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Autore: BBambi    09/02/2012    3 recensioni
Teresa, 18 anni, single - quindi praticamente quasi zitella - innamorata del supereroe di turno, in bilico tra il suo amore devoto per la sua fidanzata di sempre, Angela Lang e la nuova cotta per Kristina Lane.
Beh, tutto regolare, era la stessa ruota di scorta del giorno prima. Nessun cambiamento .
Si decise ad abbandonare il materasso e a prepararsi per la giornata.
Non era facile essere Teresa Sullivan.
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Jane/Lisbon
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Solo per strapparvi un sorriso, mentre "partorisco" con difficoltà il finale di 48:48....Le storie d'amore mielose non sono il mio genere. le cross-over non sono il mio genere. Così ho finito per scrivere una sorta di Au, cross-over e mielosa.....-.- ...un impossibile mix tra TM e Smallville .....CHIEDO PERDONO in anticipo! Enjoy

Il posto giusto per me.
 


Aprire gli occhi ogni mattina e realizzare di essere Patrick Kent era sempre una riscoperta.
Insomma, se una zanzara lo infastidiva mentre dormiva sarebbe bastato darle un’occhiata per polverizzarla; se bucava lo pneumatico dell’auto poteva sempre fare una corsa a scuola e beh, ci mancava giusto la lettura del pensiero, ma era un ottimo conoscitore della mente umana e poteva di certo farne a meno.
La sveglia trillò insistentemente sul comodino accanto al letto, con quella suoneria insopportabile.
Patrick allungò la mano su di lei per interrompere l’allarme, ma finì col ridurla ad una frittella d’alluminio.
Capitava ancora che dimenticasse di gestire la sua forza, ogni tanto.
Non era facile essere Patrick Kent.

Aprire gli occhi ogni mattina e realizzare di essere Teresa Sullivan era sempre frustrante.
Puntò gli occhi sul soffitto bianco della sua camera da letto.
Riepilogo della situazione giornaliera:
Teresa,
18 anni, single - quindi praticamente  quasi zitella - innamorata del supereroe di turno, in bilico tra il suo amore devoto per la sua fidanzata di sempre, Angela Lang e la nuova cotta per Kristina Lane.
Beh, tutto regolare, era la stessa ruota di scorta del giorno prima. Nessun cambiamento .
Si mise a sedere nel letto stiracchiandosi, le aspettava un’altra lunghissima giornata tra la scuola e la redazione.
Quel dannato giornalino scolastico le succhiava davvero l’anima e le stava facendo venire le rughe precoci.
Si decise ad abbandonare il materasso  e a prepararsi per la giornata.
Non era facile essere Teresa Sullivan.


Si incontrarono nel corridoio, come ogni mattina.
« Hey Tess».
Lui la salutava allo stesso modo in cui salutava Wayne, con una sonora pacca sulla spalla; lei incassava il colpo e arrossiva come una quindicenne alla prima cotta. Ma diamine, in fin dei conti, quella era la sua prima cotta!
Una cotta a lungo termine, diciamo, un brutta cotta contratta all’età di quattordici anni ed ancora in incubazione. Una vera e propria malattia inestirpabile che si era intrecciata alle cellule del suo DNA.
Per non parlare di tutti i meravigliosi castelli in aria che si faceva, costruiti su solidi muri di illusioni e sogni ad occhi aperti.
Ma infondo, loro due erano speciali. Lei voleva pensarla così.
Del resto era l’unica a conoscenza dei suoi poteri, l’unica alla quale si rivolgeva quando aveva un problema, l’unica che sapeva tirarlo fuori dai guai tutte le volte.
Doveva solo aspettare, prima o poi sarebbe arrivato il suo momento, si sarebbe accorto di lei, di lei che non era proprio la tipica donzelletta in pericolo da trarre in salvo.
E intanto mentre congetturava il suo futuro intrecciato di rose e nontiscordardime, il bellimbusto pomiciava appoggiato all’armadietto con la bionda Angela, mentre poco più in là Kristina Lane torturava il bordo del libro di chimica dall’invidia.
Sì, prima o poi sarebbe toccato anche a lei.


