Libri > Il Circo della Notte
Ricorda la storia  |      
Autore: tanechka    06/02/2012    1 recensioni
Come sicuramente saprai, bambina, delle ombre luminose si insinuano sovente tra le pieghe della memoria. Sono il nostro passato e i nostri ricordi, il nostro piacere e l’ira sanguigna che accende le viscere, sono la perversione intensa di un tradimento a ridosso di un muro marcito, sono il canto di speranza di eterne, incrollabili felicità. Vuoi rinunciarvi proprio adesso, Celia? Vuoi permettere al crudele tempo di cancellarle tutte?
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il treno sferragliava nell’oscurità, liberando scintille sulla rotaia consumata dalle intemperie. Sbuffi di vapore si confondevano con il chiarore pallido della luce lunare, e il freddo arrossava le guance e rattrappiva le mani rugose di una vecchia contadina che faceva ritorno a casa, a piedi nudi, i capelli bianchi raccolti in uno straccio, un cesto di vimini sulla spalla. Si trascinava sul sentiero gelato, tentando maldestramente di reprimere i brividi, e lo sguardo dietro il finestrino appannato colse solo un lampo, una rapida istantanea di quel momento, trattenendola per l’eternità. Celia sedeva al buio, in solitudine, respirando i residui del proprio piacere condensati nel vagone, distante, eppure così vicina. Cercava di trattenere il più possibile le labbra di Andrès sulle proprie, si imponeva di non sfiorarsi, di lasciare che le braccia si abbandonassero lungo il sedile e che le gambe, immerse in un languore senza nome, si distendessero. Avvertiva un bruciore sordo tra le cosce, e per un istante temette che il sangue avrebbe impregnato la fodera del sedile: poi sprofondò nuovamente nella dolcezza, e a poco a poco i sussulti del suo giovane cuore si placarono, permettendole di realizzare l’immensità di quanto le stesse accadendo. Sotto la veste nera, quasi monacale, che le conferiva un aspetto austero, celava un biglietto vergato in una grafia tremante, costellata di piccole macchie di inchiostro. In quelle poche righe, quasi sicuramente buttate giù con grande fatica e sofferenza – riusciva a percepirlo dalla maniera in cui le parole si susseguivano l’una dopo l’altra, quasi fossero state trascinate con la forza su quell’infimo pezzo di carta, c’era il suo passato e probabilmente anche una parte del suo presente. Così, in quella maestosa notte, in grado di restituire l’incanto e la purezza al più devastato dei cuori umani, l’animo di Celia piangeva in silenzio. Ripercorreva, straziata, il momento in cui aveva allontanato le braccia di Andrès dal proprio corpo, baciandogli appena la punta delle dita prima di scivolare giù dal letto, raccogliere i propri vestiti e scivolare in silenzio fuori dalla porta. Gli aveva lasciato un ultimo ricordo, un addio improvvisato, poiché non era riuscita a svegliarlo e a dichiarargli che lo amava, di un amore vibrante, cieco, sfrenato, che la faceva sussultare durante notti febbricitanti e inquiete – non quella notte, però, così maestosa, così intensa – ma che doveva andare via, abbandonarlo, per ricongiungersi con il proprio passato in frantumi e trovare, finalmente, la pace. Al mattino, quel ragazzo straordinario avrebbe trovato ad aspettarlo solo il profumo di quei capelli che aveva inseguito per anni, prima di riuscire a trattenerlo per qualche fugace ora benedetta dagli déi distanti, e tracce di sangue virginale sul prezioso copriletto, finemente ricamato. Riderà?, si chiese Celia, in ansia. Invocherà il mio ritorno? Ti maledirà, le rispose una voce dal profondo, forse lo stesso Andrés, annidato nel suo ventre come una promessa oscura, Andrés che l’aveva amata con così tanta passione, e che era già fantasma, già ricordo! 
