Arrivederci.
Aspettavo impazientemente in una stupida sala d’attesa di un
ospedale. Avevo
preso il primo aereo pur di venire al più presto possibile,
e una volta
arrivata mi toccava aspettare;aspettare poi per vedere colui che
conoscevo
meglio al mondo. Il mio vecchio migliore amico. Quella persona che solo
dieci
anni fa cancellava le mie lacrime con sorrisi, abbracciava le mie
arrabbiature
inutili;e appoggiava i miei stupidi sogni di gioventù,come
quelli di diventare
una spogliarellista. Ero una pazza a vent’anni, non dormivo
mai a casa e già
avevo provato tutti i tipi di droghe. Ma con me a dirmi di non farlo
c’era
sempre stato Rio. Con i suoi capelli scuri e gli occhi verdi mi
rimproverava in
continuazione, prima di sparire sulla sua Rosaly a tutta
velocità. Era anche
lui un pazzo, ma mi fermava prima di fare qualcosa di stupido,per far
quel
qualcosa assieme a me. Era come un fratello, un ragazzo,un migliore
amico
oppure non era niente se non la solita persona da cui vai in
continuazione,anche per sapere il parere di un film. La
verità è che io e lui
non avevamo mai avuto etichette. Lui con la sua giacca di pelle nera,
l’inconfondibile
ghigno che un po’ mi irritava e un po’ mi
eccitava;gli occhi verdi quasi fluo e
una fila di ragazze a baciare la terra dove camminava,anzi correva
sulla sua
Rosaly. Mentre io ero la solita brava ragazza, con la coda bionda
raccolta in
una coda e il viso acqua e sapone;poi però incontrai lui,il
mio migliore amico.
E divenni una vera pazza, con le ciocche azzurre e una costante canna
in mano.
Grazie a lui mi ero divertita, grazie a lui avevo provato cosa
significasse
essere una camomilla. Una di quelle ragazze che si legano di spalle con
una
cintura al loro ragazzo che guida la moto ad impennate. Fantastico,
cazzo.
Ricordo che stringevo gli occhi per la paura, mentre
l’asfalto mi fissava e lui
dava troppo gas. Avevamo vinto cinquecento euro ed ero diventata la sua
camomilla. Tutti volevano essere la camomilla di Rio, ma lui aveva
scelto me.
Quella ragazza che legge Shakespeare sotto il ramo coperto
d’un albero,e si
massacra la coda bionda quando i suoi verdi la fissavano. Gli occhi
verdi di
Rio, avevano uno strano effetto su di me. Limpidi e sinceri con uno
strano
luccichio che faceva capire quanto lui valesse, voleva fare il pittore
di
giorno e il motociclista illegale di notte. E quasi lo rivedo quando
con la sua
giacca di pelle e il suo ghigno, davanti la serra dove
c’erano le tombe di
tutti i morti sulle moto per stupide gare,mi diceva che era immortale e
non
sarebbe mai finito in una tomba. Ma se proprio doveva morire, mi
diceva,voleva
essere seppellito alla serra e donare la sua Rosaly a me. Come se io me
ne
facessi qualcosa di quella moto per delinquenti; gli rispondevo con un
sorriso
schernitore.
“Signorina,
ora
può entrare.” Mi richiamò alla
realtà al voce
dolce dell’infermiera,che mi accompagnò
alla stanza venti\uno\quattro. Spalancai la bocca, la stessa data in
cui
partii. Venti gennaio millenovecentonovantaquattro. Entrai cauta,
paurosa di
ciò che avrei potuto trovare.
Tubi
solo
tubi. Ricoperto da tubi s’un lettino. Gli occhi chiusi non
permettevano al
verde di brillare. La maschera per respirare non permetteva al ghigno
di
comparire. E lui era il mio pazzo amico, attaccato ad un filo.
Incidente in
moto avevano detto,era ubriaco;cercava di dimenticare. Ma dimenticare
chi?Cosa?Non potevo saperlo. Ciò che avevo davanti non era
Rio, ma solo
l’involucro del suo corpo. Un involucro seppur bellissimo che
non esprimeva
nulla.
