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Autore: HamletRedDiablo    08/02/2012    5 recensioni
Al primo anno di Hogwarts, Albus Severus Potter aveva sperato in una tranquilla vita scolastica.
Al quarto anno, la sua utopia si era incrinata. Al settimo, era crollata definitivamente.
Ognuno sarà chiamato a combattere per evitare il definitivo crollo dei pilastri del mondo magico. Chi per riscattare il nome del casato, chi per non disonorare la famiglia, chi per dare prova del proprio coraggio: mille bacchette si leveranno sotto un unico simbolo.
Tuttavia...
"Non era necessario cercare nemici epocali per finire invischiati in un mare di guai. Bastava innamorarsi."
[AlbusScorpius, RoseNuovoPersonaggio]
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Albus Severus Potter/Scorpius Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione, Da Epilogo alternativo
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Prologo

 

 

 

   Non avrebbe mai pensato che il suo ultimo anno di lezioni sarebbe stato così movimentato.

   Certo, le sue preoccupazioni svanivano se paragonate a quelle che il suo eccelso padre aveva affrontato durante i suoi diciassette anni.

   Scrollò la testa, sospirando. Ormai era riuscito a far capire almeno agli incantatori di Hogwarts che lui era un individuo a se stante e non un’appendice della fama paterna. Ma, per il resto del mondo magico, lui non era che una ramificazione imperfetta del noto genitore, un innesto che ancora non aveva dato i suoi eroici frutti.

   Al contrario del padre, infatti, la sua vita scolastica era stata sorprendentemente vivace e pacifica – escludendo alcuni episodi – e pareva che buona parte dei maghi considerasse questa sua serenità una colpa: com’era possibile che la progenie del famoso Potter si rammollisse in uno stile di vita tranquillo anziché andare a caccia di maghi oscuri e fosche presenze?

   Contorse un angolo della bocca, contrariato. Non aveva alcuna intenzione di buttarsi tra le fauci del pericolo, se non era costretto. Gli eroi facevano sempre una fine tragica e prematura, mentre lui pianificava di andarsene solo dopo essere diventato un vecchietto rinsecchito coccolato dall’amore familiare. Suo padre era una delle eccezioni alla regola, ma nessuno gli garantiva che la dea bendata avrebbe concesso una seconda occasione alla famiglia Potter.

   Per cui, meglio rimanersene al sicuro nel dormitorio di Slytherin, a studiare come era suo dovere.

   Se solo fosse riuscito a studiare. Lanciò un’occhiata ai libri chiusi con rassegnazione.

   Ultimamente i suoi piani di tranquillità erano stati sconvolti da troppi avvenimenti.

   Non era lo studio a preoccuparlo: aveva ancora tempo di prepararsi per i MAGO, e si era sempre dimostrato uno studente brillante.

   Ciò che lo preoccupava, era cosa sarebbe successo una volta che la porta della sua camera si fosse aperta.

Sospirò di nuovo.

   Dovevano parlare. Il progetto che Haru aveva proposto era ambizioso, ma non impossibile, e abbastanza folle da solleticare la loro curiosità. Senza contare che gli ultimi avvenimenti avevano messo in luce come non si potesse attendere oltre: bisognava elaborare una risposta efficace prima possibile, o tutto il sistema magico ne sarebbe stato irrimediabilmente compromesso.

   Ma non era solo il futuro del mondo della magia a tormentarlo.

   Cosa avrebbe detto su quell’altra questione? O meglio, cosa avrebbe fatto?

   Si tirò le coperte fino al mento e poi più su, a coprire tutta la faccia.

   Non era necessario cercare nemici epocali per finire invischiati in un mare di guai. Bastava innamorarsi.

   Si irrigidì sotto le lenzuola quando sentì lo scricchiolio della porta che si apriva.

   Dalle coltri emersero solo i ciuffi scomposti della frangia e gli occhi verdi, che puntarono subito la persona appena entrata.

   Il materasso si inclinò sotto il peso di un secondo occupante.

   Albus fece uscire dalle coperte anche la bocca perché il nome del compagno di stanza non venisse smorzato dalle lenzuola.

   «Scorpius…»

 

 

 

 

 

Parte Uno – Primo Anno

 

1

Slytherin

 

 

 

   Gli sarebbero scoppiate le vene del collo.

   Gli sarebbero scoppiate tutte quante, e di lui sarebbe rimasta solo una macchia rossastra sul binario nove e tre quarti di King’s Cross.

   Fu con enorme sollievo che sentì il peso della valigia abbandonare le sue braccia per schiantarsi sul pavimento della carrozza numero tre dell’Hogwarts Express.

   Si aggrappò al corrimano e riuscì a raggiungere il suo gigantesco bagaglio.

   «Hai dei sassi in quella valigia, Albus?» chiese Rose, fissando con aria critica le guance paonazze dell’amico.

   «Mia madre ha voluto darmi cose… per ogni evenienza» sbuffò lui, affaticato.

   L’apprensione di Ginny per il figlio minore si era palesata nelle pile di vestiti, scarpe, libri e cibarie che aveva stipato a forza nella valigia.