*

Aprire gli occhi ogni mattina e realizzare di essere Teresa Sullivan stava diventando faticoso.
Stropicciò le palpebre e mise a fuoco il soffitto della sua stanza, per niente ristorata dalle poche ore di sonno.
Non faceva il riepilogo della situazione giornaliera da quando era diciottenne, si alzò dal letto e si sentì tutti i suoi trentaquattro anni piombarle addosso.
Era ancora single, definitivamente zitella, le mancava giusto il gatto a farle compagnia, ma non aveva davvero tempo per qualcosa che andasse oltre il suo lavoro. L’impiego la teneva costantemente occupata. Bevve una tazza di caffè, mentre con una mano cercava di indossare un paio di jeans.
Lanciò un’occhiata alla prima pagina del giornale del giorno prima, l’articolo di apertura era firmato Patrick Kent.
Tornò in camera, prese la pistola dal comodino e la sistemò nella fondina legata in vita.
Quell’uomo continuava a rimbombare come un’eco nella sua vita vuota, benché ormai non lo vedesse più dai tempi della scuola.
Aveva da qualche anno iniziato a lavorare a Metropolis, lì c’erano molti più casi e la vita era davvero più frenetica rispetto ai bei tempi in cui bighellonava alla centrale di Smallville.
Quel giorno iniziato come tutti gli altri si ritrovò coinvolta in una terribile sparatoria.
Alcuni agenti erano stati feriti, altri uccisi, mentre un gruppo di rapinatori si era asserragliato nella sede della Banca Centrale, occupante un intero grattacielo.
Il numero degli ostaggi era incalcolabile e le forze dell’ordine erano bloccate lì fuori, mentre una parte de i malviventi si arrampicava su per quell'enorme edificio - in attesa dell’elicottero chiesto come merce di scambio - e l’altra attendeva le macchine blindate al piano terra.
Quando, in un primo momento, i rapinatori avevano tentato una fuga in bella vista attraverso l’ingresso principale, Teresa si era ritrovata a sparagli contro e - nella confusione generale - a seguirli dentro l’edificio.
Era riuscita a nascondersi agli sguardi degli uomini incappucciati da passamontagna neri e armati di pistole.
Controllò la sua colt, aveva ancora un caricatore pieno e due proiettili in quello in uso, mentre i rapinatori erano due a quel piano e tre al piano di sopra. Era un suicidio, ma doveva provarci.
Il suo spirito di sopravvivenza stava, per una volta, prevalendo sul raziocinio.
Spiò i bersagli, e presa la mira. Non DOVEVA sbagliare.

