-La nuit des rêves-
Se stai scorrendo con gli occhi queste mie parole, significa che c’è speranza.
Ti
prego di continuare a leggere
perché ciò di cui narrerò è
estremamente importante. Non sei una persona
qualunque se, in questo istante, tieni tra le mani questa lettera. Non
sei
ordinario e banale ma, nella maggior parte dei casi, questo ancora non
lo sai.
Il
mio nome è Celia Bowen ma sono
stata conosciuta maggiormente con lo pseudonimo di Miranda. La mia vita
è stata
dedicata ad un luogo denso di magia e mistero. Un luogo di cui pochi,
ne hanno
conosciuto i segreti.
Era
una gelida notte invernale,
di quelle in cui l’aria sembra penetrare la pelle e ibernare
il corpo in pochi
istanti. Non sapevo dove stessi andando, ma riuscii ad intuire
certamente da
chi. La mia giaccia blu mi proteggeva dal fresco serale e stringevo le
braccia
al petto, come a trattenere quella bolla di calore. L’auto
andò via e mi
ritrovai accanto all’uomo, calvo e barbuto, alla mia destra,
accompagnatore
estraneo di quel viaggio di sola andata. La sua mano prese posto sulla
mia
spalla invitandomi, quindi, a mantenere quella esatta posizione.
Una
recinsione di ferro battuto
incorniciava quelli che erano molteplici tendoni incolore. Strisce
bianche e
nere ne decoravano il tessuto che sembrava trovare il suo continuo
persino sul
terreno, impolverato e verniciato a caso.
Non
eravamo soli. C’era una gran folla
che sembrava in febbricitante attesa per qualcosa, a me, ancora
sconosciuto.
Una donna, poco distante dalla mia posizione, tratteneva tra le braccia
un
bimbo che, eccitato, scalciava per raggiungere il grande cancello dalle
volute
scure. Non era l’unico marmocchio in quel luogo, anzi. I
gridolini dei più
piccoli parevano rompere l’atmosfera, fatta di aspettativa e
impazienza. Uomini
e donne sussurravano tra loro i dubbi che li attanagliavano.
-
Ma da dove esce fuori?
-
Non c’era prima…
-
Non ho visto alcuna locandina!
-
Tu sai che stregoneria è
questa? E’ sbucato fuori dal nulla.
Ricordo
ancora ciò che le mie
orecchie, nascoste dai folti ricci neri, riuscirono ad udire.
Mi
feci posto tra la gente, raggiungendo la prima fila.
L’uomo che era al mio fianco strinse la mia spalla
inutilmente e fu costretto a
seguirmi sino a lì. Riuscii ad osservare, così,
qualcosa che era rimasto nascosto
alla mia visuale. Un cartello, anch’esso incolore, bianco e
nero, con su
scritto:
Apre
al Crepuscolo
Chiude
all’Alba
Mai
sentita una cosa simile, pensai in quell’istante. Una
folata di vento mi fece rimpiccolire nel cappotto e vidi
l’uomo, accanto a me,
imbarazzato, indeciso se stringermi di più a lui per evitare
che gelassi.
Sorrisi di quel momento, notando la difficoltà del barbuto.
I
miei occhi scuri tornarono al mistero che avevo di
fronte. Notai, così, un grande orologio posto al di
là della recensione che
destò in me un’insensata curiosità. Il
mio sguardo cadde simultaneamente sul
brandello di sole arancio, ancora visibile dietro i tendoni. Pochi
furono i
minuti d’attesa affinché, la fioca luce del
mattino, lasciasse finalmente
spazio all’ombra della notte.
Quando
ancora nulla acquistava movimento, una sensazione
solleticante arrivò sotto il mio naso. Era un profumo accogliente e invitante.
L’odore del caramello
sembrò riempire l’atmosfera e lo immaginai uscire
come una nube di fumo, da
sotto i tendoni immobili.
Credetti
di essere l’unica ad aver percepito un sommesso
scoppiettio, forse frutto della mia immaginazione, proprio come il
fuoriuscire
di quella dolce fragranza; invece la folla si fece silenziosa e gli
occhi di
tutti puntarono, contemporaneamente, la luce che riempì il
buio della notte.
Sembravano
lucciole le miliardi di luci che, come una
scia di stelle, correvano dall’alto al basso, illuminando le
tende. Non furono
però le uniche a brillare. Tra le volute di ferro della
recinsione presero vita
quelle che parevano lettere sbucate fuori dal nulla, proprio come il
circo.
Furono l’argento e il fumo i colori che presero il dominio,
imponenti
sfavillavano all’ingresso destando, quasi, timore alla folla
che precedevo.
Provai
a decifrare la dicitura. Feci simultaneamente,
senza neppure accorgermene, un passo avanti, come a concentrarmi meglio
sulla
lettura di quelle lettere, ma l’uomo al mio fianco
riuscì, stavolta, a
trattenermi. Inclinai un po’ il capo e diedi il tempo
all’ultima luce di
terminare il suo percorso. Una l, e, s, poi uno spazio e poi ancora,
C…
Meravigliata riuscii poi a leggere per intero: Le Cirque des rêves.
