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Autore: Emily Kingston    06/02/2012    5 recensioni
La famiglia di Emily è un po' strampalata. Suo fratello è nel pieno dell'adolescenza, sua madre è nevrotica, suo padre deve ancora accettare il fatto che lei sia un'adulta e sua nonna a settant'anni suonati si comporta ancora come una quattordicenne.
Nonostante gli avvertimenti di Emily, George vuole a tutti costi conoscere la sua famiglia; riuscirà a non scappare prima di mettersi a tavola?
-
Non era che non voleva presentare George ai suoi genitori, era che non voleva presentare i suoi genitori a George. E non voleva per un semplicissimo ed elementare motivo: George sarebbe sicuramente scappato a gambe levate.
[...]
“Benvenuto nella dimora del diavolo,” annunciò, guardando il lucido numero venticinque attaccato alla porta d’ingresso.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Perché imperfetto è meglio. '
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Alla mia odiosa famiglia,
perché se avessi un ragazzo non glielo presenterei mai
per paura che scappi via.
Perché sono insopportabili e il più delle volte vorrei
che sparissero dalla faccia della terra.
Alla mia famiglia che è come la regina per i tassisti inglesi.
Per quanto possa sbagliare e per quanto io possa odiarla
non la cambierei con nessun’altra al mondo

E a Eleonora, che ha letto questa storia due volte
e se non l'avesse fatto adesso adesso non sarei qui. 
Grazie. 

 

 

 
Ti presento i miei
When he met my parents

 
Emily si guardò allo specchio, facendo una smorfia.
Per qualche strana ragione, legata sicuramente alla fisica e alla matematica, ed anche un po’ al fatto che l’universo ce l’aveva con lei, da un po’ di tempo a quella parte, i suoi capelli, quella sera, non ne volevano sapere di stare al loro posto. In qualsiasi modo li mettesse c’era sempre qualcosa che non andava loro a genio. Ai suoi capelli, quella sera, piaceva il loro status quo e tale status quo consisteva in una massa gonfia ed indisponente di ricci castani un po’ schiacciati sulla nuca. Uno status quo che faceva davvero schifo, se dobbiamo proprio dirla tutta.
Emily non ebbe il cuore di minacciarli per la centesima volta di tagliarli tutti, rimanendo pelata, e, con un sospiro frustrato, afferrò una matita e ve li avvolse attorno.
Era solo un pranzo dai suoi, dopotutto; uno stupidissimo pranzo in famiglia. Uno stupidissimo pranzo in famiglia insieme al suo ragazzo.
Ecco, anche questo piccolo particolare, faceva davvero schifo.
Non era che non voleva presentare George ai suoi genitori, era che non voleva presentare i suoi genitori a George. E non voleva per un semplicissimo ed elementare motivo: George sarebbe sicuramente scappato a gambe levate.
Quindi, dato che quella mattina sarebbero andati a pranzo a casa dei suoi, quella era definitivamente una giornata schifosa. Ma non schifosa così, tanto per dire, schifosa sul serio. Perché non solo il suo ragazzo l’avrebbe lasciata sparendo dalla circolazione, ma la sua famiglia l’avrebbe anche resa ridicola ai suoi occhi. Come avevo già detto, uno schifo.
Ignorando i brutti presagi che aleggiavano nella sua mente, Emily si diresse in camera da letto e spalancò l’armadio, alla ricerca di qualcosa di carino da mettersi. Va bene che il suo ragazzo l’avrebbe lasciata, ma almeno si sarebbe fatta rimpiangere un po’.
Quando George apparve sulla soglia della stanza, Emily se ne stava in piedi davanti al guardaroba, con una matita tra i capelli, un asciugamano bianco attorno al corpo ed i piedi nudi.
Sentendosi osservata la ragazza voltò lo sguardo, incontrando gli occhi grigi del suo ragazzo.
“Oh, sei tornato.”