 
Tornerò, Andrés, promise Celia in silenzio, trattenendo le lacrime. Il suo respiro si condensava, assumendo una forma indefinita prima di sbiadire nell’aria immobile, gelata. Le scarpe, male imbottite, sprofondavano nella fanghiglia nevosa, e la giovane scrutava la strada di periferia che le si snodava davanti, cercando di intuire i contorni delle abitazioni malandate. Il dolore fisico si era placato, non avvertiva più neanche il freddo. La luce lunare mandava un bagliore diffuso, e i rumori provenienti dalla stazione giungevano ovattati alle orecchie insensibili di Celia, che ripeteva incessantemente la sua muta cantilena: tornerò, tornerò, tornerò. 
Per un attimo credette di avvertire un suono in lontananza, così tentò di scrutare nuovamente dinanzi a sé, per poter comprendere quale fosse la fonte del rumore: ben presto, nonostante la scarsa illuminazione, poté distinguere nettamente i contorni di una vettura scura e porpora, come una carrozza trainata da nessun cavallo, che scivolava elegantemente verso di lei. D’istinto si vergognò del proprio aspetto da povera ragazza dai folti riccioli raccolti in un austero chignon, e desiderò di possedere qualcosa che, in quel momento, la facesse apparire meno vulnerabile di quanto in realtà non fosse. 
Non si era sbagliata: ben presto quella carrozza improvvisata le si fermò davanti, e Celia poté notare, sempre più stupita, la figuretta agile e svelta di una gitana, immersa in un turbinio di colori accesi, la quale aveva sicuramente il triplo dei suoi anni. La donna, dai folti capelli bianchi trattenuti in uno scialle color arcobaleno, aveva occhi neri e profondi, e rughe sul viso olivastro, ma il suo sorriso era intenso e pulito, e la mano che le tendeva, impreziosita da un numero imprecisato di braccialetti tintinnanti, era calda e asciutta come un giorno di primavera.
Celia trattenne il fiato, sentendosi piccola ed insignificante dinanzi a tanta grazia: la donna, stringendole le dita tra le proprie, parlò con voce fonda e calma. “Ti aspettavamo, bambina.”
La giovane, intimorita, rispose: “Ho ricevuto un biglietto… La grafia mi è sembrata molto simile a quella di mio padre, tuttavia non vi era firma. Mi dispiace, signora, io non la conosco, non credo di capire…”
“Saprai tutto, Celia, gioia degli occhi miei”, replicò la donna, seria. “Ma adesso, te ne prego, entra. La notte è troppo fredda perché possiamo restare qui.”
Celia, nonostante l’assurdità di quanto appena accaduto, rassicurata dallo sguardo intenso della gitana, ubbidì. Sostenuta da quella mano piccola, ma forte, riuscì a salire sulla carrozza e a sedersi sul morbido sedile, scossa da un violento tremito. L’aria nell’abitacolo era molto calda e la donna, accomodatasi accanto a lei, le accarezzò lentamente i capelli, pregandola di posare la testa sulle proprie ginocchia. Celia, grata, ubbidì. Nell’oscurità non poteva intuirlo, ma lacrime silenziose cadevano dagli occhi profondi della gitana, la quale lasciava che si asciugassero da sé mentre le solleticavano le guance e il mento. 
Giunsero troppo presto a destinazione, per la giovane, immersa in un torpore piacevole per le sue ossa infreddolite; e per la gitana, che accarezzava ritmicamente il piccolo corpo rannicchiato contro le sue gambe agili, gustando quella pressione contro la propria carne come se fosse un cibo particolarmente saporito. Riusciva ad intuire l’odore di Celia, il sudore cancellato a colpi colpevoli di spugna, acqua e sapone, il sentore dei suoi capelli umidi, del piacere acquattato sotto il dolore al basso ventre, sfumato appena nelle ore di viaggio che le avevano separate. Cercava di trasmetterle tutto il proprio conforto, ma fu costretta a smettere non appena riuscì ad intuire i contorni della propria dimora, che svettava in uno spiazzo, nella campagna congelata.
