Peter Costa aprì la lettera con un moto di violenza,ma prima di leggerla si affacciò alla porta principale e si assicurò che il postino fosse andato via.Non voleva altri impicci. Lesse quelle poche righe tremando di paura,un sudore freddo gli bagnava la fronte. Tutto ciò in cui aveva creduto fino ad allora,tutto il suo mondo,crollò. Poche parole erano bastate per distruggere il suo mondo,la sua felicità. Un gemito,poi un gesto folle.Sbattè la testa più e più volte,fino allo stordimento. Cadde a terra inerte,ma respirava ancora,seppure debolmente. La cameriera,una donna sulla quarantina,dalle gote perennemente arrossate,entrò per portare il consueto tè delle nove. Si meravigliò di non vedere il signor Costa alla scrivania ed aprì le tende per vederci più chiaramente. Trovò il proprio padrone supino sul pavimento,ancora tremante e che in un moto convulso alzava la mano destra al cielo. Subito ella si avvicinò al telefono e compose il numero dell'ospedale.Venti minuti dopo l'ambulanza arrivò,ma Peter aveva ripreso i sensi e chiedeva della lettera. I paramedici e e la fedele credevano che fosse sotto shock e non presero seriamente le sue parole. E questo fu un ulteriore passo verso la rovina.