George sorrise, lanciando la giacca sul letto ed avvicinandosi a lei.
“Cosa stavi facendo?” domandò, nonostante sapesse perfettamente cosa stava accadendo in quella stanza da almeno dieci minuti.
“Non ho niente da mettermi!” il ragazzo quasi le scoppiò a ridere in faccia. Era classico di Emily; quando era agitata per qualcosa, nonostante avesse una cabina armadio traboccante di abiti davanti agli occhi, non aveva mai niente da mettersi.
“Perché non metti quello?” le suggerì, indicando un vestitino di cotone bianco con la gonna a balze. “E’ uno dei miei preferiti.”
Emily si mordicchiò un labbro, ponderando la sua proposta. Effettivamente tutte le volte che aveva indossato quell’abito avevano finito per fare l’amore, quindi quel vestito era una specie di afrodisiaco, quindi mettendo quello George l’avrebbe rimpianta con una punta di rimorso in più. Sì, era il vestito perfetto.
“Hai ragione, penso che metterò quello,” disse, allungandosi per afferrare l’abito. “Grazie,” con la gruccia stretta in mano, Emily si voltò e gli schioccò un veloce bacio sulle labbra prima di richiudersi di nuovo in bagno.
Ne uscì diversi minuti dopo, con i capelli ancora avvolti attorno alla matita.
“Allora, come sto?” disse, facendo una giravolta.
George, che era già pronto da un pezzo e si era messo a sedere sul letto, alzò gli occhi su di lei e sorrise.
“Sei adorabile,” rispose, alzandosi ed avvicinandosi a lei. Quando le fu di fronte, allungò una mano dietro al suo collo e le sciolse i capelli, tirando via la matita. “Adesso però sei bellissima.”
Emily arrossì, abbassando lo sguardo. Non si era mai sentita bella, né aveva mai ritenuto di esserlo, ma da quando stava con George ogni volta che lui glielo diceva lei ci credeva un po’ di più.
“Anche tu non sei male,” disse, osservandolo. “Meno male che non ho una sorella, altrimenti dovrei preoccuparmi che non si prenda una cotta per te.”
George ridacchiò, mentre Emily si avvicinava alla scarpiera e ne tirava fuori una paio di scarpe nere con il tacco alto. Le infilò ai piedi velocemente, afferrando un paio di orecchini dalla toeletta mentre si avviava verso il corridoio.
Prese il cappotto nero dall’attaccapanni nell’ingresso e si voltò, scorgendo George che prendeva una bottiglia di vino da uno dei ripiani della credenza. Quando anche il ragazzo ebbe indossato la giacca, lei gli afferrò la mano ed insieme uscirono di casa.
Fuori il vento soffiava leggero, scompigliando lievemente i lunghi capelli di Emily. Faceva molto caldo per essere appena l’inizio di Aprile e, nonostante tutte le funeste previsioni della ragazza, era davvero una bellissima giornata.
Casa dei suoi non era molto lontana dal palazzo dove lei aveva preso un appartamento qualche anno prima e che, da qualche mese, ormai divideva con George. Non era una convivenza vera e propria, dato che non ne avevano mai veramente parlato, ma lui era più spesso a dormire da lei che a casa sua e ormai aveva anche le chiavi di casa e metà della sua roba era sparsa tra i cassetti della ragazza.
Passeggiarono mano nella mano per un po’ finché Emily, rilasciando un profondo sospiro, non si fermò di fronte ad una graziosa villetta rosa, simile a molte altre che occupavano quella via.
“Siamo arrivati?” domandò George, dato che Emily non aveva spiccicato parola. Se ne stava semplicemente ferma in mezzo al marciapiede, con lo sguardo fisso sulle finestre che davano sulla strada.
Dopo qualche altro minuto di silenzio, Emily annuì, voltandosi verso di lui.
“Benvenuto nella dimora del diavolo,” annunciò, guardando il lucido numero venticinque attaccato alla porta d’ingresso.
