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Autore: PaNdArAlE    08/02/2012    1 recensioni
Questa e' la storia di un San Valentino speciale, dove Bellatrix si abbandona nella memoria, cercando conforto nei ricordi di un passato non troppo lontano, ma gia' troppo sfocato e irraggiungibile.
E' la mia prima ff con questo pairing, ho cercato di renderlo il piu' reale possibile, mantenendo il carattere dei personaggi piu' o meno intatto! Spero di aver fatto un lavoro decente, enjoy :)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Voldemort | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Bellatrix passò la mano scheletrica e rovinata sugli stracci bianchi che aveva addosso. Un ghigno mesto apparve nel volto scavato. Bianco... quasi un insulto, quasi aggiungere al danno la beffa...Bianco per una Black... poi chiuse gli occhi e si lasciò portare via dalla memoria, nei ricordi di un tempo passato così lontano che non era più sicura se fosse davvero esistito o meno.
 
Fin dal primo giorno del primo anno alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts Bellatrix Black vestiva solo ed esclusivamente di nero. Era un colore che si addiceva molto alla sua carnagione bianca come alabastro, metteva in risalto ancor più per contrasto i profondi occhi marroni, tanto scuri da sembrare quasi neri anch’essi, due pozze di petrolio nelle quali chi si addentrava era perso per sempre. I lunghi capelli d’ebano che scendevano in ricce ciocche indomabili erano un tutt’uno con il mantello prima della divisa, poi da Mangiamorte, creando come un’aureola di mistero e impenetrabilità.  Non che Bella pensasse mai a se stessa in questi termini, o scegliesse i suoi vestiti cercando di compiacere coloro che doveva incontrare, anzi, quasi l’opposto: perché, oltre a donarle particolarmente, il nero rendeva Bellatrix ancora più minacciosa, rendendole quasi troppo facile incutere timore e reverenza in chi aveva davanti. Percorreva i corridoi del castello con un’arroganza e un senso di proprietà che le venivano naturali, retaggio del nome che portava e segno di appartenenza alla Casa di Serpeverde, molte volte ostentando una sicurezza che non provava. Poi era stata marchiata dall’Oscuro Signore, e tutta la sua insicurezza era svanita, perché Lord Voldemort le aveva riempito l’anima con le proprie parole, la testa con le proprie idee, e il cuore con il proprio odio.
Hogwarts. Bella sorrise davvero. Aveva sempre amato la scuola, il senso di appartenenza e cameratismo all’interno della propria casa, le pareti scure e fredde dei sotterranei. Si era sentita a casa, fin dal primo giorno. La casa dei Black nella quale era cresciuta era stata austera e fredda, un luogo inospitale e infelice dove crescere tre bambine, dove lasciarle affacciare alla vita, la gioia, l’amore. Non ce ne era mai stato, di amore, tra quelle mura: non tra suo padre e sua madre, sposati per compiacere le proprie famiglie e mantenere il sangue più puro possibile, non tra i genitori e le piccole Andromeda, Bellatrix e Narcissa, nate per portare avanti quello stesso sangue, e grande delusione del padre in quanto tutte e tre femmine. Tra le sorelle stesse vi era un affetto madestro, impacciato e insicuro, come se nessuno avesse mostrato loro cosa significasse amare.
Le sue sorelline. Sembravano passati secoli dall’ultima volta che le aveva viste, o parlato con loro. Quasi per caso, lo sguardo le cadde sul calendario appeso al muro. “È il 14 Febbraio, ” pensò ”Il giorno di San Valentino.”. Bella aveva sempre detestato quell’inutile festività, non la aveva mai celebrata e considerava con malcelato disgusto coloro che, invece, correvano a comprare cuoricini, fiori e quant'altro, per passare il “giorno dell’amore” insieme alla loro metà del momento. Bella non era mai stata fidanzata a Hogwarts, non perché non avesse mai ricevuto proposte, ma perché non aveva mai provato nulla per nessuno dei suoi contendenti. Quando era uscita da scuola, per dovere e per onore si era sposata con Rodolphus Lestrange, ma tra di loro non vi era affetto di alcun tipo, infatti oltre a cercare di adempiere il compito di fornire un erede alla casata dei Lestrange, avevano raramente dormito nello stesso letto.
Un piccolo ricordo s’insinuò nella mente di Bella in quel momento, prendendo sempre più spazio, cercando di occupare tutti i suoi pensieri, tenendo i suoi sensi in bilico. Un San Valentino da ricordare, pensadoci bene, c’era. E non era stato con Rodolphus...
 
