

Se li ci fossi stato io, avrei preso fuoco.

Pensò Wile, che era ancora irrigidito dal terrore che il ragazzino potesse provocare una sorta di apocalisse in casa sua. Le tessere di domino che aveva fatto cadere non avrebbero dovuto azionare nulla, invece l’ultima a cadere riuscì a spostare la tessera già a terra, facendole spingere una pallina d’acciaio che iniziò il suo percorso su una pista di biglie di cui Wile aveva dimenticato lo scopo.
L’uomo passò attraverso le piste e le altre tessere, andando vicino a Road.
Dopo accadde tutto piuttosto in fretta. Il percorso della pista di biglie si incrociò con quello di uno dei trenini (quello che sprizzava scintille) e la biglia cambiò il percorso della ferrovia, che si diresse non più verso la rotonda che lo avrebbe riportato indietro, ma verso una reticella ricolma di fuochi d’artificio.

Oh… ora ricordo. Questa l’ho progettata dopo la notte di capodanno, dopo aver visto un documentario sui fuochi d’artificio cinesi e il film Assassinio sull’Orient Express.

Si riprese dal quel ricordo oramai inutile. Road guardava con gli occhi sbarrati e le labbra serrate i fuochi, la cui miccia era ormai esaurita. Wile agì senza pensare.
Mise entrambe la mani sulla testa di Road, costringendolo ad abbassarsi, e poi se le portò alla faccia, come per ripararsi dall’esplosione… che non avvenne.
Dopo qualche secondo aprì gli occhi e guardò in alto. Le micce erano ancora fumanti, ma spente del tutto. Road era chinato vicino a lui, e lo guardava con curiosità.
Wile rimase basito. Da sempre, anche le azioni più semplici avevano avuto su di lui ripercussioni non indifferenti, che a volte lo avevano costretto alla convalescenza. Ora, invece, aveva praticamente sfidato apertamente la sorte, e non gli era accaduto nulla.

Perché?

Si chiese. Fece passare lo sguardo da Road ai fuochi un paio di volte. Quei cosi erano esattamente sulla sua traiettoria, se fossero esplosi il ragazzo sarebbe stato il primo a subirne le conseguenze

«Tu…» iniziò senza sapere cosa dire dopo.

«Me?»  Sì, tu! Gli venne da rispondere, ma sorrise solamente.