George si lasciò scappare una risata mentre, trascinando Emily per la mano, si avviavano nel giardino.
“Non ridere George, è una cosa seria,” ribatté, accalorata. “Sei proprio sicuro di volerli conoscere? Insomma, siamo sempre in tempo a scappare, ancora non ci hanno visti.”
George rise più forte, fermandosi davanti alla porta principale, pronto a suonare il campanello.
“Non essere tragica, non possono essere così male.”
Emily inarcò le sopracciglia e, lasciandogli la mano, incrociò le braccia al petto.
Lui scosse il capo, nascondendo un sorrisetto divertito, ed allungò un braccio per suonare.
“Aspetta!” George si fermò con la mano a mezz’aria e si voltò verso Emily. “Promettimi una cosa, George.”
“Cosa?”
“Promettimi che non scapperai via correndo e che non mi lascerai dopo che avremo abbandonato questa casa.”
George rise, scostandole una ciocca di capelli dal viso.
“Te lo prometto, Em.”
Prima di suonare, George la guardò per un secondo e lei annuì.
Il trillo del campanello si diffuse nell’aria, accompagnato da una serie di passi lenti e strascicati.
La porta si aprì di fronte ad un ragazzino alto ed allampanato, con scompigliati capelli neri ed il volto abbassato, gli occhi fissi sull’oggetto che era tra le sue mani.
Emily arrossì, guardando George con la coda dell’occhio.
“Ehm, ciao Tony.”
Il ragazzo, dopo qualche minuto di silenzio, in cui aveva dato l’idea di non essersi neanche accorto che qualcuno era sulla porta, alzò finalmente lo sguardo.
“Ciao,” rispose, piatto, spostando subito lo sguardo verso George. “Oh, tu devi essere quello che si fa mia sorella, prego, entra pure.”
Se avesse avuto una pala a portata di mano, Emily ci avrebbe scavato una buca e ci si sarebbe infilata dentro, intenzionata a rimanerci per il resto dell’eternità.
George, d’altro canto, non sembrava poi troppo sconvolto e, abbozzando un sorriso, le strinse la mano ed avanzò all’interno della piccola villetta.
Il corridoio d’ingresso, dal quale salivano le scale che portavano al piano di sopra e che conduceva verso il salotto e la cucina, era tappezzato di fotografie sulle pareti. La maggior parte ritraevano Emily da piccola o i suoi genitori durante vari viaggi in giro per l’Europa.
“Pà, è arrivata Lì!” gridò Anthony, prima di riabbassare lo sguardo sul suo telefono e sparire in salotto.
Emily deglutì, conducendo George verso la cucina. Si affacciò all’interno della stanza con circospezione, individuando sua madre e sua nonna che trafficavano attorno ai fornelli.
“Hai intenzione di dire loro che siamo qui, o passeremo il pomeriggio a spiarle?”
Emily si girò e lanciò a George un’occhiataccia, prima di riportare lo sguardo sulle due donne.
“Emily!” la voce di suo padre arrivò loro alle spalle, facendoli sobbalzare. Anche la mamma e la nonna di Emily si voltarono, notando la ragazza e George sulla soglia della cucina.
“Oh, Emily cara!” esclamò sua nonna, fiondandosi su di lei e stritolandola in un abbraccio. “E tu devi essere George, tanto piacere caro,” aggiunse, stringendo la mano del ragazzo. George le sorrise, guardando Emily con la coda dell’occhio come a volerle rinfacciare che si era fatta un sacco di problemi per nulla. “Sei proprio un bel ragazzo, sai?”
“Grazie, signora.”
“Betty, caro, chiamami pure Betty. Signora mi fa sentire vecchia,” ridacchiò la donna. Emily cercò lo sguardo di George, ma il ragazzo stava sorridendo a sua nonna. “Allora, dimmi cara, questo baldo giovanotto è bravo a letto?”
