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Autore: Elle Douglas    06/02/2012    2 recensioni
A chi non è mai capitato di sognare? A me sì, tante e tante di quelle volte, ma questa volta è diverso, ho immaginato la mia storia con il mio attore preferito, colui che da due anni è entrato nella mia vita con uno dei suoi splendidi sorrisi, di chi sto parlando? Ma di lui: Robert Pattinson!
Ho immaginato un’incontro a Montepulciano e da lì si è sviluppata tutta la storia.
“Cosa succede se una ragazza come tante, un giorno riuscisse a realizzare il suo sogno e a realizzare una vita su quello?" Come sarebbe una vita insieme al suo idolo? Ho provato a immaginare ed ecco cosa ne è uscito... spero vi possa piacere a magari perché no? Anche emozionare!
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Eeeee… dopo 2 mesi il nuovo capitolo è QUI!!! *stilecarrambata*
Oddio, lo so, sono passati due mesi dall’ultima volta che ho pubblicato un capitolo e magari avrete pensato che sono morta o cose del genere, e con il freddo che sta facendo credetemi ci sono stata vicina! LOL
Comunque è inutile dirvi che non ho avuto tempo, ho iniziato a lavorare e i tempi per scrivere si sono ristretti notevolmente senza che me ne accorgessi, ma ora il capitolo è pronto, è una cosa più sul natale (Lo so che è passato, ma l’idea era di pubblicarlo in quei giorni!) e all’inizio dovrei ben dire che è forzato al massimo perché non avevo la minima idea di cosa scrivere, il tutto è andato scorrendo verso la fine anche grazie all’immenso aiuto della mia migliore amica e sorella che ringrazio davvero di cuore per essermi sempre vicina anche in cose come questa. <3
Beh, ora mi dileguo e vi abbandono al nuovo capitolo come sempre.
Tornerò presto, almeno spero! XD
 
Buona lettura, e mi raccomando recensite come sempre.. mi fa sempre piacere sapere che ne pensate!
Baci. :*


 

“Scommetto che tu stai morendo di freddo!” esclamò premurosa Clare vedendomi entrare per l’ennesima volta in quella casa.
“Ehm.. a dire il vero sì. Posso dire nettamente che sto congelando qui, non ci sono abituata probabilmente..”, feci spallucce abbassando lo sguardo.
Un altro brivido di freddo m’invase l’anima e sobbalzai appena la mia giacca si sfilò.
Rob puntualmente se ne accorse e prese ad abbracciarmi e a strofinarmi le spalle con vigore.
“Sto bene”, mugugnai in un sussurro imbarazzata di tutte quelle attenzioni davanti a sua madre.
Lui non ci badò come suo solito. Alzai gli occhi al cielo rassegnata.
“Mamma la porto di là, non vorrei morisse congelata”. Confessò con un sorriso.
“Si, è decisamente meglio, tra un po’ arrivo anch’io con due belle tazze di thè fumanti”, disse quella entusiasta, neanche il tempo di ribattere ed eravamo già in salone seduti sul divano di fronte ad un immenso camino addobbato a festa, porsi subito le mani congelate per riscaldarmi.
Era difficile abituarsi ai climi freddi e rigidi di Londra ancora, specie per chi come me arrivava da una regione che di nebbia, freddo e neve ne vedeva raramente, la temperatura di Londra era abbastanza uggiosa, non credo mi sarei abituata facilmente.
Una mano mi accarezzò lievemente un guancia per testare la mia temperatura corporea. Chiusi gli occhi assaporando al meglio quel momento prima di girarmi verso di lui.
“Sto bene”, risposi con un sorriso che lo invitò ad avvicinarsi al mio viso.
“Quante volte l’hai detto oggi?”, chiese malizioso.
Ci pensai su. “Uhm.. un paio di volte probabilmente”.
“E sai quante volte ci ho creduto?”
“Immagino nessuna”. Conclusi.
Annui divertito baciandomi le labbra.
“Ancora non puoi abituarti eh?”.
“Il freddo non è qualcosa che prediligo, forse perché non ci sono mai stata abituata, ma me la faccio scendere. Non ti devi preoccupare davvero”. Spiegai per l’ennesima volta prendendogli una mano. Lui se la rigirò e prese la mia tra le sue: erano terribilmente calde.
