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Autore: Djali    12/09/2006    7 recensioni
...Sai cosa vorrei? Vorrei avere avuto un padre... come te.
Genere: Drammatico, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La sua voce si solleva nitida e imperiosa sul fragore delle risa dei pirati, modulata nell'antico grido di battaglia, che ci scuote, ci chiama al nostro novere, al suo fianco. Stringo la cima fra le mani e fra le ginocchia, e mentre la sua superficie ruvida mi arrossa i palmi, sento la mia voce unirsi alle altre, un coro di voci giovani e agguerrite che ruggiscono sotto il sole, un'unica voce tonante per la vittoria.

- Bungerung! - ripetuto uno, dieci, cento volte. Io sono il primo a lanciarmi oltre il parapetto della nave, sospeso sull'abisso, e ad atterrare con fragore sul ponte affollato di pirati. L'orda di Bambini Sperduti mi segue, impetuosa come un onda di tempesta, inesorabile nelle sue armature di canne variopinte. Il nostro arrivo sorprende i pirati, che si lasciano sfuggire la rete che imprigiona Peter. Sguaino la spada appena poggio i piedi sul ponte scricchiolante e trafiggo il primo nemico che mi si para davanti in pochi secondi, così che alzando la testa dopo l'affondo fatale posso vedere il Pan che si libra in alto nella sua calzamaglia verde come la speranza, alto sopra le nostre teste, con la spada lucente che punta al sole. Mi lancio in avanti, fendendo i ranghi dei pirati come se fossero canne secche in balia del vento ululante nella tempesta. La mia spada saetta implacabile, si abbatte su chi si pone sul mio cammino senza mai mancare un colpo. Si tuffa nel torace degli avversari e, guizzante come un serpente d’argento, ne scivola di nuovo fuori sibilando, seguita da un getto di sangue che mi scorre sulle dita caldo e infernale. Passo il peso da un piede all'altro, agile e sfuggente come un lupo. Non avverto neppure il lieve rollio della nave sotto i piedi. Sento solo le urla, lo stridio del ferro contro il ferro, lo scrosciare delle onde quando un corpo cade oltre la balaustra. Sento l'adrenalina che mi tende ogni muscolo, mi eccita il sangue, pompandolo attraverso il cuore tanto veloce che mi pare di sentirne il ronzio nelle orecchie. Sento che sono infallibile e che nessun nemico al mondo potrà stroncarmi. Io sono Rufio, e il mio ululato sovrasta l'urlo del mare in tempesta, le strida delle spade che danzano, le voci roche dei pirati e quelle ancora bianche dei miei compagni. Mi circondo dei lampi gelidi che la mia spada baciata dal sole lascia dietro ogni suo movimento come una scia di morte. Il guscio di movimenti fulminei mi protegge anche dall’affondo più ardito, e non c’è pirata che possa guardarmi dritto negli occhi e sopravvivere un altro minuto.

I miei sensi sono acuiti dall’eccitazione del pericolo, dall’odore del sangue, dal sibilo delle armi. Sento una presenza alle mie spalle e mi volto di scatto, con un colpo di taglio che avrebbe mozzato la testa al più accorto dei pirati. Ma è Peter quello che mi trovo davanti, ed è abbastanza preparato (o fortunato) da parare il mio attacco. L’occhiata che ci scambiamo è fuggevole, dura un secondo soltanto, forse persino di meno. Ma è pregna di una complicità, di un affetto e di una comprensione che solo due come noi possono provare. Così diversi eppure così intimamente simili, così indissolubilmente legati dallo stesso filo. Ci stringiamo la mano sinistra e in un secondo siamo schiena contro schiena, l’uno a parare le spalle dell’altro. Le nostre voci scaturiscono dalle nostre gole prorompenti come due fiumi, e senza difficoltà sovrastano il fragore circostante mentre lanciamo i nostri urli di guerra. Un gallo e un lupo che combattono l’uno al fianco dell’altro, e condividono più di quanto sembrerebbe possibile. Opposti e identici. La battaglia ci allontana, e ognuno riprende i suoi combattimenti solitari, ma restiamo animati dalla stessa forza, illuminati dalla stessa luce abbagliante.