Il Circo della Notte apriva al crepuscolo e chiudeva all’alba, ma non in quella circostanza. Per stavolta, difatti, esso sarebbe stato aperto ad una sola visitatrice e alla persona che la accompagnava.
La gitana diede un buffetto a Celia, e sospirò. “Andiamo, bambina mia, siamo arrivate.”
Scesero tenendosi per mano, stringendosi le dita con una naturalezza tale che Celia per un istante dimenticò la strana situazione in cui si trovava per soffermarsi solo su quell’ultimo aspetto. È una sconosciuta, si disse, non l’ho mai vista prima, eppure… 
Per qualche istante tacquero, contemplando la visione di quanto si parava loro innanzi. Fu la gitana a spezzare l’incanto, e parlò con voce arrochita dall’emozione. 
“L’autore di quel biglietto, Celia, piccola mia” esordì, tremando, “è venuto a mancare l’altro giorno, mentre il sole splendeva. Io l’avevo letto nella sua mano, molti anni fa.” Un singhiozzo la interruppe. “Oltre a questo, avevo visto nel suo destino che avrebbe amato una sola donna, dai riccioli indomabili e dal cuore algido, la quale, consapevolmente, o forse no, ne avrebbe segnato irrimediabilmente l’esistenza, imponendo su di lui la propria vita con l’intensità di una maledizione. Questa donna gli avrebbe dato una figlia, una splendida bambina dagli occhi stretti e dal cuore puro… Tuttavia, non sarebbe bastata una giovane vita, sangue del suo sangue, a placarne la sete di amore. Pertanto, quando a Prospero l’Incantatore fu proposto di collaborare al progetto del Circo della Notte, egli accettò di buon grado.”
Celia tremava. La gitana, con pochi, rapidi passi, percorse il breve tratto che la separava dall’entrata e ne accarezzò lentamente la protezione, un drappo color porpora che arrivava sino a terra. 
“Nel Circo della Notte non hai un presente, piccola Celia, ma soltanto il passato”, mormorò la gitana. “Prospero l’Incantatore, tuo padre, lo aveva intuito. Pertanto, giunto il termine della propria vita, ha voluto che tu potessi ricongiungerti con quanto ti è stato strappato ingiustamente, quando eri ancora una bambina.”
“Eppure lui non ha lottato per tenermi con sé”, bisbigliò Celia con voce spenta. “I nostri incontri erano fugaci, le sue parole così distanti…”
“Ti amava con una tenerezza difficile da esprimere, piccola mia”, rispose tristemente la gitana. “Ma nel tempo anche quell’uomo, così fecondo d’amore e di buoni sentimenti, è andato chiudendosi in se stesso, a tal punto da scomparire, come portato via da un soffio di vento.”
“Mi dispiace”, articolò Celia a fatica.
“Non intristirti, Celia, perché è giusto che le vostre vicende si dispiegassero in questo modo, tanto incomprensibile, ma così saggio.” Dichiarò la gitana. “Non hai colpe. L’unico errore di quell’uomo è stato… perdere la speranza. Rinnegare ogni sentimento positivo e spegnersi lentamente, come una fiamma ostinata contro un soffio troppo debole.”
La giovane non riuscì a rispondere. Il suo sguardo si soffermava a tratti sul viso adorante e sugli occhi pieni di dolore della gitana, che la notte faceva apparire minuscola e vulnerabile, una fata delle fiabe, addobbata con vesti colorate come se per lei ogni giorno fosse un giorno di festa. 
“Come sicuramente saprai, bambina, delle ombre luminose si insinuano sovente tra le pieghe della memoria. Sono il nostro passato e i nostri ricordi, il nostro piacere e l’ira sanguigna che accende le viscere, sono la perversione intensa di un tradimento a ridosso di un muro marcito, sono il canto di speranza di eterne, incrollabili felicità.” Mormorò la gitana con lentezza, dopo qualche istante. “L’intento nobile del Circo della Notte e del tuo meraviglioso padre fu quello di restituire speranza a tanti miserabili.”
