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Autore: Darik    19/09/2006    1 recensioni
Una vita ricomincia. Un'altra finisce. E tutti i pezzi, mossi dal destino e dall'uomo, sono pronti per muoversi. Nota: questo racconto si colloca dopo la serie FMP The Second Raid.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Operazione Hunting'
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OPERAZIONE HUNTING

PROLOGO

La grande battaglia si era conclusa da poco.

Sembrava incredibile che un simile combattimento si fosse svolto nella grande città di Hong Kong.

Si trattava infatti di una delle metropoli più importanti dell’Asia, e per questo la gente la riteneva al sicuro da cose simili.

Ma la vita si era dimostrata imprevedibile, ancora una volta.

Tutto era cominciato quando un misterioso AS con la coda di cavallo era apparso dal nulla nella città, e aveva cominciato a condurre degli attacchi a casaccio, intervallati da pause più o meno lunghe.

Nessuno riusciva a capire quale fosse il suo scopo, quasi che volesse semplicemente mettersi in mostra.

E gli AS in dotazione all’esercito cinese era chiaramente modelli troppo antiquati per poterlo fermare.

Era poi giunta una squadra di misteriosi AS, che aveva tentato di fermare l’AS terrorista, senza riuscirci.

Poi all’improvviso al combattimento si era aggiunta una seconda squadra, composta da AS identici a quello con la coda di cavallo, e lo avevano distrutto in pochi secondi.

Eliminato lui, sembravano intenzionati a distruggere anche la prima squadra di AS, finché non era comparso un nuovo AS, bianco.

Quest’ultimo, mostrando un abilità fuori dal comune, aveva spazzato via gli AS con la coda di cavallo.

L’ultimo poi, che aveva l’aria di essere il leader del gruppo, era stato distrutto con un colpo solo in maniera misteriosa e spettacolare.

Ora gli AS misteriosi che avevano cercato di fermare il robot con la coda di cavallo che minacciava Hong Kong se ne erano appena andati, e resti fumanti di AS distrutti e di case colpite dal fuoco di ambo le parti, erano sparsi per quasi tutte le strade di ben quattro quartieri.

Ci sarebbe voluto almeno un paio di giorni per sgombrare le strade dalle macerie, quantificare i danni e permettere il rientro degli abitanti.

Quindi Hong Kong in quel momento era pressoché deserta, e per questo nessuno si accorse dell’elicottero blindato di colore nero che sembrò materializzarsi dal nulla in mezzo alla strada in cui si era svolta la parte centrale della battaglia.

Dall’aspetto possente e minaccioso, ma silenzioso come una libellula, l’elicottero si posò sull’asfalto pieno di crateri e rottami.

Ne scesero due uomini in tuta nera.

“Mi sa che siamo arrivati tardi”.

“Sai bene che non avevamo altra scelta che attendere la fine dello scontro. Se ci intercettavano, avremmo corso grossi guai”.

“Lo so, lo so. Ma dubito che al maestro farà piacere”.

“Comunque, visto che siamo qui, non possiamo non provare”.

“Vedi di sbrigarti allora. Saremo davvero al sicuro solo in volo con l’ECS attivato”.

Uno dei due tirò fuori dalla tasca un congegno grande quanto un telecomando, con una piccola antenna anteriore.

Cominciò a puntarlo in tutte le direzioni, mentre il suo amico controllava l’orologio.

Essendo la battaglia finita da poco, ci sarebbe voluto un po’ perché l’esercito cinese si decidesse ad avventurarsi per quelle strade, ma non ci avrebbero certo messo una eternità.

Prima finivano meglio era.

“Ehi, capta qualcosa!”

“Davvero?!”

“Si, e il segnale, molto debole, proviene da quella parte!”

I due corsero per un centinaio di metri, raggiungendo il muro di un palazzo.

Nel muro all’altezza del terzo piano c’era un buco piuttosto largo.

I due si guardarono, poi raggiunsero l’ingresso del palazzo, lo sfondarono e salirono seguendo il segnale.

Arrivarono in una stanza, che probabilmente era un ufficio.

Un grosso oggetto in metallo, di forma cilindrica, pieno di ammaccature e bruciature giaceva nel centro della stanza, tra i resti di una scrivania.

L’uomo che maneggiava lo strano congegno si avvicinò all’oggetto.

E dopo qualche secondo, si voltò verso il suo compagno e annuì, cominciando a cercare il dispositivo per l’apertura manuale.

Sapeva infatti che ne erano provvisti tutti gli ultimi modelli di AS muniti di abitacolo eiettabile.

****

QUALCHE MESE DOPO

“Ehi, Betty, sei pronta ad uscire per stasera?”

“Certamente. Anzi, se non mi chiamavi adesso, sarei già in strada”.

“Ok, allora io passo tra poco”.

Betty abbassò il telefono.

