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Autore: Macy McKee    05/02/2012    5 recensioni
«Questo è il nostro mondo, piccoletta. Sei sorpresa?»
«Ma… siete da soli? Non ci sono i grandi?»
«Niente grandi, qui. Questo posto è nostro. I grandi sono troppo tristi per entrarci. Lo distruggerebbero.»
«Siete… senza regole? Ma non si può!»
Genere: Angst, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Caroline aveva nove anni quando conobbe Carl e i suoi amici. Era ancora l’epoca delle bambole di pezza e delle lire, dei dischi in vinile e dei pomeriggi passati a giocare a pallone nei campi delle fattorie finché il proprietario non se ne accorgeva. La bambina si trovava al parco insieme alla sorella maggiore, Melissa, la quale era più interessata ad osservare gli esemplari maschili che si aggiravano nei paraggi che a badare a lei. Per questo, quando la bambina le propose di giocare a nascondino, la maggiore fu più che felice di accontentarla: disse alla piccola di nascondersi e finse di contare per qualche istante, ma appena la bimba sparì dal suo campo visivo invece di mettersi alla sua ricerca si avviò verso il locale dall’altra parte della strada, dove aveva avvistato la sua migliore amica. 
Caroline, non accorgendosi del disinteresse della sua accompagnatrice, ce la mise davvero tutta per trovare un buon nascondiglio. Girò su se stessa per qualche istante, alla ricerca del posto adatto, e fece per dirigersi verso lo scivolo per nascondersi dietro ad esso, quando lo vide: fra i cespugli, dietro alla fila di altalene, c’era un buco a misura di bambino che faceva esattamente al caso suo. Corse in quella direzione e si mise a gattoni sul terriccio umido, imbrattando tutti i pantaloni, per riuscire ad infilarsi nella fessura. Provò un momento di panico quando il bel giubbotto bianco che aveva sconsideratamente indossato si impigliò in un rovo, ma con grande sollievo riuscì a liberarsi in pochi istanti. 
Sgusciò quindi oltre la siepe e si sedette sul suolo, gongolando fra sé al pensiero che Melissa ci avrebbe impiegato un’eternità per trovarla. Non c’era dubbio: a nascondino era certamente la migliore. Passarono cinque minuti, poi altri dieci. La piccola sbirciò attraverso le foglie, curiosa di scoprire se la sorella fosse sulle sue tracce, ma non la vide. Si accucciò di nuovo, iniziando a canticchiare fra sé una canzoncina che la sua amica del cuore le aveva insegnato.
‹‹ Sei stonata. ›› Caroline sobbalzò, voltandosi per scoprire chi avesse parlato. Si trovò davanti un paio di pantaloni di tela stracciati e sporchi; le gambe dentro ad essi si piegarono, e la bambina poté vedere in faccia lo sconosciuto: era un ragazzino che dimostrava pochi più anni di lei, con un paio di occhi verdi vispi sul viso e un sorriso monello. 
‹‹ Non è vero ››
replicò, riprendendosi dalla sorpresa. Ostentò un’espressione imbronciata per qualche istante, ma la curiosità prese il sopravvento.
‹‹ Chi sei? ›› domandò, diretta e sicura come sempre.
‹‹ Io sono Carl. Chi sei tu, piuttosto? E soprattutto, cosa ci fai nel mio cortile?››
Caroline si guardò intorno, sorpresa. Aguzzò la vista, ma oltre i cespugli che la circondavano non scorse nessuna casa.
‹‹Bugiardo, questo non è il tuo cortile. ››
‹‹ E tu cosa ne sai, piccoletta? Siamo arrivati prima noi, quindi è nostro. ››
Caroline incrociò le braccia, mostrando a Carl che non aveva alcuna intenzione di muoversi da lì.
‹‹ E va bene. Forza, vieni. Ti presento i miei amici.››
La bambina esitò per un istante prima di decidersi ad alzarsi e a seguire il bambino attraverso il fitto fogliame di alcuni cespugli.
Quando la vegetazione si diradò, Caroline rimase sorpresa per la povertà dello spettacolo che le si parava davanti: si era aspettata una sorta di giardino magico, ricco di cascate, farfalle e magari un unicorno candido. Invece, ciò di più simile ad una cascata che la bimba vide fu uno stagno gorgogliante di acqua verde e malsana. Due bambini che parevano coetanei di Carl si rincorrevano.
Caroline rivolse uno sguardo stupito al bambino che le stava accanto, il quale le rivolse un ghigno e un’occhiata di superiorità.
‹‹ Questo è il nostro mondo, piccoletta. Sei sorpresa? ››
La bambina non rispose per qualche istante, osservando incantata
i due ragazzini che correvano allegramente. Parevano così spensierati, così felici… eppure si trovavano in una specie di discarica a cielo aperto. Come potevano essere così contenti?