“E’ stato bello comunque vederti cadere sul ghiaccio oggi”, e scoppiò a ridere.
“Ah si?”, misi il broncio e incrociai le braccia allontanandolo da me. “Non è colpa mia se non ho mai pattinato!”.
“Sam non smetteva di ridere”, ricordò, e ancora giù con le risate.
“E perché tu no? Menomale che dovresti essere dalla mia parte”, stipulai tirandogli un pugno in pieno petto facendolo strozzare quasi.
“Cos’ì t’impari!”, dichiarai stizzita prolungandomi verso il focolare e il suo calore.
“Ti fa arrabbiare eh?”, chiese adorabile Clare entrando con un vassoio in mano.
“Non sa quanto”, dissi lanciandogli un occhiataccia prima che un’altra venne riservata a me. Clare mi guardava in cagnesco quasi.
“Vanessa, quante volte ti ho detto di non darmi del lei? Su, ormai sono tua suocera”.
Suocera. Una parola, un attributo che non avevo mai ingurgitato per bene, non perché non fossi legata o cose del genere ma per il semplice forte imbarazzo che creava in me quella parola, come il definire il loro figlio il mio fidanzato.
Era mio solo in parte, tutto il resto era dei fan e di Kristen, se così si poteva dire.
Mi sforzai di sorridere e ne usci qualcosa come un “Ok” smorzato a fatica, ma almeno l’avevo fatta felice.
“Nero, come piace a te”. Disse porgendomi la tazza.
“Ho un po’ stravolto le vostre abitudini, mi dispiace”, sapevo che gli inglesi adoravano il thè al limone e cose del genere. Avrei voluto sapere davvero cosa pensasse a proposito.
“Non ti devi dispiacere di nulla, lo sai”, disse porgendo un'altra tazza a Rob. “I gusti son gusti, non si possono stravolgere per piacere a qualcuno no? Altrimenti non saresti te stessa”.
Annui sorseggiando quel thè bollente quasi.
“E i tuoi?”, prese a chiedere Clare sedendosi vicino a noi.
“Oh, li ho chiamati poco prima. Arriveranno nei prossimi giorni”. La informai. “Stanno controllando un po’ di alberghi nella zona”.
“Quali alberghi, scusa? Sono nostri ospiti, c’è la camera di sopra. Non esigo, ti prego di dirglielo”. Feci per ribattere, ma non me ne diede la possibilità. “E tu Douglas non dici nulla a proposito?”, assillò il figlio.
“Oh Clare, davvero Rob non c’entra nulla. Anche lui sa benissimo come sono i miei: non vogliono recare disturbo, ma non si preoccupi, ehm.. ti preoccupare” cambiai notando di nuovo quel rimprovero a fior di labbra. “Cercherò di convincerli come meglio posso”.
“Assolutamente, mi offendo se prendono una stanza in albergo, per una volta che possiamo stare tutti insieme. Quale festa migliore del natale per farlo?”, le brillavano gli occhi. Era persino più entusiasta di me.
“Già..”
Guardai Rob guardarmi a sua volta. “Un natale tutti insieme suoceri e consuoceri”. Sorrisi.
Eravamo lì da un po’, in special modo io e Rob e mancava davvero poco al natale, quell’aria calorosa e colorata che si creava in quel periodo, le luci, gli addobbi e quello stare in famiglia era qualcosa che ogni volta mi mandava in estasi. Adoravo quella festa e Rob lo sapeva meglio di me.
Quando ero arrivata non avevo fatto altro che stare attaccata al finestrino dell’auto osservando ogni minimo particolare di quella città così magnifica che non avevo mai visto sotto quell’aspetto.
Le luci, il calore e la forte sensazione del natale che c’era in quel posto era qualcosa di straordinario. I miei occhi non avevano mai visto uno splendore simile alla città londinese e, di conseguenza, me ne stavo lì, col naso all’insu’ ogni qualvolta ci trovassimo fuori, a guardare le meraviglie che mi mostrava: Le luci e i colori di Londra a Natale erano qualcosa di spettacolare, l’ammiravo sempre più basita e meravigliata, il tutto era adornato da un leggero manto di neve che andava sciogliendosi a poco a poco nonostante la temperatura gelida che toccava il sette gradi.
