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Autore: dahlia variabilis    03/02/2012    1 recensioni
Aberforth Silente/Sibilla Cooman
"Le onde non hanno bisogno di parole: trasmettono tutto, e non dicono niente. Il loro sciabordio è conforto per le anime perse. Il loro colore è riposo per gli occhi stanchi. Il loro abbraccio è sollievo per i sentimenti contrastanti."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Sibilla Cooman
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Ricordava benissimo il rumore delle onde del mare.
La calma e quel placido, profondo senso di soddisfazione che la invadevano ogni volta che si trovava al loro cospetto.
Accostò la conchiglia all’orecchio, chiuse gli occhi e rimase in ascolto.
L’oceano aveva sempre avuto un posto speciale nel suo cuore.
Sarà che dalla cameretta in cui dormiva da bambina riusciva a sentire il brontolio costante del mare che si infrangeva contro gli scogli. Sarà che quando non riusciva a dormire, prendeva la sua Puffola Pigmea e la sua copertina e si sedeva accanto alla finestra, per poter ammirare lo spettacolo della Luna riflessa nelle onde infrante.
Ricordò l’armonia che s’impossessava del suo corpo quando il bisbigliare dolce delle acque le giungeva alle orecchie. E tutto sembrava così perfetto, così giusto, così eterno.

A Sibilla piaceva contemplare l’oceano con Aberforth.
Se ne stavano seduti sugli scogli, con i piedi nell’acqua, in silenzio.
Le onde non hanno bisogno di parole: trasmettono tutto, e non dicono niente.  Il loro sciabordio è conforto per le anime perse. Il loro colore è riposo per gli occhi stanchi. Il loro abbraccio è sollievo per i sentimenti contrastanti.
Col tempo, Sibilla si era convinta che fossero come gli occhi di Aberforth. Calmi, gentili e insondabili.
Col tempo, Sibilla si era convinta che Aberforth, in una qualche  vita passata, fosse stato un’onda.
E quando si perdeva in quelle pozze d’oceano che lui aveva al posto degli occhi, le sembrava davvero di essere su quegli scogli che avevano ascoltato i loro più dolorosi sospiri, che avevano accolto le loro confessioni silenziose.
C’erano anche volte in cui, Sibilla, cercando di sondare quegli occhi,  sentiva di nuovo le onde brontolare, ululare contro il cielo nelle notti d’inverno. Le sentiva infrangersi contro quei soliti scogli che avevano visto nascere la loro amicizia e, successivamente, il loro amore, come a volerli dilaniare, come a volerli strappare alla terra.
Erano quelle, le volte in cui aveva paura.
La paura vera, l’aveva provata per la prima volta a sedici anni. Erano seduti sugli scogli, come sempre del resto. Sibilla non ricordava molto. Solo.. La sfocata macchia rossa che aveva attraversato la coda del suo occhio sinistro.
Più tardi, avrebbe scoperto che era la veste di Aberforth, ma in quel momento, tutto ciò che provava era dolore.
Puro, ardente dolore che la consumava e non le lasciava via di fuga.
L’oceano, poco distante, borbottava e tentava di scagliarsi contro di lei.
Sibilla non seppe mai perché Aberforth lo fece.

Non tornò più a contemplare le onde da quegli scogli che tanto aveva amato.
Non ascoltò più il loro sciabordio dalla vecchia cameretta.
Non le ammirò più mentre danzavano e si scontravano, con la Luna a illuminarle, nelle notti in cui il sonno tardava ad arrivare.
Sibilla aveva paura delle onde.

Posò la conchiglia sul tavolino traballante di fianco alla poltrona, vicino alla teiera e alle tazzine vuote.
Si rilassò contro lo schienale bitorzoluto della vecchia poltrona verde e chiuse nuovamente gli occhi, mentre lacrime al sapore d’oceano luccicavano sulle sue guance illuminate solo dalle candele.
   
 
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