Bellatrix stava dormendo, avvolta nel pesante piumone che copriva il letto con il baldacchino di broccato rosso sangue; i capelli erano sparsi disordinatamente sui cuscini e le labbra socchiuse, lasciando sfuggire leggeri sospiri di tanto in tanto. Guardandola dormire, nessuno avrebbe potuto anche solo immaginare di cosa fosse capace quando era sveglia, della crudeltà che sapeva mostrare, della totale mancanza di pietà o compassione della quale era dotata. No, mentre dormiva, sembrava un angelo scuro, caduto in una notte senza luna.
Si svegliò di scatto, stringendo convulsamente l’avambraccio sinistro, dove il Marchio Nero aveva iniziato a pulsare dolorsamente: Lord Voldemort la stava chiamando. Lanciando un mantello nero sopra la camicia da notte, si smaterializzò, per apparire davanti all’Oscuro Signore.
- Bellatrix, buonasera.
- Mio Signore, ha chiamato?
- Ho un compito molto delicato che desidero sia eseguito alla perfezione. – Mentre parlava, Voldemort iniziò a camminare verso la porta di entrata del vasto salone, senza guardare Bellatrix negli occhi. – Date le circostanze, avevo sperato potesse occuparsene Lucius, ma, a quanto pare, lui e Narcissa sono irrintracciabili. – gli occhi dell’Oscuro Signore ora scrutavano il viso di Bella, come a voler intravedere indizi su dove potesse essersi nascosta sua sorella e il suo neo-sposo.
- Non saprei dove sono, Mio Signore, non vedo Narcissa dal giorno del matrimonio. Chiedo perdono, Signore.
- Lucius sarà severamente punito, non preoccuparti. Non è per questo che ti ho chiamata qui.
- Vuole... vuole che prenda il posto di Lucius, Mio Signore, e porti a termine il suo compito?- Bellatrix non osava respirare: sarebbe stato un tale onore, per una neo-mangiamorte, essere scelta per un compito che l’oscuro Signore stesso aveva definito “molto delicato”. Desiderava essere scelta con tutta l’anima, più di quanto avesse mai desiderato qualcosa in tutta la sua vita. Voldemort lo sapeva, e sorrise malevolo.
- Sì, voglio che te ne occupi tu.
Bellatrix si profuse in inchini e ringraziamenti, e Voldemort le permise di baciargli la mano, prima di darle le dovute istruzioni e lasciarla andare via. Guardando il mantello svolazzare, l’aureola di capelli neri che danzava intorno alla sua figura, Voldemort si sentì soddisfatto.
“Credo che possiamo aspettarci grandi cose, dalla giovane Black; apprezzo la sua totale mancanza di scrupoli, la sua dedizione alla causa, la sua adorazione per me. Potrebbe fare molta strada, tra i Mangiamorte.”
Bella arrivò a Diagon Alley ed entrò alla Gringott, la banca dei maghi. Con evidente ripugnanza, si avvicinò al banco di un folletto e ordinò:
- Devo fare un deposito nella mia camera blindata.
Il folletto alzò gli occhi dal libro sul quale stava scrivendo e, con uno sguardo terrorizzato a chi aveva davanti, si affrettò a chiamare il carrello per portare la Signora Lestrange alla sua camera blindata.
Quando furono davanti alla porta, Bellatrix chiese al folletto di aspettare fuori e iniziò a svolgere con delicatezza il panno di velluto che l’Oscuro Signore le aveva datto. Al suo interno vi era una piccola coppa d’argento, dalle fattezze squisite, con il marchio di un tasso inciso tra i due manici. A Bella vennero in mente le istruzioni che aveva ricevuto: “Portala nella tua camera alla Gringott, proteggila con tutti gli incantesimi che conosci, e non farla vedere a nessuno. Poi ritorna qui. Fai in fretta, e cerca di non deludermi.”. Mise la coppa all’interno di un mobiletto antico, dono di nozze di sua nonna, mormoro’ gli incantesimi e uscì, lasciandosi portare via dal carrello, in uno stato di esaltazione per aver portato a termine il compito assegnatole alla perfezione.
Di nuovo davanti a Voldemort, Bellatrix si inginocchiò e, senza osare guardarlo negli occhi, disse:
- Mio Signore, ho fatto come avete chiesto. Ho anche ordinato che alla mia camera blindata sia aumentato il livello di sicurezza, e date disposizioni affinché nessuno tranne me possa richiederne l’accesso.
- Neanche tuo marito Rodolphus?
- Neppure lui, Mio Signore. Ho pensato fosse più prudente che la coppa restasse un segreto, Signore, del quale sono io sono a conoscenza. – poi, rendendosi conto della presunzione che stava mostrando, si affrettò ad aggiungere. -Per motivi di sicurezza, ovviamente. Ma se lei ritiene che Rodolphus debba venirne a conoscenza, allora io-
- Non vi è alcuna necessità di coinvolgere Rodolphus in questa storia. Possiamo considerare la faccenda conclusa, e desidero che tu non ne faccia menzione ad anima  viva. – le fece cenno di avvicinarsi e, prendendole il mento tra le dita, la fissò dritta negli occhi, come a volerle entrare dentro l’anima. – Posso fidarmi di te, Bellatrix?
- S..si, Mio Signore – disse Bella, come ipnotizzata – Sempre.
- Ottimo. – Con un mezzo sorriso, Voldemort le lasciò il mento e, guidandole la testa contro il suo ginocchio, le accarezzò i capelli distrattamente, come se stesse accarezzando un animaletto domestico. Poi sembrò riscuotersi dai suoi pensieri tutto d’un tratto e disse;
- Ora puoi andare.
Riconoscendo il tono di comando, Bellatrix si alzò e, con un inchino, tornò nella sua stanza, sotto il piumone, nel suo letto a baldacchino.
Ma non riuscì a dormire, quella notte, come quelle seguenti.
Perché il brivido che aveva avuto, con la mano dell’Oscuro Signore contro i suoi capelli, era la cosa più simile che avesse mai provato a quello che tutti chiamavano amore. Ed era successo, che ironia, proprio il giorno di San Valentino.”
 
Bellatrix si riscosse dal suo sogno ad occhi aperti quando un fruscio al di là delle sbarre le annunciò che la cena stava arrivando, insieme ai Dissennatori. Il brivido sulla sua pelle era del tutto diverso, ora. Cinse le ginocchia con le braccia e si rintanò nell’angolo più lontano della cella, vicino alla finestra.
“Un giorno uscirò da Azkaban, Mio Signore, e allora non avrò pace fin quando non vi avrò trovato e restituito tutto il vostro potere; sarò il vostro braccio destro, e niente e nessuno potrà fermarci!”
La risata ghiacciante serpeggiò tra le mura della prigione, facendo perdere ai pochi prigionieri ancora sani di mente le ultime speranze rimaste.
 
  
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