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Autore: Talestri    08/02/2012    6 recensioni
E' nata come one shot "Primavera ad Arrés", poi ho considerato l'ipotesi di farne scaturire una storia e ho voluto provarci. Cosa sarebbe successo se Oscar e André, sopravvissuti alla rivoluzione, avessero avuto un figlio, e se questo figlio li avesse indotti a lottare di nuovo....
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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I raggi del sole sul viso la infastidiscono. E’ già mattina anche se le pare che la notte sia passata in un lampo. Oscar si gira su di un fianco, dando le spalle alla finestra. La luce si insinua sempre più prepotente nella stanza. Aspetta alcuni istanti. Non ce la fa più si deve alzare. Strizza gli occhi, poi li apre.

-Hai vinto.- borbotta piano mentre guarda fuori dalla finestra, riparandosi il viso con una mano.

Scende dal letto mezza dolorante. Non ha dormito bene stanotte, troppi incubi hanno popolato i suoi sogni. Posa una mano sulle tempie leggermente indolenzite e umide, ma non è calda questa mattina di aprile, né lo è stata la notte, è sudore freddo quello che le bagna la fronte. Si convince a lasciar perdere. Perché degli sciocchi sogni dovrebbero rovinarle la giornata?

Si rasserena un poco osservando il viso di André ancora adagiato sul cuscino, il suo sonno sembra tranquillo, il respiro regolare. Percorre con lo sguardo i lineamenti di quel volto, gli occhi chiusi quasi coperti da riccioli neri scompigliati, il profilo del naso, le labbra carnose leggermente dischiuse, un accenno di barba sulle guance ben rase, un’abitudine questa che non ha mai abbandonato. Il bel moro ha un sussulto. Oscar tende istintivamente una mano verso di lui, poi la ritrae subitamente quando il respiro dell’uomo torna regolare. La naturalezza di questo gesto la fa riflettere sulla sua proiettività, a volte eccessiva, nei confronti di André, conseguenza molto probabile del senso di colpa provocatole dalla consapevolezza di essere responsabile su più fronti della condizione dell’uomo: la cecità è il fardello che dovrà sempre portare per averla troppo amata.

Scuote la testa e si costringe ad abbandonare la stanza. “Colpevolizzarsi non serve a niente.” Si ripete per l’ennesima volta.

Gira intorno al letto e socchiude la porta alle sue spalle. Attraversando il lungo corridoio ha una strana sensazione di vuoto. Si volta di scatto in direzione della camera di Antoine.  Pochi passi ed è sulla soglia. Scorge nella penombra una sagoma sotto le lenzuola, si rilassa. “ Il bambino dormirà ancora un altro po’.” è stata lei stessa a scegliere per lui una camera rivolta a ovest, calda quanto basta e più adatta al riposo.

Ora che è più serena può dirigersi in cucina per preparare la colazione. Scende le scale ciondolandosi, ancora un po’ assonnata. Attraversa i saloni e l’ingresso e si rifugia nella stanza più calda della casa. Il camino perennemente acceso e due enormi finestre verso oriente fanno di quella cucina il luogo ideale per godersi un po’ di tepore in tranquillità. Si guarda intorno per realizzare un istante, poi ravviva il fuoco, mette l’acqua a scaldare e posiziona tre tazze sul tavolo. Mentre attende che l’acqua per il tè si scaldi, si lascia cadere su di una sedia in legno impagliata. Osserva le sue mani, sottili e affusolate, adagiate in grembo. L’anello d’oro al suo anulare le strappa un sorriso, come sempre quel cerchio di luce dorata le da una forte sensazione di certezza. Sfila dal dito la fede, la gira tra le mani, le pare di vedere André sorriderle mentre gliela mette , il suo nome inciso dentro, marchiato a fuoco, per sempre, come sul suo cuore.
Rimane così per un po’, immersa nei ricordi. Profumo di rose, fiori di campo e girasoli, tra le sue mani un mazzolino di rose selvatiche bianche, addosso la freschezza di un velo di lino bianco, quasi troppo sottile per la piccola chiesa, ma non si sente a disagio c’è troppa gioia nel suo cuore. Poche persone, amici intorno a lei riempiono le due ali della chiesetta insieme agli abitanti del piccolo paese, tutti intonano canti allegri. Si sente leggiera, avanza quasi come se camminasse sulle nuvole. E’ davanti al suo uomo, com’è bello con l’abito da festa. I l suo sposo, il suo uomo, suo da sempre, Dio quanto lo ama. Non sente le parole del parroco, le liturgie le scivolano addosso veloci. La voce di lui “Sì, lo voglio.” Quella la sente e bene e quella formula risuona dentro di lei mentre a la pronuncia a sua volta . Lo scambio degli anelli, il viso di lui e infine quel bacio tra le urla di gioia dei presenti, la sensazione di volare al contatto con quelle labbra così piene e calde. Di nuovo quegli occhi, smeraldo liquido …

Un fischio acuto la scuote all’improvviso. “La teiera!” Si alza di scatto per toglierla dal fuoco. Versa l’acqua calda direttamente nelle tazze aggiungendo il tè setacciato. La scura bevanda emana un forte profumo, Oscar inspira a pieni polmoni mentre posa sul tavolo la zuccheriera e qualche frutto.

-La colazione è pronta!- mormora soddisfatta con le mani sui fianchi.