“Era
ubriaco.” Commentò l’infermiera ancora
dietro di me; sussultai non sapendo che
ci fosse. Piangevo.
“Cercava
di
dimenticare una certa Sara. Si è anche fatto un tatuaggio
sul petto con su
scritto Sara.”Continuava lei ignara del
dolore che mi affliggeva. E in
un attimo tutto mi fu chiaro. Cercava di dimenticare me da ben dieci
anni, e
cosa non era meglio del sonno eterno? Tutti avrebbero preso per uno
stupido
incidente, ciò che in realtà era un suicidio.
Piangevo lacrime amare anche
davanti l’infermiera,urlavo il suo nome. E una parte di me
diceva di staccare
quel filo per portare a termine ciò che aveva iniziato. Ma
poi mi calmai.
Dovevo parlargli.
Passai
per
la cartolibreria, e comprai un intero pacco di biro e due quaderni.
Andai a
casa sua, ignorando le telefonate di mio marito rimasto a New York.
Sapevo il
trucco per aprire la sua porta senza chiavi, a vent’anni era
il mio rifugio. Il
suo profumo mi sommerse insieme ai ricordi legati a quella casa. Subito
mi feci
una doccia col suo bagnoschiuma, e dopo mi vestii con i suoi vestiti.
Volevo
conservare il suo profumo, volevo conservare tutto di lui nei miei
ricordi.
Era
l’una di
notte, non riuscivo a dormire e sulla tv facevano solo repliche del
grande
fratello,presi una biro nera. Odiavo quelle blu. Presi il quaderno e
iniziai a
scrivere una lettera.
Caro
Valerio,
Anzi
Rio mi
è più familiare.
Caro
Rio,
Come
stai
tutto bene?Com’è la vita attaccata a un filo
d’ospedale?Spero bella,perché è la
vita che ti scelto quella notte in cui hai cercato il suicidio. Spero
che tu
non muoia per la tua stupidità. Lo hai davvero fatto per
dimenticarti di
me?Volevi davvero buttare al vento i dieci anni passati insieme
più belli della
nostra vita?Spero di no. Sei uno stupido, cazzo. Non hai idea di quanto
tempo
io abbia passato sotto gli occhi di mio marito a fissare il telefono,
per una
tua telefonata. Ora ho trent’anni sai, pensavo tu fossi
cambiato. Pensavo tu
non corressi più, stupida vero?In realtà correvi
eccome,ma solo per toglierti
la vita. Mentre io sono diventata dottoressa, ho messo la testa apposto
e mi
sono fatta una famiglia. Tu correvi, ti ubriacavi e dipingevi me. Ho
visto i
tuoi quadri, li trovo stupendi seppur ci sono sempre e solo io. Il mio
preferito è il ritratto di noi due al mare, è
veramente stupendo. Ti ricordi
quella giornata Rio? Io avevo tredici anni, tu quindici. Avevo appena
litigato
con mia madre, e tu mi eri passato a prendere con il tuo motorino. Quel
catorcio di motorino, non può proprio competere con Rosaly
che ricevetti solo
due anni dopo. Io piangevo, era tardi,forse le dieci. Tu continuavi a
dirmi che
sarebbe andata bene, che mia madre non mi odiava aveva solo il ciclo,ed
io mi
chiedevo se crederti o no;poi verso mezzanotte,litigavamo e tu mi presi
in
braccio portandomi in spiaggia. Che schifo di mare che
c’è qui. Ballammo tutta
la notte, tra abbracci e carezze. Facemmo persino il bagno delle due
del mattino.
Tu eri completamente nudo, io avevo tenuto l’intimo,ero
vergognosa e non avevo
neanche fatto la ceretta. Mi salvasti la vita quel giorno, ma non era
quel
giorno che legammo veramente.