La magia del Natale lì era assolutamente qualcosa di travolgente.
“Vogliamo salire un po’?”, chiese il signorino accanto a me indugiandomi a dare una risposta positiva.
Annui riponendo la tazza nel vassoio sul tavolino lì vicino.
Lui mi prese per mano e mi trascinò su per le scale.
“Scenderemo più tardi”, informò la madre trasportandomi in camera per mano.
La salutai con una mano e con un lieve sorriso.
“A dopo, e mi raccomando però.. non scendete tardi che si fredda.”
“Ok”. Sbuffò il figlio scocciato.
 
Una volta entrati in camera chiuse la porta.
“Ho bisogno di una doccia”, dissi dirigendomi verso il bagno un po’ intontita prima che una forza al di fuori di me mi sbilanciasse all’indietro.
“Mmh..” mugugnò sorridendo. “Dov’è che vai?”, chiese a una decina di centimetri dal mio viso.
Non mi diede il tempo di rispondere che m’incollò alle sue labbra momentanee ospiti di un aspro sapore al limone.
Ricambiai il bacio lasciandomi trasportare e avvinghiandomi completamente a lui come una piovra e succhiai con dolcezza il suo labbro inferiore alternando il tutto con dei lievi morsi anche sul collo.
“Da quando sei diventata una vampira?”, chiese divertito.
“Da quando ho visto un certo Twilight, non so se conosci..” allusi staccandomi dalle sue labbra ma non dal suo corpo che mi sosteneva, d’un tratto una cosa al di sopra di una mensola catturò la mia attenzione facendomi sporgere come una bambina piccola.
“Che c’è lì?”
“Lì dove?”, chiese quello voltandosi non capendo a cosa mi riferissi.
Scesi dalle sue braccia e mi diressi verso l’ultima mensola che avevo visto dall’alto, afferrando ciò che aveva colpito la mia attenzione.
“Oddio Rob!”, un sorriso m’illuminò il volto vedendo quello che avevo tra le mani. Una foto mia e di Rob quando ancora non eravamo niente.
Una foto semplice tra una fan e il suo attore preferito.
Sentivo le farfalle nello stomaco una per una nel ricordo di quella foto.
Quante emozioni m’invasero nel ricordo, accarezzavo la foto e sorridevo felice.
 
Ci eravamo incontrati un po’ di giorni dopo l’incidente col caffe’ al bar.
Ero dietro le transenne ad ammirarlo dietro una schiera di fan urlanti ed emozionate quasi quanto me.
Ero ancora a Montepulciano e da lontano l’ammiravo estasiata, era la miglior cosa che si potesse vedere, lo guardavo bellissimo e magnifico sotto quel portone a petto nudo mentre interpretava Edward, venni invasa da mille emozioni in quel momento e quasi, trasportata dai ricordi, iniziò a scorrermi qualche lacrima.
Stringevo a me una fotocamera, ma le mie mani tremavano come foglie e il mio cuore sobbalzava in sua presenza: Eravamo lontani, ma eravamo insieme nello stesso angolo di mondo in quel momento, e non era un sogno.
Chissà se mi avrebbe riconosciuta, la “Coffee’s girl” gli sarebbe tornata in mente? O lo aveva già dimenticato? D’altronde però non poteva ricordarsi di tutte le fan che incontrava per strada o durante i suoi viaggi. Ma almeno io speravo nel contrario, il mio cuore vagava in una piccola luce, un luccichio nei suoi occhi quando mi avrebbe vista e un suo: “Oh, but I recognized. Are you the Coffee’s girl, really?” mi sarebbe bastato per arrossire violentemente e confermare il tutto.
Momento di riprese, un attimo di silenzio sorvolò l’aria intorno: Robert era all’interno di quel portone, si avvicinava a passo lieve all’esterno togliendosi la camicia lentamente. Lo vedevo, riuscivo a osservarlo  e andai implicitamente in iperventilazione mentre altre vicino a me gemevano come delle pazze.