George quasi si strozzò con la sua stessa saliva, mentre il volto di Emily era prossimo all’esplosione.
“Mamma!” la rimbrottò la madre di Emily, fissandola con le sopracciglia inarcate.
“Era solo una curiosità,” si giustificò l’altra, alzando le spalle. “Mi preoccupo che tua figlia abbia una piacevole vita sessuale, non mi sembra di fare nulla di male.”
“Scusala, George,” disse la madre di Emily, voltandosi verso il ragazzo. “Mamma, perché non vai a vedere a che punto è il pollo?”
La donna sbuffò ma, senza ribattere, sparì in cucina.
“Mi dispiace molto, George, mia madre è un po’ troppo esuberante, spero che non ti abbia messo in imbarazzo.”
“No signora, assolutamente,” la rassicurò George, seguendo lei ed il marito in salotto. Emily lanciò un’occhiataccia a suo fratello che, spaparanzato sul divano, aveva ancora il naso incollato allo schermo del cellulare.
“Chiamami Ava, a me signora fa sentire vecchia davvero.”
George abbozzò un sorriso e si sedette sul divano, al fianco di Emily.
“Be’, io vado in cucina, se vogliamo pranzare sarà meglio che vada a dare un’occhiata,” sorrise a tutti i presenti e sparì nel corridoio.
“Devi scusare mia suocera, George,” intervenne subito il padre di Emily, “lei è troppo all’avanguardia, anche se sembra strano, data la sua età. Pensa che voi facciate sesso, non è una cosa ridicola?”
George sentì la gola seccarsi e si scambiò un’occhiata con Emily la quale arrossì ed iniziò a ridacchiare assieme al padre.
“Già, che cosa ridicola,” lo assecondò George, ridacchiando anch’egli.
Improvvisamente il padre di Emily si fece serio e puntò lo sguardo negli occhi di George.
“Spero vivamente che voi stiate aspettando il matrimonio, ragazzo,” disse. George deglutì ed annuì, un po’ intimorito. “Quindi, hai intenzione di sposarla?”
Emily quasi cadde dal divano.
“Papà!” lo riprese, quasi scandalizzata. “Mi sembra un po’ presto per parlare di matrimonio, non trovi? Stiamo insieme da poco meno di due anni e-”
“Be’, sì,” intervenne George, arrossendo sugli zigomi. “Tra qualche anno ancora magari, ma sì, ho intenzione di farlo, se lei vorrà.”Emily spalancò la bocca e George si voltò verso di lei, abbozzando un sorriso.
Il padre della ragazza sorrise largamente, sistemandosi meglio sulla sua poltrona.
“Laurence, abbiamo bisogno di una mano qui!”
L’uomo si alzò in piedi e, scusatosi con i due ragazzi, sparì anch’egli in cucina.
“Mi dispiace,” sussurrò Emily all’orecchio di George, stringendogli una mano. “E’ stato molto imbarazzante, soprattutto la storia del sesso.”
George rise, passandole un braccio attorno alle spalle.
“Se quello che devo fare per avere la benedizione di tuo padre è dirgli che non facciamo sesso, allora gli farò credere che sua figlia è ancora casta ed innocente,” le rispose, continuando a ridacchiare.
Emily gli dette una spallata con fare indignato.
“Intendi forse dire che non sono casta ed innocente?”
George si voltò verso di lei con le sopracciglia inarcate.
“Io direi piuttosto che eri casta ed innocente, ma che frequentare certe compagnie ti ha reso lussuriosa ed insaziabile.”
Emily arrossì e gli rivolse uno sguardo allucinato.
“Quando avete finito di flirtare e dirvi cose sconce, è pronto il pranzo.”
Emily si morse le labbra e George dovette fare di tutto per non ridere mentre Anthony, con il volto ancora abbassato sul cellulare, se ne andava scuotendo la testa.