Era
mezzogiorno io di anni ne avevo quattordici era passato un solo giorno,
con te
ci parlavo ti consideravo una specie di fratello. Entrai in classe,
primo
giorno alle superiori. Avevo paura, tu facevi il terzo. Ero
terrorizzata non
sapevo come parlare, con chi parlare e se parlare. Trascorsi una
giornata
d’inferno; finché verso la quarta ora mi presi
sotto braccio e mi feci
conoscere tutti i tuoi amici,tutti quelli più popolari. E da
quel giorno seppur
fossi una secchiona,tutti avevano una scusa per parlare con me. Lo
stesso
pomeriggio venni a casa tua per studiare,e tu mi raccontasti tutto di
te. Di come
tuo padre voleva che facessi l’attore come tuo fratello
maggiore Edward,di come
tu ti eri rifiutato categoricamente seppur avevi solo sedici anni. Di
come tua
madre ti abbandonò da solo con tuo padre, e di come ti fossi
ripreso in fretta.
Quel giorno tra risa, pianti,e popcorn nacque qualcosa di speciale,la
nostra
amicizia. Ci chiamavano gli inseparabili, dopo solo una settimana io e
te
eravamo indivisibili. Io sapevo tutto di te, e tu tutto di me. Mi
sembra uno
scambio equo. Ma non potrai mai capire il bene che ho sempre provato
per te,nei
tuoi abbracci,nei tuoi baci,nelle tue carezze. Ho solo un rimpianto
quello di
non averti baciato di nuovo. Ti ricordi il nostro primo e ultimo bacio?
C’era
un sole che spaccava le rocce, eravamo in piazza. Tu con la tua nuova
ragazza
ed io col mio ragazzo, avevamo litigato. Non facevo altro che
strusciarmi con
Tommy per vedere la tua reazione, ovviamente eri rosso dalla rabbia. Ma
non quanto me per
tutte le volte che
sussurravi cose dolci ad Anna. Non dicevi mai cose dolci a una
ragazza,tranne
me. Ovvio. Fino a quando non me ne andai per fare una passeggiata, ma
Tommy mi
baciò più volte con irruenza fino a quando non
gli urlai contro che mi faceva
schifo,e che lo usavo per farti solo ingelosire. Lui mi diete della
manipolatrice,aveva già sedici anni all’epoca,e tu
eri maggiorenne. Ero sola, triste,e
sapevo che tu stavi appiccicato a quella;per concludere mentre ero
poggiata
sulla fontana di Trevi a prendere e tirare monetine,scese
giù dal cielo il
diluvio universale. Io ero in canottiera, era il venti agosto, cazzo.
Non feci
per andarmene, non me ne fregava se mi bagnavo;tanto non avevo passato
la
piastra. Dopo qualche minuto passato a pensare cazzate come Goku avesse
ucciso
Cell, a quei tempi andava dragonball, tu corsi da me. Ricordo quasi
bene ciò
che mi dissi.
“Puffolosa
che ci fai qui?” Mi chiesi con il tuo solito ghigno,per la
mia camicia bianca. Bagnata.
Ed ero senza reggiseno.
“Pervertito.”
Ero piccola, ed ero ‘na mezza santa.
“E
vaffanculo.” Urlasti, sotto la pioggia. Solo che tu avevi
l’ombrello.
Incominciai a piangere, mi piegai su me stessa per non farmi vedere e
piangevo
in convulsivamente,fino a che non mi copristi con l’ombrello.
“Cazzo
vuoi?” Ti chiesi arrabbiata, notando che fossi coperta.
“Voglio
fa pace,
vabbè?”Urlò facendomi alzare,mi ricordo
perfettamente come mandasti l’ombrello
a fanculo e unisti le nostre labbra. I tuoi occhi verdi che mi
divoravano, e le
tue labbra che affogavano nelle mie. Bacio dolce, bacio passionale,una
danza
fra le nostre lingue. Un bacio, uno solo. Il giorno dopo ero
tremendamente
imbarazzata finché non mi presi da parte, e con sguardo vago
mi dicesti che
volevi continuare ad essere mio amico seppur ti attraevo sessualmente.
Da
quella notte dormire con te fu molto più complicato, vivevo
con l’ansia di
buttarmi addosso a te. Non te l’ho mai detto, ma ci sognavo
sempre su un set
d’un film porno. Dio, forse andandomene ho fatto
l’errore più grande della mia
vita. Ti ricordi quel giorno? Io avevo annunciato con
felicità che sarei partita
per la grande mela in cerca della mia vita, tutti felici tranne te. Non
me ne
curai pensando che fosse solo nostalgia prematura. Ma una
settimana dopo quando presi quell’aereo
che ci allontanò per sempre,tu non venni per salutarmi e
piansi lacrime amare per
tutto il viaggio. A New York mi sono sposata, è anche lui un
medico. Lui è un
errore, come tutta la mia cazzo di vita a New York. Ora che ci penso ho
fatto
un grosso sbaglio ad andarmene da te, procurando la tua e la mia
tristezza.