   Sulle labbra di Rose si mescolarono divertimento e furbizia nel suo tipico sorriso da bravata.

   «Immagina cosa succederebbe se qualcuno dovesse disattivare l’incantesimo di riduzione che tua madre ha messo su tutta quella roba» scherzò, additando il bagaglio.

Albus non riuscì a trattenere un sorriso nel pensare ad un povero mago coinvolto nell’esplosione del suo baule sovraccarico.

    «Quel poveretto si troverebbe ricoperto di maglie e calze» rise.

   «Un bell’albero di Natale» rincarò lei «Solo che sarebbe decorato con le tue mutande e non con dei festoni!»

   «Rose!»

   «Perché, non le porti?»

   «Sì, ma…»

   «Se non c’è colpa, non c’è vergogna» sentenziò lei con un’alzata di spalle, per poi indicare la cabina più vicina. «Ho appoggiato le mie cose lì. Ti unisci a me per il viaggio?»

   «Volentieri…» l’entusiasmo uscì smorzato dalla gola di Albus: il peso del baule limitava notevolmente le sue capacità espressive.

   «Ti aiuto» offrì lei, afferrando una maniglia del mastodontico bagaglio.

   Albus poté muovere solo pochi passi prima che una risata di scherno lo freddasse alle spalle:

   «Ti fai aiutare da una donna

   Il bimbo alzò gli occhi per incrociare lo sguardo derisorio di James Sirius Potter.

Sarebbe arrivato il giorno in cui sarebbe cresciuto a sufficienza per ribattere guardando il fratello maggiore dritto negli occhiali. O, ancora meglio, il giorno in cui avrebbe imparato una magia di ingrandimento tale da poterlo guardare dall’alto con aria di sufficienza, come un elefante fa con una pulce.

Ma per il momento era ingabbiato nel metro e trenta tipico dei suoi undici anni, e non poteva che allungare il collo per miagolare le sue proteste.

   «Questa valigia spezzerebbe la schiena anche a te» replicò, tirando cocciuto il manico del bagaglio. La resistenza del baule fu così ferrea che per poco Albus non si rovesciò a terra, e la sua piroetta non troppo nascosta suscitò l’ilarità del fratello e della sua congrega.

    «Non ho mai detto che non sia pesante» gli ricordò James, mentre si aggiustava gli occhiali con insopportabile strafottenza. «Ho detto solo che hai meno forza di una donna.»

   «Almeno io ho solo due occhi sul naso.»

   Il sorriso di James si incrinò a quell’affermazione. Dopo tanti anni di guerriglie familiari, entrambi i fratelli avevano imparato quali fossero i punti deboli dell’avversario: Albus si irritava per i commenti indelicati sulla sua scarsa altezza e sulla sua debolezza, e James era particolarmente sensibile alle frecciatine sui suoi occhiali. Albus era convinto che, se si fosse accanito a dovere, sarebbe riuscito a radicare nel fratello un vero e proprio complesso per la miopia. Ma preferiva evitare di sfoderare l’artiglieria pesante con lui: non ci teneva a sperimentare quanto potesse essere perfido se adeguatamente stuzzicato.

   Un ghigno malizioso solcò le labbra di James quando questo controbatté:

   «Io gli occhiali posso toglierli. Tu, invece, come conti di aggiungere tutti i centimetri che ti mancano?»

   «Devo ancora crescere!» protestò Albus.

   «Ma crescerai al massimo di una spanna, se queste sono le premesse» constatò James, e rimarcò la differenza di altezza tra loro appoggiando un gomito sulla testa del fratello. Non contento, gli pizzicò un bicipite come la strega faceva con Hansel nella famosa fiaba per verificare quanto fosse ingrassato. «E non cambieranno nemmeno queste braccine flaccide.»

   «Vedremo se i miei muscoli ti sembreranno ancora un problema quando dovremo prenderti un cane guida. La miopia peggiora quando si invecchia» reiterò Albus.

   «Potrei scambiarti per il mio cane guida, allora, visto che non crescerai più di così» con scorno del fratello minore, James non sembrò accusare il colpo, anzi, un’aria leziosa si dipanò sul suo viso mentre restituiva l’insulto.

   «Scusatemi.»

   La sorpresa si diffuse come un fulmine sul volto dei presenti: troppo impegnati a seguire la disputa tra fratelli, nessuno si era accorto del nuovo arrivato, un ragazzetto pallido che osservava la scena a lato dei propri bagagli con distaccata curiosità.

   «Dovrei passare» sottolineò l’ovvio con un candore tale che nessuno riuscì ad afferrare il sottilissimo alone di sarcasmo di quelle parole. A parte Rose, il cui sopracciglio disegnò un arco dubbioso.

   «Da quello che ho capito, il problema è che sia una donna ad aiutarlo, giusto?» continuò serafico. Si avvicinò al baule e scostò educatamente la ragazza per poi chinarsi ad afferrare la maniglia libera. «Così la questione dovrebbe essere risolta, no?»