Camminava lentamente ad occhi chiusi, interpretando il suo personaggio che andava incontro alla sua morte mentre io inerme lo osservavo quasi paralizzata.
Poi Kristen quasi come un razzo gli volò tra le braccia scaraventandolo quasi all’interno nonostante ci fosse un uomo a reggerlo.
Tutti scoppiarono a ridere della troppa veemenza con cui ci si buttò sopra.
Il regista gridò uno Stop poco dopo.
Chiusi gli occhi.
Un momento di pausa e urla, emozioni e quaderni con penne si protendevano verso qualcosa che io non riuscivo a vedere, pur essendo verso le prime file.
Mi allungai di più verso l’ala destra della folla, ancora lontana e distante da me dove l’attenzione si concentrava maggiormente e lo vidi.
Un raggio di sole nelle vesti di un sorriso mi penetrò l’anima facendomi mancare per poco non svenni a terra come più volte avevo immaginato in sua presenza.
Ma non volevo e non potevo farlo, ero ancora una volta vicina al sogno e non potevo farmelo sfuggire.
Ero a un passo da me, mancavano un paio di metri e mi sarebbe stato di fronte. Mi si mozzò il respiro e andai in iperventilazione ancora una volta.
Chiusi gli occhi per un momento cercando di riprendermi.
“Ehi tu”, fece una voce maschile in perfetto inglese. “Ehi tu, stai bene?”, chiese quasi preoccupato ora non vedendomi rinvenire e aprire gli occhi. Lo senti toccarmi e contemporaneamente avvertì una scossa. Impossibile che fosse lui.
Aprii gli occhi e mi trovai di fronte a un angelo. Il più bello che avessi mai visto.
Aveva gli occhi fissi su di me, con un espressione quasi preoccupata. Mi bloccai del tutto non emettendo alcun suono in risposta.
Lo vidi misurare ogni mia espressione prima di voltarsi.
“Jim, fai uscire fuori questa ragazza da dietro le transenne. Non sta per niente bene”, annunciò lui a qualcuno lì vicino.
Tentai di ribattere senza che alcun suono uscisse dalla mia bocca, prima che una forza mi sollevò di peso da quella folla e mi portò davanti a lui per l’ennesima volta, in modo libero.. inspirai tutta l’aria possibile una volta fuori da quel delirio e lo guardai negli occhi, per poi abbassarli, timida com’ero.
Lui sospirò e qualcosa in testa gli ricomparve.
Sgranò gli occhi sorpreso e quasi felice.
“Tu, tu.. sei la ragazza del caffè! Ti ho trovata finalmente. Ti ho cercata dappertutto dopo quel giorno”.
Lui mi aveva cercata. Lui mi aveva cercata. Lui mi aveva cercata. Ecco cosa appariva in sovraimpressione nel mio cervello in quel momento.
“Tu. Hai. Cercato. Me?”, balbettai inebetita, non capendo il senso di quelle parole.
“Si insomma, quella mattina ti ho versato tutto il caffè addosso. Volevo sdebitarmi”. Esclamò imbarazzato toccandosi i capelli.
Restai a bocca aperta non riuscendo a proferire altra parola.
“ E quindi, dato che sei qui, che ne diresti di passare una giornata insieme? Insomma vedrai come si gira un film. E poi è anche la tua saga preferita no?”
Annui ancora incredula. Possibile che tutto ciò che stavo vivendo stesse succedendo davvero? Stentavo a crederci. Volevo che qualcuno mi desse un pizzicotto ma che non mi svegliasse.
Lui ancora aspettava risposta: “Allora? Accetti?”.
“Sì!”, dissi con decisamente troppo entusiasmo. Se ne accorse e rise nella sua melodiosa risata capace di incantarmi.
“Allora andiamo. Tra un po’ si ricomincia!”
 
*
 
Mi guardava ignaro del viaggio mentale che avevo fatto in quel momento.
Avevo il viso rigato da immense lacrime che avevano iniziato a scorrermi senza che io me ne accorgessi.
Tenevo gli occhi fissi sulla foto e dolcemente l’accarezzavo.
“Come ce l’hai questa?”, chiesi d’improvviso.
“L’hai lasciata tu qui l’ultima volta che ci sei stata..”, rispose non capendo un bel nulla.