Quando si sedettero a tavola, George pensò che il peggio fosse passato. Emily sembrava più tranquilla e durante il pranzo, tra una portata e l’altra, non ci sarebbero state poi tante occasioni di parlare.
“Allora George, stai ancora studiando o sei già entrato nella meravigliosa macchina del lavoro?” domandò nonna Betty, mentre girava attorno al tavolo per servire la pasta.
“Oh, no, studio ancora,” rispose il ragazzo, sistemandosi il tovagliolo sulle gambe. “Frequento il secondo anno di architettura.”
“Mh, interessante. Hai già qualche progetto per il futuro?” domandò Laurence.
George annuì, alzando lo sguardo verso il padre di Emily.
“Sì, mio padre ha uno studio di architettura, penso che andrò a lavorare da lui.”
Laurence annuì, riprendendo a mangiare.
Per un po’ nessuno disse nulla, poi Anthony imprecò.
“Anthony!” lo rimbrottò sua madre. “Abbiamo degli ospiti e, poi, ti sembra questo il modo di parlare?”
“E’ quello stronzo di Dean che non ha detto a Gail quello che gli avevo detto di dirle. Cacchio, era una semplicissima frase!”
“Ti ho appena detto di non parlare così!”
“Su, Ava, gli è scappato,” cercò di intervenire Laurence, mentre Betty sorrideva a George con fare rassicurante ed Emily si passava una mano sulla faccia.
“Non gli è scappato, Laurence. Gli ho detto adesso di frenare la lingua e lui continua a fare come vuole. Allora sai che ti dico? Che si arrangi. Vuole essere un maleducato? Benissimo, tanto sarà lui a non trovare mai una donna e a rimanere solo per tutta la vita, non me ne potrebbe importare di meno!”
“Non fare la nevrotica adesso, è pur sempre nostro figlio.”
“Io non sono nevrotica!”
“Allora, caro, mentre questi due matti litigano, dimmi, quante altre donne hai avuto?” Betty si sporse sul tavolo, avvicinandosi a George, mentre Laurence e Ava ancora litigavano e Anthony aveva ripreso a mandare messaggi con il telefonino.
George arrossì furiosamente, evitando lo sguardo di Emily che, al suo fianco, sperava di essere diventata parte integrante della tappezzeria. Non poteva credere che sua nonna gli avesse chiesto una cosa del genere.
“Oh, ehm, ne ho avuta qualcuna, soprattutto al liceo, ma non ho tenuto il conto,” biascicò, in imbarazzo.
Emily appoggiò la fronte sul palmo della mano, peggio di così non sarebbe potuta andare.
“E allora dimmi un po’, tu e la mia nipotina avete una sana vita sessuale? Cioè, insomma, vi divertite molto a letto?”
Se ci fosse stato al mondo un modo per neutralizzare una persona, Emily avrebbe voluto saperlo con tutta se stessa. Appena quelle parole uscirono dalle labbra di sua nonna, si pentì di aver pensato che non ci fosse nulla di peggio, perché quella domanda era la prova inconfutabile che al peggio non c’è mai fine.
“Noi, ehm, noi…noi non facciamo sesso,” rispose George, con uno strano fischio acuto nella voce. “Abbiamo deciso di aspettare il matrimonio.”
Betty inarcò le sopracciglia, per niente convinta.
“Mio genero è un po’ all’antica, puoi fregare lui, ma a me non m’incanti!” disse la donna, appoggiando i gomiti sul tavolo. “Pensi davvero che io mi beva la storia che state aspettando il matrimonio? Baggianate. Voi due fate tanto di quel sesso che ce l’avete scritto in faccia.”
Entrambi arrossirono violentemente ed abbassarono lo sguardo.
“Ehm, io devo andare in bagno,” disse Emily, alzandosi di scatto. “Perché non mi accompagni in bagno, George? Così andiamo a…a lavarci le mani, sì, non ce le siamo lavate prima di pranzo…” balbettò, con una vena isterica nella voce.