   Albus non fece in tempo a ringraziare lo sconosciuto che una mano sgraziata gli piombò sulla testa e prese a scompigliargli con furia i capelli.

   «Complimenti, Albus! L’ho sempre detto che saresti finito a Slytherin!» James, al contrario del nuovo arrivato, non aveva la delicatezza di mascherare la sua ironia. «Ci vediamo a Hogwarts!»

   Il minore dei Potter attese che il fratello e il suo stormo migrassero in un altro vagone, poi si rivolse finalmente al suo salvatore:

   «Ti ringrazio.»

   «Non ho fatto nulla di speciale» si schermì l’altro.

   «Era anche nel suo interesse aiutarti, altrimenti non sarebbe riuscito a passare» intervenne Rose, che fino a quel momento era rimasta barricata dietro un rovente silenzio: le risposte acide che aveva trattenuto tra i denti per non peggiorare la lite dei due fratelli le bruciavano tra le labbra e le arroventavano le gote. Se c’era una cosa che proprio non sopportava, era di essere costretta al silenzio quando mille idee le ribollivano nella gola.

   La battuta di Rose non intaccò l’aura compassata del ragazzo, che si informò con calma inglese:

   «Qual è la tua cabina?»

   «Nostra» specificò subitaneamente la cugina.

   Albus indicò con un cenno della testa la porta dello scompartimento limitrofo.

   «Quella» asserì. «Puoi unirti a noi, se non hai altri compagni» aggiunse, per non apparire scortese con chi si era appena mostrato gentile nei suoi confronti.

   Passò un secondo di silenzio prima che il ragazzo annuisse: lo aiutò a trascinare il bagaglio fino a destinazione, dopodiché uscì nuovamente per prelevare le sue valigie.

   Rose non permise ad Albus di seguirlo per restituire il favore ricevuto: costrinse l’amico a prendere posto sul sedile accanto al finestrino e bisbigliò cospiratoria:

   «Quel tipo non mi convince.»

   «Mi ha aiutato» obiettò Albus, senza comprendere l’ostilità della cugina.

   «E’… sfuggente» proseguì Rose, lanciando un’occhiata alle sue spalle per assicurarsi che l’interessato non la sentisse. «Come se portasse una maschera.»

   «Tu vedi doppi fini in ogni cosa» la smontò Albus con un sospiro.

   «E tu non ne vedi affatto. Il mondo non è una fabbrica di confetti» ribatté lei. Prese posizione di fianco all’amico con le braccia incrociate e il collo sprofondato nelle spalle come stendardi della sua testardaggine.

   Albus nutriva un profondo rispetto per la cugina: aveva una memoria proverbiale e un intuito affilato, ed aveva divorato in lettura l’equivalente di una biblioteca. Era certamente la persona più intelligente che conoscesse, dopo zia Hermione.

Ma proprio la sua astuzia la rendeva incredibilmente guardinga e sospettosa, come se la vita ricalcasse le intricate trame che la affascinavano, in cui tutti tradivano tutti. Forse le persone troppo intelligenti non sapevano godersi la vita con la stessa rilassatezza degli stupidi.

   «E, comunque, volevo difenderti mentre litigavi con tuo fratello» sbottò di colpo. «Ma avrei peggiorato la situazione. Ti stava già accusando di fare troppo affidamento su di me, ti avrei scavato la fossa se fossi intervenuta. Mi immagino i commenti: “Non solo hai meno muscoli, ma hai anche meno fegato di una donna”» si voltò a fissarlo irata, con occhi fiammeggianti: «Tuo fratello e i suoi amici hanno per caso una condivisione di neuroni? Ogni volta che aprivi bocca tu si zittivano, tutti seri come se tu avessi appena detto che Tu-Sai-Chi è morto di raffreddore, e ogni volta che apriva bocca lui erano tutti felici e sorridenti. Sembrano delle foche ammaestrate, sbattono le pinne se gli fai dondolare un pesce davanti al naso!» Rose rilassò la schiena contro l’imbottitura del sedile per riprendere fiato: aveva pronunciato quel rosario di improperi quasi senza respirare, e le guance avevano assunto la stessa tinta scarlatta dei capelli.

   «Rose, sei impareggiabile quando ti sfoghi in questo modo» sorrise Albus, divertito dal temperamento della cugina. Lei gli rispose con un brontolio greve poco prima che la porta si aprisse permettendo al ragazzo sconosciuto di entrare e posare i bagagli.

   Rose non staccò per un secondo gli occhi dal giovane mentre questo sistemava il baule, spazzava con la mano dal sedile alcune briciole invisibili e infine si accomodava di fronte a loro.

Albus pregò che il loro nuovo compagno non notasse il sospetto con cui lo esaminava la cugina. Fortunatamente lui fu troppo educato per farlo pesare e lei fu abbastanza furba da assumere nuovamente un contegno civile nel momento in cui il ragazzo si voltò nella loro direzione.

   «Non ci siamo ancora presentati» notò la cugina, porgendo la mano con simulata amicizia. «Mi chiamo Rose. Rose Weasley.»