“Ah”, risposi amorfa senza colori ne tono ancora invasa nel ricordo.
“Van, succede qualcosa?”, chiese avvicinandomi e sollevandomi il viso.
Lo guardai dritto negli occhi e sorrisi.
“Sei la cosa migliore che questa vita mi abbia donato”, sussurrai gettandomi al suo collo per abbracciarlo.
Mi baciò i capelli e mi carezzò le spalle.
“Anche tu sei la cosa migliore di tutta questa vita e questa popolarità”.
Mi scostai dal suo collo e iniziai a baciargli le labbra di nuovo, prima in modo lieve e leggero. Poi di nuovo in modo impetuoso, violento e famelico fino a quando entrambi non finimmo a terra.
“Che ne dici se quella fatidica doccia ce la facessimo insieme?”, chiese al di sotto di me il ragazzo.
“Mmh, direi che l’idea non e’ tanto male..”. Risposi tra un bacio e un altro.
 
“Vanessa, vuoi un po’ d’insalata?”, chiese Clare a pochi posti di distanza dal mio porgendomi l’insalatiera.
“Ti ringrazio Clare, ma preferisco di no”. Per quanto mi riguardava stavo gia’ scoppiando, rimuginavo la forchetta nel piatto cercando a stento di non rimettere tutto quello che avevo ingurgitato in una cena durata ore, a cui non ero minimamente abituata come d’altronde anche i miei che dall’altra parte del tavolo avevano appena finito di mangiare.
Una lieve carezza mi richiamò all’attenzione facendomi voltare.
“Stai scoppiando, te lo si legge in viso!”, esordì lui.
Sorrisi lievemente.
“In effetti..”, ammisi abbandonando la battaglia e allontanando il piatto.
“Non le puoi dire nulla, quando si ci mette è dura poi uscirne”, fiatò lui osservandolo di sottecchi mentre mi parlava in un sussurro.
“Era tutto squisito comunque, questo è da ammettere”.
Robert annui ridendo.
“Aspetta quando arriverà la prossima portata!”, annunciò addentando un trancio di rosbif che aveva ancora nel piatto.
Sgranai gli occhi. “Starai scherzando spero”, dissi a bassa voce per non farmi sentire, anche se in quel casino era improbabile.
Scosse la testa in segno di disapprovazione.
“Tua madre ci vuole morti o cosa?”, chiesi sull’orlo di una crisi.
Misurò ogni mio piccolo atteggiamento, calcolando ogni mio piccolo sospiro per poi scoppiare a ridere.
“Stavo scherzando comunque”.
Gli mimai un vaffanculo di cuore prima di voltarmi definitivamente da lui.
Sghignazzò qualcosa e riprese a mangiare come prima.
Alla vera fine della cena stavo morendo, mi congedai con Rob sul divano mentre gli altri se ne stavano ancora lì al tavolo a chiacchierare, giocare aspettando la mezzanotte.
Mi appoggiai al petto di Rob e chiusi gli occhi già stanca al massimo.
“Sto scoppiando”, esalai distrutta del tutto.
Lui mi accarezzava dolcemente i capelli mentre lo sentivo ridere beatamente sopra il mio viso.
“Manca poco alla mezzanotte”, sospirò lui incoraggiandomi a non morire di già.
“Si, lo so. Se sarò ancora viva magari vedrò quell’omone buffo portarmi un regalo no?”
“Mmh, chissà..”, dichiarò sghignazzando.
Aprii gli occhi e lo guardai attentamente scostandomi di poco dal suo petto.
“In che senso? Vuoi dire che sono stata cattiva quest’anno?”.
“Tu che dici?”, ribadì scostandomi un riccio dal viso.
Misi il broncio e incrociai le braccia.
Scoppiò in una viva risata ancora più energica, ma anche un tantino nervosa mentre gli altri si avvicinavano alla sala.
Mi sistemai alla meglio sul divano dato che mi ero coricata.
“Siamo a meno cinque ragazzi! Prepariamoci ai brindisi su”, gioì Clare arrivando con una bottiglia enorme di spumante seguita da altrettante cibarie.