“E ci riuscirono?” domandò Celia, colta di sorpresa.
“L’inizio fu particolarmente difficoltoso, ma sì, bambina, ci riuscirono. Chiunque varchi questa soglia, che sia puro di cuore” la mano della gitana sfiorò con delicatezza il drappo, per poi ritrarsi quasi immediatamente “ottiene la possibilità di ricongiungersi con il proprio passato perduto. È nell’ora dei sogni che è possibile incontrare nuovamente coloro che sono andati a morire negli strati più profondi della nostra memoria…”
Celia tacque. 
“L’unico profitto che tuo padre otteneva da questa iniziativa”, aggiunse la gitana con dolcezza “era l’amore. Ogni giorno, in luoghi sempre diversi, alla stessa ora, smuovevamo la terra per piantare i nostri paletti e montare le tende…” la voce le si spezzò. “Con queste mani, e con questi occhi ammiravamo tramonti indimenticabili, sedendo l’uno accanto all’altra, in silenzio”, sussurrò poco dopo, accarezzando le dita di Celia alla cieca, senza tentare neppure di individuarle con lo sguardo. “Tuo padre ed io, che l’ho amato più di qualunque altra creatura su questa terra”. Le lacrime della donna solcavano copiose le guance della donna, che tuttavia continuava a guardare fisso davanti a sé, ritta, imperiosa, pur essendo piccola ed esile.
 Celia le strinse le dita con forza. “Se varcherò quella soglia”, balbettò dopo qualche istante di silenzio “perderò per sempre Andrès, non è così?”
“Bambina mia”, sospirò la gitana, e le sue labbra stanche si incurvarono in un sorriso umido “come puoi pensare una cosa simile? Andrès vivrà dentro di te, eternamente…”
“Ma non sarà come stringere le sue dita sul mio ventre, o baciargli le palpebre mentre riposa”, replicò Celia con tristezza. “Eppure, come posso voltare le spalle ad una simile responsabilità? Come posso sottrarmi dinanzi alla possibilità di regalare speranza a tanti infelici?”
“Celia, piccola mia, non hai pensato che, se un giorno Andrès dovesse varcare questa soglia” gli occhi della gitana splendevano nel buio “vi ritrovereste per sempre?”
La giovane si asciugò con forza le lacrime. “C’è una possibilità?”, chiese.
La gitana annuì in silenzio. Le due donne si cercarono a tentoni e si strinsero con forza, mentre, in lontananza, sui profili dei tetti, l’oscurità cominciava a diradarsi. Lentamente, dopo un arco di tempo imprecisato, – minuti? Ore? Celia non avrebbe mai saputo dirlo – tenendosi per mano, varcarono la soglia del Circo della Notte.
 
Lontano, ancora più lontano, forse in un’altra vita, Andrès si svegliò urlando, probabilmente a causa di un incubo, oppure per via del vuoto che avvertiva tra le braccia, tra le gambe, nel petto. Impiegò minuti interi per calmarsi, madido di sudore, il respiro affannato, mentre con le dita sottili sfiorava le lenzuola fredde che solo poche ore prima – oppure in un’altra vita – avevano ospitato il calore di quella giovane pura di cuore, con una massa di riccioli ribelli, gli occhi stretti, che l’aveva fissato con aria di sfida mentre tremava di paura, perduta nella sua verginità senza nome. La luce del giorno filtrava attraverso le tende bianche, colando copiosa sul pavimento di marmo, Andrès aveva tanto freddo, il tempo atmosferico sembrava ottimo per una bella passeggiata, pensò confusamente. Dopodiché abbandonò la testa sul guanciale che aveva accanto – il quale ancora serbava l’odore intenso dei capelli di Celia, indimenticata, divina creatura – abbandonò le braccia e le gambe e pianse.
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Circo della Notte / Vai alla pagina dell'autore: tanechka