   Gli occhi chiari del ragazzo si sgranarono lievemente per la sorpresa a quell’informazione e riacquistarono una dimensione normale quando si posarono sui riccioli rossi della ragazza.

   «Weasley» ripeté lui, con un accenno di sorriso. «Il tuo è un cognome abbastanza conosciuto.»

   «Lo so» rispose lei senza scomporsi.

   Albus le lanciò un’occhiata: i capelli cremisi del padre e gli occhi nocciola della madre sembravano gridare il nome dei suoi genitori, ma il ragazzo era stato abbastanza diplomatico da non farlo notare e fingersi sorpreso. Anche i vestiti della cugina, chiaramente passati sotto più mani prima di raggiungere le sue, erano un chiaro indice della famiglia di provenienza, ma perfino su questo aspetto lo sconosciuto aveva sorvolato.

   Le iridi fumose del ragazzo si focalizzarono su Albus, in attesa della sua presentazione.

   Il piccolo prese mentalmente un profondo respiro. Era il suo turno.

   «Mi chiamo Albus Severus Potter.»

   Le sopracciglia quasi albine del ragazzo si sollevarono fino a sfiorare la frangia.

   «Anche il tuo cognome è abbastanza famoso.»

   “Abbastanza famoso”. Apprezzava l’eufemismo.

   «Sì, all’incirca» Albus tentò maldestramente di sminuire. Non era una di quelle persone che si vantavano del lustro della famiglia: al contrario, avrebbe preferito nascere in una casa anonima, in modo da non dover sopportare la pressione costante del confronto con il padre. Di Harry Potter aveva ereditato il cognome, gli occhi verdi e i capelli corvini; per ora, le loro somiglianze si limitavano a quello.

   «E tu?» domandò, per deviare l’attenzione da se stesso.

   «Scorpius Malfoy.»

   La stima che il ragazzo nutriva per la sua famiglia gli fece scandire con orgogliosa calma ogni singola lettera.

   Rose appoggiò il viso contro una mano ma, sebbene la bocca fosse premuta contro il palmo, Albus poté udire ugualmente il commento della cugina:

   «Più che famoso, è famigerato.»

   «Volete qualche dolcetto, tesorini?»

   Albus provò per la prima volta in vita sua l’intenso desiderio di gettarsi in ginocchio e ringraziare ogni santo in ascolto: l’arrivo della signora dei dolci era stato provvidenziale nel coprire l’ultima parte dell’affermazione di Rose.

La cugina estrasse il portafoglio e ne esaminò il contenuto, facendo mille conti su cosa fosse più conveniente comprare. Albus si frugò nelle tasche, contò i soldi che aveva trovato e scelse. Scorpius studiò attentamente il contenuto del carrello, calcolò la portata del borsellino e decise a sua volta.

   «Io prendo una caramella TremilaGustiPiùUno e una Cioccorana» ordinò Rose.

   «Per me un Cioccorno e tre ZuccottiPlus» la donna gli allungò il cartoccio dei dolci, notando: «Hai gli stessi gusti di tuo padre, figliolo.»

   Albus si esibì in un sorriso gastritico nel prendere il sacchetto: dubitava fortemente che suo padre mangiasse le stesse cose. Innanzitutto, vent’anni prima le caramelle avevano solo mille gusti più uno, e come CioccoAnimali esistevano solo le CioccoRane. E poi, gli Zuccotti erano dolcetti gonfi di semplice crema di zucca: ora il ripieno frizzava e, in alcuni casi, danzava addirittura sulla lingua. Valentine, uno degli amici di suo fratello, sosteneva che una volta due omini di crema arancione avevano improvvisato un valzer nella sua bocca.

Certamente la signora intendeva fargli un complimento. Non poteva immaginare quanto fosse fastidioso avere un mito per genitore.

   «Per me una fetta di Torta della Strega» chiese Scorpius.

   Nessun commento sui suoi parenti: la consegna della busta avvenne in silenzio, la signora intascò il denaro e proseguì verso lo scompartimento successivo.

   «Hai preso un Cioccorno?» si stupì Scorpius, armeggiando con la confezione della sua fetta di torta.

   «Sì. Perché?» domandò di rimando Albus, mentre sistemava le sue compere sul sedile.

   «Sono molto più complicati da mangiare delle CioccoRane. Loro al massimo saltano. I Cioccorni…» si strinse nelle spalle. «Prova ad aprirla» lo invitò e, nel dirlo, poggiò il contenitore del suo dolce sulle gambe, come per prepararsi ad uno spettacolo.

   Albus fissò Rose, indeciso, la quale gli restituì uno sguardo vago: evidentemente, nemmeno lei aveva mai assaggiato un Cioccorno.

   Il ragazzo aprì con cautela la bustina, per richiuderla subito dopo con uno scatto: nel momento in cui i lembi di plastica si erano separati, un corno di cioccolato aveva cercato di pungergli il pollice con un nitrito rabbioso.

   «Era questo che intendevo» spiegò Scorpius. «Sarà un problema domarlo.»