Rob mi aiutò ad alzarmi porgendomi una mano e dopo il “3.. 2.. 1..” che contrassegna ogni festività del genere mi abbracciò forte e mi baciò, io per quanto mi riguardava ricambiai imbarazzata senza troppa enfasi alla cosa.
L’unica cosa a non tradirmi era la mia carnagione scura, almeno non permetteva ad altri di vedere il mio totale imbarazzo.
Ci scambiammo gli auguri e i regali vari, alla fine non sapevo nemmeno quanti fossero i regali totali che avevo ricevuto ma mancava ancora quello di Rob, e la cosa era l’unica che davvero mi importava e bastava  a mantenermi in un ansia perenne che non riusciva a scemare, dato che tra tutti sarebbe stato il più importante.
Non avevo la minima idea di cosa mi spettasse quella sera, anche perché ogni volta che tentavo di prendere l’argomento lui sviava con abile arguzia abbindolandomi e facendomi zittire di colpo con i suoi baci e le sue carezze.
Abile ingannatore.
Lo vidi da lontano avvicinarsi alla sala, dopo che con un gentile e amoroso “Vengo subito”, mi lasciò lì vicino a mia madre per andare a prendere il regalo, supponevo io. Lo segui con gli occhi mentre ogni tanto si voltava fino a quando non sparì su per le scale. Perché, da quando eravamo lì non aveva mai messo nulla per me sotto l’albero come gli altri, il suo regalo nei miei confronti era stato nascosto sicuro negli oscuri meandri di quella casa a me sconosciuta, sapeva che se avrei visto qualcosa di suo là sotto non avrei esitato a sbirciare anche solo per una volta.
Perciò ora eccolo scendere e fermarsi a pochi passi da me senza venirmi incontro come suo solito.
Non vedevo nulla nelle sue mani, nulla che davvero mi facesse calmare.
Gesticolava in modo sereno e tranquillo con il padre e con il mio come se nulla fosse.
Lo fissavo impassibile mentre ogni tanto mi dedicava qualche occhiata divertita mentre io morivo.
Cercavo di stare serena, sorseggiando di tanto in tanto quello spumante e tenendo gli occhi puntati su di lui.
Nel mio cervello frullavano mille possibilità riguardo a quello che stava accadendo, ma davvero nessuna mi convinceva.
“Ehi Van”, disse avvicinandosi Lizzie. “Che sbadata! Ancora non ti ho dato gli auguri”. Fece risanando la sua dimenticanza.
“Oh, non preoccuparti Liz, mica sono scappata!”, ricambiai abbracciandola. “E comunque grazie per il regalo, dire che lo userò spesso sarebbe un eufemismo”. Risi.
“Prego tesoro. Ho voluto unire l’utile al dilettevole, e comunque Rob mi ha consigliato nel comprartela. Mi ha detto che ti piace il rosa e che vedendola ci hai lasciato gli occhi quindi ho pensato di regalartela, anche per i viaggi continui che fai per colpa sua”, disse indicandolo. “Una valigia ti serve”.
Annui sorridendo mentre sorseggiavo ancora quello spumante che iniziava a darmi il voltastomaco.
“E Rob?”, chiese Liz osservando il mio sguardo che lo fissava irritata.
“E Rob.. ancora nulla a quanto pare”.
“Come nulla?”, domandò la sorella sbarrando gli occhi e fissandolo a sua volta.
Ora aveva due paia di occhi puntati addosso.
“Nulla..”, risposi un po’ affranta ma non dandolo a vedere. “Non so a che gioco stia giocando, ammesso che stia giocando”. Dissi seria.
Lei mi guardò preoccupata.
“Ora vado lì e gliene dico quattro..”, disse avviandosi.
Le feci cenno di no. “Non ti preoccupare davvero. Voglio vedere fin dove arriva. Sappiamo tutti che è un attore, no?”.
E ridemmo, io un po’ più forzatamente, ma mi sforzai di farlo per la prima volta.
“Liz, vieni un attimo di la’”, le chiese il ragazzo dietro di lei.
Mi guardò sconsolata con un cipiglio che indicava di volermi lasciar sola.
“Vai Liz, davvero..”, le indicai per l’ultima volta, prima che sparisse in un stanza al di là della folla.