Tutto
accadde in pochissimi secondi. La folla cominciò ad
emettere i primi sussurri, le risate sommesse e i gridolini di
entusiasmo.
Qualcuno cominciò a muoversi infondo, curioso di avvicinarsi
di più al circo. I
bambini volevano correre all’ingresso, trattenuti,
però, dai genitori ancora un
po’ preoccupati dal mistero di quella notte.
Tra
le nubi di fumo del gelo invernale che esplosero al
di là del cancello, cominciò a delinearsi una
figura scura. Era ancora un’
ombra. Sembrava alta e avanzava veloce verso l’entrata. Pian
piano che si
muoveva nella direzione del cancello potei delinearne i tratti. Era un
uomo,
dai baffi folti e scuri, con un alto cappello indosso. Il suo abito
elegante e
lucido, sfavillava di un nero profondo e indistinguibile dal buio. Il
papillon
al collo era di un bianco puro e abbagliante. I suoi occhi erano
incastonati sotto
doppie sopracciglia imbrunite. I suoi passi, silenziosi sul terriccio,
scoccavano a tempo, mimando il ritmo della lancetta
dell’imponente orologio.
Era
a pochi metri, fermo dietro le inferriate della
recinsione. La sua mano, imprigionata da un guanto di velluto bianco,
afferrò
il cancello, aprendolo senza difficoltà nonostante sembrasse
alquanto pesante.
Uscì poggiando i suoi piedi sul suolo esterno al confine.
Non parlò. Dalle sue
labbra non uscì nulla e ciò che non
spiegò attraverso queste riuscì a mimarlo
il suo corpo.
Il
suo inchino fu leggiadro e lento. Portò il cappello al
petto e, allungando il braccio, aprì la mano per indicare il
suo invito. La
folla era immobile, incuriosita e intimorita allo stesso tempo.
Titubante feci
i primi passi insieme all’accompagnatore estraneo, lasciando
il bisbiglio di
voci alle mie spalle. Passai accanto all’uomo ancora
inchinato fissando la sua
aura magica e di mistero. I suoi occhi finirono sui miei, gentili e
cordiali, e
ammiccò procurando sul mio viso una nuova
curiosità.
Ci
avvicinammo alla biglietteria e l’adulto prese a
discutere con un uomo dietro lo sportello invisibile, circa il dover
incontrare
qualcuno per consegnargli qualcosa. In quel momento potei confermare la
mia
meta, il mio destino.
Seguimmo
l’uomo, sorpassando i tendoni e attraversando
alcuni alberi scuri nella notte. Come per magia apparve ai nostri occhi
una
tenda non molto ampia. Mentre quello che scoprii essere un avvocato mi
lasciava
lì, il mio cuore cominciò a pulsare forte nel
petto. Capii che avrei incontrato
il mio destinatario dopo pochi minuti, seguendo il direttore in un
ufficio che,
prontamente, cerco di offrirmi un tè con doppia dose di
zucchero. Non accettai,
così come feci alla sua richiesta di levar via il cappotto,
e lasciai raffreddare
il liquido nella tazza adagiata sulla scrivania. Mi guardai intorno e
trovai
una sedia che feci subito mia. Il mio sguardo era rivolto a contemplare
i mie
stivali e il graffio sulla punta che, in quel momento, notavo per la
prima
volta.
-
C’è anche un… pacco per voi, signore-.
Furono
queste parole e i suoi passi pesanti ad avvertirmi
del suo arrivo. Il direttore ci lasciò soli e quello che
l’intestazione della
lettera al mio petto chiamava Prospero l’Incantatore,
cominciò a rovistare tra
alcune lettere.
Incuriosita
dal suo aspetto alzai lo sguardo, notando in
lui qualcosa di non così tanto estraneo. I miei stessi ricci
incorniciavano il
suo volto e, dalla sua espressione, i miei occhi parevano averlo
trapassato.
Posò di getto la pila di lettere sulla scrivania per poi
serrare la porta
d’ingresso. Continuò ad osservarmi strappando, in
seguito, la lettera spillata
al mio cappotto blu.
Il
suo sguardo scorreva sulle parole rinchiuse
in quel pezzo di carta stropicciato,
fino a quando un risolino echeggiò nel silenzio che
s’era venuto a creare.
-
Avrebbe dovuto chiamarti Miranda. Suppongo non fosse
abbastanza intelligente per pensarci-.
Ed
è lì che accadde. Non so dirti se fu la prima
volta
che ebbi una razione simile, ma è sicuramente la
più lontana nel tempo che
ricordo. Il suo tono mi parve presuntuoso e saccente e, forse, fu
quello che
scatenò in me il rossore alle gote.
Abbassai
simultaneamente lo sguardo alla tazza sulla
scrivania. Sentii le fibre del mio corpo distendersi come fossero
risucchiate da
un vortice di calore. Gli occhi misero straordinariamente meglio a
fuoco
l’immagine, nonostante non avessi alcun problema di vista.