   Albus riaprì la busta, questa volta completamente, e l’unicorno di cioccolato galoppò furioso sul suo braccio; il giovane fece appena in tempo ad afferrarlo per il dorso prima che la piccola belva gli conficcasse il corno in un occhio.

   «Aspetta che si addormenti» lo consigliò Scorpius.

   «Si addormenta?» gracidò Albus, tenendo lontano da sé la bestia scalciante.

   «Le industrie dolciarie hanno a cuore la verosimiglianza del prodotto, ma devono anche renderlo mangiabile. È ovvio che abbiano pensato ad un meccanismo per permetterti di gustarlo» brontolò Rose.

   La cugina non aveva quasi finito di parlare che l’unicorno si afflosciò tra le sue dita. Era quasi ridicolo con il grosso collo penzolante, le zampe ciondolanti e le labbra che si increspavano in una strana imitazione del russare umano. Albus lo addentò con circospezione, timoroso che quel mostriciattolo potesse risvegliarsi nel suo esofago e piantargli gli zoccoli nella trachea.

   «E’ buono» constatò, ingoiando e prendendone un altro morso.

   «Deve essere più che buono, altrimenti la gente comprerebbe solo le CioccoRane» replicò Rose.

   Masticando, Albus si trovò a fissare la sgargiante confezione sulle ginocchia di Scorpius: il cartone era stato piegato in modo da riprodurre le stamberghe delle streghe del tredicesimo secolo, le stesse che si vedevano raffigurate nei libri babbani di favole. Scorpius afferrò due angoli del tetto sgangherato e lo sollevò: all’interno riposava una fetta di torta alla crema spolverata di zucchero e pinoli e, a lato, sedeva una minuscola figurina umanoide.

   «Cos’è?» indagò Albus, allungando il collo.

   «La Torta della Strega ha una particolarità: trovi sempre una mini-strega dentro» spiegò Scorpius.

   «Davvero?» Albus si ricordò di essere in compagnia di un estraneo e non solo della cugina, quindi, anziché leccarle, cercò un fazzoletto su cui pulirsi le dita sporche di cioccolato.

   «E cosa fanno queste streghe?» domandò Rose, giocherellando con l’apertura della caramella.

   «Raccontano aneddoti poco conosciuti sul mondo della magia» per dare una prova pratica di quanto diceva, Scorpius avvicinò una mano all’interno della casetta, permettendo alla piccola fattucchiera di salirvi sopra.

Il vestitino aderente dell’incantatrice aveva uno spacco piuttosto marcato da cui si intravedeva il collant sottostante ma, nell’immensa ingenuità degli undici anni, nessuno dei tre la reputò una cosa maliziosa.

   «Avete mai sentito parlare dei Grandi Ceppi Magici? Si narra che, nei tempi antichi, essi si siano distinti nella massa dei maghi per la loro capacità di affinare gli incantamenti in maniera peculiare e sofisticata. Tali tecniche sarebbero state tramandate di generazione in generazione agli eredi di questi Grandi Ceppi, ed esisterebbero ancor oggi» raccontò la strega.

   «Non è così sconosciuta. L’ho letto in un libro qualche mese fa» minimizzò Rose, ficcandosi la caramella in bocca.

   «Non sempre sorprendono» ribatté Scorpius. La fattucchiera sul suo palmo cominciò a disfarsi lentamente in una voluta di fumo sottile, fino a lasciargli la mano libera di afferrare la torta.

   «Di cosa sa la tua caramella, Rose?» domandò Albus, sperando di prevenire ulteriori interventi della cugina.

   «Di serpe» rispose seccamente lei.

 

***

 

   «Quel tipo non mi piace.»

   «L’avevo intuito, Rose.»

   «Sto parlando seriamente, Albus. Non mi piace.»

   Erano riusciti a rimanere insieme fino a che non avevano raggiunto la stazione di Hogwarts. Poi avevano perso Scorpius nello sciame di gente che aveva affollato i corridoi del treno. Albus non era riuscito a scorgerlo sulle barche che li avevano portati fino a scuola e nemmeno ora lo distingueva nella marea di teste che li circondava.

   «Mio padre mi ha consigliato di non diventargli amica» rimbrottò Rose.

   «A Ron non è mai stato simpatico Draco Malfoy. E trasferisce quella vecchia antipatia su Scorpius» da quello che sapeva, zio Ron e Draco avevano rivaleggiato a lungo per zia Hermione, ma preferì non mettere al corrente la cugina di quel pettegolezzo che suo padre si era fatto sfuggire per una BurroBirra di troppo.

   «Mi fido più di mio padre che di un estraneo con cui ho conversato in treno» protestò Rose, scatenando una mezza sommossa tutt’attorno perché si era fermata nel bel mezzo della calca per ribattere.

«Comunque, non è solo per quello» Rose riprese a camminare per evitare di essere falciata. «Te l’ho detto, non mi piace che sia così sfuggente.»

   «A me non è sembrato tanto subdolo.»

   «Perché tu sei un sempliciotto, quindi è facile ingannarti.»