Abbatto i nemici quasi senza sforzo. L’adrenalina e l’eccitazione cedono piano il posto all’arroganza e alla presunzione. Nessuno di questi pagliacci è rapido e letale quanto me, e tanto mi basta perché io mi sopravvaluti. Non ha senso sprecare il mio talento con questi pavidi monumenti all’inettitudine. Io sono Rufio, sono imbattibile… e su questa nave è solo uno l’avversario degno di me, l’unico degno della mia attenzione. Trapasso la gola del mio sfortunato avversario e volto immediatamente le spalle al suo corpo ancora in preda agli spasmi della morte. Mi dirigo verso il cassero, roteando la spada. Scavalco un corpo abbandonato sul ponte unto di sangue con noncuranza, come se fosse un tronco abbattuto da un fulmine. Un uomo orbo mi si para davanti, ma neppure lo guardo bene in viso prima di trapassargli il petto con la mia lama. Assecondo la caduta all'indietro del suo corpo inerte liberandomi la lama dalla sua carne di sporco e incapace pesce piccolo. Non ho tempo da perdere. Avanzo ancora e poso un piede sulla scala di legno che porta al cassero sopraelevato. Ora è solo Uncino che voglio.

-Uncino!- tuono perché mi senta al di sopra del risonante marasma che ci circonda. E lui distoglie lo sguardo dalla battaglia per abbassarlo su di me. Delicatamente sfila la spada la fodero mentre fa un passo verso di me.

-Ru… fi… oh…- sussurra in una sarcastica imitazione degli incitamenti con cui i miei compagni amano incoraggiarmi durante le mie acrobazie. Sorrido e avanzo, per nulla intimorito, per nulla irritato. Il mio nome sulle sue labbra blasfeme è quanto basta per accendere fino all’ultima fibra del mio corpo. Ogni nervo è teso al massimo, ogni goccia di sangue bolle come lava incandescente. Un lampo verde intenso si para fra me e Uncino e constatare che si tratta di Peter mi lascia interdetto.

-Il vecchio pirata è mio!- esclama tendendo la spada. Ma da qualche parte sopra il combattimento che impazza, una vocina dolce e spaventata lo chiama… io non la distinguo dalle altre, né la reputo degna di particolare attenzione. Ma Peter si volta verso di essa, con gli occhi illuminati da una luce che per me è sconosciuta eppure così crudelmente desiderata… Peter vola via, dimentico di ogni altra cosa. La punta della spada di Uncino descrive dei piccoli cerchi nell’aria, mentre la sua cantilena sfacciata torna a farmi sorridere.

-Ru… fi… oh…-

Il duello divampa in un secondo. Non c’è riscaldamento, non ci sono giochetti o stratagemmi per conoscere l’avversario con Uncino. C’è solo la furia omicida del duello all’ultimo sangue e il bisogno disperato di uccidere per non essere uccisi. I miei tendini sono tesi come le corde di uno strumento, e i miei arti scattano come quelli di un animale temprato da lunghe notti di caccia. Uncino è vecchio, ma molto più agile di quanto sospettassi. Mi disarma e io scarto di lato per recuperare la spada. Scivolo in ginocchio sul ponte e afferro l’elsa intarsiata di filigrana dorata. Lancio un colpo alla cieca per riprendere fiato e Uncino arretra di qualche centimetro, sorpreso più che spaventato. Il mio gesto disperato ha tradito la mia difficoltà, e Uncino sa che è il momento buono per farmi cedere. Sorprendentemente riesco a immobilizzare la sua lama contro il ponte.

-Carino carino ho preso Uncino!- lo schernisco con un sorriso. Vedo l’irritazione velargli gli occhi e sento la sua rabbia vibrare nella mia spada e lungo le mie braccia quando paro con entrambe le mani un fendente che mi tira dall’alto. Non faccio in tempo a rialzare la guardia all’altezza del petto. La sua lama, rapida e inaspettata come uno schizzo d’acqua mi trapassa il petto. Quell’istante si congela e mi sembra eterno. Siamo immobili su quel ponte, e immobili mi sembrano tutti intorno a noi. Sento la voce di Peter urlare qualcosa alle mie spalle, e il tuo tono è spaventato come non l’ho mai sentito. Sento la lama di Uncino fra le mie costole, e il dolore è così intenso che mi sembra di non avvertirlo neppure. Sento il sangue sgorgare dalla ferita, e mi sorprendo nel sentirlo caldo e denso come quello dei pirati che ho ucciso e che ancora mi unge fino agli avambracci. Le mie mani, improvvisamente inermi, lasciano cadere la spada sul ponte con un tintinnio disperato. Uncino sfila la spada dal mio corpo e io, senza più un sostegno, cado all’indietro sul ponte. Sento le mani calde di Peter che proteggono il mio capo e la mia schiena dall’impatto con il ponte, e strizzando gli occhi attraverso il dolore che mi annebbia la vista riesco a vedere la sua espressione addolorata, incredula, sconvolta.