Si diede un’ultima occhiata allo specchio, controllando che trucco e vestito fossero a posto.

Andando vicino alla porta, notò la grande foto attaccata alla parete, che la ritraeva insieme ad una sua carissima amica di infanzia, che ormai non vedeva da almeno un anno.

E pensare che una volta dicevano di essere inseparabili.

Si erano divertite e avevano anche rischiato la vita tra le vie di New York, compiendo azioni spericolate e sfidando le gang giovanili.

La stessa cosa era accaduta quando per una strana coincidenza si erano trasferite entrambe a Hong Kong.

Stessa vita pazza e spensierata, stesse grane per i genitori che si ritrovavano delle simili figlie, grane compensate appena da un ottimo rendimento scolastico.

“Scatenate si, stupide no” pensò Betty.

Poi la sua amica, in preda ad un forte senso di rivalsa nei confronti del padre, se ne era andata.

E l’aveva fatto in modo molto spettacolare: aveva abbandonato il ragazzo con cui suo padre voleva farla sposare proprio davanti all’altare.

Doveva essere stata una scena memorabile, lei con l’abito bianco che ridendo mollava suo padre e quel bellimbusto, tra gli sguardi inebetiti usciva, si metteva alla guida della macchina degli sposi e partiva a tutta birra.

Se avesse saputo che sarebbe andata cosi, anche Betty sarebbe andata al matrimonio per gustarsi quella scena.

Ma si era rifiutata perché non poteva neppure fingere di sorridere alla vista della sua amica costretta a sposare qualcuno che non amava.

Pazienza.

Dopo quel gesto memorabile, la sua amica non si era più fatta sentire per qualche settimana.

E quando anche i suoi genitori paventarono la possibilità di infliggerle un matrimonio combinato, Betty come la sua amica era scappata, anche se meno platealmente.

E aveva deciso di seguire uno dei loro sogni da ragazzine: entrare nei marines per portare pace e giustizia nel mondo.

Quindi Betty si era arruolata, e un mese dopo scoprì con gioia che anche la sua amica aveva avuto la stessa pensata.

Anche il destino sembrava credere che quelle due fossero inseparabili.

Nei marines fecero faville, quasi sempre insieme, sempre scatenate, ma anche e sempre dannatamente brave.

Per questo, nonostante le strigliate dei superiori, non vennero mai cacciate.

Poi un giorno era successo qualcosa.

Betty anche in quel momento non era presente, perché impegnata in un’altra missione.

E quando rientrò dopo una settimana, le dissero che la sua amica era stata cacciata.

Betty non seppe mai il perché.

Né riuscì a rintracciare la sua amica.

Senza di lei, Betty perse ogni interesse e ritornò ad Hong Kong.

Dopo qualche mese, Betty la risentì.

E l’amicizia riprese, anche se solo telefonicamente.

La sua amica era sempre allegra, ma cambiava sempre discorso se Betty le chiedeva perché era stata cacciata.

E per strani motivi, non poteva dirle neppure dove fosse adesso e cosa facesse.

Solo una volta disse a Betty che col suo nuovo lavoro stava veramente portando pace e giustizia nel mondo.

“Ah, dannata Melissa, non credere di potertela cavare con qualche telefonata fatta ogni tanto”.

Poi uscì dal suo appartamento e scese in strada.

Il grande traffico di Hong Kong si era ormai completamente ristabilizzato, e la battaglia avvenuta mesi prima era solo un brutto ricordo.

Ora doveva solo attendere che Paul passasse per accompagnarla in quel nuovo locale, dove si sarebbe rincontrata con la sua allegra brigata.

“Betty? Sei proprio tu?”

La ragazza si voltò sorpresa, sentendosi chiamare da una voce sconosciuta.

Un ragazzo, sui venti anni e più giovane di lei, le si avvicinò sorridente e le diede un amichevole pacca su una spalla.

“Accidenti, Betty, non posso crederci, dopo tutto questo tempo”.

“Senti amico, mi sa che ti stai sbagliando. Io mi chiamo Betty, ma non ti conosco”.

Il giovane la guardò perplessa.

“Oh, è vero. Mi scusi tanto, solo che lei è identica ad una mia carissima amica che non vedo da un po’. Di nuovo tante scuse”.

Il ragazzo fece un inchino e si allontanò.

Betty lo guardò sparire nella folla, poi riprese ad aspettare Paul.

Quando improvvisamente le venne da tossire, sempre più forte.

“Ma che diavolo…. Cough… coguh… che è questa tosse?!”

Si mise una mano davanti alla bocca, tossì ancora e si accorse con orrore che la mano si era sporcata di sangue.

Tanto sangue.

Qualche secondo dopo, tutto divenne nero e cadde a terra esamine.

Dalla bocca oltre al sangue le colava anche della bava bianca.

FINE PROLOGO

  
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