   «Grazie Rose» sbuffò offeso Albus. «Anche se fosse, potrebbe avere i suoi buoni motivi per non scoprirsi.»

   «Non mi interessano i motivi. Come posso fidarmi di chi non è sincero?» contestò Rose.

   La fila si arrestò di colpo, e Albus per poco non crollò addosso al tizio davanti a lui, che protestò rumorosamente rispedendolo al suo posto con uno spintone. L’improvvisa frenata fu dovuta non solo al raggiungimento dei cancelli di Hogwarts, ma anche dall’aspetto della professoressa che li attendeva.

   «Finalmente quest’anno hanno messo la Eeriemay ad accoglierci!» si felicitarono gli studenti più anziani.

   «Anche Slytherin produce qualcosa di buono, ogni tanto» fu il bisbiglio abrasivo di qualcuno.

   La strega del dolce di Scorpius non era riuscita a farli imbarazzare; la donna che li aspettava avrebbe fatto arrossire perfino un sasso. Senza l’uso della magia.

Era l’apoteosi della femminilità, con curve sode straripanti dai vestiti e una montagna di capelli rubino raccolti in una crocchia volutamente scomposta. Gli occhi erano evidenziati da un trucco sapiente che ne esaltava la grandezza e il verde delle iridi, e con altrettanta maestria erano state curate le labbra piene. La divisa da impiegata modello che indossava era il particolare veramente sconcio dell’insieme: un abito simile avrebbe dovuto evidenziare coprendo, ammiccare ma con pudore. C’era ben poco di coperto e pudico nell’abbigliamento della donna: la gonna era talmente corta da poter essere scambiata per un fazzoletto, e l’effetto malizioso era accresciuto dai tacchi alti che indossava. La blusa era stata alleggerita di alcuni bottoni, in modo che fosse più che visibile la prosperità dei seni, su cui si appoggiava un pesante ciondolo d’oro. Il mantello sanguigno non copriva in alcun modo tutta quell’abbondanza: era semplicemente appoggiato sulle spalle.

   La donna sorrise in uno sfavillio di denti perlacei nel dar loro il benvenuto:

   «Ragazzi, auguro a tutti voi un anno piacevole tra le mura di Hogwarts» detta da lei, ogni parola sembrava foriera di doppi sensi osé. «Io sono Rebecca Eeriemay, la responsabile di Slytherin. Fatemi la cortesia di seguirmi fino alla Sala Principale, dove i nuovi arrivati potranno essere assegnati alle varie Case. Prego» si voltò con una mossa da soubrette e cominciò ad ancheggiare nei corridoi, seguita a ruota dagli studenti. Nemmeno il pifferaio di Hamelin aveva riscosso tanto successo nel farsi tallonare da dei bambini.

   Albus procedette con gli occhi fissi a terra, troppo imbarazzato dalle forme che ondeggiavano davanti a lui. Rose fissò lo sguardo da un’altra parte, lievemente disgustata: che pessimo esempio dava alla categoria femminile.

Guardando ognuno da una parte diversa, raggiunsero finalmente la Sala Principale, sul cui soffitto si distendeva un sereno cielo notturno.

   Il Cappello Parlante venne portato dalla sensuale professoressa, e subito il copricapo cominciò a cantare.

   Albus quasi non sentì il testo della ballata, affogato nel suo rimuginare: forse era vero che lui era ingenuo rispetto alla cugina, ma non era giusto farlo passare per un credulone. E poi, Scorpius non gli sembrava un cattivo ragazzo. Forse appena un po’ ritroso, ma chi non lo sarebbe stato, sentendosi dare del traditore fin dalla culla?

   «Bradley Thomas!»

   Il primo nome lo riscosse istantaneamente dal suo stato meditativo.

Ad una velocità che non avrebbe creduto possibile la sua bocca si asciugò completamente e le mani cominciarono a grondare. Tra poco avrebbe saputo a quale Casa lo avrebbe ospitato per i successivi sette anni.

   «Ravenclaw!» gridò il Cappello.

   Albus attese, torcendosi le mani per l’ansia. I minuti parvero dilatarsi per dare più tempo al suo cuore di spaccargli il petto mentre i nuovi arrivati venivano chiamati uno per uno.

   «Malfoy Scorpius!»

   Il ragazzino trasalì e si sporse per riuscirlo a vedere. Scorpius avanzò senza la minima esitazione, con un’ombra di sorriso distesa sulle labbra. Si sedette e il Cappello quasi non si appoggiò sulla sua testa prima di annunciare:

   «Slytherin

   Sentì la cugina irrigidirsi al suo fianco, come se i suoi dubbi su quel ragazzo fossero stati confermati. Albus, al contrario, provò solo un enorme sollievo: se fosse finito a sua volta a Slytherin, almeno non sarebbe stato solo.

   Vennero smistate altre tre matricole prima che il suo nome venisse pronunciato:

   «Potter Albus Severus!» intonò Eeriemay.

   La professoressa non gli riservò un trattamento di favore, cosa che Albus apprezzò oltre ogni dire: gli sorrise incoraggiante come aveva fatto con tutti gli altri e gli posò con grazia il cappello sulla testa.