‹‹ Ma… siete da soli? Non ci sono i grandi? ››
‹‹ Niente grandi, qui. Questo posto è nostro. I grandi sono troppo tristi per entrarci. Lo distruggerebbero. ››
‹‹ Siete… senza regole? Ma non si può! ››
‹‹Certo che si può. Tu però fai troppe domande, piccoletta. O resti, o torni dalla tua mammina. ››
‹‹ Voglio giocare con voi ›› esclamò
all’improvviso, guadagnandosi un’occhiata stupefatta da parte di Carl.
‹‹ Dici sul serio? E se ti spezzi un’unghia? ›› La bambina
guardò sorpresa le proprie mani, poi il bambino. Non capiva che cosa intendesse.
‹‹ Eh? ›› gli domandò poco elegantemente. Carl fece un gesto che significava ‹‹ Lascia perdere ›› e le diede un colpetto sulla schiena, invitandola a seguirlo. Si sedettero su un vecchio dondolo sgangherato e ricoperto da uno strato di ruggine, e il ragazzo fece segno agli altri due, che ancora correvano, di raggiungerli. Poi estrasse una scatoletta dalla tasca della giacca, e Caroline si spaventò. Aveva tutta l’aria di essere un pacchetto di sigarette. E se Carl le avesse proposto di fumare? Avrebbe fatto la figura della pappamolle, rifiutando. Carl vide la diffidenza nei suoi occhi, pur non intuendo a cosa fosse dovuta, e si affrettò ad aprire la scatolina mostrandole il contenuto: un mazzo di carte.
Caroline si sentì sollevata, e al contempo immensamente sciocca. 
‹‹ Giochi a briscola, piccoletta? ››
‹‹ Certo. ›› E il pomeriggio volò.
Caroline, da dura quale era, non si tirò indietro nemmeno quando i tre ragazzini le domandarono di giocare a pallone, e si divertì. Perse a carte, vinse a calcio, rotolò nel fango, corse, si strappò i pantaloni e rovinò irrimediabilmente il giubbotto. Sapeva che sua madre si sarebbe infuriata, ma non le importò neanche per un istante. 
In quel posto tutto era vecchio, polveroso, opaco. Ma gli alberi gettavano sulla radura ombre suggestive, la luce del sole che filtrava fra il fogliame luccicava sull’erba secca, e la pura felicità dei presenti impregnava l’aria. Quel posto era brutto, da poveri. Eppure era bellissimo. 
Caroline si divertì fino ad avere le lacrime agli occhi per le risate, urlò fino a che le fece male la gola, corse fino a doversi sdraiare a terra, esausta. Soltanto quando il cielo iniziò a tingersi di nero la bambina all’improvviso ricordò perché si trovava al parco, e le venne in mente la sorella. Saltò in piedi, suscitando la sorpresa dei suoi nuovi amici, e biascicando qualche scusa dovette correre via. 
Tornata nel parco, trovò Melissa in lacrime intenta a parlare con un poliziotto. Quando fu riaccompagnata a casa da una sorella furiosa sua madre si adirò, la schiaffeggiò e la mandò a letto senza cena dopo aver visto lo stato in cui la piccola era ridotta. Eppure, la testa di Caroline era altrove: galleggiava in una sorta di bolla di infantile felicità, una sensazione che in futuro non avrebbe mai più provato. Si ripropose più volte di tornare in quel posto incantato, ma non trovò mai il coraggio. Gli anni passarono, crebbe, si trasferì. I mesi diventarono anni, gli anni decenni, e Caroline si ritrovò con i capelli grigi e molti chili di troppo, con un marito, un figlio e due nipoti. Ma il caso volle che le fu diagnosticata una malattia al cuore, e dovette essere ricoverata in ospedale. La sua famiglia decise che sarebbe stata seguita dal miglior cardiologo della zona: fu un’enorme sorpresa per l’ormai anziana donna scoprire che questo medico lavorava proprio nella cittadina in cui lei aveva vissuto l’infanzia.
Progettò per giorni la sua fuga con la massima accuratezza, e finalmente si decise: riuscì a sgattaiolare fuori dall’ospedale pur muovendosi goffamente, e reggendosi appena sulle gambe stanche entrò nel parco. Si diresse in fondo, verso la siepe: ora era abbastanza alta da poterci sbirciare sopra. Ma ciò che vide la sconvolse: al di là del fogliame non era rimasto nemmeno un albero. La radura aveva lasciato il posto ad una colata di cemento che fungeva da parcheggio per l’enorme palazzo che svettava poco più in là. Caroline sentì un nodo alla gola. Tardi, era arrivata troppo tardi. Il giorno più felice della sua infanzia era stato spazzato via. All’improvviso sentì freddo. Si sedette su una panchina, stringendosi nella vestaglia, aspettando che qualcuno la vedesse e la riportasse indietro.
 
   
 
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