“Giusto. Le mani. Bagno.”
George si congedò da nonna Betty con un sorriso tirato e si avviò con Emily al piano di sopra, ancora un po’ scosso per le domande della nonna.
Arrivati al piano superiore, Emily lo trascinò per un braccio fino al bagno e chiuse entrambi dentro con due mandate di chiave.
“Cosa vuoi fare qua dentro?” domandò George, sembrando aver riacquistato un po’ di tranquillità.
Emily gli dette una botta sulla spalla, inarcando un sopracciglio.
“Non fare l’idiota,” lo riprese. “Voglio scappare, possiamo provare dalla finestra,” disse, alzando lo sguardo sulla piccola finestra del bagno che dava sul giardino. “Se solo riuscissi a capire come arrivarci senza fare rumore…”
George la afferrò per le spalle, attirando la sua attenzione.
“Noi non tenteremo nessuna missione da spiderman,” disse, guardandola negli occhi. “Adesso scenderemo giù, faremo finta di essere una coppia di puritani che crede profondamente e ciecamente nel matrimonio, ignoreremo tua nonna e tutto andrà bene.”
“Come puoi dire che tutto andrà bene? Ti rendi conto che mia nonna ci ha chiesto cosa facciamo quando facciamo sesso? Te ne rendi conto?!”
George annuì, massaggiandole le spalle.
“Sì, sì, me ne rendo conto. Però, vedila così, magari vuole solo ricordare delle…sensazioni dimenticate.”
“Imbecille,” esclamò Emily ma non riuscì a nascondere un sorriso.
Anche George sorrise e fece strisciare le mani dalle spalle della ragazza al suo collo e poi alle sue guance.
“Non devi preoccuparti di nulla, okay? Possiamo farcela,” la rassicurò, accarezzandole le gote con i pollici. “Io e te possiamo farcela.”
Emily annuì e, alzandosi sulle punte dei piedi, sporse il volto verso quello di George per baciarlo. Le piaceva da impazzire baciare George. Fin dalla prima volta, aveva sempre pensato che fosse la cosa più bella del mondo. Non solo perché lui era davvero un gran baciatore, ma anche perché il suo alito profumava sempre di menta e la sensazione di avere le sue mani sui fianchi, o tra i capelli, la faceva tremare tutta, da capo a piedi. Le piaceva quando le mordicchiava le labbra e quando le accarezzava la parte bassa della schiena. Le piaceva infilare le mani tra i suoi capelli rossicci, un po’ mossi e lunghi fino al collo. La sola idea di baciarlo le piaceva da impazzire.
Nonostante questo, però, in quel momento, quando si rese conto che la sua schiena era appoggiata contro il muro del bagno ed una delle mani di George si stava avventurando sotto alla gonna del suo vestito, fu costretta ad allontanarsi.
“Aspettiamo il matrimonio, ricordi?” sussurrò, riprendendo fiato.
“Giusto.”
Allontanando le mani, George arretrò, permettendo ad Emily di ricomporsi. La osservò mentre si lisciava la gonna e tentava di dare un tono ai capelli e non poté fare a meno di pensare che fosse davvero la ragazza più bella che avesse mai visto. E non perché era bella davvero, ma perché era bello come si muoveva, l’odore che aveva la sua pelle, il modo in cui i suoi capelli si gonfiavano quand’era umido, la sua risata; tanti piccoli frammenti di bellezza pura, una bellezza rara, da custodire.
“Sicuro di non voler scappare, allora?” tentò di nuovo lei. George la guardò inarcando le sopracciglia e lei rilasciò uno sbuffo, precedendolo in corridoio. “Va bene, allora, torniamo di sotto.”
George sorrise, seguendola per le scale e poi in sala da pranzo.
La situazione nella stanza sembrava essere tornata normale: Anthony se ne stava al telefono, Laurence e Ava mangiavano silenziosamente e Betty aveva lo sguardo vispo e malizioso puntato verso di loro. Tutto normale, insomma.
