Anime & Manga > Katekyo Hitman Reborn
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Autore: Hatake85    10/02/2012    1 recensioni
Salve a tutti! :)
Questa è la mia prima ff, sono emozionata! xD E' una libera interpretazione dell'infanzia del mio personaggio preferito in assoluto di "Katekyo Hitman Reborn!", ovvero Reborn.
Spero sia di vostro gradimento, buona lettura!
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Reborn
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono nato nella più bella isola italiana,la Sicilia,il 13 ottobre,il mese in cui le foglie cadono leggeremente e tristemente dagli alberi.Ma non la. Nella mia città,Siracusa, il sole era sempre alto nel cielo e non c'era giorno in cui non soffiasse un piacevole venticello proveniente dal mare sempre cristallino. Gli alberi e le piante erano sempre piene di vita e di un brillante verde smeraldo. Un vero paradiso, non vi pare? Amavo e amo tutt'ora ogni singolo dettaglio di quella città: le strade,le case, i rumori;le urla delle madri alle prese con i figli,il dialetto dei vecchi seduti al bar a giocare a carte, le macchine,gli animali. Mi torna alla mente Carl,il mio cane,di razza collie. Snello,elegante e tanto affettuoso. Passavamo interi pomeriggi a giocare in giardino. Io gli lanciavo un frisbee e lui con un balzo composto e fiero lo prendeva e me lo riportava trotterellando felice.Il giardino era immenso, ricco di tante specie di piante colorate. Altrettanto immensa era la villa in cui vivevo. Vi era un gran cortile circolare davanti, con al centro una fontana. Il confine era segato da un alto cancello color grigio chiaro. Le stanze erano tantissime,tutte arredate prestando attenzione ai minimi dettagli. In particolare ricordo la biblioteca. Lessi ogni singolo libro su quella poltrona rivestita di pelle rosso scuro, posta in un angolo della stanza,vicino alla finestra. Era il posto preferito di mia madre. Mia madre. La donna più nobile e bella di tutta la mia esistenza. Aveva lunghi capelli mossi rosso ramato, occhi scuri dolci ma al contempo penetranti. Il suo colore preferito era l'arancione.Indossava sempre una sciarpa di quel colore. Indimenticabile è il suo modo di vestire sempre elegante e il suo profumo delicato e insieme deciso.Si chiamava Cassandra, Cassandra Stradivari. Come si può immaginare, lavorava nella mafia. Conosciuta in tutta Italia per la sua immancabile classe e per non aver mai fallito una missione. Era una donna temuta e rispettata ma anche una madre sensibile e paziente. M'insegnò a usare al meglio la pistola, mi trasmise la cura nel vestire e la passione per il caffè. Aveva un'unica pecca: l'essere perdutamente innamorata di quell'uomo che, a mio malgrado, son tenuto a definire padre. Un uomo cattivo e meschino. Si chiamava Roberto, il cognome l'ho dimenticato. I suoi capelli mori, le basette e quei suoi folti baffi scuri incutevano un certo timore. Non ricordo i suoi occhi, il suo sguardo era sempre velato dall'ombra di un cappello. La sua crudeltà lo precedeva, era il più spietato killer dei Vongola. Non ricambiava per nulla il forte sentimento di mia madre. L'aveva sposata per convenienza, per aver maggior prestigio. Le mentiva, la tradiva, talvota s'avventata violentemente su di lei senza una precisa ragione. Però il divorzio avrebbe comportato un calo terribile nei suoi affari. Mia madre faceva parte di una famiglia molto ricca e a quell'uomo faceva comodo. Quindi trovava sempre il modo per farsi perdonare e tenersela accanto. Era terribilmente subdolo e sicuramente un buon attore. Ma nonostante tutto, anche se non si fosse curato di ottenere il suo perdono, lei continuava ad amarlo,intensamente,incessantemente. Non contestava le sue sporche scuse; ingoiando,ogni volta,un boccone velenoso e amaro, credeva alla sue parole o almeno ne dava l'impressione. Non versò mai una lacrima davanti a lui, era l'unico barlume di orgoglio che le rimaneva. Ma tante,troppe volte la vidi piangere ed esprimere tutto il suo dolore in quella biblioteca, quel suo unico rifugio. Un giorno quel boccone divenne fatale. Era il 2 dicembre, l'inverno dei miei 10 anni. L'ennesimo tradimento, le solite bugie. Un veleno ormai insopportabile e mortale, assunto in piccole dosi per più di 15 anni. Stava li, seduta sulla poltrona rosso scuro, vicino alla finestra. Guardava fuori. Io le ero accanto, seduto per terra sul soffice tappeto color mogano, impegnato nella lettura. Ad un tratto, mi carezzò la testa e allora sollevai lo sguardo dal libro. Lei mi sorrise. Un sorrise carico di affetto, di dolcezza ma sembrava implorare perdono. Per quanto fossi un bambino sveglio e precoce per la sua età, non recepii il messaggio, il vero messaggio che quella cara creatura voleva trasmettermi. Allora le sorrisi anche io. La sua mano scese sulla mia guancia. Le lunghe dita affusolate giocherellarono per pochi attimi con le mie basette, poi si voltò di nuovo verso la finestra. E chiuse gli occhi. Per non riaprirli più.La sua anima, stanca di soffrire, volò alta fino al paradiso, la dimora di quel Dio in cui io non credo. Se ne andò così,in modo semplice ma mantenendo sempre la sua immortale eleganza e compostezza. Le lacrime di tutta la mia vita le versai sulla sua tomba, omaggiata con fresche rose rosse. Nel giorno del funerale, Roberto recitava la parte del vedovo addolorato. Ma non gli riuscì di piangere. Lo osservavo e mi disgustavo di essere sangue del suo sangue. Ripeteva ai presenti che mia madre si era spenta a causa di una rara e fulminante forma d'infarto. Mi inorridì non notare il minimo rimorso o una minima consapevolezza della sua colpa. Da quel giorno, io non ebbi più un padre.
  
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