Non sapeva come fosse possibile. Andava contro tutto ciò in cui aveva sempre creduto, a cui pensava di essere “condannato”. Ciononostante non poté non pensarlo ed essere convinto che fosse reale: Road aveva annullato, per quella volta, il suo magnetismo murphologico.
A quel ragazzo non era capitato mai nulla quando aveva maneggiato gli oggetti pericolosi che Wile stava esaminando. Questo perché (dedusse Wile) a Road non poteva capitare nulla!
L’uomo ricordò quando Road gli aveva chiesto di vedere casa sua. Gli erano caduti contemporaneamente cinque oggetti pericolosi, e nessuno di essi lo aveva ferito. Quando ciò era accaduto, Road era molto vicino a lui. Probabilmente non era successo niente perché altrimenti sarebbe stato coinvolto anche il ragazzo, e questo non poteva verificarsi.
Quel ragazzino era… l’anti –Murphy, sì. E ciò spiegava perché era riuscito ad agire anche su di lui.
Il simbolo negativo batteva quello positivo. Wile attirava a se la legge di Murphy, ma Road la respingeva; e quando gli era vicino faceva sì di tenere al sicuro anche Wile.
L’uomo guardò negli occhi il ragazzo, specchiandosi al loro interno. Si sentiva tremare da capo a piedi, sia per il pericolo appena scampato, sia per il fatto che Road gli era vicinissimo, rannicchiato accanto a lui, appoggiato alla sua spalla.
La mente di Wile si svuotò.
Dentro di lui rimase unicamente una profonda gratitudine per quel ragazzo. Si sentiva come se gli avesse appena salvato la vita. Per questo lo abbracciò, circondandogli le spalle con le braccia e attirandolo a sé.
Sentì una strana sensazione. Come su il suo cuore (non in senso emotivo, intendeva proprio il suo muscolo cardiaco) si colmasse di una sostanza calda quasi bruciante, che lo rese più reale. Lo sentì battere nel petto, nelle vene del collo e anche nelle proprie orecchie.
Era qualcosa che aveva già sperimentato in passato, ma non riusciva a fare collegamenti.
L’odore del gel per capelli di Road gli impregnò le narici. Abbinò quell’odore alla vittoria, come a dirsi: Perché ci ho messo così tanto?
Un sorriso soddisfatto gli affiorò sulle labbra.
Road, invece sorrise aprendo la bocca. Wile poté sentire il rumore dell’aria che gli riempiva i polmoni.
Al contrario di Wile, il ragazzo non fece pensieri complicati, non analizzò le proprie sensazioni o emozioni. Pensò solamente: Che bello! Non è arrabbiato con me!
E si sentì felice.
Ricambiò l’abbraccio. Erano dovuto passare quarantacinque giorni prima che lo potesse fare, ma in quel momento non gl’importò.
Certo, l’abbraccio stava durando un po’ più a lungo di quanto non si fosse aspettato, ma gli andava più che bene!
Quel contatto fisico fu una manna dal cielo per Wile. Abbracciandolo, si rese conto di quanto Road non fosse per nulla piccolo o gracile. Constatò la larghezza delle sue spalle, notò la linea dei muscoli delle braccia, persino un sottile velo di barba ai lati del viso; e la decisione con cui Road lo stringeva a sua volta.
Si rese conto di non avere tra le braccia un bambino, ne un ragazzino, ma un uomo (un giovane uomo).
Nella sua mente ci fu l’idillio totale ( e mandò anche a quel paese Daffy Duck ).
Con riluttanza sciolse lentamente l’abbraccio. Era come se temesse che Road gli sgusciasse via dalle mani, come aveva fatto fino a quel momento.
Lo allontanò da sé, ma gli mise entrambe le mani sulle spalle. Road sorrideva ancora.
Si guardarono negli occhi. Non assorti o emozionati, semplicemente incantati, come se qualcuno avesse premuto il tasto pausa.
Wile lo fissò come se stesse decidendo sul da farsi. Ed era esattamente questo che stava facendo.
Dopo giorni che gli erano sembrati anni, era lì con Road vicino, e lui gli sorrideva, come se fosse appena accaduta una cosa tanto attesa quanto inaspettata, tanto bella quanto semplice.
L’uomo pensò:

Okay, geniaccio. Volevi tanto che ciò accadesse. Ora cosa intendi fare?

«Che faccio?»

Disse ad alta voce. Road gli guardò le labbra e capì, ma non gl’importò più di tanto.
Osservandolo meglio, Wile vide che Road stava come tremando. Ma non erano brividi di freddo o paura, era come se fosse carico di energia.

«Me

 

*

 « E poi cos’è successo?» Chiese Bugs con interesse.

Si stupiva del fatto che Wile lo facesse ancora entrare in casa sua, che la sua rabbia per ciò che aveva raccontato a Daffy fosse sbollita così presto. Dovette dedurre che l’uomo era semplicemente troppo felice per rimanere arrabbiato.

«… mi è saltato addosso e ha iniziato ad abbracciarmi e baciarmi sulle guance. E’ durato qualche secondo e poi si è alzato velocemente e ha scritto su un foglio Non sei arrabbiato con me! Non sei arrabbiato con me! per circa una ventina di volte.»

Lo disse con aria stranita ma anche sognante. Bugs non poteva immaginare come si fosse sentito a ricevere dei baci sulla guancia da quel ragazzo.

«Ma è adorabile! Così carino, giovane e…»

«Fuori da casa mia.»