Perciò
SCUSA, ma la verità è che sono sempre stata
innamorata di te,e rimanere qui
significava essere la tua migliore amica per sempre. Solo ora mi
accorgo di
quanto fosse forte il tuo sentimento per me. Se potrei tornare indietro
nel
tempo invece di partire sarei corsa da te, per baciarti e urlarti il
tuo amore.
Non l’ho fatto e mi ritrovo una vita di merda senza i tuoi
fantastici occhi
verdi. Sapevo che non sarei dovuta tornare qui, troppi ricordi,troppo
te. Devo
finire di scrivere ‘ste stronzate, tanto tu non leggerai,e se
lo farai io sarò
di nuovo a New York. Ma le probabilità che tu ti sveglia
sono una su un
milione. Spero che tu sia quell’uno in cui tutti credono o
temono, quell’uno
che tutti voglio essere ma non ci riescono diventando soltanto un
numero
indefinito,sfogato,in un angoletto buio dov’è
difficile vedere persino quale
numero è capitato a te.
Stupida.
Ecco cosa sono. Ora piango. Più per me che per la tua quasi
morte.
Sono
stupida, ti amo e tu stai morendo. CAZZO.
Ed
è tutta
colpa mia. Io sono partita, io mi sono rinchiusa in un corpo da dottore
quando
poi volevo fare la spogliarellista,o correre assieme a te. Io mi sono
costruita
un guscio e sempre io sto rompendo pezzo dopo pezzo questo guscio
inutile,un
guscio di ricordi,un guscio pieno di te.
Sembra
più
una lettera d’amore che d’addio, ma finalmente ho
detto tutto.
Mi
sento
libera come quella volta a luglio, che ero scappata di casa e tu mi
portasti
con te a una super festa. M' impasticcai,e mi buttai giù da
uno scoglio. Tu
corsi verso di me e riuscii a buttarti con me, mi presi tra le tue
braccia e ti
misi di spalle. In modo da poter prendere tu lo scoglio sotto di noi, e
non io.
Fortuna volle che lo scoglio lo prendemmo solo di striscio,io non mi
feci
niente in quanto ero sopra di te. Tu ti ruppi tutte e due le gambe con
la
grossa possibilità di giocartele definitivamente,per la
botta alla spina
dorsale. Eppure due giorni dopo all’ospedale mi dissi:
”che volo che abbiamo
fatto eh!” E avevi iniziato a ridere come un pazzo. Quella
notte mi sentii per
la prima volta libera davvero seppur ero stata una stupida. Sono sempre
stata
stupida, forse è nel mio dna. Dio, solo ora mi rendo conto
quanto tu mi manchi.
Ora mentre indosso la tua giacca preferita, pervasa dal tuo profumo.
One
million se non sbaglio. Mi mancano i tuoi baci sulla mia fronte per
augurarmi
la buona notte,sono quasi sicura che lì tu abbia lasciato un
piccolo solco. Mi
mancano le tue carezze quando piangevo o semplicemente quando
guardavamo un
film. Mi manca guardare RomeoxJuliet assieme a te, mentre tu mi coprivi
gli
occhi per non farmi vedere Romeo morire. Dopo poco seguito da
Giulietta. E’
questo che ci è successo a noi?Siamo diventati come Romeo e
Giulietta?No.
Loro
sono
morti, ma il loro
amore è ancora vivo.
Noi non siamo morti, ma il nostro amore sì.
Sono
stufa
di scriverti del mio dolore, se leggerai vieni da me e baciami.
Se
sarai
morto, piangerò per te dal mio attico a New York. E prometto
di pensare a te
tutte le volte che farò l’amore con mio marito.
Dico
arrivederci e non addio, perché spero in un nostro
incontro,nei sogni da morti.
