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Autore: midorijpg    03/02/2012    1 recensioni
Un viaggio fatto con gli occhi. In una città che non dimenticherai mai.
Con i suoi matti, le sue puttane e le sue crêuze.
Genere: Introspettivo, Song-fic, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Immagina.

Lo strumento inizia a cantare. Una sola nota, fissa, sospesa in aria. E ti sembra di viaggiare, essere trasportato lontano.

E infatti è così. Ti guardi intorno: sei in mezzo ad un mercato e alcuni pescivendoli urlano quanto sono buone le loro acciughe.

Tutti cercano di accalappiarti per farti comprare qualcosa. Rifiuti con gentilezza e pensi che, anche se sono assillanti, questo viaggio si sta facendo interessante, anche se è appena cominciato.

Cammini, e finisci sul lungomare. È l'alba e i pescatori tornano già dal mare aperto, cantando sottovoce un motivetto locale.

"Eh anda, eh eh anda, eh eh anda, oh..."

Lentamente chiudi gli occhi. Il frastuono del mercato ti appare già lontano e ti sembra di volare verso un altro luogo.

Sollevi le palpebre. Sei in un luogo buio, sembra una specie di bar. Una sola luce è accesa, un faro. L'unica figura visibile, illuminata da questa, è una donna, sinuosa, con la pelle d'ebano, vestita solo di veli. Inizia a muoversi sensualmente su una melodia vagamente orientale, muovendo le braccia e le gambe come se fossero dei serpenti. È lei stessa un cobra dagli occhi di smeraldo, che ti guarda e ti guida verso di lei, a danzare con lei. È seria, impassibile, ma con lo sguardo ti comunica mille parole.

Senti un vento caldo trascinarti verso di lei, verso i suoi occhi da leopardo, e vedi il luogo farsi sempre più buio. La musica etnica si dissolve, anche quei due smeraldi, come se fossero granelli di sabbia trasportati via dall'aria.

Rimangono solo i tuoi, di occhi, che finalmente si aprono. La polvere ti penetra nelle narici e nella bocca, tossisci e non riesci a respirare. Ti accorgi che un carro armato sta per investirti e fuggi appena in tempo.

Purtroppo, noti che non tutti sono stati fortunati a sopravvivere come te. Un uomo piange, urla, si dispera. Tra le sue braccia, un corpo. Piccolo, innocente, indifeso - un bambino.

È una scena agghiacciante. Dei singulti ti scuotono. Le lacrime ti solcano le guance come gli affluenti di un fiume. Le stesse lacrime di quel padre.

Chiudi gli occhi con le mani per non vedere più quella scena o per non farti vedere.

Quando li riapri, sei in mare. Su una barchetta smilza, accanto a te un signore barbuto che non la smette di parlare una lingua incomprensibile alle tue orecchie. È simpatico e lo assecondi, anche se non capisci niente.

Ad un certo punto, attraccate in un molo. Il tuo nuovo e strano amico viene accolto come un sultano - è un sultano. Andate al suo palazzo, è fatto tutto d'oro e avorio. Una montagna di gioielli risplende accanto a te, riflettendo la luce del sole.

Non sopporti quella luce, è troppo forte per i tuoi occhi, così li chiudi.

E di nuovo accade. Non senti più il morbido tappeto orientale sotto i piedi, ma, al contrario, senti una presa al braccio.

Una donna sta camminando velocemente, ti ha arpionato e ti trascina con lei. Ti guardi intorno: sei in un viottolo, in quella città di prima. È talmente stretto che il sole non penetra quasi.

Pensi che si debba fare silenzio, e perciò taci, mentre quella megera parla, parla, parla e non la smette più. È veramente appiccicosa.

Vi fermate improvvisamente davanti ad una porta. Lei bussa e un signore in pigiama le viene ad aprire.

Deve riscattare un debito, dice la vecchia. Allora l'uomo cerca di sviare il discorso, perché i soldi non ce li ha. Restano a parlare per un tempo interminabile, la megera non gli si stacca più di dosso e ti ignora completamente.

Continua a parlare, tu non vuoi ascoltarla, perciò chiudi gli occhi per estraniarti da quella situazione. Ma ormai sai che questa azione non ti porterà altro che altrove.

Infatti la prima cosa che vedi quando sollevi le palpebre è un'esplosione di colori, profumi, suoni. Sembra di essere in un mercato. E un po' mercato lo è, in effetti.

Cammini in un vicolo come quello di poco fa, solo che appoggiate alle porte ci sono delle procaci damigelle, avvolte in vestiti succinti e che lasciano ben poco spazio all'immaginazione. Quelli sono i colori che vedevi. I loro vestiti, ma anche i loro occhi, azzurri, verdi, grigi nebbia. Sono colmi di soddisfazione, rimpianto o frustrazione mascherata abilmente dalla sigaretta che tengono tra le labbra? Non riesci a capirlo.

Incominciano ad avvicinarsi a te. Tu allora scappi, non vuoi farti prendere. Vuoi solo cercare un luogo dove restare solo.

Allora lo fai. Chiudi gli occhi, la prima volta nel tuo viaggio in cui sai quello che fai e lo fai volontariamente.

Infatti, quando li riapri, qual è l'unica cosa che senti?

Niente.

Assolutamente niente. Il silenzio più assoluto.

Ti accorgi di essere ritornato al luogo di partenza - il lungomare. Scendi in spiaggia, sulla riva, e ti siedi sugli scogli. Lo scroscio delle onde ti solletica le orecchie e l'odore frizzantino del mare ti riempie il corpo, penetrandoti fino all'anima.

Il cielo comincia a tingersi di arancione, rosa, violetto. Il sole sparisce all'orizzonte, sembra essere così vicino a te da poterlo toccare con un dito.

Stringendoti le ginocchia al petto, pensi al tuo viaggio, a quella strana giornata appena trascorsa. Quella è una città di pazzi, si passa dalla guerra alla pace, dalla felicità alla tristezza, dalla cordialità alla freddezza in un battito d'ali.

Ma la ami per questo.

Zena.







Note: per la corretta lettura del brano si consiglia l'ascolto dell'album Crêuza de mä, di Fabrizio de André.
   
 
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