“Dove siete stati?” domandò Laurence, drizzando la schiena.
Emily e George arrossirono, sedendosi ai loro posti.
“Mentre voi due davate di matto sono andati a lavarsi le mani,” rispose per loro Betty, facendo un impercettibile occhiolino ai due ragazzi.
Anche se un po’ controvoglia Emily le sorrise, sistemandosi il tovagliolo sulle gambe e riprendendo a mangiare.
Per il resto del pranzo le cose andarono piuttosto bene, nonna Betty aveva tenuto tutti i commenti maliziosi per se, Laurence non aveva più accennato a sesso e matrimoni, Ava non aveva dato di matto ed Anthony aveva continuato a mandare messaggi sul cellulare.
Dopo aver mangiato una deliziosa torta al limone preparata da Ava, si spostarono tutti in salotto per il caffè, mentre Anthony si volatilizzò al piano di sopra.
“Avete già pensato ai nomi per i bambini?”
Emily sputò il caffè che aveva in bocca direttamente sul morbido tappeto bianco steso sul pavimento. Era stato un riflesso involontario, non aveva potuto contenersi.
“Ba-bambini?” balbettò, fissando suo padre diritto negli occhi.
“Avete detto che vi sposerete-“
“Vi sposerete?!” esclamò Ava, balzando in piedi. “Quando? Perché non me l’hai detto subito? Dovremmo preparare tutto, organizzare la cerimonia, invitare i parenti, prenotare un ristorante per il pranzo. Perché non me l’hai detto subito?!”
Emily fissò sua madre con sguardo allucinato, adesso che la vedeva un po’ meno spesso aveva quasi dimenticato quanto potesse diventare isterica.
“Non è uno sposarsi a breve termine,” rispose George, un po’ in imbarazzo. “Abbiamo solo detto che in futuro….”
Ava tirò un sospiro e si rimise seduta, riprendendo a bere il suo caffè.
“Quindi? Ci avete pensato? No, perché, se aveste un maschio-“
“No, papà!” sbottò Emily, appoggiando la tazzina sul tavolo. “Non abbiamo pensato né al matrimonio né ai bambini e ti sarei grata se la smettessi di tenere George così sotto esame.”
George la guardò, come a dirle che non importava, che non c’era bisogno che se la prendesse con suo padre a quel modo.
“Sto solo cercando di capire se è il ragazzo giusto per te,” si giustificò.
“E credi di poterlo stabilire?” Laurence la guardò, un po’ spaesato. “Credi davvero di poterlo fare? E cosa succederebbe se secondo te non è il ragazzo giusto? Pensi che lo lascerei, che ne cercherei un altro, te lo farei conoscere ed aspetterei il tuo giudizio? Pensi che farò così finché tu non riterrai che un ragazzo è quello giusto per me?
Mi dispiace papà ma non hai assolutamente il potere di fare una cosa del genere. È la mia vita e decido io con chi viverla. Devi smetterla di trattarmi come se fossi ancora una bambina, perché non lo sono. E devi smetterla di comportarti così con George perché è una ragazzo meraviglioso e puoi perdere tutto il tempo che vuoi a cercare ogni suoi difetto perché anche se fosse la persona più imperfetta del mondo io non smetterei di amarlo comunque. Quindi smettila, per favore, smettila.”
Laurence rimase in silenzio, abbassando lo sguardo ed Emily si voltò verso sua madre e sua nonna che parlottavano tra loro.
“Anche tu mamma, smettila di riversare tutto il tuo nervosismo su Anthony e papà, lavora di meno e non fare la psicopatica.”
Ava spalancò la bocca, incredula e fece per ribattere, ma Emily posò gli occhi su sua nonna.
