Libri > Il Circo della Notte
Ricorda la storia  |      
Autore: PaleMagnolia    06/02/2012    3 recensioni
Da qualsiasi parte si girasse c’era lo sbuffo di un pennacchio rosso o giallo, uno sfavillio di paillettes d’argento, o un volo di colombe e coriandoli, lo schiocco di un frustino dalle corde colorate. Fiamme improvvise erompevano dalla bocca del mangiafuoco; esplosioni al magnesio accecavano i passanti, lasciando aspre esalazioni chimiche nell’aria; ovunque odore di petrolio e di cavalli, di gesso, di sudore, di bruciato, di tabacco e di caramello.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Le notti erano fredde, in quel periodo dell’anno.
Celia rabbrividiva un po’: aveva già indossato il costume che era la sua divisa sul palco – arricciature, lacci e vecchi lustrini, nastri nei capelli: molto scenografico, sicuro, ma non altrettanto pratico: teneva caldo più o meno quando un accidenti di fazzoletto da naso.
A lei piaceva, però. Più o meno.
Il bustino (tela rigida, stecche, fodera un po’ ingiallita ai bordi) forse era un tantino troppo grande per lei, ma questo faceva sì che potesse metterlo più o meno senza aiuto; se nessuno aveva tempo per darle una mano con la chiusura, infatti, lo infilava al contrario, tenendo l’allacciatura sul davanti: stringeva i lacci per bene, e poi ci si contorceva dentro, girandosi e strattonando il tessuto, finché gli occhielli, i ganci e i nastri non finivano sulla schiena.
“È sveglia, la tua bambolina, eh Bowen?” aveva detto il direttore una volta, vedendola fare quel numero.
Prospero aveva risposto con un mugugno che poteva significare qualsiasi cosa, dal fastidio ad una sorta di riluttante approvazione. Forse lo seccava il fatto che Celia non riuscisse ad allacciarsi gli abiti con la magia, semplicemente pensando di farlo o qualcosa del genere - ma fare un nodo è già abbastanza difficile usando le mani... quando hai cinque anni.
Quella sera, tuttavia, una delle ragazze del circo equestre, vedendola armeggiare coi lacci dell’abito, sbuffando e tirando, le aveva dato una mano; i ricci le erano stati raccolti sulla nuca in un nodo elaborato, più adatto ad un’adulta, e portava bianchi guantini di raso. Ai piedi però portava ancora gli stessi stivaletti stringati che aveva addosso il giorno in cui era arrivata: di buona qualità, anche se un po’ consunti sulla punta. Per l’assistente di Prospero l’Incantatore, comunque, potevano andar bene: il pubblico aveva occhi solo per lui (e come avrebbe potuto essere altrimenti?), e nessuno avrebbe fatto caso alle scarpe della bambina, il cui solo compito – almeno, fino a quel momento - era quello di porgere al mago questo o quell’oggetto e fare un bell’inchino alla platea. Non che Prospero avesse bisogno di un’assistente – piuttosto, preferiva tenere d’occhio la bambina anche quando si esibiva… soprattutto quando si esibiva.
Celia scostò la tenda di tela cerata che faceva da parete, tetto e porta del camerino. Vide passare gli acrobati dei tessuti aerei – quegli esseri senza peso, vestiti di bianco, che danzavano attorcigliati a lunghi nastri appesi al soffitto, e facevano trattenere il respiro al pubblico (Celia compresa) quando si lasciavano cadere dall’alto del tendone svolgendo le loro spire di tela. Rimase a guardarli scherzare mentre s’infilavano le calzamaglie, ben consapevole che sua madre non le avrebbe permesso di guardare qualcuno che si vestiva, o si svestiva (o, se è per questo, si soffiava il naso o si grattava, o faceva una delle altre mille cose considerate “sconvenienti”).  
Sul fondo, un lembo del tendone venne sollevato, ci fu un ticchettio di speroni e comparvero le due sorelle del numero coi cavalli – riconoscibili dalle grandi piume bianche e nere nei capelli e dagli alti stivaletti. Discutevano animatamente fra loro, come d’abitudine – non andavano molto d’accordo, fatto esasperato dalla pessima abitudine che avevano d’infatuarsi entrambe dello stesso giovanotto, ogni volta.