Dovunque tu voglia, l’importante e che tu ci sia.
Al
prossimo
sogno, o vita tua
Sara
nanettapuffolosaisterica (pure senza ciclo.)
Ti
amo e
arrivederci.
Guardai
attentamente il quaderno. Presi le pagine che mi servivano e le piegai
in malo
modo, prima di riporle in una busta per le lettere. Da fuori sembrava
una
normalissima lettera, se non fosse per il contenuto distruttivo. Sto
venendo
verso la tua stanza, senza salutare i tuoi genitori che discutono se
staccarti
la spina o no. Entro, in silenzio. Sei bellissimo ,sai?Anche con tutti
quei
fili attaccati,anche senza forza,anche se nascondi i tuoi bellissimi
occhi e il
tuo irritante ghigno. Sei uno strano essere complicato, ma io ti amo. E
cazzo, non
sai quant’è liberatorio poter ammettere che ti
amo. Sei steso su quello stupido
lettino, continuo a fissarti. Mi avvicino, sposto la mascherina. E ti
bacio.
Solo a stampo. Un bacio così desiderato, uno di quelli che
mi ha logorato
dentro.
“SVEGLIATI!”
Urlo, piango,urlo e piango ancora. Non posso vederti così,
ti prego
svegliati,ti prego parlami,ti prego perdonami. Ma tu non ti muovi
neanche,capisco che sei morto. Prendo la mia lettera, l’ha
poso nella tasca
della tua vestaglia d’ospedale.
“Ma
cosa
fai?” Mi chiede tua madre con un dolce sorriso,non
l’ho neanche salutata.
“Gli
do una
lettera” ammetto sapendo di avere due solchi sotto gli occhi,
e di indossare
ancora la tua giacca.
“Sai
mi han
detto che si è ucciso per dimenticarti.” Vorrebbe
addossare la tua morte su di
me, forse me lo merito. Non rispondo.
“Suicidio
non incidente”continua senza piangere. Mi chiedo da quanto
tempo tu sia in
questo stato.
“Nella
serra.” Sussurro guardandoti,prima di andar via da
quell’ospedale. Ho lo
sguardo perplesso di tua madre su di me, si chiede cosa significhi la
serra.
Lei lo sa, ma non vuole ammettere che ti dovrà seppellire. E
questo è un addio.
Sto per salire una seconda volta sull’aereo che mi
porterà lontano da te, andrò
da mio marito,gli dirò che lo amo e desidererò di
morire. Ed è questo il mio
futuro. Tu sei morto fisicamente io nell’anima. Guardo fuori
dall’oblò
immaginandomi un’ultima volta i tuoi occhi verdi. Mi arriva
un messaggio,tua
madre. Ha staccato la spina, è ha scelto la serra per
seppellirti ma mi ha
anche detto che la mia lettera è stata incisa sulla tua
lapide. Lapide lunga.
Spero
che
quest’aereo precipiti.
Con un senso di vuoto e
morte dentro di me, ritorno
a “casa mia” da mio marito che mi aspetta, e i miei
pazienti da curare. Mi sto
ubriacando di bugie, e vomiterò lo schifo che mi faccio. Ma
sono su un aereo ad
attendere la morte che mi porti da te. Arrivederci, amore mio.
SPAZIOME:
Grazie a chiunque sia arrivato fin
qui!
Questa
storia non ha senso lo so. Ed è stato abbastanza logorante
per me scriverlo,ho
cercato di essere più “drammatica”
possibile ma non ci sono riuscita. Diciamo
che era una sfida che mi sono imposta,ma in parte ho fallito. Dal
secondo
“pezzo” in poi,dopo la lettera;la protagonista
narra parlando a Rio al suo
migliore amico,mentre nel primo cioè prima della lettera
dice solamente ciò che
fa. Spero di non aver creato confusione e che almeno un po’
vi sia piaciuta
questa pazza storia u.u Lo so è deprimente. Ma avevo
quest’idea da un po’ ormai
ed è un peccato non scrivere ciò che si ha in
mente no? Spero non mi
picchierete e mi farete sapere di cosa ne pensate di questa pazzia.
Grazie
e arrivederci.