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Autore: Gwen Chan    09/02/2012    3 recensioni
Tre generazioni unite da un unico insegnamento.
La matematica che diventa magia.
E una ragazza sognatrice che non ha mai smesso di cercare la verità.
Da sua madre la bambina aveva appreso i primi rudimenti di geometria, i fondamentali che anche i Maghi ritenevano indispensabile insegnare ai propri figli.
Era rimasta affascinata dall’infinito.
Dopotutto, anche i Babbani avevano le loro forme di magia. Il continuo susseguirsi dei numeri, privi di un’origine o di una fine, quasi la loro esistenza coincidesse con lo stesso fluire eterno dell’Universo, era tra queste.
“Mamma, le parallele non si incontrano mai?” domandò un pomeriggio, succhiando la punta di una piuma di zucchero.
Forse in uno spazio o in un tempo, invisibili come i Nargilli o i Gorgosprizzi di cui cianciava suo padre, si sarebbero toccate.

[Seconda classificata al contest "Pensieri Spettinati" di Indiceindaco sul forum di EFP]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Luna Lovegood, Lysander Scamandro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry, Dopo la II guerra magica/Pace
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Autore: Gwen Chan

Titolo: L’importante è crederci!

Pacchetti: origine, citazione n° 8 “Due linee parallele s’incontrano all’infinito- e ci credono!”

Genere: Introspettivo, generale

Avvertimenti: flash fic

Note: ringrazio indiceindaco per aver indetto il contest, senza il quale non avrai mai potuto né scrivere questa ff né ottenere un sorprendente secondo posto.

Per quanto riguarda il fatto che la madre di Luna le insegni a leggere, a scrivere e a far di conto, nei libri non viene specificato, ma ho pensato che i figli dei maghi imparino tali conoscenze da privatisti.

 




L’IMPORTANTE È CREDERCI!

Sua madre aveva sempre le dita sporche d’inchiostro o di qualche strana pozione. Teneva i capelli raccolti sulla nuca, con alcuni ciuffi ribelli sulla fronte, sudata per i vapori che salivano dal calderone.

Da lei Luna avrebbe imparato la sottile arte - perché dopotutto di quello si trattava - di infilare la penna d’oca dietro l’orecchio, perché fosse sempre a portata di mano.

Occorrevano abilità e grazia per non farla cadere quando si camminava.

Aveva il profumo dei capelli di sua madre, quella piuma. Luna lo avvertiva quando, da bambina, la donna le insegnava con amorevole pazienza a leggere e a far di conto.

Da sua madre la bambina aveva appreso i primi rudimenti di geometria, i fondamentali che anche i Maghi ritenevano indispensabile insegnare ai loro figli.

Era rimasta affascinata dall’infinito.

Dopotutto, anche i Babbani avevano le loro forme di magia. Il continuo susseguirsi dei numeri, privi di un’origine o di una fine, quasi la loro esistenza coincidesse con lo stesso fluire eterno dell’Universo, era tra queste.

 “Mamma, le parallele non si incontrano mai?” domandò un pomeriggio, succhiando la punta di una piuma di zucchero.

Forse in uno spazio o in un tempo, invisibili come i Nargilli o i Gorgospruzzi di cui cianciava suo padre, si sarebbero toccate.

Aveva otto anni. La mamma aveva riso: “Due rette parallele s’incontrano all’infinito, piccola”.

L’anno dopo un’esplosione se l’era portata via.

Luna sulla spiaggia aveva tracciato lunghissime linee con la punta della bacchetta materna. Eppure, per quanti chilometri percorresse, mai riusciva nell’intento di unirle. Rimanevano sempre separate.

Parallele ovunque. Parallele in circolo attorno alla casa, dove la mamma non sarebbe tornata.

Parallele sui muri azzurro pastello della sua cameretta a Villa Lovegood, sul tavolo della cucina, sui frammenti di pergamena che Xenophilius abbandonava qua e là.

Erano come i binari di due treni. Su uno viaggiava Luna, sull’altro si trovava la mamma. I treni correvano, correvano senza né fermarsi o incrociarsi mai.

Eppure, Luna era fermamente convinta che la mamma avesse detto la verità, allo stesso modo in cui nulla avrebbe potuto farla desistere dal credere all’esistenza del Ricciocorno Schiattoso.

Era un modo perché la donna continuasse a vivere.

Le parallele si sarebbero incontrate.

 

Luna si sedette sul materasso, vicino al figlio Lysander imbronciato.

“Perché mio fratello ha deciso di andarsene in vacanza senza di me? Tre mesi da solo! Noi siamo gemelli, dobbiamo stare sempre insieme!” borbottò.

“Lo sarete, anche lontani, come le rette parallele” lo tranquillizzò dolcemente.

Lysander, digiuno di geometria Babbana, spalancò gli occhi in una muta domanda. Luna spiegò.

“Ma le parallele non si incontrano mai!” obiettò Lysander, raggomitolando le ginocchia sotto il mento, in un gesto infantile di auto-difesa.

“No, si incontrano all’infinito.”

Il figlio la fissò scettico: non sembrava per nulla convinto.

Luna si chinò su di lui e gli toccò il cuore.

“Proprio qui.”

Una notte Luna aveva sognato sua madre.

“Mamma, dove si incontrano le parallele?’”

La donna le sfiorò il petto.

 “Qua dentro, piccola.”

   
 
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