Non lo disse con cattiveria o rabbia. Era davvero troppo felice. Oh, c’era tutto il tempo perché fosse di nuovo arrabbiato o triste, ma era anche questo che rendeva quel momento di felicità qualcosa di speciale. Murphy aveva decretato per lui una vita all’insegna della negatività e dei fallimenti. Wile non aveva mai preso in considerazione l’ipotesi che questi avvenimenti servissero a far sembrare di dieci volte migliori i piccoli episodi felici che si sarebbero verificati tra gli uni e gli altri.
Per la prima volta in vita sua fu contento di appartenere al club Murphy. Perché Road apparteneva a quello anti – Murphy, e le stanze in cui avvenivano i loro raduni erano state sistemate l’una accanto all’altra.

 

FINE

 
Per questo finale avreste, in teoria, il pieno diritto di uccidermi. Ehi! Ho scritto la One Shot più lunga della mia vita senza metterci dentro una “scena d’amore” fisica.
Questo perché in questa ff Wile e Road si erano appena conosciuti, e questo ha posto dei limiti ferrei (questi limiti esistono anche per gli altri? Non ne ho idea, non m’interessa saperlo), molto più facile è stato sviluppare quel genere di scene nelle altre mie FF, dove i personaggi si conoscono da anni.
Queste Note dell’autrice sono abbastanza deliranti. Non fatemene una colpa. Mi sembra di stare scrivendo questa storia da un secolo, e mi piace anche se avrei voluto fare di più. Ho cercato di alternare lo scrivere allo studio, e non è stato facilissimo, poiché la cui presente quest’anno ha deciso di impegnarsi seriamente a costo di studiare anche nella vasca da bagno. Altro delirio, devo smetterla.
Vi ringrazio per essere arrivati/e alla fine di questa storia, e i miei “grazie” aumentano nel caso in cui l’abbiate apprezzata e decidiate di farmelo sapere. Credo sia la FF che mi ha spremuto di più le meningi in assoluto, nonostante dal punto di vista del plot narrativo non accada poi questo granché.

p.s. FINE non è una parola così definitiva. E' assai probabile che farò un continuo di questa FF, o che immetterò i dettagli della loro relazione nella Silvestro x Tweety.

  

Note:

Il titolo: Sono i nomi latini attribuiti ai due protagonisti nel primo episodio della loro serie. Ovviamente sono ironici.

aveva iniziato a passare ogni mattina a raccogliere toast imburrati dal tappeto:  Ispirata a questo assioma « La probabilità che una fetta di pane imburrata cada dalla parte del burro verso il basso su un tappeto nuovo è proporzionale al valore di quel tappeto. »

ACME: E’ un’azienda immaginaria dell’universo dei cartoni Warner, principalmente Looney Tunes. Appare soprattutto come fornitrice di vari oggetti a Wile E. Coyote nel cartone animato con protagonisti lui e Road Runner. L’azienda non si occupa di un prodotto specifico, ma vende diversi oggetti, e hanno tutti la tendenza a funzionare male o a non funzionare per nulla.

Elmer J. Fudd: Conosciuto in Italia come Taddeo. Compare nei cartoni in compagnia di Bugs Bunny e a volte di Daffy Duck, ed essendo un cacciatore il suo scopo è quello di catturarli e ucciderli, non riuscendoci mai. Tuttavia è precisato che Elmer è vegetariano, e pratica la caccia solo come sport.

Dai fumetti dei Looney Tunes, emerge che è lui il proprietario della ACME. Elmer, infatti, è milionario.

Ford: Una casa automobilistica statunitense famosa in tutto il mondo. Nel 1968, le 187 donne che vi lavoravano in condizioni precarie diedero vita al primo sciopero femminile, in cui si richiedeva la cessazione della discriminazione sessuale e si pretendeva la parità di retribuzione. Lo sciopero attirò l’attenzione sia dei sindacati che della comunità, e portò successivamente al compimento dei propositi di quelle 187 donne.