All’improvviso, sento una marea di emozioni vibrarmi nel torace. Mille immagini mi compaiono davanti agli occhi. Confuse e diluite come ricordi sbiaditi, ma allo stesso tempo così vivide che mi trafiggono l’anima con le loro dita arroventate.

Sono di nuovo un bambino. Non ho neppure cinque anni ancora. Sono seduto su uno scranno traballante, con i piedini nei sandali logori che sfiorano appena il pavimento sudicio. Tengo le manine tremanti premute sulle orecchie, ma non basta per non sentire. Sento lo schianto di qualcosa che va in frantumi, e il cuore mi balza nella gola. Il sudore gelido mi scivola lungo la schiena, e non so se rabbrividisco per questo o per le urla agghiaccianti che sento oltre la porta. Un colpo secco e tagliente, e mi ritrovo a serrare la mascella così forte che i denti scricchiolano, minacciando di spezzarsi. Sento un corpo che cade a terra, urtando qualcosa, probabilmente una sedia, che cade anch’essa fragorosamente. Scuoto la testa, non voglio sentire, non posso agire. Le lacrime mi rigano il viso e mi scivolano fino nella bocca, socchiusa fra i singhiozzi. Oscillo avanti e indietro sullo scanno scomodo, impotente, certo che impazzirò se le grida nell’altra stanza non finiranno. Imploro a mezza voce che la smettano, supplico perché quello strazio finisca, ma i colpi continuano a susseguirsi, e gli strilli della donna sono sempre più deboli e disperati. Balzo giù dallo sgabello e mi avvento porta, alzandomi in punta di piedi per afferrare la maniglia. Mi precipito come un lampo nella stanza attigua, e lo spettacolo già visto cento volte mi attraversa il cervello come una scarica di dolore puro, gelandomi la voce nella gola. Mia madre è caduta a terra, con il viso pallido e malaticcio piegato in una smorfia di supplica e di dolore. Il labbro inferiore è spaccato e un rivolo di sangue le cola sul collo. Metà del viso è rossa e tesa, una palpebra bluastra abbassata su un’iride opaca. Le mani tremano come foglie squassate dal vento, e sono tese davanti al viso in un disperato segno di resa o forse di difesa. Sopra di lei torreggia la sagoma oscura che da sempre avvelena i miei giorni e turba i miei sogni, che mi infonde la paura nel sangue, che mi paralizza la lingua in bocca. Ha un viso squadrato, dalla barba nera ispida, il naso aquilino… così diverso da quello dolce e orientale che mi ha donato mia madre. I suoi occhi spietati fissano i miei, e mi infondono un terrore paralizzante che ormai si è abituato a leggere sul mio viso. Ma oggi non intendo sopportare. Mi lascio cadere in ginocchio accanto a mia madre e le sfioro il viso con due dita. Lei prova a parlarmi ma dalle sue labbra scaturiscono solo qualche catarroso colpo di tosse e un fiotto rosato di sangue.

-Lasciala stare, non vedi che sta male?- grido, incapace di trattenermi ancora. Mia madre, in preda ad un altro attacco di tosse, mi stringe convulsamente la spalla, mi supplica tacitamente di restare zitto. Ma io non intendo restare zitto, non intendo più. Le lacrime continuano a inondarmi il viso alla vista di mia madre che, in preda ai soliti dolori della malattia, di recente ancora più acuti, si contorce, sputacchiando sangue sulle piastrelle scheggiate. Non piango perché ho paura. Non ho più paura. Sento solo rabbia, rabbia folle, mentre mio padre mi solleva da terra tenendomi per il collo e mi scaglia lontano. Cado sulle schegge taglienti del piatto che è andato in frantumi prima. Mi trapassano la t-shirt bianca e incidono sulla mia schiena cicatrici che non se ne andranno mai più. Che proverò a dimenticare senza riuscirvi completamente. Proprio come quelle altre cicatrici, quelle più profonde, più dolorose, quella che mi straziano l’anima. E non sento il dolore delle percosse sul viso, sento solo dolore e rabbia. Come puoi odiarmi tanto?