“Hai quasi ottant’anni e parli come se ne avessi quattordici, a regola dovrei esserne felice, invece trovo solo che tu sia inopportuna. Ti rendi conto che con il tuo comportamento metti in imbarazzo le persone?” Betty sbatté le palpebre, confusa.
“Emily, non credi che-“ cercò di intervenire George.
“No, aspetta, non ho finito,” continuò la ragazza, sempre con gli occhi puntati su sua nonna. “La sai una cosa? Hai proprio ragione. George è davvero bravo a letto e con lui faccio il miglior sesso che io abbia mai fatto.”
A Laurence quasi cadde la tazzina di mano, mentre George si affrettava a guardare fuori dalla finestra, rossissimo in viso.
“E quando Anthony uscirà da quel buco ce ne sarà anche per lui! Deve piantarla di comportarsi come-“
“Amore,” la interruppe George, alzandosi in piedi. “Che ne dici di fare due passi in giardino, è una giornata così bella.”
Emily rimase in silenzio per un attimo, con il fiatone e gli occhi ancora infiammati, poi annuì e, afferrando la mano di George, uscì con lui nel cortile.
Si sedettero sull’erba e George le fece appoggiare il capo sulle sue gambe.
“Hai esagerato, lo sai vero?”
Emily annuì, arrossendo lievemente sugli zigomi.
“Tu non capisci cosa voglia dire viverci insieme, penso che il momento più bello della mia vita sia stato quando me ne sono andata di casa.”
George le accarezzò i capelli, allontanandoglieli dalla fronte.
“Tutti odiamo le nostre famiglie durante l’adolescenza,” disse, alzando lo sguardo verso la strada che si allungava tra la schiera di case di cui faceva parte quella dei genitori di Emily e quella di fronte. “Credo che sia un po’ una regola, trovare odioso ogni membro della nostra famiglia per qualche motivo. Ma prendi l’Inghilterra, per esempio. C’è una regina e alle volte non a tutti piace il modo in cui governa il paese.”
Emily annuì, alzandogli occhi verso il cielo.
“Se però entri in un taxi e chiedi al tassista se vuole passare alla repubblica, allontanando la regina, ti prenderà a parolacce solo per averci pensato,” Emily ridacchiò, annuendo di nuovo. “Ecco, penso che le cose stiano così anche per le famiglie. A volte non ci piace come i nostri genitori, o i nostri fratelli, o i nostri nonni, fanno le cose, ma se qualcuno ci proponesse si cacciarli via non lo faremmo mai. Per quante cose fastidiose, cattive, fuori luogo possa fare la nostra famiglia, non smetteremo mai di voler loro bene, un po’ come i tassisti inglesi con la regina.”
Emily appoggiò i gomiti sull’erba e si sporse verso il viso di George.
“Io lo so che gli vuoi bene, nonostante tutte le cose brutte che dici su di loro.”
“Hai ragione, li odio da matti ma non li cambierei con una famiglia diversa.”
George le sorrise, strofinando il naso contro il suo.
“Non hai intenzione di scappare, quindi?” domandò Emily.
“No, non ho intenzione di scappare.”
Emily si sporse un po’ di più e lo baciò sulla bocca, incurante del fatto che, dalla finestra del salotto, tutti i componenti della sua famiglia – compreso suo fratello – li stavano spiando da quando erano usciti.
“Vuoi andare a casa?”
“Ho detto che non li cambierei con nessun’altro ma non penso di poter resistere sotto lo sguardo indignato di mio padre dopo avergli detto che facciamo molto sesso.”
George si alzò in piedi, porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi.
“In realtà, hai detto il miglior sesso che tu abbia mai fatto.”
Emily sbuffò, precedendolo verso la porta.
“Per quanto tempo mi rinfaccerai questa cosa?” borbottò, voltando il capo verso di lui.
“Penso che lo farò per sempre.”
Emily si avvicinò e gli baciò le labbra.
“Sì, per sempre mi sembra un tempo abbastanza ragionevole.”

 
 
   
 
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