Stanca mi sedetti sul divano in cerca di distrazioni utili a far sparire l’angoscia che avevo in quel momento.
Cercavo ogni qualvolta di incrociare il suo sguardo per indicargli di venire da me, ma come se per davvero mi avesse letto nella mia mente per la prima volta, fece a meno di guardarmi. Guardai l’orologio stizzita da quello stupido inoltrare l’arrivo di qualcosa che palesemente non c’era, e dal suo continuo evitarmi.
Cosa c’era di male nel dirmi magari che non mi avrebbe fatto nessun regalo o che peggio ancora se n’era dimenticato?
Niente, ovviamente.. niente, mi ripetevo con la mente e non con il cuore violentato ormai da quella dimenticanza che non era suo solito.
Un tonfo al cuore, sbuffai e decisi di alzarmi definitivamente da quel divano, lontana dalla festa ancora in corso, lontana dal trambusto, lontana da una felicità natalizia che non arrivava, e diretta verso la camera da letto data l’ora.
Poggiai il bicchiere sul tavolo lì vicino e a sguardo basso iniziai a inoltrarmi verso le scale senza neanche guardarlo, prima che qualcosa, o meglio qualcuno mi afferrò un polso dolcemente.
“Dove vai?”, mi chiese sorridendo avvicinandosi alle mie labbra in cerca di un bacio.
“A dormire. Sono stanca. Ci vediamo domani”, ripetei ad alta voce scansandolo andandomene irritata, salendo le scale di corsa mentre lui restava lì dov’era.
Mi rinchiusi in camera e lanciai le decolté camminando scalza in cerca del mio ipod mentre sotto la festa ancora echeggiava tra le mura di casa.
Non avevo intenzione di dormire, almeno non potevo.
I miei occhi restavano sbarrati e inondati di lacrime allo stesso tempo.
Possibile che si fosse dimenticato di me? Possibile che non fossi più così importante da non meritare nemmeno un suo pensiero, anche il più piccolo e minuscolo tra tanti? Mi sembrava una cosa stupida pensare al regalo. Cos’era in fondo un dono materiale in confronto a lui che era diventato il mio sogno personale da un paio di anni. Forse stavo esagerando.
Forse doveva essere il suo amore a bastarmi in quella vita, eppure quel senso inutile di vuoto dentro mi rivoltava lo stomaco mentre le note della prima canzone del mio ipod mi inoltravano l’anima struggendomi il cuore e facendomi addormentare.
 
Mi svegliai un paio di ore dopo, quando mi scontrai con un letto terribilmente vuoto girandomi.
Protesi una mano, ancora ad occhi chiusi, verso il lato destro in cerca del suo corpo, del suo calore, delle sue mani ma niente.
Niente di lui era lì.
Mi sforzai quindi di aprire gli occhi, ancora appannati e per niente funzionanti e constatai la realtà, lui non c’era.
Alzai lievemente la testa per guardare in giro.
La sveglia sul suo comodino segnava le sei del mattino e in camera non c’era la benché minima traccia di lui.
“Rob?..”, lo chiamai con voce flebile e ancora in preda al sonno mettendomi una mano sulla testa per il gran dolore mattutino.
Ma nessuna risposta avvenne, nemmeno al di là del bagno.
Dove diavolo era finito? Mi domandai, mentre con la stessa forza mi sforzavo di alzarmi da quel letto.
 
Misi una vestaglia, la prima che trovai, non so se mia o sua, e prima ancora di ritornare in me dopo quelle ore di sonno per andare a cercare colui che era smarrito nel nulla peggio di un vampiro, venni catturata da un immagine, più che altro una scena di cui mai ero stata spettatrice per davvero, se non in film o cose del genere.
Nevicava.
Per la prima volta nella mia vita, in quel di Londra stavo assistendo ad una fioccata: un’immensa, coltre di neve stava scendendo dal cielo leggera e senza il  minimo rumore. Restai incantata da quel meraviglioso spettacolo che la natura mi stava offrendo e come una bambina piccola per poco non mi spiaccicai al vetro .
E tutto un attimo prima che una magia, ancora più grande, m’invadesse il cuore.
I miei occhi caddero distrattamente su un immenso, grande cuore bianco e candido che sostava su di un manto di neve appena caduto, mentre un minuscolo, piccolo quadratino giaceva nel mezzo.