Wile E. Coyote, super scemo:  In un episodio dei Looney Tunes (in cui i protagonisti sono Wile e Bugs) si apprende che Wile è solito presentarsi con dei biglietti da visita con scritto Wile E. Coyote, genio, ed egli stesso si definisce con appellativi come “genio” o “super genio”. Alla fine dell’episodio, dopo aver subito la sconfitta da parte di Bugs, Wile si riferisce a se stesso come: Wile E. Coyote… super scemo. Mi attengo al doppiaggio italiano.

Geococcyx californianus: Noto più comunemente come roadrunner (corridore della strada) è una specie di uccello che si trova principalmente sul suolo californiano. E’ della razza a cui appartiene il personaggio di Beep Beep ( o meglio, Road Runner!).

Esperienza di caccia di Wile: Quell’episodio è ispirato a questo assioma «Non è vero che: non tutto il male viene per nuocere; non solo, ma anche il bene, qualora si manifestasse, viene per nuocere.»

E adesso? : Nella serie animata, in quello che sembra essere l’ultimo episodio, Wile riesce a catturare Road, che però è divenuto un gigante. Dunque il coyote si rivolge al pubblico sollevando dei cartelli che recano le scritte “Okay, wise guy, you always wanted me to catch him. Now what do i do?” ovvero “Okay, sapientoni, avete sempre voluto che lo prendessi. Ora cosa devo fare?”

Me!Me!: Vi pregherei di leggere questa parola pronunciata da Road come se fosse in inglese (ovvero MI) poiché è un'imitazione del verso di Road. Infatti, se in Italia siamo convinti che il suono sia Beep Beep, gli americani (e io) dicono che sia Meeph Meeph..

Road Runner: E’ il vero nome di Beep Beep (mi rifiuto di chiamarlo così!)

con tanto di blazer marrone con le toppe sui gomiti: Nel mondo della TV e dei libri è sovente trovare questo caratteristico abbigliamento addosso ad un professore universitario. Presumo sia nato in Inghilterra, dove non è difficile trovare uomini con le giacche rattoppate, anche in vesti professionali.

Effetto Doppler: Cercherò di essere concisa. L’Effetto Doppler è quello che fa sì che, ad esempio, una motocicletta faccia un tipo di rumore quando si avvicina, ma un altro quando si allontana. Se volete chiarimenti più specifici, andate su Wikipedia.

Ehm… che succede amico? : Frase tormentone di Bugs Bunny “What’s up doc?”

Se tu non avessi una voce così sexy… : Ehm… questo è un mio pensiero. Mi piace la voce di Wile.

Non sono stato mai così mortificato in tutta la mia carriera! : In Daffy Duck Amuck, del 1953, Daffy urla questa frase dopo essere stato beffeggiato dal disegnatore del suo cartone. Anche se la frase in originale è diversa, ho voluto utilizzare quella italiana poiché sono molto affezionata a quell’episodio ed al suo doppiaggio.

Dread: Un tipo di capigliatura originariamente di natura religiosa ma che al giorno d’oggi è diffusa soprattutto per moda. Consiste nella divisione dei capelli in ciocche che poi vengono come ricamate su se stesse. Per un maggiore chiarimento potete trovare tranquillamente le immagini su Google. Solitamente si portano lunghi, ma nella mia FF Wile gli ha corti.

 Daffy che taglia i capelli a Bugs: In un episodio del Looney Tunes Show si vede Daffy intento a vestire e pettinare Bugs come una donna. Siccome con i capelli mi sembrava particolarmente a suo agio, ho voluto inserire questo particolare nella FF.

Pallina da golf con una vite affiancata: In inglese Screw (Vite) + Ball (Palla) = Screwball (Svitata) e di solito si riferisce al tipo di comicità dei cartoni, basata sull'assurdo, ma in questo caso Wile la associa alla situazione assurda. Nei Looney compare spesso questo simbolo.

Quei vestiti? Sì, quei vestiti: Mi riferisco ai vestiti da donna. Bugs ha una passione piuttosto evidente per il Crossdressing ( che consiste nell’indossare abiti solitamente associati al sesso opposto).