Un’equilibrista vestita di garza, con un paio di ballerine di seta dai lunghi nastri ai piedi, corse da una parte all’altra del cortile portando un rotolo di corda bianca in spalla, le mani e le suole bianche di gesso, le labbra rosse come una caramella. I primi tempi, Celia era intimorita da quel parossismo di lustrini, di piume e di nastri; da qualsiasi parte si girasse c’era lo sbuffo di un pennacchio rosso o giallo, uno sfavillio di paillettes d’argento, o un volo di colombe e coriandoli, lo schiocco di un frustino dalle corde colorate. Fiamme improvvise erompevano dalla bocca del mangiafuoco; esplosioni al magnesio accecavano i passanti, lasciando aspre esalazioni chimiche nell’aria; ovunque odore di petrolio e di cavalli, di gesso, di sudore, di bruciato, di tabacco e di caramello.
Ma più di ogni altra cosa la colpiva il fatto che tutti - uomini e donne, giovani o vecchi, bambini – sul palco avevano il viso dipinto. Celia non aveva mai incontrato qualcuno che usasse cosmetici, prima di allora: solo le donne di strada si truccavano il viso (così le chiamava la mamma, “le donne di strada”, e c’era qualcosa nel modo in cui lo diceva che dava a Celia l’impressione di dover provare vergogna, anche se non aveva fatto nulla). Nella testa della bambina, il rossetto, come il profumo, erano indelebilmente associati al periodo peggiore della sua vita, l’ultimo passato con la madre: misero alberghetto in periferia, odore di muffa e di colonia da poco prezzo; freddo, porte sbattute, tonfi e ansiti durante la notte, grida.
In quel mondo, invece, dentro a quei tendoni, labbra e guance rosse, occhi pesantemente bistrati di nero, oro sulle palpebre, lustrini nei capelli - erano la regola.
“Non t’impressionare, bambina.” le aveva detto Prospero, burbero. “Non è tanto la magia che vuole il pubblico, sai. La gente vuole vedere il trucco dietro il numero. Vuole questo. Dai a quella gente qualche piuma e qualche perlina, un po’ del vecchio hocus pocus - conigli e cilindri e colombe nelle loro gabbie - e cadranno ai tuoi piedi, tutti, dal primo all’ultimo. E non ha importanza se le donne sono brutte, se gli acrobati inciampano nei loro stessi piedi, basta un po’ di roux sulle labbra e tutto va liscio ch’è una meraviglia.”
 
Celia si avvicinò a Prospero, seduto, che scriveva Dio solo sa che cosa in quel suo vecchio libriccino di cuoio, e borbottava immerso nei suoi pensieri. Si appoggiò con le piccole mani alla spalliera della sua sedia.
“Lo era, sai”, disse, con una voce infantile e strana, rauca.
Prospero alzò la testa e la fissò a lungo, interdetto. Erano le prime parole che la bambina pronunciava - in sua presenza, almeno.
“Come, prego?”, chiese infine, un sopracciglio sollevato.
“Lo era. Abbastanza intelligente.” Celia aveva incrociato le braccia sul corpetto del vestito e lo guardava di sottecchi, al di là di un ricciolo che le era ricaduto davanti agli occhi. Parlava lentamente, scandendo bene le sillabe, come uno straniero ben istruito che usi una lingua non sua. Sembrava che non fosse abituata a parlare in inglese; e in effetti, a ben pensarci, non era abituata a parlare affatto, dato che in tutto quel tempo, da quando era arrivata, non aveva detto una parola a nessuno, rispondendo solo a cenni o a monosillabi a qualsiasi tentativo di approccio.
Prospero la fissò ancora qualche attimo e poi scosse lentamente la testa. “Oh, ma che bellezza”, disse, acido. “Non ti degni di profferir verbo per settimane, per mesi, e poi te ne salti fuori con assurdità del tutto incomprensibili.”
Celia lo guardò, l’espressione neutra.
“Beh, ti spiacerebbe spiegarmi di che diavolo stai parlando, madamoiselle je-ne-parle-pas, o è di troppo disturbo alla vostra illustrissima maestà?”
Celia inclinò la testa. “Vous ne devriez pas penser que je ne parle pas du tout, simplement parce que je ne parle pas avec vous, pére” rispose lei; lo disse rapidamente e senza esitazione, fin troppo rapidamente, anzi, per la sua giovane età. Il suo francese non era perfetto, ma più che passabile.
Prospero si alzò lentamente e si bilanciò prima su un piede, poi sull’altro, confuso. Non si aspettava quel fiume di parole e ci mise un attimo a realizzare quello che aveva detto. Non sapeva se essere irritato, perplesso o leggermente inquietato da quella ragazzina dagli occhi scuri.