Mille altre immagini seguono questa. Tutte pregne di uguale rabbia, di uguale dolore. Ed è sempre la stessa persona che mi prendeva il cuore e lo stritolava senza pietà. Rivedo tutti i giorni uguali a quello che ho appena rivissuto. Rivedo mia madre e la sua malattia, e il pomeriggio in cui non sono più riuscito a farle sollevare la testa dal cuscino sporco di sangue. Rivedo l’ombra scura che ho provato a contrastare senza poterlo fare, che mi ha costretta alla fuga. Vedo finalmente un gentile luccichio di fata venuto a portarmi via, via dall’uomo a cui più di ogni altro avrei dovuto assomigliare ma che, per grazia di Dio, non mi aveva lasciato neppure il colore dei capelli. E poi un’altra immagine, più nuova, più luminosa… Lo sguardo di Peter, che abbandona il duello della sua vita per correre in soccorso della sua bambina che piange spaventata, con una luce negli occhi talmente intensa da offuscare la luce del sole. Vedo Peter, che non ricorda come si vola ma si sforza di farlo per salvare i suoi bambini. Lo vedo mentre combatte perché vengano liberati, perché il dolore non li possa toccare.

Gli occhi lucidi di Peter continuano a fissarmi velati di angoscia. Provo a parlare, ma sento un sorso di sangue gorgogliante salirmi nella gola e impastarmi la lingua. Mi costringo a ingoiare. L’uomo che ho di fronte in questo momento… E’ comparso dal nulla, dopo anni e anni di assenza, e mi ha strappato la Spada di Pan. Mi ha umiliato davanti a tutti i Bambini Sperduti. Eppure, sento che il sentimento che mi unisce a lui è più profondo di qualsiasi altro sentimento che oggi mi resti. La mia voce è flebile, tanto da farmi paura. La mia anima si riversa fuori dalla labbra in un ultimo sospiro, in una preghiera tardiva. Ma il pronunciarla mi fa dimenticare anni di sofferenze. Mi fa dimenticare la ferita fra le costole. Mi trasforma in un bambino diverso da quello che sono stato.

-…Lo sai cosa vorrei?- domando con un fil di fiato.

-Cosa?- mi risponde Peter. Sento il mio sangue gocciolare attraverso la stoffa sulle sue mani e sulla sua calzamaglia, e sento il suo dolore per il male che sento. Soffre per questa mia piccola sofferenza, mentre le infinite sofferenze che patii da bambino passarono inosservate quando non furono gradite all’unico uomo che aveva un legame di sangue con me. Sento gli occhi di nuovo umidi sotto le ciglia, ma queste lacrime sono diverse, e sento che trafiggono Peter come punte roventi di freccia.

-Vorrei avere avuto un padre… come te-

Mi sforzo di tenere gli occhi aperti, di reggere il mio sguardo appannato in quello dolce e paterno dell’uomo che ho di fronte. Ma non riesco più a vincere lo stanchezza e il gelo che mi invadono le ossa. La luce abbandona i miei occhi, e il calore le mie membra. Mi sento leggero, sospeso nel vuoto, cullato da un ultimo, confortante pensiero. In questo momento, le braccia che mi stringono sono quelle di mio padre. Non dell’uomo che uccise la mia infanzia, ma di un uomo che mi ha amato con tutto se stesso e che sarà addolorato dalla mia morte. Una sua lacrima gli cade dalle ciglia, mi bagna la fronte e mi dona una nuova vita. Il legame che ci ha unito è più potente del sangue e so che ci unirà fino alla fine dei tempi. Vedo solo buio, adesso, e so che è la galleria che conduce in un posto molto, molto lontano.

Ti aspetterò laggiù, padre mio…

   
 
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