   Trascorse qualche istante di silenzio totale in cui Albus quasi dimenticò come si facesse a respirare. L’attenzione di tutti gli studenti presenti si era focalizzata di lui, in scalpitante attesa del verdetto; l’aria sembrava vibrare tanto era gravida di tensione.

Poi il cappello emise la sua sentenza:

   «Slytherin

   La notizia venne accolta da un mutismo glaciale. Gli Slytherin non si aspettavano quell’assegnazione e ancor meno i Griffindor, che lo guardavano come se li avesse appena pugnalati alle spalle. Soprattutto il fratello, con gli occhi sbarrati dalla meraviglia e dall’orrore.  

   Poi la signorina Eeriemay applaudì, felice che un nuovo pargolo si aggiungesse alla Casa di cui era responsabile, e, sul suo esempio, un’ovazione si sollevò dalla tavola degli Slytherin.

   Albus dovette fare attenzione a non inciamparsi nella tunica mentre si rialzava e si dirigeva al tavolo degli Slytherin. Suo padre gli aveva detto che poteva parlare con il Cappello e chiedergli di essere affidato ad una particolare Casa, ma non l’aveva fatto. In un certo senso, voleva sapere l’opinione del Cappello senza interferire con essa in alcun modo. E poi, non vedeva il senso di finire in una Casa su richiesta personale: doveva essere assegnato in base alle attitudini, non ai capricci.

   Cercò nel tavolo la chioma bionda di Scorpius e, individuata, vi si accostò.

   «Anche tu a Slytherin» si congratulò il ragazzo, facendogli spazio perché potesse sedersi.

Albus annuì, prendendo posto in silenzio.

«Conosci qualcun altro di questa Casa?» al cenno negativo del piccolo Potter, Scorpius si scostò appena perché fosse visibile il ragazzo che sedeva alla sua destra.

La buona creanza impedì ad Albus di esternare il proprio stupore: il giovane apparso a lato di Scorpius sembrava un elogio alla buona salute e un polo attrattivo per le malattie al contempo. Neppure uno dei lucidissimi capelli castani era sfuggito all’ira del pettine, che li aveva sistemati in una simmetria implacabile; allo stesso modo, la pelle levigata era priva di qualsiasi imperfezione. Il fisico del ragazzo, però, era quello di un sollevatore di stuzzicadenti, esile e delicato come una scultura di cristallo. Ad accentuare la fragilità del corpo contribuivano il colorito pallido tendente al verdognolo delle guance ed il fazzoletto ricamato che il giovane teneva vicino a bocca e naso, come se temesse un conato da un momento all’altro.

   «Lui è Macauley Nott» lo introdusse Scorpius.

   Lo sconosciuto roteò i suoi occhi castani su Albus, e il suo sguardo fu più intenso di una radiografia.

   «Non mi sembra sano. Ha gli occhi vitrei e suda troppo» fu l’analisi clinica di Macauley.

   Albus fissò il suo riflesso in una delle coppe lucidate presenti sulla tavola: non gli sembrava che il suo sguardo fosse così assente, e non stava sudando affatto. Decise di ignorare la diagnosi non richiesta e porse la mano in segno di cameratismo:

   «Piacere. Mi chiamo Albus…»

   Non riuscì a terminare la presentazione: Macauley trasalì come se gli avesse teso un Basilisco al posto della mano.

   «Pazzo! Lo sai quanti germi si trasmettono con il contatto fisico?» strepitò, attutito dal fazzoletto che si era premuto sul viso come una mascherina. «Esprimi quello che devi esprimere alzando il pollice.»

   Albus fissò sconcertato Scorpius, il quale sillabò muto: “È un po’ strano. Assecondalo”.

   Il piccolo tentò di nuovo: «Mi chiamo Albus Severus Potter» e alzò il pollice.

   «Più lontano» ordinò Macauley, nauseato. Albus fece retrocedere il dito verso il petto. «Più lontano di così!»

   «Nott, se lo allontana ancora si spezza il gomito» lo calmò Scorpius, quando le articolazioni di Albus minacciarono di sconfinare.

   «Piacere di conoscerti» sentenziò lo strano tipo, rilasciando la presa sul fazzoletto che tornò a sostare in prossimità di bocca e naso.

   «Non è cattivo. Devi solo imparare a conoscerlo» sdrammatizzò Scorpius. «Allora, sei contento di essere a Slytherin

   «Sì» Albus fu il più sorpreso di tutti nel sentire quella sillaba uscirgli dalle labbra.

   «Davvero? E la tua famiglia Griffindor approva?» discusse caustico Macauley.

   «All’inizio pensavo che non mi sarebbe piaciuto venire a Slytherin» ammise Albus, guadagnandosi un’occhiata sprezzante da Nott; Scorpius, al contrario, si mantenne indifferente. «Più che altro per i pregiudizi della gente. Però non mi sembra male come Casa. È solo malvista dagli esterni.»