“Ora non resta che chiamare quei due.”

-Andrééé!-

Un borbottio dalla camera è la risposta desiderata. “Pochi istanti e sarà qui.”

-Antoinee! Amore vieni! La colazione è pronta.- con  un altro grido lo chiama a rapporto.

Nessuna risposta. Riprova. Un’altra volta. Di nuovo. Niente.

“Chissà perché stamattina non si sveglia? Dovrò buttarlo giù dal letto.” Un sorriso scanzonato sulle labbra. Esce dalla cucina, attraversa le stanze, sale le scale. Si trova davanti André nel corridoio.

-Oscar?-

-Sto andando a chiamare Antoine, non si vuole svegliare.- spiega lei.

-Ora capisco perché urlavi tanto. Stano però.-

“Già.” C’è qualcosa che non va, se lo sente. Colta da uno strano presentimento entra di fretta nella stanza.

- Antoi…- la voce resa le si rompe in gola per la sorpresa.

Sotto le lenzuola non c’è il piccolo Antoine, ma un sacco di canapa ben modellato in modo da ricordare la figura del bambino. Ormai la luce irraggia la stanza, non ci sono dubbi. Oscar si avventa sul letto, solleva bruscamente il lenzuolo e fissa per alcuni istanti il sacco.

-Antoinee dove sei? Non è uno scherzo divertente! Sei in casa?- urla a pieni polmoni.

Si affaccia sulla porta della stanza cercando si captare qualche rumore. Cerca in tutte le camere, mentre André chiama il bambino. Si precipita giù per le scale, cerca nei saloni, nella stessa cucina in cui era stata attimi prima. Svuota le credenze, gli armadi, ma non c’è traccia del bambino. Si chiede come abbia fatto a non accorgersene prima perché ora ne è sicura, quando appena sveglia ha controllato, nella cameretta il bambino già non c’era più.

-Ma perché fare uno scherzo così? Antoine non ha mai fatto una cosa simile. Fuori è freddo e di notte…-

Spalanca la porta. Urla di nuovo con quanto fiato ha in corpo. André la raggiunge scendendo le scale come meglio può. L’uomo le si fa vicino, le posa una mano sulla spalla.  La tensione sferza l’aria.
-Puoi vederlo?- una speranza ancora concreta.

Oscar guarda ovunque, spazia nel giardino con gli occhi, ma non lo vede. Il suo silenzio per André è la risposta tanto temuta.

-Perché lui avrebbe dovuto… E’ un bravo bambino, non fa di questi giochi o almeno non di notte. Pensi che lo scherzo gli sia sfuggito di mano e sia ancora qua fuori?-

Oscar vorrebbe sperarci, ma il suo istinto le dice di no. Un terribile dubbio le stringe il cuore in una morsa: e se il bambino non se ne fosse andato di sua spontanea volontà?

Questa domanda la accende come fuoco. “ Qualcuno …” . Si muove di scatto, facendo cadere la mano di André, prima sulla sua spalla. Corre di nuovo in camera del bambino. Col fiato corto esamina il letto. Solleva il sacco, lo scuote. Cade carponi e a tastoni cerca disperatamente qualcosa sul pavimento, un indizio. Con gli occhi appannati dalle lacrime scorge un pezzo di carta bianco, un foglio. “Chi?”
 
Madame Oscar François de Jarjayes

E’ per lei. E’ per lei che hanno preso il suo bambino. La rabbia la assale, come fuoco nero brucia. Apre la busta.

Madame Oscar,

è da tempo che rifletto sulla vostra utilità per un mio affare e, siccome conosco bene la vostra correttezza e ahivoi la vostra superbia,ho ritenuto opportuno, con vostro permesso, di portare con me vostro figlio, per assicurarmi la vostra lealtà e per indurvi a farmi visita. Discuteremo dei termini della nostra collaborazione a breve, se a voi par consono, considerato che ho il bambino, venerdì di questa settimana a Parigi, nei pressi della Bastiglia, quartiere Marais, rue Chapon, un mio uomo sara sulla porta ad attendervi sin dal primo pomeriggio. Spero che vi sia tutto chiaro e che avremo modo di vederci presto, mancherete di certo al piccolo Antoine.                 
I miei ossequi.                                                  

                                                                                                                                                                                                                      Le Faucon noir.

 
Oscar rimane a fissare il pezzo di carta. Rilegge più e più volte i tratti neri di una grafia a lei ignota. “Un ricatto. Questo è solo un ignobile ricatto.”  Si alza di scatto. Vuole trovarlo, vuole sapere cosa hanno fatto al suo bambino. Stringe il foglio nella mano a pugno, poi deglutisce e lo liscia. “C’è l’indirizzo qui.” Anche se l’ha già imparato a memoria, quello resta l’unico modo per rivedere suo figlio e deve operare prudenza.

Sente dei passi. Scatta in allerta. E’ André, chi altri? Quei bastardi sono ormai lontani col piccolo.

-Oscar che c'è? Hai trovato qualcosa? C’è qualcosa qui? Ho sentito dei rumori.-

- André …- la voce carica d’odio rotta dal pianto – ha preso Antoine perché vuole che lo aiuti in non so quale sporco gioco!-

-Chi?-

-Il Falco nero.-
                                             
                                                                                                                                
 
 
 
 
 
 
  
  
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