Vicino a tutto questo, un ritratto pari a un sorriso si alzò guardandomi e perforandomi il cuore.
Restai interdetta quasi, ad ammirare una scena fin troppo irreale e inaspettata che mi fece sorridere come un ebete con gli occhi che iniziavano a sgorgare.
Non mi serviva un cenno o un altro sorriso per catapultarmi da quell’angelo sotto mentite spoglie, di corsa spalancai la porta e corsi giù per le scale quasi cadendo sull’ultimo gradino, sfracellandomi.
Quando lo vidi mi fermai sulla porta esterrefatta e con i lucciconi agli occhi ormai pari a canali straripanti e mi buttai tra le sue braccia.
Mi alzò di pochi centimetri da terra rendendomi la presa e l’aderenza al suo corpo ancora più forte e intensa.
Nascosi la testa nell’incavo del suo collo e lo baciai prima di staccarmi da lui.
“Scema davvero pensavi che non ti avessi fatto un regalo?”, disse scompigliandomi i capelli e porgendomi un scatoletta piccina in mano con sopra un bigliettino.
Lo guardai.
“Aprilo”, m’incitò sorridente mentre ci sedevamo su quel manto.
Ti regalo la mia vita recitava.
Il tutto non faceva altro che rendermi la cosa ancora più irreale.
Nuovamente lo guardai sbigottita mentre lui se la ghignava divertito e imbarazzato.
“E ancora non è finita”, esalò tirando fuori quel cofanetto ricoperto di velluto e rifinito tutt’intorno che presagiva qualcosa più grande di noi.
Lo aprii e vidi qualcosa al suo interno luccicare e promettere qualcosa in più di quello che avevo pensato.
Le ghiandole lacrimali ricominciarono da dove avevano terminato.
“Allora, che ne pensi?”, disse guardandomi con un espressione mista tra il divertito e il preoccupato.
Cosa ne pensavo?
Insomma la proposta era chiara, non l’aveva recitata in modo tradizionale ma quello voleva dire.
Restai interdetta non trovando le parole esatte e facendolo pendere dalle mie labbra.
Inalai tutta l’aria possibile e recitai d’un fiato. “Penso che non c’era alcun bisogno che tu mi regalassi la tua vita perché ti vivevo già prima di conoscerti. Sognavo i tuoi sorrisi, i tuoi occhi. Fantasticavo su come sarebbe stato parlarti almeno una volta e invece ora sono qui, ti rendi conto?”.
Sorrise e mi strinse a sé più forte appoggiando la sua fronte sulla mia.
“Allora lo prendo come un sì?”
Lo buttai sulla neve e mi stesi su di lui spostando i miei capelli.
“Tu che dici?”, risposi ammiccando avvicinandomi al suo volto.
Ribaltò la situazione mettendosi sopra di me e mi baciò, divorando con passione le mie labbra e mordendomi il collo creando così vari istinti, che portarono ad una situazione pari ad un fuoco capace di sciogliere l’intera neve nei dintorni.
Poi si staccò e decide di alzarsi porgendomi una mano per farmi alzare.
“Sta iniziando a fare freddo, saliamo?”.
Presi la sua mano completamente fredda e ghiacciata quasi quanto la mia e mi lasciai tirare su.
“Potrei giurare di stare con Edward in questo momento”, scherzai baciandolo.
Lui rise e mi abbracciò portandomi su, scherzando e fermandomi ogni qualvolta per le scale per baciarmi.
Sembravamo due adolescenti alla loro prima cotta per come ci comportavamo.
Arrivati in camera ci chiudemmo dentro e ci fissammo mentre lui mi teneva contro il muro e continuava a baciarmi con un nuovo vigore, una nuova passione, mentre io asso paravo il suo nuovo sapore.
Ad un certo punto lo abbandonai lì passando sotto il suo braccio che mi bloccava il passaggio.
“Vado a farmi una doccia”, lo provocai prima una mano gelida stile Edward Cullen mi afferrò.
“Aspetta, vengo anch’io”, disse avvicinandosi e seguendomi sfilandosi la camicia.
 

 
 

   
 
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