Daffy Duck e Bugs Bunny: I particolari di questi due personaggi in versione umanizzata non appartengono a me, ma a Setsuka. Oramai per me esistono solamente a quel modo, non riesco ad immaginarmeli diversamente. Anche se le nostre FF sono in due dimensioni diverse, considero Bugs e Daffy una sorta di punto d’incontro. Se non avete letto le FF di Setsuka… fatelo immediatamente.

Elmer che insegue Bugs: Un semplice riferimento al cartone originale.

Bugs che bacia Wile: Bugs è solito, nel cartone originale, dare baci a stampo volutamente provocatori ai personaggi di sesso maschile.

… gli ricordava una branca della zoologia: Mi riferisco all’ornitologia, lo studio e la classificazione degli uccelli.

…osservandolo come se qualcosa fosse andato storto: Ispirato a questo assioma «Se tutto è andato bene, evidentemente qualcosa non ha funzionato.»

Morfeo: Figura della mitologia greca, figlio di Ipno e Notte. E’ solitamente inteso come la divinità dei sogni e “essere accolti tra le braccia di Morfeo” è un detto comune che significa “ addormentarsi” o comunque “sognare”.

Bugs che conversa con Wile senza che quest’ultimo se ne accorga: E’ accaduto in alcuni episodi.

Wile che continua a non accorgersi di Bugs che gli risponde e di pensare ad alta voce: Ispirato a questo assioma «Le esperienze fallimentari passate non rendono più saggi e accorti, solamente più rintronati. »

Lolita: Romanzo di Vladimir Nabokov che racconta la passione di un uomo oramai più che maturo per una ragazzina dodicenne (Lolita, appunto). Lolita è diventato un termine per definire le ragazzine dall’aspetto provocante che suscitano desiderio sessuale anche in uomini maturi. Moi Lolita è una canzone della cantante francese Alizée, che parla, appunto, di una Lolita.

Cinque cose che cadono contemporaneamente: Ispirata a questo assioma < Quando piove, diluvia. >

Bart Simpson: Famoso personaggio della serie televisiva I Simpson.

Teoria delle stringhe: Teoria che cerca di conciliare la meccanica quantistica con la relatività generale. Tenta di essere una teoria del tutto, ovvero si occupa della materia, dell’energia e dello spazio, cercando di spiegarne in un certo senso la struttura.

Alburquerque: Uno sketch ricorrente di Bugs Bunny è quello di sbucare da terra trovandosi in un luogo sconosciuto ed esclamando “Lo sapevo che avrei dovuto svoltare a sinistra per Alburquerque!”. Daffy quindi, con quella battuta, lo prende in giro.

Moulin Rouge: Un film musical del 2001 diretto da Baz Luhrmann.

Rocky Horror Picture Show: Spettacolo teatrale da cui è stato tratto un film nel 1975. Il protagonista è il dottor Frank – N- Furter (interpretato da Tim Curry) un travestito bisessuale e dalla vita sessuale molto movimentata.

Tu sei davvero pessimo! : Se avete letto la FF di Setsuka dovreste saperlo. Ad ogni modo, Daffy è solito dire a Bugs “You are despicable.”, che può essere tradotto con “Sei pessimo.”

Quarantacinque giorni: 45 è il numero di corti da cui è composta la serie di Road Runner e Wile E. Coyote.

E’ colpa del consorzio umano: Ispirata a questo assioma “Tutto è perfetto, tranne il consorzio umano”.

Assassinio sull’Orient Express: è un film del 1974 diretto da Sidney Lumet, tratto dall'omonimo romanzo di Agatha Christie.

Okay, geniaccio. Volevi tanto che ciò accadesse. Ora cosa intendi fare?: Anche questo è un richiamo all’ultima puntata sopra citato

Baci Mattie.

  
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > Looney Tunes / Vai alla pagina dell'autore: Mattie Leland