La
tazza si ruppe. Il tè scivolò sul piano di legno.
Stava per sfiorare il pavimento, quando però tutto
tornò al suo posto. Il
liquido e i cocci si riunirono perfettamente come per magia.
Mio
padre mi guardò estasiato, con un espressione di
meraviglia. Ma potei giurare di aver notato un pizzico di orgoglio nei
suoi
occhi.
Si,
hai capito bene. Prospero l’Incantatore era mio padre,
il mago de “Le Cirque des reves”. Lui ha migliorato
la mia arte, ha potenziato
le mie capacità e mi ha mostrato quanto in realtà
eravamo simili. Ho potuto
così dedicarmi a quel circo notturno per tutta una vita.
Se
ci fosse il tempo necessario ti racconterei della
pelle nuda e buia, più nera
dell’oscurità, illuminata da milioni di luccichii
simili a stelle argentee, dell’Imperatrice della notte, non
una semplice donna
ma una statua umana; ti descriverei nel dettaglio il labirinto
costellato da fiori
e picche, carte da gioco anche sulle lanterne che al passaggio
accompagnano il
tuo cammino dondolando; potrei far prendere vita nella tua mente le
miriadi di
piume che fluttuano nella stanza sulla botola e che, come per magia,
evaporano
via dal pavimento; potrei parlarti dell’Albero dei desideri,
dove ogni
desiderio è alimentato da quello di qualcun altro, quando,
per accendere la tua
candela, rubi dalla fiamma accanto; e poi ancora, del Giardino dei
Ghiacci,
L’occhio delle stelle, Il dedalo della nube…
Un
luogo magico e incantato, dal bianco sfavillante e dal
nero profondo della notte. Un gioco di sogni e desideri che prendono
vita
prepotentemente sotto tendoni incolore.
Una volta entrati non si sa più riconoscere se
il sogno è all’esterno o
all’interno del confine in ferro battuto.
Purtroppo,
però, se davvero starai leggendo queste mie
parole significa che il circo non esiste più. Il legame che
lo teneva in vita sarà
a questo punto dissolto nel tempo.
Se
mi rivolgo a te, Sophie, c’è un motivo concreto.
A
quelle parole la ragazza dai lunghi
capelli color cioccolato sgranò gli occhi incredula. Il
fatto che quella donna
di nome Celia o Miranda che fosse, conoscesse il suo nome, senza mai
averla
incontrata, la lasciò di sasso, immobile come una statua di
cera.
Inginocchiata
sul pavimento polveroso
della soffitta, chinò le mani alle gambe piegate che,
tremanti, tenevano
strette quella lettera. In quell’istante i suoi occhi scuri
si illuminarono e,
dentro di sé, nacque una nuova e ricercata consapevolezza.
Non era folle
quindi, non erano frutto dell’immaginazione quelle che
nascose per molti anni
della sua vita come strane coincidenze. L’illusione che la
sua mente creava
attraverso gli oggetti, le persone e le azioni, non era poi
così tanto
un’illusione allora.
Si
guardò intorno preoccupata senza
motivo. Non c’era nessun altro ma la sensazione che avvertiva
allo stomaco,
stava come ad indicare il timore della scoperta di un segreto. Le
pareva di
aver messo alla luce i suoi pensieri più celati. Spinta da
una curiosità
crescente riprese la lettura, con un barlume di speranza dentro
sé: Sophie non
voleva pensare che quel luogo non esistesse più, non poteva
credere che non
avrebbe mai visto quel circo della notte che, le parole di una qualche
lontana
parente, avevano cautamente descritto.
La
speranza grazie alla quale il circo dei sogni può
riprendere vita nasce da te e dagli artisti predestinati sparsi per il
mondo.
Trovali, parla loro dei tendoni e dell’atmosfera incantata,
riunisci tutti e
costruite insieme quella magia sepolta, forse, da troppo tempo.
Nel
baule, dove hai trovato la lettera, ci sono degli
indirizzi.
Sophie
abbassò
nuovamente il foglio, liberandolo stavolta dalla presa stretta delle
mani. I
suoi occhi,
entusiasti e speranzosi, guardarono nel piccolo baule argenteo. Diversi
lembi
di carta si nascondevano uno sotto l’altro, simili a piccoli
biglietti da
visita. Un sorriso, un po’ titubante, si dipinse sul viso
della ragazza che
avrebbe scommesso oro sul fatto che, pochi minuti prima, il baule
conteneva
solo ed esclusivamente la lettere che stava leggendo. Li
sfiorò piano, quasi
per paura che sparissero. Con difficoltà, distolse il suo
sguardo rivolgendo
nuovamente l’attenzione alle parole scritte da Celia.
Potrai
imparare tanto. La magia e l’incanto misterioso
del circo della notte risiedono dentro te e sono convita che, nel tuo
animo,
sai che non puoi sfuggire al tuo destino, perché infondo non
vuoi.
Fa
si che le Cirque des reves torni a risplendere
nell’oscurità, perché non si
può smettere di sognare per sempre.
Con
affetto e speranza,
Miranda