“Oh, ma senti, senti. Siamo stati educati proprio a puntino, non è così?” mormorò.
“Beh, per lo meno mia madre è stata abbastanza intelligente da insegnarmi questo.”
Celia alzò gli occhi e lo fissò con sguardo ostile, quel genere di broncio infantile, terribilmente serio che tutti gli adulti tendono a trovare invece irresistibilmente comico, anche quando non dovrebbero.
Prospero la fissò, un barlume di comprensione negli occhi, e poi si dondolò sulle suole delle scarpe. “Oh”, disse, con una specie di ghigno ironico. “Oh, ma è dunque questo che tormentava la piccola Celia, sì? Ho dunque detto qualcosa che ha offeso maman? Ma dev’essere stato mesi fa, dato che, a quanto mi risulta, non sono solito parlare di lei.”
Celia incrociò le braccia.
Prospero schioccò le dita, sarcastico. “Ah, sì. Adesso ricordo.”
Si girò e, con una piroetta scenografica, si lasciò cadere su una sedia, dove accavallò le gambe e ghignò al suo indirizzo; assunse una posa teatrale e si portò una mano alla fronte. “Oh, come mi sono permesso di sfiorare anche solo con una parola la sacra memoria della povera, povera, povera maman?” Rise, una risata amara, senza allegria, e allargò le braccia, in una parodia del se stesso da palcoscenico. “Chiedo scusa, oh, sicuro: mi prostro umilmente ai vostri piedi,mia cara.” Prospero si bloccò e alzò una mano, l’indice alzato, come chi ricordi improvvisamente qualcosa.
“Ma – un momento - non dimentichiamo una cosa, per favore” disse, e qui il suo tono si distorse in un sarcasmo rabbioso. “Il gentile pubblico non dimentichi che chi si occupa di mam’selle Celia, la graziosa bambolina qui presente – un applauso per la mia piccola assistente, signore e signori” Si alzò e si mise a misurare a larghi passi la stanza, contando sulle dita man mano che elencava.
“Chi la nutre, chi la educa, chi le da un tetto sulla testa, chi la istruisce… stavo dicendo?” Si girò verso Celia, che lo fissò di sottecchi.
 “… Ah, sì. Dicevo, chi mai, in questa valle di lacrime, si prende cura della ragazzina? Non la brava maman, l’intelligente maman, ma io, io, io!” Il tono della sua voce si alzò fino a diventare stridulo. “E non per mia scelta, oh, no, questo è certo.” Le girò le spalle, le code della giacca ondeggianti dietro di lui, e uscì dalla stanza in uno svolazzare di tende. “Dannazione!”, lo si sentì urlare, in distanza.
Celia non si era accorta di trattenere il respiro finché, una volta uscito Prospero, non fece uscire l’aria con uno sbuffo. Si sedette sulla sedia lasciata vuota, non sapendo bene cosa fare.
Aveva solo una cosa da dire, e l’aveva detta. Ci aveva messo un paio di mesi, ma – oh, be’. Non era una bambina impulsiva.
La tenda che faceva da porta a quell’improvvisato stanzino si riaprì di scatto, e Celia balzò sulla sedia per la sorpresa. Una testa piumata spuntò dall’ingresso, seguita da una giacca con gli alamari e un braccio completo di frustino decorativo.
“Ehi. Tutto a posto, cucciolo?”, chiese Dinah (o forse era Darlene - Celia non aveva ancora afferrato bene i nomi delle sorelle del circo equestre).
La bambina fece un goffo cenno d’assenso con la testa.
La ragazza lanciò uno sguardo eloquente nella direzione in cui era scomparso Prospero.
“Che carattere, quel mago, uh?” Masticava uno stelo di paglia, in un modo un po’ mascolino che faceva un buffo contrasto con il vezzoso costume da spettacolo, ma a Celia sembrò amichevole. “Beh, non te la prendere, zuccherino.” Disse, senza attendere una risposta. “Fa così con tutti.”
Scrollò le spalle in un modo buffo, come a dire che bisognava rassegnarsi. Poi, rapidamente come era arrivata, uscì.
Celia batté le palpebre, perplessa. Gente che urla, gente che entra ed esce in continuazione. Maghi. Magia. Piume dappertutto.
Circo, pensò.
 
 
 
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Circo della Notte / Vai alla pagina dell'autore: PaleMagnolia