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Autore: EffeGilbert    08/02/2012    1 recensioni
Finale alternativo della 3x05, ovvero come sarebbe dovuta andare secondo me. Enjoy ;D
Quando fui certo che Klaus non fosse più nei paraggi aprii la porta dell’ospedale ed entrai. Mi aggirai frettoloso per i corridoi, poi la vidi. La raggiunsi nella sua stanza e mi si mozzò il respiro. Era sdraiata sul letto, sotto ad un misero lenzuolo azzurro.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Damon/Elena
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quando fui certo che Klaus non fosse più nei paraggi aprii la porta dell’ospedale ed entrai. Mi aggirai frettoloso per i corridoi, poi la vidi. La raggiunsi nella sua stanza e mi si mozzò il respiro. Era sdraiata sul letto, sotto ad un misero lenzuolo azzurro. Aveva un cerotto sul collo, probabilmente dove quel bastardo di mio fratello l’aveva morsa, ed era attaccata ad alcuni tubicini collegati a strani macchinari. Era immobile, con gli occhi chiusi, e se non fosse stato per il suo lento, fin troppo lento, respiro avrei detto che fosse morta.
La mia attenzione fu catturata dalla sacca di sangue accanto alla sua gamba. Immediatamente realizzai che era il SUO sangue. In altre situazioni mi si sarebbe appannata la vista, i canini si sarebbero allungati e non avrei saputo resistere alla sete. In quel momento, però, l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era lei, e il sangue non ebbe nessun effetto su di me.
- Damon...- sussurrò Elena, aprendo appena gli occhi. Dovevo portarla fuori di lì, e alla svelta. Le staccai tutti i tubicini, poi la presi in braccio e mi diressi verso casa.
La feci sedere, molto delicatamente, quasi fosse talmente fragile da potersi spezzare in qualsiasi momento, poi la coprii con una coperta e le diedi un bicchiere di Bourbon, l’unica cosa che avevo che forse l’avrebbe tirata un po’ su.
Mi sedetti sul divano di fronte a lei e rimasi a guardarla per un attimo.
Sembrava così piccola, rannicchiata sul bracciolo della poltrona, con le mani che, in maniera talmente lieve che dubitavo potesse accorgersene, tremavano.
In tutto questo tempo avevo lottato perché Klaus, o chiunque altro, non si avvicinasse a lei. E ce la stavo facendo. Ma poi, come al solito, il mio orgoglio ha avuto la meglio. Sono fuggito, lasciandola da sola, senza nessuno in grado di proteggerla, e se era in quelle condizioni era colpa mia.
Solo e soltanto colpa mia.
- Dov’eri, Damon?- mi chiese infine, dopo che mi ero offerto di farle dimenticare ciò che era successo. Mi guardò con gli occhi pieni di lacrime, e qualcosa dentro di me si mosse.
Solo e soltanto colpa mia.
Diamine, aveva solo 18 anni e la sua vita ruotava intorno a vampiri, streghe, ibridi e lupi mannari. Svariate persone la cercavano e altrettante volevano il suo sangue. Aveva perso quasi tutti quelli che amava, genitori, amici, e la maggior parte di coloro che rimanevano non erano umani. Aveva sofferto più di chiunque altro io avessi mai conosciuto in più di un secolo. Cosa aveva fatto di male per meritarsi una vita del genere?
- Non sarei dovuto andarmene. Ti prometto che non ti lascerò mai più-
Mi avvicinai a lei, preso dalla disperazione.
Solo e soltanto colpa mia.
- Mi dispiace, Elena, sono stato uno stupido. Non avrei dovuto lasciarti qui da sola. È solo colpa mia, tutto ciò che è successo è...- provai a dirle quanto mi dispiaceva, quanto mi odiavo per ciò che avevo fatto, ma lei non mi lasciò finire. Si alzò e si mise a sedere accanto a me.
- No, non è colpa tua. Non è colpa di nessuno. Il mio sangue permette a Klaus di creare altri ibridi, e adesso lui mi darà la caccia. Le cose sono così, non possiamo farci nulla-
Cercò di trattenersi, ma invano, perché alcune lacrime cominciarono a scendere sul suo viso.
La cinsi con un braccio e la strinsi a me. Lei poggiò la testa sulla mia spalla e cominciò a piangere più forte. Era strano, non l’avevo mai vista piangere. Aveva affrontato qualsiasi difficoltà a testa alta, senza mai cedere, e forse era anche riuscita a convincersi che ce l’avrebbe fatta da sola, contando solo su se stessa. Ma nessuno è invincibile. Tutti prima o poi crollano, vittime delle loro debolezze o semplicemente stanchi di tutte le sofferenze. Ed era proprio quello che stava succedendo a lei in quel momento, mentre piangeva tra le mie braccia.
Poggiai il mio mento sulla sua testa, in modo da sfiorarle i capelli con le labbra, e rimanemmo così per un po’. Ormai si era calmata, e dopo qualche minuto mi accorsi che si era addormentata. Delicatamente la presi in braccio e la portai in camera, adagiandola sul mio letto, sotto le coperte. Le scostai una ciuffo di capelli dalla guancia e le accarezzai leggermente il viso. Non era la prima volta che la guardavo dormire, spesso mi ero infiltrato in camera sua di notte. Quella volta, però, c’era qualcosa di diverso in lei. Ormai non era più una bambina, era diventata una donna. Una donna bellissima e forte, che aveva imparato ad affrontare la sua vita e tutte le difficoltà che essa comportava. O forse c’era qualcosa di diverso in me. L’avevo sempre amata, anche se forse non l’avevo mai dimostrato, e avevo sempre cercato di proteggerla, ma negli ultimi tempi avevo sentito il bisogno di starle accanto, anche solo per un secondo, di guardare il suo sorriso, di sentire la sua voce, semplicemente perché vicino a lei mi sentivo bene. Mi ero sempre fatto da parte, perché io ero il “fratello cattivo”, quello che uccideva le persone, quello egoista, quello che non la meritava. Ma con lei c’era sempre stato Stefan. Adesso, però, Stefan non c’era, e non sapevo nemmeno se sarebbe mai tornato, e lei aveva bisogno di me tanto quanto io avevo bisogno di lei.
Feci per andarmene, ma prima che potessi allontanarmi anche solo di un millimetro Elena, ancora con gli occhi chiusi, mi afferrò la mano, che ancora sfiorava la sua guancia. Sorrisi, e senza lasciare le sue piccole dita mi sdraiai accanto a lei, che si avvicinò a me fino a poggiare la testa sul mio petto. Rimasi tutta la notte così, guardando il suo viso angelico che, ora più che mai, sembrava privo di ogni dolore e preoccupazione.
- Non ti lascerò mai, Elena. Te lo prometto- sussurrai appena. Era in un sonno troppo profondo per potermi anche solo vagamente sentire, ma più che una promessa a lei, quella era una promessa a me stesso.
Non l’avrei mai più lasciata. 
  
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