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Autore: Amarie    07/02/2012    4 recensioni
Il valore di un regno si misura con le umiliazioni.
Una per una, avevano costruito la sua rabbia, avevano nutrito il suo risentimento, e accresciuto la sua sete di vendetta. Il re mendicante, era così che lo chiamavano nelle bettole delle città libere, dove ridevano di lui mentre s’ingraziavano i favori dell’Usurpatore. Il suono di quelle risate di scherno gli bruciava ancora nel sangue.
Ricordava i loro volti, uno per uno: li avrebbe visti di nuovo, lo sapeva, quando li avrebbe fatti uccidere davanti al suo trono.
[Viserys Targaryen]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Viserys Targaryen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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A golden crown
«He says you shall have a splendid golden crown
that men shall tremble to behold».
A game of thrones


A golden crown


Il valore di un regno si misura con le umiliazioni.
Viserys raccolse un pugno di sabbia da terra, rossa come fuoco, rossa come sangue.
La terra è uguale ovunque, ma quella non era la sua terra. La sua terra era sempre più lontana, ormai al di là di due mari: il grande mare d’erba e ancora oltre il Mare Stretto.
Quella era la sua terra, dove lui era Re. In quella città di capre selvagge nessuno lo guardava con deferenza, nessuno s’inchinava al suo passaggio. Osavano persino spintonarlo, mentre cercava di camminare su quei letamai che chiamavano strade.
La città sacra dei selvaggi, se si fosse trovata a Westeros, sarebbe potuta essere scambiata per un mucchio di bettole di straccioni, e i trofei dothraki sarebbero stati le rovine di una civiltà ormai dimenticata.
In quella città dimenticata dagli dèi, lui non era nessuno.
Non era che l’ennesima delle umiliazioni: una per una, avevano costruito la sua rabbia, avevano nutrito il suo risentimento, e accresciuto la sua sete di vendetta. Il re mendicante, era così che lo chiamavano nelle bettole delle città libere, dove ridevano di lui mentre s’ingraziavano i favori dell’Usurpatore. Il suono di quelle risate di scherno gli bruciava ancora nel sangue.
Ricordava i loro volti, uno per uno: li avrebbe visti di nuovo, lo sapeva, quando li avrebbe fatti uccidere davanti al suo trono.
Anche i selvaggi a cavallo avevano riso di lui, l’avevano trattato come uno straccione e mai come gli sarebbe spettato. Quando avrebbe riavuto il suo trono, avrebbero pagato per questo. E lei…
Il pensiero di Daenerys gli provocò una fitta di dolore e rabbia che attanagliava le viscere.
Sarebbe dovuta essere mia. Era quello che aveva immaginato per quanto rimaneva della sua infanzia, e durante un’adolescenza passata a fuggire da una città libera all’altra, cercando di proteggere sé stesso e quella che, ne era certo, un giorno sarebbe diventata la sua regina.
Si immaginava ancora sul Trono di Spade, una fantasia sempre vivida nella sua mente, la corona d’oro sul capo e Daenerys al suo fianco.
Si immaginava i muri della Fortezza Rossa decorati con il sangue e con le teste dell’Usurpatore e dei suoi cani rabbiosi. Sarebbe mancata solo la testa di Tywin Lannister: Viserys si sarebbe assicurato personalmente che venisse bruciato nell’altofuoco, e che le sue ceneri fossero sparse in qualche fogna al Fondo delle Pulci. E dopo di lui sarebbe stato il turno dello Sterminatore di Re. L’Usurpatore avrebbe pagato, ma la pena per il tradimento sarebbe stata ancora peggiore. Un Lannister potrà pagare sempre i suoi debiti, ma il Drago non dimentica.
Ma non avrebbe più potuto avere tutto quello che aveva sognato.
Da quella parte del Mare Stretto poteva anche essere un principe in esilio, ma il suo nome era ormai tutto ciò che gli rimaneva. Un nome, e la promessa di un selvaggio.
Aveva avuto lei, pensò, stringendo le labbra. Aveva avuto lei e se l’era scopata mentre gli altri selvaggi stavano a guardare, come fossero bestie da monta. L’aveva lordata col suo seme, e l’aveva resa una di loro.
Quella che sarebbe dovuta diventare regina dei Sette Regni ora girava vestita di stracci che puzzavano di cavallo, gravida di un selvaggio, e quello che era peggio era che cercava di convincerlo che quella era la strada giusta. Ma Daenerys era stata solo l’ultimo prezzo da pagare per riavere il suo Regno. Non era stato un prezzo equo, ma la giustizia era scomparsa dalla sua vita dalla notte in cui era fuggito dalla Fortezza Rossa, con un mantello nero per confondersi nel buio e la mano stretta a quella della madre.
Daenerys era tutto ciò che gli era rimasto, e l’aveva venduta a un branco di selvaggi in cambio di una promessa.
Una promessa…
Viserys sentì la rabbia montagli dentro, mentre guardava i volti sorridenti che affollavano quella tana di ratti che chiamavano città sacra, volti di gente che guardava a sua sorella come a una regina e a lui come all’ultimo degli schiavi, indegno persino di montare a cavallo.
Strinse i pugni. Avrebbe fatto capire a quel branco di cenciosi selvaggi che non si comanda al Drago. Portò la mano al fianco: l’elsa della spada sporgeva dal fodero che aveva assicurato alla cintura. Sorrise. In quella fetida città non era permesso portare delle armi, ma le leggi dei cavalli non valevano per i draghi.
E se quella era davvero la loro città sacra, sarebbe stato il luogo giusto perché il Khal adempiesse al suo giuramento. Aveva avuto la sua regina: era giunta l’ora che lui avesse la sua corona. Altrimenti, si sarebbe ripreso ciò che era sempre stato suo.
Si allontanò a grandi passi sulle strade di Vaes Dothrak, rovesciando tutto ciò che trovava sul suo cammino.
   
 
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