Il primo rapinatore cadde a terra con un proiettile in mezzo agli occhi e mentre l’altro realizzava cosa stava accadendo si ritrovo colpito al braccio destro.
La sua pistola cadde a terra, mentre gli ostaggi schiamazzavano terrorizzati.
L’agente Sullivan uscì dal nascondiglio e prese la pistola del delinquete, a terra sanguinante, ma ancora vivo.
Gli puntò la pistola alla testa « Se non vuoi fare la fine del tuo amico ferma i tuoi colleghi che se la stanno svignando!»
« Non posso» disse quello tremante come un agnellino.
« Non hai un modo per comunicare con loro?»
« Sì» disse mostrandole una ricetrasmittente.
« Hanno anche loro degli ostaggi?»
« Non lo so, ma l’edificio è pieno e non dovrebbero avere difficoltà a farsi scudo con qualcuno..»
Gli strappò l’apparecchio radio dalle mani e dopo averlo legato come un salame e liberato un paio di ostaggi, schizzò verso l’ascensore.
L’ascesa verso il tetto le sembrò infinita.
Quando fu all’ultimo piano dell’edificio corse verso la rampa di scale che conduceva fuori, sul tetto del grattacielo, davanti al quale si prostrava il panorama di Metropolis.
Spalancò la porta ed uscì allo scoperto, brandendo la pistola.
Era un piano folle.
Loro erano tre, lei una, con uno stupido giubbotto antiproiettile.
Ma che diavolo le era saltato in testa? Non era un super eroe lei!
« Polizia!  Siete circondati » gridò, tentando il diversivo degli SWAT nella speranza che abboccassero «Non verrà nessun elicottero a prelevarvi, quindi faccia a terra e buttate le armi.».
I tre malviventi si guardarono tra il sorpreso e l’incredulo.
Le puntarono addosso le armi.
No, decisamente non se l’erano bevuta.
Eccoci, pensò, era la fine. Magari i giornalisti avrebbero scritto un bel pezzo sul suo gesto eroico o sulla sua stupidità. L’articolo sarebbe sicuramente cominciato così “Era una donna estremamente sola, viveva per il suo lavoro e per la stessa ragione è anche morta. E’ stata così coraggiosa sul campo, ma lo stesso non si può dire per tutto il resto. Una vera codarda in fatto di sentimenti, sempre a nascondersi dietro un dito, a rifugiarsi nei suoi sogni. E ora ecco, è morta senza neanche aver potuto dire all’uomo della sua vita che lo amava. Lo amava da sempre.”
Sì, forse non avrebbero scritto proprio così … ma quelli erano i suoi pensieri.
Senza contare tutte quelle congiunzioni a inizio frase.
Sospirò di sé stessa.
Sollevò le braccia tese davanti a lei, impugnando la pistola e prendendo la mira. Se proprio doveva finire lì, non si sarebbe lasciata ammazzare senza reagire.
Stava per premere il grillettò quando una potente raffica di vento li fece barcollare tutti su quel tetto un po’ troppo affollato.
L’elicottero, pensò Sullivan.
Ma invece non apparve nessun velivolo.
Un lampo blu e rosso aveva colpito i tre malviventi, che ora erano a terra tramortiti.
Le armi spezzate a metà come bastoncini di legno.
Solo una persona poteva esserne capace.
Guardò davanti a sé.
Non si era neanche accorta di averlo innanzi, in quella ridicola tutina bicolore e con quel mantellino di pezza rossa appoggiato sulle grandi spalle.
« Quando la smetterai di metterti nei guai Tess?»
Lei sorrise e Patrick Kent fece altrettanto.
Lui la stava guardando.
E finalmente la vide, quella splendida donna che era diventata, che era sbocciata in quell’essere che pur senza super poteri era qualcosa che si avvicinava davvero ad un eroe.
La verità era che lui era inattaccabile, ma lei era una piccola donna di titanio, resistente a qualsiasi cosa.
Indistruttibile.
E ora lì su quel tetto, lontani dal mondo, lontani dalla realtà era finalmente arrivato il suo momento.
Doveva smettere di essere codarda, non poteva lasciarlo volare via. Non di nuovo.
Non come l’ultima volta, che per timore dei propri sentimenti lo aveva lasciato andare senza dirgli niente.
Se lo ricordava bene, era il ballo della scuola ed era riuscita a rubargli un lento, tra le danze promesse ad Angela e a Kristina.
Erano occhi negli occhi, stretti l’uno all’altra, non come due amici, ma come due metà della stessa interezza.
E lei cosa aveva fatto?
Aveva atteso che finisse la musica, lo aveva ringraziato e mentre lui si allontanava lo aveva afferrato per la manica dello smoking.
« Sì? Teresa?»
Lei era rimasta lì con la bocca aperta, boccheggiando come un pesce, senza che nessuna parola comprensibile uscisse dalla sua bocca.
Imbarazzata aveva mollato la presa e lo aveva lasciato veleggiare  tra le braccia di Kristina.
Si ricordava bene gli occhi di lui. Occhi che aspettavano lei sue parole. Perché superman non aveva il dono della telepatia, ma Patrick Kent sapeva leggere bene le emozioni delle persone.
E lei lo aveva lasciato andare.
Ora erano lì, l’uno di fronte all’altra, un po’ più vecchi, un po’ più disillusi.
Lui la guardava con gli stessi occhi, aspettando.
« Beh qui ho finito, vedi di non metterti più nei guai!» gli fece l’occhiolino.
Lui si voltò e lei lo afferrò per un braccio.
«Sì? Teresa? »
Rimase un istante con la bocca aperta poi scosse la testa « Volevo dirti che…questo costume è davvero ridicolo!» lui rise « E che ti amo!» lo disse d’un fiato, guardandolo negli occhi.
Aveva appena rischiato di morire, non poteva più aspettare per confessargli  i suoi sentimenti, a costo di rendersi patetica « Ho una cotta cronica per te da quando avevo quattordici anni».
Lui si limitò a sorriderle.
Eccoci, la clamorosa figura di merda era stata fatta, l’umiliazione pubblica era avvenuta su un grattacielo ma si era consumata come da copione e ora si aspettava solo che lui le dicesse “Ti va se restiamo amici?”.  
E invece sulla sommità di quell’altissimo edificio, con la città ai loro piedi, il sole splendente, lei aveva finalmente trovato il suo posto.
Tra le braccia di quell’uomo che amava e che la riamava a sua volta.
In alto nel cielo.
« Comunque dicevo sul serio…»
« Anche io ti amo Teresa…» disse mentre la baciava tra le nuvole.
« Parlavo del tuo costume…»
  
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