   «Altroché se è malvista!» sbottò Macauley. «Non pensano mai che Tu-Sai-Chi poteva finire in una qualunque altra Casa. Non è stata Slytherin a crearlo, ma lui ha creato tutti gli stereotipi che la contraddistinguono! Stereotipi falsi» aggiunse, piccato.

   «Allora dobbiamo impegnarci per fare crollare queste credenze, no?» ribatté con ovvietà Albus.

   Nott lo fissò indagatorio, Scorpius interessato.

   «Gli Slytherin tentano da decenni di riabilitare il loro nome. Cosa ti fa credere che quest’anno possa cambiare qualcosa?» lo mise in dubbio Macauley.

   «Quest’anno ci siamo noi» rispose semplice Albus.

   Scorpius nascose un sorriso mascherandolo da colpo di tosse; Macauley scostò per la prima volta il fazzoletto dal viso per esclamare:

   «Sei più tenace del Morbillo dei Goblin!»

   «Grazie…?» traballò Albus, indeciso se quello fosse un complimento o meno.

   Il trillo gioioso della Eeriemay distolse l’attenzione del giovane Potter:

   «Weasley Rose!»

   Il Cappello non fece fatica a decidere. D’altronde, Albus stesso avrebbe scommesso la sua bacchetta sulla Casa della cugina.

   «Ravenclaw!» fu infatti la sentenza del Cappello.

   E, con lei, lo Smistamento terminò.

 

***

 

   Era stata una cena bizzarra.

   Aveva mangiato con un misto di felicità e agitazione: quando prevaleva la contentezza, il cibo gli sembrava squisito; quando prevaleva l’ansia, i piatti diventavano improvvisamente acidi.

Era contento che il suo discorso avesse riscosso l’approvazione di Macauley e Scorpius. Tuttavia, lui stesso non era convinto delle sue parole: non era ancora sicuro che Slytherin fosse la Casa che faceva per lui.

Da quanto sapeva dai racconti degli studenti più anziani, era normale portarsi simili dubbi anche al secondo anno: solo il tempo gli avrebbe fatto capire perché il Cappello avesse scelto quella strada per lui.

Ad ogni modo, la rete di preconcetti che imprigionava quella che era diventata la sua Casa non gli piaceva per nulla: che senso aveva giudicare intere generazioni di maghi per le nefandezze di un unico individuo?

Era sincero quando aveva dichiarato di voler scardinare quel substrato di malignità gratuite.

   Comunque, non erano state solo le sue riflessioni a rendere strampalato quel pasto.

   Macauley era uno spasso da guardare mentre mangiava: aveva studiato le posate alla ricerca di macchie e batteri, e aveva esaminato ogni singolo boccone prima di portarlo alle labbra.

Albus si girò sulla schiena e osservò il letto a castello dall’altro lato della stanza: nel giaciglio superiore, Macauley dormiva protetto da una mascherina ipoallergica.

Sorrise, scuotendo la testa. Se non altro, sua madre sarebbe stata felice di sapere che uno dei suoi compagni di stanza fosse così attento all’igiene.

   «Potter, dovresti dormire» bisbigliò Scorpius dal materasso sopra il suo.

   «Anche tu» replicò Albus. «E chiamami con il mio nome.»

   «Non ti piace “Potter”?»

   «Preferisco Albus».

   Gli piaceva il suo cognome. Ma era troppo generico. E poi, era sua padre il Potter per eccellenza.

   «D’accordo, Albus. Ma dovresti comunque dormire. Domani cominciano le lezioni» lo consigliò Scorpius.

   Il ragazzo si inabissò nelle coperte fino al naso, brontolando un assenso.

   «Scorpius?» tremulò nel buio.

   «Sì?»

   «Ti seccherebbe se domani mi sedessi vicino a te, a lezione?»

   Ci fu un movimento nel materasso di sopra che Albus non riuscì a decifrare, poi giunse risposta:

   «Albus, ho accettato di dividere il letto con te. Cosa ti fa pensare che ti caccerei se ti sedessi vicino a me?»

   Il piccolo si sorprese del tono di Scorpius. Aveva ipotizzato una risposta del tipo: “Ma certo, nessun problema”, il tutto condito da un sorriso che avrebbe falciato l’ombra della stanza. C’era un sottofondo ironico in disaccordo con l’immagine gentile e luminosa di Scorpius. Doveva essere davvero stanco, e lui lo stava tenendo sveglio.

   «D’accordo, grazie. Buonanotte, Scorpius» tagliò corto, per non infastidirlo ancora.

   «Sogni d’oro, Albus» si accomiatò a sua volta l’altro.

   Il bambino restò ancora qualche istante immobile nel letto, aspettando di addormentarsi.

   Quando finalmente si sentì abbracciare da Morfeo, gli tornarono in mente le parole della cugina.

   Come posso fidarmi di chi non è sincero?

   Poi scivolò nel sonno, e il variopinto mondo onirico ebbe il sopravvento.







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Grazie per essere arrivati fin qui, spero che anche i prossimi capitoli saranno di vostro gradimento<3
   
 
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